22 novembre 2011

Briganti e pellirosse ai Sabati Briganteschi


Sabato 26 novembre 2011 - Ore 18.00

Sala Consiliare Comune di Villa Castelli (Brindisi)
Piazza Municipio

Associazione
Settimana dei Briganti - l'altra storia”
Villa Castelli (Brindisi)

in collaborazione con
Associazione Euclidea
Villa Castelli

nell'ambito de
I SABATI BRIGANTESCHI

organizza
la presentazione del volume
Briganti e pellirosse”
di Gaetano Marabello

PROGRAMMA

Introduce: Vito Nigro
Coordina: Rocco Biondi

SALUTO
Lorenzo Capone
Editore del volume

Presentazione
VALENTINO ROMANO
Direttore della collana “Carte scoperte - Storie e controstorie”
Due popolazioni - tra loro lontanissime - del nostro pianeta, l'una con archi e frecce, l'altra con doppiette e forconi, entrambe con le unghie e con i denti, combattono una medesima guerra in difesa del “poco” che hanno: il territorio, la patria, la famiglia, la religiosità, la cultura e le tradizioni, la normalità del proprio quotidiano. Ciascuna ignora completamente l'esistenza dell'altra. L'accostamento tra due figure diverse ma ugualmente fascinose del nostro immaginario collettivo, il brigante e il pellirossa, appena intuito e sfiorato dalla sensibilità di qualche autore, trova in queste pagine finalmente una sistematica collocazione e un'analisi organica.

Relazione dell'autore
GAETANO MARABELLO
Nei saggi, che trattano le vicende legate al Regno delle Due Sicilie e al Brigantaggio, capita di trovare talvolta un cenno allo sterminio degli Indiani d'America. Accostamento quasi scontato, giacché ad evocarlo sta la parabola stessa di briganti e pellirosse, impegnati in una lotta senza quartiere e senza speranza contro un invasore che aveva identiche radici ideologiche. Il destino dei Nativi americani va a incrociarsi con quello di altri vinti della storia: i briganti. Questo tema viene approfondito in questo volume, dove appare senza infingimenti la simpatia verso chiunque combatte per la sua terra, la sua famiglia, la sua religione, la sua cultura. Come, appunto, briganti e pellirosse.

EVENTO
Agostino Abbaticchio illustrerà le finalità del marchio “Nato Brigante” e presenterà l'iniziativa della raccolta delle firme per una legge di iniziativa popolare sul "Consumo agro-alimentare a chilometro zero in Puglia". La legge prevede l'obbligo, da parte della Regione Puglia, di acquisto e consumo di prodotti agro-alimentari a "chilometri zero" in tutti i luoghi comunitari di somministrazione di alimenti. Nell'interesse delle nostre aziende e per non far continuare ad emigrare i nostri figli.

Info: 338 8818433 (Rocco Biondi)
Email: info@settimanadeibriganti.it

23 ottobre 2011

I Briganti delle Murge ai Sabati Briganteschi

Sabato 29 ottobre 2011 - Ore 18.00

Sala Consiliare Comune di Villa Castelli (Brindisi)
Piazza Municipio

Associazione
“Settimana dei Briganti – l'altra storia”
Villa Castelli (Brindisi)

in collaborazione con
Associazione Euclidea
Villa Castelli

nell'ambito de
I SABATI BRIGANTESCHI

organizza
la presentazione del volume
"Insorgenti e Briganti tra le Murge e il Salento"
del Gruppo Umanesimo della Pietra di Martina Franca

PROGRAMMA

Introduce: Vito Nigro
Coordina: Rocco Biondi

SALUTI

- Franco Marangi, Presidente di Interfidi (prestiti alle aziende), che ha sponsorizzato il numero speciale di Umanesimo sul Brigantaggio
- Gianpaolo Cassese, Amministratore della Società Agricola F.lli Cassese (Grottaglie), che a fine convegno farà assaggiare alcuni prodotti della sua Masseria

DOMENICO BLASI
Direttore Editoriale
relaziona sul tema
"Saggi sul Brigantaggio nei 34 anni di vita della rivista Riflessioni - Umanesimo della Pietra"
I collaboratori del Gruppo Umanesimo della Pietra hanno ritenuto «che per noi meridionali rivendicare l'orgoglio d'essere italiani e, quindi, la nostra identità culturale poteva risiedere nel proporre e nello stimolare una riflessione collettiva su quella che è un'autentica risorsa della nostra terra: il brigantaggio, fenomeno sociale variamente interpretato dall'imperante revisionismo storico».
Rivivono le vicende di uomini e donne meridionali, uccisi, torturati, imprigionati da una politica “nazionale” che continuava a relegarli ai margini di una società, solo a parole liberale e più giusta. Quel loro andare solitario lungo i tratturi o per i sentieri dei boschi racconta le pene e le umiliazioni subite dalle misere genti del Sud, poveri braccianti e sfruttati in genere, la cui riabilitazione storica e morale è nel passato che è dentro di noi e che, anche se non l'abbiamo vissuto direttamente, vive nella storia delle nostre città e delle nostre campagne, incisa sulle pietre che conosciamo.

MARIO GUAGNANO
Storico
relaziona sul tema
"Briganti tra le Murge e il Salento"
Il Brigantaggio è una complessa realtà sociale, finora malcelata nei bui sotterranei della Storia, dai quali oggi emerge prepotente come espressione dell'identità culturale delle genti meridionali.
L'impiego contro i briganti di centoventimila uomini dell'esercito del neonato Stato italiano fu il riconoscimento implicito dell'importanza politica e militare dell'insorgenza postunitaria, in netto contrasto con la propaganda ufficiale, che all'opinione pubblica interna ed estera dipingeva il fenomeno come episodico e delinquenziale.

EVENTO
Assaggi di prodotti della Masseria del Duca dei F.lli Cassese - Crispiano (Taranto)

Info: 338 8818433 (Rocco Biondi)
Email: info@settimanadeibriganti.it

7 ottobre 2011

Steve Jobs addio


Steve Jobs, fondatore di Apple, era nato a San Francisco il 24 febbraio 1955, è morto a Palo Alto il 5 ottobre 2011. Grazie e addio.


1 ottobre 2011

Nicola Zitara appartiene a tutti


Ricorre oggi 1° ottobre 2011 il primo anniversario della morte di Nicola Zitara. Era nato a Siderno (Reggio Calabria) il 16 luglio 1927, dove è morto all'età di 83 anni. Un mio tributo alla sua grandezza l'ho dato recensendo il suo libro forse più bello “Memorie di quand'ero italiano”, scritto quando aveva 67 anni. Qui riporto solo due frasi di quel libro che sintetizzano l'essere di Zitara: «Conosco poche persone che possono dire di essere state libere come me» e «E' stato comunque bello non avere padroni politici, editori-padroni e tutele accademiche».
Il 5 agosto scorso partecipai a Roccella Jonica (Reggio Calabria) alla presentazione dell'ultimo libro di Zitara “L'invenzione del Mezzogiorno. Una storia finanziaria”. Tra gli altri a presentare il libro vi era anche Pino Aprile. Proprio da questa occasione voglio prendere lo spunto per una mia considerazione. Lidia, figlia di Nicola Zitara, a commento di quella presentazione ha scritto un pezzo intitolato “Mio padre, Nicola Zitara, una grande anima. E’ dovuto morire perché ci si ricordasse di lui”, affermando tra l'altro che dall'intervento di Pino Aprile si aspettava di più in termini di contenuti. Era mancata negli interventi dei relatori la dichiarazione delle posizioni decisamente separatiste di Zitara, che vedeva la soluzione dei problemi del Sud solo ed esclusivamente al di fuori dell’Italia e dell’Europa.
Legittimo desiderio della figlia di Zitara. Ma quando ho letto la lettera aperta a Francesco Tassone, scritta da Antonia Capria, moglie di Nicola Zitara, al direttore dei “Quaderni Calabresi”, ho cominciato a capire che vi erano seri problemi e valutazioni contrastanti fra la famiglia di Zitara e gli altri, dove questi ultimi intuivo essere parecchi. Questa mia impressione è stata poi confermata dagli interventi di Lidia Zitara su “Scirocconews” in occasione del premio ottenuto al Festival del Cinema di Venezia dal documentario “In attesa dell'avvento” in qualche modo ispirato a Nicola Zitara. Lidia è stata inopportunamente e in modo poco documentato molto dura contro gli autori del documentario Felice D’Agostino e Arturo Lavorato. Questi ultimi hanno avuto facile gioco a difendersi e chiarire. Tra l'altro in coda all'articolo di Lidia vi era una dichiarazione della madre Antonia di entusiastica favorevole partecipazione al successo conseguito a Venezia.
E' chiaro quindi che la famiglia Zitara difende accanitamente la memoria, gli scritti, l'operato di Nicola Zitara. E questo è legittimo, ma penso che si sbaglia ad esasperarne i toni.
Nicola Zitara ormai appartiene a tutti i meridionali.
Chiudo con una nota personale: ho scritto due volte a Lidia Zitara e non ho mai avuto risposta.
Rocco Biondi

14 settembre 2011

Insorgenti e Briganti tra le Murge e il Salento, del Gruppo Umanesimo della Pietra


