Libro snello, di sole 96 pagine, ma interessante per conoscere i fatti fondamentali del brigantaggio postunitario in Terra di Lavoro.
Terra di Lavoro nel 1860 era un vasto
territorio (provincia), situato a nord di Napoli, che comprendeva cinque
distretti: Caserta (capoluogo), Gaeta, Sora, Nola, Piedimonte. La superfice
complessiva era di circa 6.455 chilometri quadrati e gli abitanti 792.000.
All’indomani del febbraio 1861, quando venne creata la provincia di Benevento,
i comuni in Terra di Lavoro da 237 divennero 184.
L’economia, che era prevalentemente
agricola e pastorale, ma anche manifatturiera e industriale, faceva di questa
provincia la più ricca del Regno delle Due Sicilie. Vere e proprie perle erano
le aziende manifatturiere di San Leucio e di Piedimonte. Si stima che
l’industria desse lavoro a più di 3.000 operai.
Le sue montagne e foreste lo resero un luogo
adatto alla guerriglia dei briganti.
La sterminata documentazione, conservata
presso l’Archivio di Stato di Caserta, scrive D’Ambra, sconfessa, singolarmente
prese, le tre storiche letture che vengono date del brigantaggio, quella
liberale-crociana che vede nel brigantaggio semplice delinquenza, quella
marxista-gramsciana che individua nel brigantaggio la lotta di classe dei
contadini, e quella legittimista che propone il brigantaggio come resistenza
alla cacciata dei Borbone; nel brigantaggio infatti sono presenti contemporaneamente
i tre aspetti: politico, sociale, delinquenziale, che debolmente si distinguono
fra di loro accentuando ora l’uno ora l’altro.
Il malcontento dei contadini delusi,
impoveriti ed oppressi dai nuovi aggravi fiscali, dice ancora D’Ambra, incontrò
l’ardore dei soldati del disciolto esercito borbonico e la devozione dei
numerosi sostenitori dei Borbone.
Il plebiscito con il quale si sancì
l’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno sabaudo fu in realtà una
truffa. Il voto fu palese. Pochi erano gli iscritti ed alta fu l’astensione. In
molti Comuni non si votò per niente.
Anche
se il brigantaggio era disorganizzato, i suoi effetti allarmarono
considerevolmente le autorità sabaude dei cinque distretti di Terra di Lavoro.
Molte furono le bande armate brigantesche, i cui componenti variavano da dieci
a duecento unità. I briganti erano ovunque in azione. Le loro azioni sono
prevalentemente tratte dai verbali e dai telegrammi delle prefetture e dai
proclami sia di parte piemontese che brigantesca.
Nel libro sono sintetizzate le più
importanti rivolte contadine e l’operato dei più famosi capi briganti. Viene
anche riferito del doppio gioco del ceto aristocratico e della Guardia
Nazionale. Si parla della quasi totale adesione del ceto ecclesiastico al
movimento borbonico.
Nei territori di Sora e Gaeta i briganti
capeggiati da Luigi Alonzi, detto Chiavone, dettero grande filo da torcere
all’esercito piemontese. La banda Chiavone, che nei momenti di maggior auge
raggiunse i duemila uomini, era equipaggiata con fucili e carabine moderne, nonché
quattro cannoni di montagna; sul finire del 1861 fu riorganizzata e divisa in
otto compagnie; in essa vi erano anche sette trombettieri ed un sacerdote. I
briganti di Chiavone erano in grado di marciare in modo regolare, eseguire
azioni dimostrative, diversioni di posizione e attacchi disciplinati.
Nel novembre 1861 la banda Chiavone, che
contava circa 400 uomini, subì una grave sconfitta ad opera dell’esercito
piemontese; una sessantina di briganti furono presi e fucilati. In quello
stesso mese arrivò da Roma Rafael Tristany, mandato per assumere il ruolo di
capo delle varie bande. Ma tra lo spagnolo Tristany e il capobrigante Chiavone
scoppiò subito una grande inimicizia, che porterà alla fucilazione da parte
dello spagnolo del capobrigante.
All’inizio del decennio postunitario
operarono in Terra di Lavoro anche i fratelli Cipriano, Giona e Domenico Della
Gala evasi, nell’agosto del 1860, dal carcere di Castellammare; erano stati
arrestati insieme ad altri nel 1854. La loro evasione segnò l’inizio del
brigantaggio nel distretto di Nola. La loro banda, che raggiunse le cinquecento
unità, si distinse per l’occupazione di vari paesi del circondario, per
grassazioni, ma soprattutto per attacchi alle carceri; il 16 giugno 1861
liberarono cinquantasei (secondo altre cronache novantanove) detenuti dal
carcere di Caserta.
Il 18 dicembre 1861 la banda Della Gala
subì, sull’Appennino tra la Valle Caudina e l’Agro Nolano, una pesantissima
sconfitta; morirono centosessantatre uomini. Fu allora che Cipriano costituì
quattro distinti nuclei.
Ma la fine dei Della Gala era ormai vicina.
Il 10 luglio 1863 furono arrestati, sulla nave francese Aunis, Cipriano e Giona
e tre loro gregari: Pasquale D’Avanzo, Domenico Papa e Angelo Sarno. Ne nacque
un caso diplomatico. Prima furono consegnati ai francesi e poi estradati in
Italia. Processati i due fratelli furono condannati a morte (pena poi commutata
nel carcere a vita), lavori forzati a vita per Papa, venti anni per D’Avanzo; nulla
si sa del Sarno.
Altri capi briganti della Terra di Lavoro,
di cui si parla nel libro, sono Libero Albanese, Antonio Pace, Domenico Fuoco,
Francesco Tommasini, Francesco Guerra, Luigi Andreozzi.
Il brigantaggio, conclude D’Ambra, non ebbe
alcuno sbocco politico, fu vinto con una repressione sanguinaria da parte
piemontese, ma restarono vive le problematiche che lo avevano alimentato. Le
aspettative di miglioramento sociale ed individuale finirono con l’essere
riposte non più nella speranza di un ritorno del Borbone sul trono di Napoli,
ma in un cambiamento strutturale della società, dell’ordine politico ed
economico.
Rocco Biondi