19 gennaio 2019

Il richiamo del merlo, di Enza Armiento


È un romanzo che pur partendo da fatti e nomi realmente esistiti, li sviluppa poi in modi inventati.
     Il racconto si svolge su due piani temporali: il 1861-1862 e il 2009-2013, a capitoli alterni. Concetta (Biondi) è la protagonista del primo periodo; mentre Michela Giordano lo è del secondo. Michela è la pronipote del capobrigante Cosimo Giordano, che tanta parte avrà nel primo racconto.
     Il verso del merlo era il segnale di pericolo, che le vedette inviavano ai briganti, per farli nascondere o scappare dal luogo in cui si trovavano, perché arrivavano i piemontesi.
     Concetta, una bambina di quattordici anni, fu stuprata dai soldati piemontesi, che costrinsero il padre a guardare legandolo ad un palo e poi lo uccisero. Concetta si salvò perché creduta morta e promise vendetta.
     Michela fa domanda per entrare nell’Esercito. Suo padre e tutti i suoi parenti sono contrari, perché il trisavolo (Cosimo Giordano appunto) si salvò dall’eccidio perché quel giorno non era in paese; e perciò non vogliono nemmeno che si nomini la parola Esercito, sarebbe come prestarsi ai nemici; ma il padre si convince «perché la figlia di un cafone non deve morire cafona».
     Concetta entra a far parte della famiglia dei briganti. Francesca, la donna di Cosimo, garantisce per lei. Francesca, dopo l’uccisione di Cosimo, diverrà capo della banda dei briganti.
     Michela diviene maresciallo dell’esercito e parte per la prima missione all’estero. Comunica tramite internet.
     Concetta, dopo aver ucciso i soldati che l’avevano stuprata, si sparò un colpo con la pistola e si uccise.
     Michela, ferita, sta trenta giorni in coma, durante il quale le compare Concetta e le mette al collo un medaglione con la sua foto.
     Questa è una possibile sintesi del romanzo, che si legge tutto d’un fiato. Tanti sono i personaggi che lo animano. Viene usato un linguaggio ricercato e talvolta onirico. L’autrice, pluripremiata, è certamente amante dei briganti.
Rocco Biondi
 