L'annuario “Riflessioni-Umanesimo della Pietra” ha pubblicato, nel corso dei suoi trentatré anni di uscita, vari articoli sul brigantaggio in Puglia. Ora, in occasione del settimo centenario della fondazione della città di Martina Franca (luogo di pubblicazione della rivista) e del centocinquantesimo anniversario dell'unità nazionale, il Gruppo Umanesimo della Pietra ha deciso di raccogliere in un unico volume tutti i saggi pubblicati sul tema del brigantaggio nell'annuario “Riflessioni” dal 1978 al 2010. Sono quindici pezzi di vari autori.
La motivazione della scelta è stata esplicitata dal direttore della rivista Domenico Blasi, che nella presentazione scrive che i collaboratori del Gruppo Umanesimo della Pietra hanno ritenuto «che per noi meridionali rivendicare l'orgoglio d'essere italiani e, quindi, la nostra identità culturale poteva risiedere nel proporre e nello stimolare una riflessione collettiva su quella che è un'autentica risorsa della nostra terra: il brigantaggio, fenomeno sociale variamente interpretato dall'imperante revisionismo storico».
Rivivono le vicende di uomini e donne meridionali, uccisi, torturati, imprigionati da una politica “nazionale” che continuava a relegarli ai margini di una società, solo a parole liberale e più giusta. Scrive ancora Blasi: «Quel loro andare solitario lungo i tratturi o per i sentieri dei boschi racconta le pene e le umiliazioni subite dalle misere genti del Sud, poveri braccianti e sfruttati in genere, la cui riabilitazione storica e morale è nel passato che è dentro di noi e che, anche se non l'abbiamo vissuto direttamente, vive nella storia delle nostre città e delle nostre campagne, incisa sulle pietre che conosciamo».
Non sempre e non tutti gli articoli danno però una valutazione benevola dell'operato dei nostri padri briganti. Spesso gli autori si lasciano prendere la mano dal modo in cui vengono presentati i fatti nei documenti che hanno per le mani e spesso acriticamente ripetono valutazioni che appartengono agli estensori dei verbali e non ai briganti interrogati, che di volta in volta vengono definiti truci e osceni, minuta e abietta accozzaglia di terroni, masnadieri, folli, malavitosi, malfattori, criminali, sozzi, manigoldi, malviventi, figuri, delinquenti, e le brigantesse vengono appellate drude. Spesso agli autori sfugge (o dimenticano) quello che uno di loro sottolinea e cioè che, nella verbalizzazione, le dichiarazioni dei briganti, quasi sempre analfabeti che sottoscrivevano con una croce, vengono manipolate ad usum delphini.
E' comunque altamente significativa questa operazione del Gruppo Umanesimo della Pietra e si inserisce a pieno titolo nel processo in atto di rivalutazione del brigantaggio meridionale, che Mario Guagnano, prefatore del numero speciale della rivista e autore di otto degli articoli raccolti, definisce «complessa realtà sociale, finora malcelata nei bui sotterranei della Storia, dai quali oggi emerge prepotente come espressione dell'identità culturale delle genti meridionali», aggiungendo che l'impiego contro i briganti di centoventimila uomini dell'esercito del neonato Stato italiano fu il riconoscimento implicito dell'importanza politica e militare dell'insorgenza postunitaria, in netto contrasto con la propaganda ufficiale, che all'opinione pubblica interna ed estera dipingeva il fenomeno come episodico e delinquenziale.
I fatti di brigantaggio, raccolti e narrati nella miscellanea, riguardano principalmente episodi avvenuti nell'alto Salento e specificatamente a Noci, a Martina Franca, a Gioia del Colle, nelle Murge, nella Terra delle Gravine. Protagonista principale di quasi tutti i saggi raccolti è il brigante ex sergente borbonico Pasquale Domenico Romano. Ma fanno la loro comparsa anche i briganti preunitari Gaetano Meomartino detto Vardarelli e il prete Ciro Annicchiarico; fra i postunitari Carmine Crocco Donatelli, Cosimo Mazzeo Pizzichicchio, Antonio Locaso il Capraro, Vito Rocco Chirichigno Coppolone; fra le brigantesse Arcangela Cotugno.
Tanti sono i fatti che si potrebbero citare, ne ricordo solo alcuni. Francesco Semeraro in un suo articolo, pubblicato sul primo numero della rivista “Riflessioni” nel 1978, riporta un episodio (ricordato da molti, anche oggi, con i toni favolosi della storia dei briganti) avvenuto il 23 settembre 1922 in una masseria di Martina Franca; fu assaltata e saccheggiata la masseria San Paolo di don Ciccillo Basile; i briganti erano una quindicina, tra essi vi era anche una donna travestita da monaca; i briganti vollero che fosse imbandita la tavola e si fecero servire da donna Nina Lenti, moglie del proprietario; prima dell'alba lasciarono la masseria con il bottino di argenteria, gioielli e danaro. Il regime fascista scoprì e represse con durezza i responsabili dell'episodio. Il guardiano della masseria, di trentuno anni, accusato di aver segnalato la via libera ai briganti con la luce di una candela e di aver avvelenato il cane di guardia, morì in carcere, per le bastonate ricevute, ancor prima del processo. Questo episodio documenta che il brigantaggio non finì nel 1870. E' una interessante traccia da approfondire.
Vittorio De Michele presenta e pubblica per la prima volta gli Appunti sul brigantaggio del prete martinese Giuseppe Grassi, morto nel 1953. In sostanza il Grassi concorda con l'azione repressiva contro il brigantaggio messa in atto dal governo sabaudo, ma alla fine dei suoi appunti non può non ammettere quanto fu raccapricciante il metodo dei piemontesi nel fare giustizia dei briganti. Quando venivano uccisi nella guerriglia in mezzo ai boschi, i loro cadaveri venivano legati nudi sul dorso di un asino e portati in paese al ludibrio del popolo, per poi essere buttati in una fossa comune che faceva anche da mondezzaio. Se invece i briganti venivano catturati vivi, dopo un sommario processo che durava pochissimi minuti venivano fucilati in piazza e i cadaveri legati per tre giorni alle colonne della chiesa, per poi essere precipitati nella fossa comune. Era la sventurata sorte dei “murt'accìse”.
Nicola Bauer, un altro autore, osserva amaramente: «Tristi sono i tempi. La voce del diritto e della giustizia tace. I briganti, fatti prigionieri, sono subito fucilati, senza nemmeno un sommario processo».
Questo sonno della ragione degli invasori piemontesi faceva particolari vittime fra le loro stesse file. Un elevato numero di suicidi si registrava nei reparti impegnati nella repressione del brigantaggio, stimato in cinquanta-sessanta all'anno; non tutti riuscivano a reggere i massacri che erano costretti a fare.
Mario Guagnano (che riporta la precedente notizia dei suicidi) documenta una sonora sconfitta subita dall'esercito piemontese a Montecamplo, nei pressi di Castellaneta (Taranto). Il 29 gennaio 1864 i briganti, forti di centosessanta uomini a cavallo, ingaggiarono un combattimento con un battaglione di fanteria, che lasciò sul campo una cinquantina di soldati morti.
Gli altri autori degli articoli della miscellanea sono Pasquale Gentile, Angelo Martellotta, Domenico Greco, Angelo Pais.
L'impressione generale che si riceve, leggendo gli articoli della miscellanea, è che gli autori si muovano altalenando, senza scegliere un campo, tra le tesi dei liberali che vollero e portarono alla cosiddetta unità d'Italia e la difesa tentata dai briganti della loro terra e delle loro vite. La nostra scelta di campo è invece unica e chiara: siamo, senza se e senza ma, dalla parte dei briganti.
Rocco Biondi

Gruppo Umanesimo della Pietra, Insorgenti e Briganti tra le Murge e il Salento, Artebaria Edizioni, Martina Franca 2011, pp. 184

31 agosto 2011

Memorie di quand'ero italiano, di Nicola Zitara


Per chi, come me, non ha frequentato né conosciuto personalmente Nicola Zitara non è facile capire cosa in questo romanzo è vero, cosa verosimile, cosa inventato. Ma poco importa, quello che prepotentemente viene fuori è il profondo pensiero di Zitara sulla triste sorte toccata ai meridionali con la venuta dei piemontesi 150 anni fa. Siamo stati colonizzati, siamo stati annientati per fare spazio ai conquistatori padani. Il Sud non ha ricavato che danni dall'Unità. E' questo forse il libro più bello di Zitara, scritto quando aveva 67 anni.
L'io narrante del romanzo è Giacomo Mercugliano (alter ego di Zitara), ultimo discendente di una ricca famiglia di mercanti amalfitani, da parte di padre, e di benestanti agricoltori siciliani, da parte di madre; immigrati sulle terre delle Marine Joniche in Calabria ai tempi dell'età borbonica. Produssero e commerciarono con profitto olio ed agrumi (con i derivati succhi di limone e d'arancia), fino all'arrivo dei Savoia che bloccarono tutto. Il romanzo è come una saga di queste due famiglie, dalla fortuna economica dei padri fino alla sconfitta dell'ultimo Mercugliano, costretto a “mangiare il pane del governo” adattandosi a diventare dipendente statale. Ma sempre con grande dignità e senza scendere a compromessi. «Conosco poche persone che possono dire di essere state libere come me», è l'incipit del romanzo. E più avanti: «E' stato comunque bello non avere padroni politici, editori-padroni e tutele accademiche».
Il racconto - scrive Zitara - è un viaggio nella memoria alla scoperta della mia vera patria. E' un percorso intimo e sofferto dalla acquisita fanciullesca brodaglia risorgimentale, alla giovanile quasi inconsapevole coscienza fascista, fino alla matura consapevolezza della necessità della creazione di uno Stato dell'Italia meridionale, come «organizzazione politica che avrà la funzione di portare i megaelleni a non essere i caudatari del resto d'Italia, dell'Europa industriale e degli interessi petroliferi americani». Fino alla quasi provocatoria affermazione che il recupero delle radici deve essere totale, a cominciare dal suo simbolo politico e dalla sua forma concreta: Il Regno di Napoli, i Borbone. «Soltanto dopo che tale passaggio morale sarà avvenuto, potremo criticare l'evoluzione negativa dei Borbone e il loro cattivo governo», fa dire Zitara a Mercugliano. Percorso da quand'era incosciente italiano a quando è diventato consapevole meridionale. Al tempo della sua giovinezza l'Unità d'Italia rappresentava un bene prezioso. Ora ritiene che per risolvere i problemi del Meridione l'unico rimedio applicabile è la fondazione di uno Stato indipendente comprendente il vecchio Regno napoletano, la Sicilia e la Sardegna.
Mercugliano-Zitara non era un contadino, ma nel tempo aveva imparato ad amare i contadini. Anch'egli da ragazzo aveva creduto che il contadino fosse frutto della miseria e della chiusura culturale, testardamente ancorato al passato, che poneva la sua sola speranza nel possesso della terra, sordo a qualsiasi cambiamento. Ed invece poi, riflettendo sull'equivoco antropologico della mafiosità, capì che quel modo di concepire il mondo contadino proveniva da una manipolazione politica di fondo. I padroni proprietari terrieri, quando fu fatta l'unità d'Italia, offrirono un alibi letterario e politico al modello cavourriano, vero colpevole del disfacimento del mondo contadino. Scrive Zitara: «La passione con cui i contadini meridionali hanno amato, amano e prediligono l'America - l'aver disamorato l'uomo meridionale dalla sua terra - è il risultato più palpabile e italianamente ilotico della vicenda unitaria. Le castronerie che sono stampate nei libri di storia, quelle del tipo “il Nord era industriale e il Sud era agricolo”, hanno portato a un Sud né industriale né agricolo, ma soltanto migratorio e mafioso; in ogni caso putrefatto e disperato». Fu fatto passare il mito dell'arretratezza del Sud per distruggerne il suo capitale storico, portando via macchine e impianti. Ed ora, grida Zitara: «Merda. E che altro può fare il vinto se non urlare la sua rabbia in viso al vincitore?». Rinneghiamo Cavour, Sella, Crispi, Mussolini, Moro, Agnelli, Cuccia, la Banca Commerciale Italiana, la Barilla, le Cooperative rosse dell'edilizia che oggi sono capitalismo colonialista, la Scala di Milano. L'urbanizzazione dei contadini meridionali al Nord - scrive Zitara - è costata quattro volte quel che sarebbe costata l'industrializzazione dell'area meridionale.
E Zitara ritiene che vi furono tante illustri cantonate da parte di uomini di cultura, più o meno politicizzati, che contribuirono al permanere di questo equivoco sul mondo contadino. La simpatia di Gramsci per il mondo contadino fu puramente cerebrale, teorica, o forse strumentale; quella di Salvemini fu il frutto di un antropologismo politico fin troppo sintetizzato: o la borghesia corrotta o i sani contadini. Soltanto il liberale Nitti aveva capito che l'analisi sociale va contestualizzata col processo di sviluppo dei mezzi di produzione; ma egli non ebbe seguito né a destra né a sinistra. Morale e conclusione della favola fu che, mentre i contadini e gli artigiani emigravano per diventare operai a Milano, chi rimaneva al Sud finiva “con il muso nel fango” e con il movimento meridionale egemonizzato da schiere di piccoli borghesi e vecchi baroni che incassavano i voti dei contadini rimasti, per fare il deputato. In cambio della complicità - scrive ancora Zitara - il sistema padano permette alla classe infame degli intellettuali di galleggiare sul nostro mondo destrutturato. Chi nei giornali, chi in un'aula universitaria, chi in una professione, chi facendo il giornalista.
Mercugliano-Zitara è sempre stato affascinato dalla politica. Socialista di sinistra, con simpatia comunista, formatosi con la cultura umanistica a scuola, con l'insegnamento evangelico in chiesa, e sui testi marxisti in privato, guardava con grande partecipazione al sociale; riteneva immorale che venisse pagato ai lavoratori un salario insufficiente a coprire il minimo della sussistenza. «Tutta la prima parte della mia esistenza è stata un tragitto attraverso la miseria, mentre io ero in groppa a una immeritata condizione di benessere; tutta la seconda parte è stato il tragitto di un intellettuale che si chiede perché questo mio popolo non si batte». Zitara odia in modo razionale e rivoluzionario chi si approfitta dei lavoratori, e lotta per la fine del profitto, sia come meccanismo istintivo primordiale dell'agire economico, sia come morale corrente ed etica sociale. Per lui il partito socialista è stata una cosa importante, ma a un certo punto ha preferito tenersi l'idea e lasciare il partito.
Nella storiografia italiana - scrive Zitara - il tema della borghesia meridionale è quello che ha lasciato più spazio ai falsi e ai falsari. Si asserisce che al momento dell'Unità il Regno di Napoli non aveva una borghesia imprenditrice, per riversare l'intero peso della cosiddetta questione meridionale, non sulla colonizzazione padana, come in effetti è stato, ma sull'arretratezza del Sud, ed eventualmente sui Borbone. Il fatto che il Sud debba risparmiare soltanto per tenere vivace il tono dei consumi, e mai per investire in produzione, costituisce la base coloniale della Stato nazionale.
Mercugliano-Zitara mette in bocca ad un intellettuale russo cose alle quali lui crede e si auspica: «E' immaginabile che, mancando una seria guida politica, fra non molto al Sud si risentirà parlare di ribellioni, dell'incendio dei municipi e magari di brigantaggio politico. Non potendo organizzare un nuovo partito, tutto meridionale, credo opportuno passare dalle ribellioni inconcludenti a forme pianificate di ribellione, che riescano a preparare l'insurrezione generale e la presa del potere».
E in un comizio, alla presenza di suo padre, Giacomo Mercugliano indicando i cittadini e compagni presenti, appartenenti al “popolo meridionale”, contadini e proletari, afferma: «Non ripeterò l'errore dei rivoluzionari del Novantanove, né quello dei liberali del 1860. Starò con loro, papà. Anche a costo di infiocchettarmi con i gigli dei Borbone e d'andare sottobraccio con Carmine Crocco, starò con loro. Questo è il mio popolo».
Nicola Zitara è nato il 16 luglio 1927 a Siderno, dove è morto il 1° ottobre 2010.
Rocco Biondi

Nicola Zitara, Memorie di quand'ero italiano, romanzo storico, edito dall'autore, Siderno 1994, pp. 480

23 agosto 2011

Macroregione del Sud


Un ministro in carica ha rilanciato la proposta per la costituzione in Italia di massimo 6-8 macroregioni, su piattaforma federale, sopprimendo le attuali venti regioni e le province tutte, tagliando tanti microcomuni. Questo - dice il ministro - contribuirebbe ad abbattere i costi della politica, svecchierebbe l'attuale sistema istituzionale e amministrativo, rilancerebbe il Paese. Una grande “Regione delle due Sicilie” - dice ancora il ministro - sarebbe quella regione sud-europea capace di essere la cerniera tra la vecchia Europa e i mondi e i mercati nuovi emergenti. Buona l'idea, ma tantissime sono le resistenze di vecchie clientele e vecchi apparati.
Anch'io, insieme a tanti altri, vado sostenendo da tempo la bontà dell'idea della costituzione di una grande macroregione del Sud. Questo ovviamente contrasta totalmente con chi, anche in Puglia, vorrebbe continuare a dividere, fantasticando della creazione della Regione Salento, mettendo insieme le province di Brindisi, Lecce, Taranto, separandosi da Bari e Foggia, oppure della Regione Moldaunia, accorpando la provincia di Foggia e il Molise. Vogliono continuare a contare sempre meno. Il Nord ignora e sfrutta le Regioni del Sud. Separati noi meridionali abbiamo poca o nessuna forza. Frazionarci ancora peggiora la situazione.
Circa un anno fa scrivevo in una nota che per il Meridione d'Italia sarebbe utile, forse necessario, accorparsi. Questa idea vale ancora più oggi. Allora dicevo che di questa macroregione dovrebbero farne parte Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia. Oggi aggiungo anche gran parte dell'odierno Lazio meridionale ed il Cicolano (l'area orientale dell'attuale provincia di Rieti). In pratica tutto il territorio del vecchio Regno delle Due Sicilie, invaso e annientato dai Piemontesi nel 1860.
Valgono ancora oggi le osservazioni che facevo un anno fa.
Riaccorpare l'intero territorio del Regno non è sogno nostalgico del bel tempo che fu. Ma è risposta all'abbandono, operato della nordica Italia unita, di tutto il Sud. Una regione di circa 20milioni di abitanti (il 35% di tutta l'Italia) farebbe sentire il suo peso.
Do per scontato che tante possono essere le resistenze alla nascita di questa unica macroregione. Scomparendo le attuali esistenti regioni, si perderebbero poteri, clientele, assessorati, consiglieri, apparati. La Sicilia perderebbe la sua "specialità".
Ma tantissimi sarebbero i vantaggi di una gestione unitaria di tutto il Sud. A cominciare da una risposta più forte al contropotere criminale. Ma aumenterebbe anche la forza per poter chiede ai discendenti degli invasori piemontesi il saldo del conto per l'invasione subita, con conseguenti furti e danni, perpetuantisi anche nei successivi centocinquant'anni.
Una simile macroregione del Sud potrebbe ancora avere interesse a rimanere nell'Italia unita, perché cambierebbero i rapporti di forza. Non saremmo più il fanalino di coda dell'economia italiana, ma potremmo diventarne i propulsori.
Ma mal che vada non sarebbe un danno per il meridione diventare autonomo. Saremmo - scrive Pino Aprile nel suo “Terroni” mutuando un concetto di Nicola Zitara - l'ultimo paese dell'Europa unita. Ma, da soli, avremmo la possibilità di trasformare i nostri ritardi in occasioni di sviluppo. Non dovendo più “far media” con il reddito del Nord, diverremmo immediatamente il paese europeo ad avere maggiore diritto agli incentivi economici per lo sviluppo; con un impagabile vantaggio aggiuntivo: che i soldi dell'Europa per il Sud, resterebbero al Sud.