Enza Armiento, Il richiamo del merlo, Castelvecchi, Roma 2018, pp. 192

6 gennaio 2019

Dalle Calabrie agli Abruzzi, di Valentino Romano


Libro fondamentale per chi vuole conoscere la storia del generale legittimista José Borges. Il legittimismo si faceva fautore della restaurazione dei prìncipi e dei sovrani spodestati. Nel nostro caso appoggiava il ritorno del re borbonico Francesco II sul trono del Regno delle Due Sicilie, spodestato dal re piemontese Vittorio Emanuelle II.
     José Borges è stato uno dei maggiori protagonisti della reazione antiunitaria meridionale. Si narra nel libro “la malinconica epopea di uno sconfitto”, e “come l’unificazione dello stivale si sia poi realizzata più in punta di baionetta che con il dialogo, più con la sistematica repressione di ogni dissenso che con la ricerca di equilibri possibili, più con la brutale imposizione della forza che con il democratico coinvolgimento di tutte le popolazioni interessate nel processo formativo del nuovo Stato”.
     Borges era nato nel 1813 a Vernet, piccolo borgo della Catalogna, nel distretto di Artesa. Il padre era un ufficiale spagnolo, distintosi nelle guerre antinapoleoniche, e nominato capo dei volontari d’Artesa nella guerra civile iniziata nel 1833 tra i seguaci di Cristina e di don Carlos, fra cristini e carlisti; Borges raggiunge il grado di generale di brigata. La guerra va male per i carlisti, e Borges ripara in Francia, rifiuta di sottomettersi alla regina Isabella; per sopravvivere non si sottrae ai mestieri più umili. Anche la seconda guerra carlista del 1846 va male, e Borges è costretto a riparare nuovamente in Francia. Nel 1850 trascorre quasi un anno a Napoli e si impratichisce della lingua italiana. Nel 1855 è ancora in Spagna con le truppe carliste; ma anche questa volta è sconfitto e ripara ancora, in esilio, in Francia.
     Nel luglio 1860 è Roma e tenta di arruolarsi nell’esercito pontificio, ma invano.
     Nel 1861, dopo che Francesco II si era arreso e abbandonato Gaeta il 14 febbraio 1861 per recarsi a Roma ospite del papa Pio IX (le ultime fortezze del Regno delle Due Sicilie sarebbero cadute: Messina il 13 marzo e Civitella del Tronto il 20 marzo dello stesso anno 1861), Borges si prepara ad effettuare la sua spedizione.
     Intanto il sovrano Francesco II, eccettuata la vicinanza della regina Maria Sofia, è un uomo solo e mal consigliato, circondato da uomini incapaci e malfidati, anche quelli che fanno parte dei comitati borbonici.
     Borges, dopo aver ricevute le istruzioni del generale Clary (che in caso di successo vuol sostituirsi nei meriti allo spagnolo), raggiunge nel settembre 1861 l’isola di Malta, dove, come gli hanno fatto credere i comitati borbonici, si illude di radunare numerosi fuoriusciti politici e volontari. La realtà però è ben altra e del tutto sconfortante. Borges si rende subito conto di essere stato mandato allo sbaraglio, ma è troppo tardi per tirarsi indietro.
     Con solo una ventina di uomini nella notte del 13 settembre 1861 sbarca sulla costa ionica della Calabria, in una rada isolata alla foce della fiumara di Bruzzano, in contrada Manzo (oggi Marinella), poco più a nord di Capo Spartivento. Da lì inizia la sua marcia, che lo condurrà fino al confine dello Stato Pontificio.
     Inizialmente, sulla scorta di quanto scrive Borges nel suo diario, si riesce a conoscere il percorso e gli scontri effettuati con le truppe piemontesi, la guardia nazionale, i carabinieri. Il Diario si compone di una relazione indirizzata al generale Clary e di due piccoli taccuini. Il primo documento è la stesura finale degli appunti giornalieri del periodo tra l’11 e il 21 settembre 1861; il secondo, che consta di 105 carte numerate, va dal 22 settembre al 16 ottobre; il terzo consta di cento carte non numerate e va dal 17 ottobre al 1° dicembre. Quest’ultimo, nel verso contrario e con diversa grafia, riporta scritti vari, elenchi e note spese.
     La prima preoccupazione è quella di aumentare l’organico, e Borges si mette in contatto con il capobrigante Ferdinando Mittiga. Valentino Romano, contrariamente ad altri scrittori che ritengono che il compito di Borges sia quello di unirsi alla banda Mittiga per dare alla lotta un’impronta legittimista, scrive: “Borges si trova di fronte ad un’accozzaglia di poveracci, aggregati dal brigante Mittica con la promessa e la prospettiva di un consistente guadagno e con la promessa dell’agognata divisione delle terre”. Mittiga rappresenta l’unica possibilità per tentare di formare il nucleo iniziale della formazione in grado di contrastare l’esercito governativo. Ma il tentativo Mittiga fallirà.
     Borges peregrinerà in Calabria, con l’aiuto di guide pagate profumatamente, fino al 10 ottobre 1861. La sua missione, che doveva essere segreta, veniva conosciuta anticipatamente dai piemontesi, e talvolta era addirittura annunciata dai giornali. La repressione sabauda inesorabilmente lo inseguiva. Borges nel suo diario spesso lamenta lo stato di abbandono: “Se fossi sbarcato con 400 uomini, adesso avrei 15.000 uomini ai miei ordini”, oppure: “Se io disponessi oggi di qualche centinaio di migliaia di franchi, trecento uomini, e un certo numero di ufficiali, è molto probabile che diverrei il padrone della situazione”. Bruzzano, Precacore, Gerace, Cerri, Serra di Cucco, Nocella, Serrastretta, ecc., sono le tappe di questo peregrinare.
     In Basilicata, Borges dopo aver vagato senza una direzione precisa tra San Costantino Albanese, San Paolo Albanese, Noepli, San Giorgio Lucano, Colobraro, Grassano, incontra Carmine Crocco, che comanda molti uomini. Insieme assaltano e occupano diversi paesi: Trivigno, Calciano, Gagaruso, Salandra, Craco, Aliano; si tratta di un’occupazione provvisoria, perché subito arrivano le forze governative a rioccuparle. Nella piana dell’Acinella Borges e Crocco, benché in inferiorità numerica (circa quattrocento uomini), decidono di accettare lo scontro frontale in campo aperto con i nemici e vincono. Conquistano Stigliano, Cirigliano, Gorgoglione, Accettura, Grassano.
     Dopo questi successi si decide di occupare Potenza; la presa del capoluogo della Basilicata “avrebbe la naturale conseguenza di non considerare più del tutto completata la conquista piemontese e non ancora del tutto scomparso il Regno delle Due Sicilie”. Ma qualcosa va storto. Crocco ne è prontamente informato e si rende conto che la partita è persa per sempre. I notabili a lui vicini hanno abbandonato il progetto; la borghesia rurale si schiera con i “liberatori sabaudi”, che sono i vincitori.
     L’intesa fra Borges e Crocco è destinata a fallire; dopo alcune altre azioni in comune i due si lasciano e ognuno va per la sua strada. E Borges va verso la sua fine. Entra in campo il vice console francese Leon de Rotrou. Borges fa alcuni passi nella sua marcia che un comandante, esperto come lui, normalmente non farebbe. Si dirige con i suoi fuggiaschi verso Sante Marie, in località “La Luppa”, in una cascina posseduta dai Mastroddi, famiglia di possidenti locali, a circa quattro miglia dal confine pontificio (e quindi dalla salvezza). Qui si ferma inspiegabilmente per circa dieci ore. Il maggiore Franchìni, che comanda un battaglione di bersaglieri, dà ordine di circondare la cascina. Borges decide di arrendersi, e viene catturato con i suoi; viene condotto nella non lontana Tagliacozzo e fucilato con i suoi. Sono circa le sedici dell’8 dicembre 1861.
     Tanto altro contiene il libro di Valentino Romano, fra personaggi e ipotesi. Vaste furono le reazioni, sui giornali italiani e stranieri, sulla morte di Borges.
     Se un appunto deve essere fatto al libro, è quello che sarebbe stato opportuno tradurre (almeno in nota) i testi stranieri presenti: spagnoli, francesi, ecc.

Valentino Romano, Dalle Calabrie agli Abruzzi, Il generale José Borges tra i briganti di re Francesco II, D’Amico Editore, Nocera Superiore 2018, pp. 334