30 luglio 2011

Briganti e pellirosse, di Gaetano Marabello

Nel libro viene tentato, per la prima volta in modo organico, un raffronto tra i pellirosse americani e i briganti dell'Italia meridionale. La storia di questi due popoli si svolgeva, con modalità molto simili, a tantissime miglia di distanza una dall'altra, senza alcun contatto fra loro. «In entrambi i casi, - scrive Marabello - quel che maggiormente impressiona è il tentativo quasi scientifico d'annichilire l'atavico modus vivendi delle popolazioni locali, praticato dai nuovi arrivati. Operazione che, lungi dall'essere attuata attraverso l'integrazione e il rispetto, sfociò invece in sistematiche azioni di genocidio fisico e culturale».
I territori dei due popoli furono occupati manu militari, camuffando l'intervento con buoni propositi e alti ideali. In realtà il vero obiettivo era e fu quello di impossessarsi delle ricchezze presenti in quei territori. In entrambi i casi si operò per conto di sovrani stranieri, senza dichiarazione di guerra.
Il settantennio che decorre dal 1799 al 1870 ha visto svolgersi a danno dei due popoli avvenimenti similari funzionali al loro annientamento. Gli invasori, in nome di uno pseudo progresso, distrussero tutto e tutti quelli che si rifiutavano di omologarsi al loro mondo.
Marabello è consapevole che il suo è un primo approccio alla complessa tematica e si propone ulteriori studi e approfondimenti. Ma l'indagine già fatta offre tantissimi spunti di riflessione e conoscenza.
Il libro si pone come un ricco dizionario di fatti e personaggi appartenenti ai due mondi, dei briganti e dei pellirosse, parallelamente confrontati. A cominciare dai segnali di sventura che profetizzarono la fine del Regno di Napoli e degli indiani. Per il primo i moti del '21, del '48, le spedizioni dei fratelli Bandiera e di Pisacane, la nota riservata della Polizia secondo la quale il famigerato Garibaldi stava cercando di mettere insieme “sei mila e più briganti per tentare un colpo di mano nel Regno delle due Sicilie”; per i secondi la comparsa di un'ape gregaria portata dall'uomo bianco. In entrambi i casi obiettivo comune era la conquista dei territori per sottrarli al vitale bisogno dei contadini meridionali e al pacifico storico possesso degli indiani.
Contro i contadini si schierarono i “galantuomini” italiani e contro gli indiani i “galantuomini” statunitensi. Fra i galantuomini italiani Marabello elenca: Camillo Benso conte di Cavour, Girolamo (Nino) Bixio, Enrico Cialdini, Enrico Morozzo della Rocca, Manfredi Fanti, Luigi Carlo Farini, Pietro Fumel, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Govone, Alfonso Ferrero della Marmora, Gaetano Negri, Emilio Pallavicini conte di Priola, Ferdinando Pinelli, Alessandro Bianco di Saint-Joroz, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa, Pasquale Villari. Di ognuno vengono tratteggiate significative note di demerito per i loro comportamenti e loro affermazioni contro il Sud.
Fra i galantuomini statunitensi che si sono distinti contro gli indiani vengono annoverati: George Washington, Andrew Jackson, Martin Van Buren, Abram Lincoln, John R. Baylor, James Henry Carleton, Kit Carson, George Crook, George Armstrong Custer, Thomas Sidney Jesup, Nelson Appleton Miles, Philip Henry Sheridan, William Tecumseh Sherman.
Questi galantuomini purtroppo hanno vinto. La storia ufficiale, scritta dagli agiografi dei vincitori, li esalta e li annovera fra i padri delle patrie. Ma vi è un'altra storia, quella dei vinti, che pian piano viene fuori e li valuta per quello che realmente sono stati: spesso criminali, massacratori e tagliatori di teste.
Fra i vinti meridionali e indiani, Marabello annovera sei protagonisti dalle vite parallele. La prima coppia è formata da José Borges e Chef Joseph. Ambedue accomunati da una disperata marcia effettuata. Il primo, generale spagnolo legittimista, percorre tutto il Sud d'Italia nel tentativo, poi fallito, di mettere insieme tutti i combattenti contro i Savoia per riportare i Borbone sul trono di Napoli; dopo vari successi militari, abbandonato anche da Crocco, fu tradito, catturato e fucilato presso i confini con lo Stato Pontificio. Il secondo, capo della tribù dei Nasi Forati, dopo che il suo popolo era stato condannato ad essere rinchiuso in una “riserva”, trascinandosi dietro donne vecchi e bambini, disponendo solo di 200 guerrieri, percorre oltre 3000 chilometri nel tentativo di rifugiarsi in Canada; dopo aver battuto grandi generali statunitensi, ad un soffio dall'agognata salvezza, bloccato da un'abbondante nevicata, costretto ad arrendersi, fu mandato a morire in una lontana riserva.
Singolari coincidenze accomunano anche Carmine Crocco e Geronimo. Entrambi da giovani hanno subito torti in famiglia. Entrambi, prima della loro capitolazione, per anni impegnano con le armi soverchianti forze nemiche, vincendo moltissime battaglie. Entrambi passano decenni in carcere, dove muoiono. Entrambi, all'inizio del XX secolo, dettano in carcere le loro memorie.
Vite parallele vivono anche il brigante sergente Pasquale Romano e Victorio, capo degli apache Wram Springs. Entrambi furono indotti alla latitanza da una serie di torti subiti. Entrambi condussero azioni di guerriglia, cercando di limitarne gli eccessi. Entrambi morirono combattendo a viso aperto contro un nemico soverchiante.
Tantissimi altri e su varie tematiche sono i raffronti fatti da Marabello fra pellirosse e briganti. Ne citiamo alcuni. Molte donne, nei due campi, divennero guerrigliere e seppero usare le armi con la stessa maestria degli uomini. Molte di esse rimasero uccise in combattimento. Fra le brigantesse, tra le altre, vengono ricordate Michelina De Cesare, Maria Oliviero, Serafina Cimminelli, Maria Rosa Marinelli. Fra le guerriere pellirosse viene ricordata su tutte Lozen, che riuscì a conquistarsi un ruolo importante; era sorella minore di Victorio.
Tra i mezzi di conquista e propaganda, usati dagli invasori piemontesi e statunitensi, va ricordata l'allora nascente fotografia. Venne utilizzata su larga scala durante la stagione del Brigantaggio, divenendo un vero e proprio genere. Spesso vennero organizzate delle vere messe in scena dopo la cattura dei briganti o peggio dopo la loro uccisione. Fra i pellirosse, la notorietà conquistata in tanti anni di guerriglia fece di Geronimo uno dei soggetti più ricercati dai fotografi.
Altra tragica comunanza fra briganti e pellirosse sono i tantissimi eccidi di popolazioni inermi eseguiti dai conquistatori. Nel Sud d'Italia ricordiamo la distruzione dei paesi di Casalduni e Pontelandolfo, incendiati insieme agli abitanti, effettuata il 14 agosto 1861. In America il 29 settembre 1864 viene distrutto il pacifico campo Cheyenne di Sand Creek, massacrando barbaramente vecchi donne e bambini. Quegli indiani venivano considerati come “pidocchi da schiacciare”.
Rocco Biondi

Gaetano Marabello, Briganti e pellirosse, introduzione di Valentino Romano, Capone Editore, Cavallino di Lecce 2011, pp. 144, € 12,00

24 luglio 2011

Memento Domine, di Dora Liguori


Memento Domine - Ricordati, o Signore”, è l'ultima preghiera della baronessa Argenzia prima di morire per chiedere la salvezza della sua anima, ma è anche l'invocazione del notaio Gaudieri, marito della baronessa, affinché finalmente venga fatta giustizia di quello che di feroce è stato fatto ai meridionali nel nome dell'unità d'Italia. Accesa borbonica lei, liberale pro-Savoia lui. Ma con il passare degli anni pian piano tramontano le illusioni del notaio. Con la seguente riflessione accolse la notizia della morte di Garibaldi: «Più vado avanti e più penso che era meglio se restava a casa sua, senza venirci a liberare. Quello che c'è stato fatto non te lo potevi aspettare manco dalle bestie feroci; ci hanno sbranato e nessuno ancora viene a rendercene conto».
Il romanzo storico di Dora Liguori ha come teatro degli avvenimenti i luoghi tra la Certosa di Padula e Potenza.
Il libro è introdotto da un'ampia sintesi del quadro storico di riferimento. Nel gennaio 1859 Vittorio Emanuele II di Savoia, re del Piemonte, in una seduta del parlamento torinese affermava di aver udito “un grido di dolore” proveniente dal meridione, che chiedeva la liberazione. Pura retorica, per giustificare il progetto di annessione per appropriarsi dei beni del ricco meridione; progetto spalleggiato dall'Inghilterra che mirava ad avere un affaccio privilegiato sul Mediterraneo. La massoneria inglese aiutò e finanziò il progetto. Cavour, Mazzini e Garibaldi si impegnarono per unire chi non aveva mai chiesto di essere unito. Le imprese di Garibaldi furono facilitate dall'acquistato tradimento dei generali borbonici, dalla collaborazione della mafia siciliana, dai contadini ai quali era stata promessa la terra. Salvo poi a sparare addosso a questi ultimi che la terra la rivendicavano veramente.
Il re Borbone Francesco II è costretto ad andare in esilio. Nascono i Comitati che si prefiggono di riportarlo sul trono di Napoli. Soldati del disciolto esercito borbonico e briganti (insorgenti, resistenti) danno vita alla guerriglia armata contro l'esercito piemontese invasore. Ai capibriganti indigeni si tenta di affiancare esperti generali stranieri venuti in soccorso dei Borbone. A Carmine Crocco Donatelli, capobrigante genialissimo per furbizia, strategia e capacità organizzative, viene affiancato il generale spagnolo José Borges. Insieme ottengono vari successi militari contro i piemontesi. Ma per l'inspiegabile rinuncia di Crocco non tenteranno la programmata conquista della città di Potenza. Borges viene preso e fucilato a Tagliacozzo. Quella dei briganti non è una lotta di delinquenti ma una vera guerra di popolo che reclamava il diritto alla propria indipendenza. Ma persero. Ne furono uccisi un numero spaventoso; si calcola che l'ottanta per cento degli uomini validi del Sud furono eliminati: un vero e proprio genocidio.
Il libro della Liguori non vuole essere un saggio storico, ma solo la rappresentazione di una storia di tradizione orale consumatasi nell'arco di circa tre mesi, nell'autunno del 1861.
Il giovane capitano spagnolo Aldrigo Seguerto, ingegnere, viene mandato dalla regina Isabella di Spagna nell'ex Regno delle Due Sicilie assumendo nome e vesti di un prete gesuita francese, studioso di fenomeni vulcanici. In realtà è una specie di agente segreto che dovrà dare copertura politica alla spedizione capeggiata dal generale Borges. Viene messo in contatto con la baronessa Argenzia Normanno, che pur soffrendo di qualche squilibrio mentale, ma possedendo numerose masserie è in grado di mandare in giro suoi uomini fidati per raccogliere notizie sugli spostamenti dei briganti. Seguerto, aiutato dalla baronessa, prende contatto con i comitati borbonici di Melfi e Potenza e riesce a fare incontrare Crocco e Borges.
Fra la baronessa Argenzia e il capitano Seguerto scoppia una smodata passione dei sensi. Ne nascerà un figlio che verrà adottato dal notaio Gaudieri.
Nella storia entra anche l'ambigua figura di Liborio Romano, che era stato ministro dei Borbone, ma poi era passato con i Savoia. Ma a modo suo conserva sempre la fede meridionalista. Alla fine del romanzo, col generale La Marmora che è andato a fargli visita, così si sfoga: «Questa nostra terra, voi piemontesi, invece di democraticamente liberarla, la state affliggendo di troppe piaghe. Vi avevamo accolti da liberatori e siete divenuti invasori, instaurando per giunta un'autentica dittatura. Al governo è sembrato più utile privilegiare la linea dei cosiddetti “galantuomini annessionisti” da quella più saggia dei “democratici autonomisti”. L'unità si poteva e si doveva fare garantendo ad ognuno le proprie autonomie. Prima stavamo male, ma almeno tenevamo qualcosa, adesso che, secondo a Vittorio, stiamo meglio... non teniamo niente. Vi meravigliate allora dei briganti e provate scandalo per l'appoggio che a loro sta dando il popolo? Il popolo si vuole vendicare delle ingiustizie; ha scoperto che erano meglio i Borbone, almeno quelli non hanno mai massacrato nessuno».
Rocco Biondi

Dora Liguori, Memento Domine (Ricordati, o Signore), Le verità negate sulla tragedia del Sud fra Borbone, Savoia e Briganti, romanzo, Sibylla Editrice, Roma 2007, pp. 306, € 15,00


21 luglio 2011

Il Brigantaggio nel Salento, di Carlo Coppola


Libro pubblicato nel 2004, molto snello come numero di pagine ma corposo nei contenuti. Oltre a presentare gli avvenimenti accaduti nell'Italia Meridionale nel periodo 1860-1865, viene portata alla luce la violenza esercitata sulla coscienza del popolo meridionale dalla storiografia ufficiale. Nella scuola italiana, dalle università alle elementari, i fatti sono stati distorti nell'interesse della cultura delle classi dominanti. Il popolo meridionale è stato privato della vera memoria storica, nascondendo e distruggendo quanto ritenuto inopportuno, con la conseguenza che esso «ancora oggi paga lo scotto economico e politico di un'unità nazionale che esiste solo sulla carta, imposta con l'inganno e la violenza e mantenuta con l'astuzia», scrive nella sua premessa Carlo Coppola. I “pennivendoli” Croce, Gentile, De Amicis, Carducci, Verga, D'Annunzio, Fucini e un'intera schiera di loro epigoni hanno imposto una storia del Meridione che non è quella vera.
Il Brigantaggio, dice Coppola, anche con i suoi errori e le sue storture, fu l'ultimo tentativo del popolo meridionale di rimanere libero. Ricordare, anzi, imparare a conoscere il brigantaggio per quello che fu veramente, potrebbe essere un primo passo verso una coscienza di se stessi che è preludio all'emancipazione politica, sociale ed economica.
Il Brigantaggio, che fu resistenza contro gli invasori piemontesi, ha interessato tutto il Meridione d'Italia e quindi anche il Salento. Briganti salentini furono Pasquale Romano di Gioia del Colle ricordato come il “Sergente Romano”, Cosimo Mazzeo di San Marzano soprannominato “Pizzichicchio”, Rosario Parata “Lo Sturno” di Parabita, Quintino Venneri “Melchiorre” di Alliste.
Non è vero che il Regno delle Due Sicilie, prima del 1861, fosse una terra arretrata, dedita solamente all'agricoltura estensiva, priva di qualsiasi forma di industria e sottoposta ad un regime politico repressivo e retrogrado.
In campo economico i Borbone avevano stimolato la nascita di industrie per emancipare il regno dalle importazioni estere, riuscendo ad attirare capitali ed investitori stranieri e dando lavoro a parecchie persone. Gli stabilimenti siderurgici di Mongiana e di Ferdinandea, in Calabria, contavano circa 4000 operai. Negli stabilimenti metalmeccanici di Pietrarsa, vicino Napoli, erano impiegati più di 4000 operai. I motori economici dello Stato erano la Campania industriale, la Puglia agricola e commerciale, la Calabria con i suoi giacimenti di ferro e le industrie metallurgiche.
Dall'Annuario Statistico Italiano dell'anno 1862 risulta che la moneta circolante nel Regno di Napoli nel 1860, calcolata in lire-oro, era superiore a quella di tutti gli altri Stati messi insieme: 443.200.000 a Napoli, 226.000.000 nei restanti Stati. La bilancia commerciale era positiva nel Regno di Napoli (+ 41 milioni circa), nel Lombardo-Veneto (+ 42 milioni circa), Umbria e Marche (+ 11 milioni circa), era invece altamente negativa nel Pimonte (- 85 milioni circa).
Il Regno duosiciliano era dotato di un fisco agile e leggero – appena 5 tipi di tasse e imposte, contro le 37 imposte dai piemontesi già nei primi anni dell'unità – permettendo un tenore di vita medio non alto ma dignitoso.
Il Salento, che costituiva la Provincia di Terra d'Otranto, si estendeva dal Capo di Leuca fino al Golfo di Taranto con parte dell'odierna Basilicata, comprendeva un territorio di circa 6.500 chilometri quadrati suddivisi in 130 comuni e 70 borgate con una popolazione di circa mezzo milione di abitanti.
Nel Salento diffusissime erano le banche, esistevano ben 145 istituti di credito tra banche agricole, monti di pegno e monti frumentari. Con l'arrivo dei piemontesi fu tutto smantellato e rapinato.
Come in tutto il Regno, anche nel Salento, pur se con minore intensità essendo la proprietà fondiaria molto più frammentata rispetto al resto del meridione, esisteva l'eterno dissidio tra i feudatari proprietari terrieri e i contadini che lavoravano le terre. La dinastia Borbone, in questa lotta, era schierata con il popolo contro i cosiddetti “galantuomini”. Attraverso una mirata legislazione venivano difesi i diritti di chi nei fatti possedeva e lavorava la terra. L'avventura garibaldina e la conseguente unità d'Italia rompe questo delicato equilibrio. Il popolo meridionale, privato dell'alleato Borbone, rimase alla mercé degli eterni nemici “galantuomini”. Tutte le promesse garibaldine sulle quotizzazione delle terre non vengono mantenute. I contadini vengono ridotti alla fame. Non resta che la rivolta.
Dopo il plebiscito-truffa le masse contadine in tutto il Meridione ed anche nel Salento si mettono in subbuglio. A cominciare dagli ultimi mesi del 1860 scoppiano tumulti contro i piemontesi, con sorti alterne, a Tuglie, a Sava, a Surbo, a Matino, a Parabita, a Sternatia, a Poggiardo, a Marittima, a Oria, a Taviano, ed in tantissimi altri centri. Il governo di Torino avrebbe potuto cercare la pacificazione, attraverso una vigorosa riforma agraria e un approccio moderato. Risponde invece con i fucili, spostando nel Meridione la maggior parte dell'esercito “italiano”, e con la leva obbligatoria.
E' l'innesco del grande brigantaggio.
La maggior parte dei giovani meridionali arruolabili si da alla macchia e si unisce agli sbandati del disciolto esercito borbonico. Nascono tante bande, capitanate da uomini valorosi. Il problema del rifornimento di armi viene risolto assaltando le caserme della guardia nazionale.
Gli scontri a fuoco tra bande di briganti e truppe piemontesi sono tantissimi.
Il 4 agosto 1861 la banda guidata da Rosario Parata detto lo “Sturno”, sottoufficiale del disciolto esercito borbonico, nativo di Parabita, invade il Comune di Supersano, e nei giorni successivi quelli di Scorrano e Nociglie. Negli stessi giorni Donato Rizzo, detto “sergente”, assalta con i suoi la caserma della guardia nazionale di Carpignano.
Dopo i primi successi le bande si ingrossano sempre di più ed altre se ne formano. La banda di Quintino Venneri detto “Melchiorre”, nativo di Alliste, scorrazza nella valle di Taviano-Matino. La banda di Salvatore Coi opererà nella zona del Capo di Leuca. Cosimo Mazzeo di San Marzano, detto “Pizzichicchio”, acquisterà grandissima fama per essere riuscito per un lungo periodo a tenere in scacco e a battere ripetutamente le truppe regolari. La personalità più di spicco fra i briganti-ribelli fu Pasquale Romano, detto “Il Sergente Romano”, militare di carriera borbonico nativo di Gioia del Colle. Il Romano nel luglio 1862 riesce ad ottenere ad Alberobello una vittoria schiacciante contro i soldati regolari piemontesi.
Nell'agosto 1862 tutti i principali capibanda di Terra d'Otranto si riunirono nel bosco della Pianella, vicino a Taranto, per concordare una strategia comune. Pasquale Romano viene nominato capo supremo, riuscendo ad avere a disposizione circa 700 uomini a piedi e 300 a cavallo.
La rivolta diventa guerra civile, il Salento e l'intero Meridione sono in fiamme.
Il governo sabaudo cerca di nascondere e minimizzare l'entità della rivolta, tentando di far credere che i briganti sono dei delinquenti comuni. Ma non tutti abboccano. Un deputato in una seduta parlamentare a Torino afferma: «E' possibile, come il governo vuol far credere, che 1500 uomini comandati da due o tre vagabondi tengano testa ad un esercito regolare di 120.000 uomini?». Si risponde con la Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio e la Legge Pica, attraverso la quale si autorizzò l'esercito a stroncare ogni forma di ribellione attraverso delle misure repressive, scrive Carlo Coppola, che niente avevano da invidiare a quelle che saranno poi attuate dai due virtuosi del genocidio del XX° secolo: Hitler e Stalin. Inizia per il Salento e per il Meridione tutto una delle pagine più buie della propria storia.
La spietata repressione che si abbatté su tutto il Meridione ebbe ragione della ribellione. La Pica, scrive Coppola, non fu una legge, fu un'infamia.
Il Salento in appena 5 anni, scrive ancora Coppola, arretra economicamente di 50 anni. Unica soluzione rimase l'emigrazione. «I Salentini cercheranno fortuna prima nei paesi dell'America Latina, poi negli Stati Uniti e alla fine nei paesi più ricchi del Continente Europeo: Germania, Francia, Svizzera, Belgio, contribuendo ponderosamente, con le proprie rimesse, alla costruzione del sistema industriale del nord Italia e divenendo quella coloniale riserva di manodopera a basso costo a servizio dello sviluppo e del benessere dei nostri connazionali padani e di qualche “galantuomo” locale».
Forse ci conviene ridiventare briganti.
Rocco Biondi

Carlo Coppola, Il Brigantaggio in Terra d'Otranto, Ribellione popolare e repressione militare dal 1860 al 1865, Associazione Culturale Area, Circolo di Matino “Raffaele Gentile”, Matino (LE) 2004, pp. 88

28 giugno 2011

Rivista "Brigantaggio politico e sociale" - Editoriale

Brigantaggio politico e sociale
di Rocco Biondi

Sono passati 150 anni da quando i Savoia piemontesi invasero ed annessero il Regno delle Due Sicilie, che allora comprendeva le attuali regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia, oltre a gran parte dell'odierno Lazio meridionale (distretti di Sora e Gaeta) e al Cicolano (distretto di Cittaducale), l'area orientale dell'attuale provincia di Rieti.
Sono in atto le celebrazioni del centocinquantenario della cosiddetta unità d'Italia, in tono minore e con diverse contestazioni, anche se il presidente Giorgio Napolitano, con impegno degno di miglior causa, si sforza di ripetere le trite false storie risorgimentali.
Molteplici sono gli studi, sia di accademici che di irregolari, che documentatamente danno vita ad una controstoria del risorgimento. Nuova luce viene gettata su fatti ed avvenimenti che finora erano stati letti colpevolmente solo dalla parte e nell'interesse dei vincitori piemontesi invasori. Anzi talvolta, in cattiva fede, tali pseudo fatti erano stati inventati per mera propaganda adulatoria.
Si scopre che i cosiddetti padri della patria sono stati mossi da finalità poco nobili. Interessi economici inconfessati hanno dettato comportamenti che hanno calpestato i più elementari principi del vivere civile. Il Sud fu invaso senza alcuna dichiarazione di guerra. Le popolazioni meridionali sono state calpestate e spogliate della loro dignità umana. Fucilazioni spietate di chi resisteva, massacri di civili inermi, interi paesi incendiati e rasi al suolo, deportazioni di massa di oppositori, donne violentate. In questo modo fu fatta l'unità d'Italia.
Non vi è quindi nulla da celebrare. Noi meridionali continuiamo a ricordare e a commemorare. La presa di coscienza di quello che di tragico ed orrendo ci fu fatto continua ad allargarsi sempre più. Associazioni, movimenti, convegni, eventi si moltiplicano a macchia d'olio. Stampa e televisioni nazionali non riescono più a ignorare tutto quello che viene organizzato e detto quasi ovunque, dalle grandi città ai più piccoli Comuni.
I partiti politici tradizionali sono rimasti spiazzati. Cresce lo scontento contro di loro. Comincia a sentirsi il bisogno di nuove aggregazioni, che superino le tradizionali divisioni tra destra e sinistra e lascino il posto ad un nuovo sentire: la comune appartenenza al Sud. E' ancora un movimento indistinto e frastagliato, che ha bisogno di tempo per amalgamarsi e produrre una spinta quanto più unitaria possibile verso una nuova forma-partito, intesa nella più nobile accezione. Anche se alcuni, pur con le nuove idee, continuano ancora a militare nei partiti esistenti.
Non sappiamo, né prevediamo quale sarà lo sbocco di questo movimento. Vogliamo però che questo movimento vada avanti e cresca sempre più, nell'interesse nostro e dei nostri figli, per non vederci più costretti ad abbandonare la nostra terra per cercare altrove migliori, o quantomeno normali condizioni di vita; vogliamo che queste condizioni vengano create qui e subito. E questo compito non possiamo delegarlo a nessuno, dobbiamo esserne noi stessi gli artefici.
Ognuno deve fare la sua parte. L'obiettivo che noi ci proponiamo con questa nuova rivista è principalmente di carattere culturale. Per capire verso dove si deve andare per migliorare le proprie condizioni di vita, bisogna conoscere da dove si proviene. Sapere chi erano i nostri padri, scoprire per cosa hanno lottato, conoscere i risultati positivi che hanno conseguiti, riflettere sulle loro sconfitte, ma anche studiare le cause e le concomitanze che hanno portato a quelle sconfitte, è necessario e fondamentale sia per prendere coscienza dei valori positivi che devono guidarci, sia per conoscere gli ostacoli e da chi sono stati frapposti per chiederne il dovuto conto, ma anche per non ripetere gli errori da loro commessi.
Il brigantaggio politico e sociale è stato un fenomeno di massa, che nel decennio 1860/1870 ha coinvolto la stragrande maggioranza degli abitanti dei territori appartenuti all'ex Regno delle Due Sicilie. I briganti di quell'epoca, uomini e donne che per noi assumono solo ed esclusivamente una connotazione positiva, sono stati insorgenti e partigiani che hanno lottato in difesa della loro terra, delle loro famiglie, della loro dignità. Le preponderanti forze militari messe in campo contro di loro li condannarono alla sconfitta. Ma furono sconfitti perché i “piemontesi” usarono contro di loro metodi spietati ed inumani.
Le modalità di quella sconfitta spiegano l'attuale condizione poco felice del Sud. Noi dobbiamo partire da dove i nostri padri briganti furono costretti a lasciare.
Né lasciamoci ingannare dall'imbroglio del federalismo proposto dalla Lega Nord. Con quel federalismo fiscale chi sta bene (il nord) starà meglio, chi sta male (il sud) starà ancora peggio. Il federalismo poteva essere fatto nel 1860, non oggi.
Questa rivista si propone di raccogliere e diffondere contributi di studiosi, di qualsiasi estrazione e formazione, accomunati comunque dall'interesse positivo e dall'amore per il Sud. Saranno proposti principalmente studi storici sul brigantaggio politico e sociale, considerato come la radice ed il cuore dell'essere meridionali. Come pure verranno pubblicate proposte miranti alla crescita e valorizzazione del Mezzogiorno. Cercheremo di non privilegiare nessuna proposta, ma se lo faremo motiveremo e spiegheremo la nostra scelta.
La rivista, pur mirando al rispetto di criteri scientifici, avrà forma divulgativa; si rivolge infatti sia a chi è già addentro a questi studi e a queste idee, sia ai neofiti che vogliono cominciare ad avvicinarsi a questo mondo. Ma la rivista vuole essere anche uno strumento di propaganda per il meridionalismo.
L'interesse per i fatti di brigantaggio, e per il significato che il brigantaggio ha assunto nel tempo e che continua tutt'oggi ad avere, è molto grande. Testimonianza ne è il numero ed il livello altamente qualificato degli autori che hanno accettato di scrivere in questo primo numero. Ma anche dei tantissimi altri che siamo sicuri scriveranno nei prossimi numeri.



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11 giugno 2011

Il generale dei briganti. Risposta alle critiche

Le proteste alle preliminari informazioni sul film tv “Il generale dei briganti”, su Carmine Crocco, hanno sortito il desiderato effetto. Per ora di attenzione all'esistenza di tanti meridionali, i moderni briganti, non più disposti a subire passivamente falsità sugli avvenimenti accaduti nel Sud d'Italia negli anni immediatamente successivi alla cosiddetta unità d'Italia. In prospettiva speriamo che si cominci a tenere conto delle nostre ragioni di allora e di adesso.
Ovviamente anche io concordo sul fatto che non si possa criticare un film senza prima vederlo, e come potrebbe essere diversamente, ma la mia protesta, e dei tanti altri che l'hanno fatta propria, è nata come reazione al come il film veniva presentato, nella sua fase iniziale di lavorazione. Quello che veniva detto nel comunicato stampa di lancio dell'inizio delle riprese in Puglia, ripreso da tanti giornali, non poteva essere assolutamente accettato. E' vero che avrei potuto privatamente mettermi in contatto con la Ellemme Group e con l'Apulia Film Commission per chiedere chiarimenti. Ma l'esperienza personale mi insegna che avrei avuto scarsissimo o nessun ascolto.
Le proteste in internet invece hanno ottenuto che un responsabile della casa produttrice, Giorgio Ferrero, si mettesse telefonicamente in contatto con me per dire che il contenuto di quel comunicato stampa non era partito da loro e che comunque sarebbe intervenuto per capire e chiarire. Parimenti il responsabile dell'ufficio stampa dell'Apulia Film Commission, Nicola Morisco, che in un primo tempo aveva tentato con email di scaricare la responsabilità del comunicato sulla produzione, telefonicamente aveva ammesso che vi era stata un po' di superficialità nell'attingere in internet informazioni su Crocco e che avrebbe provveduto ad emettere un nuovo comunicato stampa di precisazione e chiarimento. Cosa che poi è stata fatta; il nuovo comunicato infatti è reperibile sul sito di Apulia.
La Ellemme Group ha poi inviato per email, a me ed ad altri, una lunga nota di chiarimento, che pubblico di seguito integralmente. Non ci resta che aspettare l'uscita in autunno del film sulla Rai, per poter valutare e dire la nostra con più cognizioni di causa. Ora però voglio esternare un'altra perplessità sui contenuti del film su Crocco. Ferrero telefonicamente mi diceva che consulente storico per il film è stato il professore universitario, di Roma Tre, Carlo Felice Casula. Da forse superficiali informazioni esperite in internet risulterebbe che detto professore sia uno storico risorgimentalista dalla parte dei Savoia. Speriamo di aver visto male. 
Rocco Biondi


Un grande cantautore meridionale, Rino Gaetano scrisse nella sua canzone forse più riuscita, il verso “Mio fratello è figlio unico perché non ha mai criticato un film senza prima vederlo”. Tutta la troupe del film “Il Generale dei briganti” ha ripensato a quelle pungenti parole, leggendo le feroci accuse del signor Rocco Biondi riguardo al lavoro di cui abbiamo da poco iniziato le riprese. Il signor Biondi, certamente per amore riguardo la storia del meridione e delle lotte portate avanti dai briganti, si scaglia contro il nostro progetto, accusandoci di superficialità e ignoranza storica. Ma il signor Biondi non solo non ha potuto vedere il film (dovrà aspettare l’autunno, abbiamo appena iniziato a girare!!) ma non ha nemmeno letto la sceneggiatura. Se lo avesse fatto avrebbe saputo che “Il generale dei Briganti” è frutto di oltre due anni di lavoro molto intensi: ricerca storica, documentazione storiografica iconografica e persino merceologica, perché non solo le vicende narrate, ma anche costumi, ambientazioni, acconciature, arredamenti ed ogni piccolo particolare rispecchi le vicende narrate. Se chi si scaglia contro di noi avesse letto il copione scritto con profonda cura da Paolo Poeti e Giovanna Koch, saprebbe che raccontiamo le vicende di cui Crocco fu protagonista, senza mai falsificare la storia, pur confezionando un prodotto artistico e non un semplice documentario. Raccontiamo dunque la delusione dei briganti per come andarono le cose dopo l’iniziale patto stipulato con Garibaldi, come avremmo potuto fare altrimenti? Se chi ci attacca avesse contezza del film che stiamo girando, saprebbe che sull’immagine di una nave che porta lontano il valoroso Carmine Crocco, si racconta della sua angusta fine nel carcere di Portoferraio, nonché di come l’iniziale condanna a morte venne furbescamente tramutata in ergastolo, così da rendere meno pericolosa l’immagine eroica e simbolica di Crocco fra la sua gente. Vorremmo rassicurare gli studiosi del brigantaggio, che il nostro lavoro rispetta profondamente la storia del meridione italiano, e tenta di raccontarne una parte (peraltro controversa e lunga) proprio nel 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, per offrirla in prima serata al pubblico di Rai Uno. Sarebbe bastato -prima di strepitare e condannare il lavoro meticoloso e complesso di un gruppo produttivo ed artistico italiano- chiamarci per chiedere lumi sulle inesattezze lette in un comunicato stampa: avremmo rassicurato il signor Biondi e tutti coloro i quali si sono inalberati, e fortemente preoccupati senza averne ragione certa. Naturalmente dispiace anche a noi che per un disguido (forse una sinossi trovata su altre fonti) sia comparso sul sito dell’Apulia film Commission (il cui eccellente lavoro non smetteremo mai di lodare) un comunicato stampa che non raccontava con precisione il nostro film, ma ci dispiace anche (e ci lascia perplessi) che oggi sia più facile avvitarsi in polemiche violente anche quando esse non hanno nessun fondamento nella realtà. Amiamo il meridione, caro signor Biondi, e abbiamo intenzione di far tutto fuorché offenderlo!

Vorremmo a tal proposito sottolineare come la Ellemme group abbia deciso ancora una volta di realizzare le riprese INTEGRALMENTE nel sud Italia, dando così lavoro a tantissimi italiani (meridionali in particolare), a differenza di altre produzioni che per risparmiare girano in Argentina, in Portogallo o nei paesi dell’Est vicende che narrano storie del nostro paese, paradossalmente “ricostruito” altrove. Lavorare in Italia con lavoratori italiani è una scelta precisa -e costosa- di cui andiamo orgogliosi. A tal proposito è d’obbligo per noi ringraziare pubblicamente l’Apulia film Commission per il contributo prezioso con cui supporta le produzioni che scelgono il territorio e la manodopera locale. Siamo convinti che se la Puglia è diventata un set così appetibile per chi fa cinema o televisione è anche grazie al fondamentale aiuto di chi ha saputo valorizzarne le potenzialità, come ha fatto e fa l’Apulia film Commission, che ci aveva già dato una grande mano nel 2010, quando producemmo “Mia madre” (altro film interamente girato in Italia), enorme successo di pubblico e critica.
Riassumere una vita ricca come quella di Carmine Crocco e in due sole puntate è molto difficile, ed è possibile che il nostro lavoro potrà scontentare qualcuno, che non vi piacciano gli attori scelti, o le scelte di regia. Ma vi preghiamo di vederlo -in autunno, quando verrà trasmesso da Rai Uno- prima di applaudirci o fischiarci. Siamo certi che anche Rino Gaetano approverebbe questa richiesta! Intanto promettiamo di pubblicare entro domani un comunicato stampa che riassuma REALMENTE il nostro film, sperando di avere incoraggiamenti, critiche, consigli e quant’altro sul nostro lavoro.

La troupe di “Il generale dei briganti”;
La ELLEMME group
Vanessa Ferrero

5 giugno 2011

Il generale dei briganti. Film televisivo da boicottare


Non c'è bisogno di aspettare di vedere, alla ripresa autunnale, su Rai Uno le due puntate della miniserie “Il generale dei briganti”, per capire che si tratta della solita storia inventata per inneggiare ai cosiddetti padri della patria, in occasione dei 150 anni della falsa unità d'Italia. Basta leggere i lanci giornalistici sull'inizio delle riprese a Vieste (Foggia) dal 6 giugno 2011.
Viene detto che Carmine Crocco, storico capo dei briganti lucani, contribuì in maniera determinante all’Unità d’Italia, schierandosi a fianco di Garibaldi. Niente di più falso e di antistorico. E' vero che si schierò per un breve periodo con Garibaldi, ma divenne brigante (insorgente, partigiano) proprio perché furono disattese tutte le promesse di Garibaldi. Crocco quindi fu un capobrigante che per diversi anni lottò al fianco dei comitati borbonici, nel tentativo di riportare i Borbone sul trono di Napoli. Nei fatti mise a disposizione degli antiunitari le sue grandi e riconosciute capacità di condottiero, sfruttando il profondo malessere sociale del popolo meridionale.
Altra madornale svista, riportata su diversi giornali, è l'affermazione che Crocco sia stato catturato e poi fucilato a Tagliacozzo. Ciò dimostra assoluta superficialità e ignoranza storica. A Tagliacozzo venne fucilato, l'8 dicembre 1861, il generale legittimista spagnolo José Borges, che aveva combattuto per un certo periodo con Crocco. Carmine Crocco invece morì nel carcere di Portoferraio (Livorno) il 18 giugno 1905, all'età di 75 anni.
A dirigere il film televisivo su Crocco sarà il settantenne Paolo Poeti, che ha al suo attivo solo opere di second'ordine. Protagonista nei panni di Carmine Crocco sarà Daniele Liotti, attore che finora non ha fornito grandi interpretazioni.
L'originale televisivo “Il generale dei briganti” non promette quindi nulla di buono. Anzi, viste le premesse, merita di essere boicottato.

21 maggio 2011

Sabati Briganteschi: Brigantaggio nell'alto Salento

Sabato 28 maggio 2011, ore 19,00

Sala Consiliare Comune di Villa Castelli (Brindisi)
Piazza Municipio

SALUTI
- Francesco Nigro, Sindaco di Villa Castelli (BR)
- Giuseppe Borsci, Sindaco di San Marzano di San Giuseppe (TA)
- Luigi Caroli, Sindaco di Ceglie Messapica (BR)

MARIO GUAGNANO
Storico
relaziona su
"Brigantaggio antiunitario nella Provincia di Taranto" 
Con la proclamazione dell'Unità d'Italia nel marzo del 1861 l'Italia nominalmente sembrava fatta. Ma di fatto numerosissimi erano i problemi che lo Stato sabaudo doveva ancora affrontare: Roma era in mano allo Stato pontificio ed il Veneto sotto il controllo austriaco. Nel Mezzogiorno ci fu l'esplosione del brigantaggio. Il brigantaggio fu protesta armata contro gli eccessi di uno Stato repressivo, fu rivendicazione delle quotizzazioni demaniali, fu reazione all'oppressione fiscale dello Stato, fu vendetta contro le sopraffazioni e i tradimenti dei borghesi e dei galantuomini, fu guerra di religione. I Savoia a legittime richieste risposero con fucilazioni di massa. Il brigantaggio fu un fenomeno di una gravità tale da mettere in dubbio gli esiti del nuovo stato unitario. Fu sconfitto solo perché furono usati contro di esso metodi criminali. Il massimo esponente del brigantaggio nel territorio tarantino fu Cosimo Mazzeo, detto Pizzichicchio, di San Marzano.

MICHELE CIRACI'
Storico
relaziona su
"Brigantaggio a Ceglie Messapica: Francesco Monaco e Rosa Martinelli" 
Negli anni immediatamente successivi alla proclamazione dell'unità, tutto il Sud d'Italia prese parte alla Resistenza antiunitaria del brigantaggio meridionale. Il fenomeno generale ebbe manifestazioni variegate in tutte le realtà locali. Le trattazioni specifiche e particolareggiate aiutano a dipanare e lumeggiare i multiformi aspetti della vastità e complessità della materia. La tragica storia d'amore tra il brigante Francesco Monaco di Ceglie Messapica e Menica Rosa Martinelli, anche se collaterale, è anch'essa emblematica di quella realtà.

EVENTO
"La leggenda di Pizzichicchio" 
Presentazione dello spettacolo "La leggenda di Pizzichicchio", regia di Roberta Fiordiponti. Interventi di "Inchiostro Simpatico", gruppo teatrale della Pro Loco di San Marzano (TA), e delle Associazioni "Terre Nostre" e "Yicuvra" di Mottola (TA).

17 maggio 2011

La debacle di Berlusconi


Berlusconi non incanta più. La sua politica dell'inganno e della menzogna non frutta più. La demonizzazione degli avversari irrita anziché attirare consensi. I quotidiani attacchi alla giustizia smascherano la paura di essere giudicato per le sue malefatte. Il suo patetico dongiovannismo infastidisce, soprattutto le donne. Se non stessimo in Italia, quasi certamente avrebbe già fatto la fine del potente direttore del Fondo Monetario Internazionale Strauss-Kahn; starebbe in galera.
I risultati elettorali delle elezioni amministrative del 15-16 maggio 2011 rappresentano il viale del tramonto di Berlusconi e del berlusconismo. Aveva detto che se a Milano non prendeva il numero dei voti delle precedenti elezioni comunali, ciò sarebbe stato una sua sconfitta personale. Ne ha preso metà dei voti di allora. Ne prenda atto e si ritiri a vita privata. Ma tutti i cittadini democratici italiani non abbassino la guardia; bisogna stare molto attenti ai colpi di coda dell'animale ferito.

24 aprile 2011

Convegno "Il Meridione, problema o risorsa?"



Sabato 30 aprile 2011 - Ore 17,00 / 20,00
Sala Consiliare Comune di Villa Castelli (Brindisi)
Piazza Municipio

ORDINE DEGLI AVVOCATI
DI BRINDISI

Associazione
Settimana dei Briganti - l'altra storia”
Villa Castelli (BR)

O R G A N I Z Z A N O

Convegno sul tema
Il Meridione, problema o risorsa?


Il passaggio dei contadini meridionali al brigantaggio fu, nel suo aspetto di massa, una forma di protesta estrema che nasceva dalla miseria e non trovava altro mezzo che la violenza per lottare contro l'ingiustizia, l'oppressione e lo sfruttamento. Franco Molfese

Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l'Italia meridionale e le isole, crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di “briganti”. Antonio Gramsci

Introduce Avv. Vito Nigro
Coordina Prof. Rocco Biondi

Saluti
Avv. Francesco Nigro - Sindaco di Villa Castelli
Avv. Carlo Panzuti - Presidente Ordine degli Avvocati di Brindisi
Prof. Rocco Biondi - Presidente Associazione “Settimana dei Briganti - l'altra storia”

Relatori

MARIO SPAGNOLETTI
Professore di Storia Contemporanea presso l'Università di Bari
Commissioni d'inchiesta sul brigantaggio: Mosca e Massari. La legge Pica
Il Risorgimento italiano continua a perdere quell'alone aprioristicamente positivo che per molto tempo gli è stato riservato. Storici e studiosi, basandosi su una mole immensa di documenti per molti anni nascosti o trascurati, danno una valutazione più critica sui fatti che hanno portato all'unità d'Italia. Si prende atto che quell'unità più che anelito di popolo è stato il frutto delle mire espansionistiche dei Savoia piemontesi, avallate da plurimi interessi dei grandi Stati che all'epoca governavano l'Europa. Viene fuori prepotentemente il movimento popolare che nel Meridione si oppose a quell'annessione: il brigantaggio politico e sociale. Per sconfiggerlo fu usata una immane forza militare, che utilizzò strumenti impropri ad una società civile. La legge Pica fu uno di quegli strumenti, che condannava (molto spesso a morte per fucilazione) non solo i Briganti ma anche donne, bambini e lo svariato mondo che appoggiava quegli insorgenti, senza un processo.

DORA LIGUORI
Storica, Segretario Generale UNAMS (Unione Nazionale Arte Musica Spettacolo)
Unità d'Italia fra menzogne, fantasie e verità nascoste
Dal 1860 ad oggi, una spessa coltre è stata fatta volutamente calare per coprire le azioni, tutt’altro che limpide, che comportarono la sofferta unificazione nazionale. A propugnare questa unione furono movimenti fortemente idealistici, figli dell’illuminismo che, abilmente strumentalizzati, finirono col fare gli interessi di forti poteri internazionali, miranti a impadronirsi del Regno delle due Sicilie, ricco e strategicamente rilevante nel Mediterraneo, possessore anche del preziosissimo zolfo siciliano. A fare il “gioco sporco” per tutti, fu chiamato il regno del Piemonte il quale, per problemi di sopravvivenza finanziaria, da tempo mirava a conquistare il Sud della penisola. L’impresa, poi, assunse i contorni, non già della bella unione sognata dai liberali, ma di una feroce oppressione di un popolo contro un altro. I Meridionali si opposero all'invasione piemontese. I briganti furono il braccio armata di questa ribellione. E fu la guerra civile. Dopo decenni di falsi storici, riproporre la verità è un atto di giustizia, nonché il vero modo per celebrare, appunto, l’Unità italiana.

LINO PATRUNO
Giornalista, già direttore della “Gazzetta del Mezzogiorno”
Fuoco del Sud. La ribollente galassia dei Movimenti meridionali
C'è un “Fuoco del Sud” che arde sotterraneo e che potrebbe irrompere proprio mentre si celebrano i 150 anni dell'Unità d'Italia. Un “fuoco” tanto sofferto quanto ignorato. Si alimenta di centinaia di movimenti, associazioni, comitati, gruppi, intellettuali che un secolo e mezzo dopo chiedono ancòra rispetto per il sacrificio imposto al Sud nella nascita della nazione, che si battono per liberare il Sud dalla sudditanza subìta sull'altare del patriottismo e della retorica. Sono i “nuovi briganti” della comunicazione e dell'indignazione di cui il Sud ha bisogno. E che grazie anche alle moderne armi di Internet raccolgono e diffondono sia un ritrovato orgoglio meridionale, sia la rabbia per la storia taciuta dalle reticenze degli archivi e delle accademie. Con la denuncia delle clamorose responsabilità dei governi nel disegno preordinato e sistematico di un Sud da mantenere arretrato.

Presentazione
Rivista trimestrale storico culturale Brigantaggio politico e sociale”
L'obiettivo che noi ci proponiamo con questa nuova rivista è principalmente di carattere culturale. Per capire verso dove si deve andare per migliorare le proprie condizioni di vita, bisogna conoscere da dove si proviene. Sapere chi erano i nostri padri, scoprire per cosa hanno lottato, conoscere i risultati positivi che hanno conseguiti, riflettere sulle loro sconfitte, ma anche studiare le cause e le concomitanze che hanno portato a quelle sconfitte, è necessario e fondamentale sia per prendere coscienza dei valori positivi che devono guidarci, sia per conoscere gli ostacoli e da chi sono stati frapposti per chiederne il dovuto conto, ma anche per non ripetere gli errori da loro commessi. I briganti di quell'epoca, uomini e donne che per noi assumono solo ed esclusivamente una connotazione positiva, sono stati insorgenti e partigiani che hanno lottato in difesa della loro terra, delle loro famiglie, della loro dignità. Noi dobbiamo partire da dove i nostri padri briganti furono costretti a lasciare. (Rocco Biondi)

Per la partecipazione Avvocati e Praticanti abilitati devono far pervenire la domanda di partecipazione presso la Segreteria dell'Ordine ovvero prenotarsi tramite la propria area riservata “Riconosco” entro e non oltre 4 giorni prima dell'incontro.
L'accesso e l'uscita dalla sala avviene con l'utilizzo del tesserino magnetico.
Verranno attribuiti 3 crediti formativi.

Ingresso libero anche per il pubblico normale.

Il Presidente
Ordine degli Avvocati
Avv. Carlo Panzuti

Il Presidente
Settimana dei Briganti - l'altra storia
Prof. Rocco Biondi