Libro
fondamentale per chi vuole conoscere la storia del generale legittimista José
Borges. Il legittimismo si faceva fautore della restaurazione dei prìncipi e
dei sovrani spodestati. Nel nostro caso appoggiava il ritorno del re borbonico
Francesco II sul trono del Regno delle Due Sicilie, spodestato dal re
piemontese Vittorio Emanuelle II.
José Borges è stato uno dei maggiori
protagonisti della reazione antiunitaria meridionale. Si narra nel libro “la
malinconica epopea di uno sconfitto”, e “come l’unificazione dello stivale si
sia poi realizzata più in punta di baionetta che con il dialogo, più con la
sistematica repressione di ogni dissenso che con la ricerca di equilibri
possibili, più con la brutale imposizione della forza che con il democratico
coinvolgimento di tutte le popolazioni interessate nel processo formativo del
nuovo Stato”.
Borges era nato nel 1813 a Vernet, piccolo
borgo della Catalogna, nel distretto di Artesa. Il padre era un ufficiale
spagnolo, distintosi nelle guerre antinapoleoniche, e nominato capo dei
volontari d’Artesa nella guerra civile iniziata nel 1833 tra i seguaci di
Cristina e di don Carlos, fra cristini e carlisti; Borges raggiunge il grado di
generale di brigata. La guerra va male per i carlisti, e Borges ripara in
Francia, rifiuta di sottomettersi alla regina Isabella; per sopravvivere non si
sottrae ai mestieri più umili. Anche la seconda guerra carlista del 1846 va
male, e Borges è costretto a riparare nuovamente in Francia. Nel 1850 trascorre
quasi un anno a Napoli e si impratichisce della lingua italiana. Nel 1855 è
ancora in Spagna con le truppe carliste; ma anche questa volta è sconfitto e
ripara ancora, in esilio, in Francia.
Nel luglio 1860 è Roma e tenta di
arruolarsi nell’esercito pontificio, ma invano.
Nel 1861, dopo che Francesco II si era
arreso e abbandonato Gaeta il 14 febbraio 1861 per recarsi a Roma ospite del
papa Pio IX (le ultime fortezze del Regno delle Due Sicilie sarebbero cadute:
Messina il 13 marzo e Civitella del Tronto il 20 marzo dello stesso anno 1861),
Borges si prepara ad effettuare la sua spedizione.
Intanto il sovrano Francesco II, eccettuata
la vicinanza della regina Maria Sofia, è un uomo solo e mal consigliato,
circondato da uomini incapaci e malfidati, anche quelli che fanno parte dei
comitati borbonici.
Borges, dopo aver ricevute le istruzioni
del generale Clary (che in caso di successo vuol sostituirsi nei meriti allo
spagnolo), raggiunge nel settembre 1861 l’isola di Malta, dove, come gli hanno
fatto credere i comitati borbonici, si illude di radunare numerosi fuoriusciti
politici e volontari. La realtà però è ben altra e del tutto sconfortante.
Borges si rende subito conto di essere stato mandato allo sbaraglio, ma è
troppo tardi per tirarsi indietro.
Con solo una ventina di uomini nella notte
del 13 settembre 1861 sbarca sulla costa ionica della Calabria, in una rada
isolata alla foce della fiumara di Bruzzano, in contrada Manzo (oggi
Marinella), poco più a nord di Capo Spartivento. Da lì inizia la sua marcia,
che lo condurrà fino al confine dello Stato Pontificio.
Inizialmente, sulla scorta di quanto scrive
Borges nel suo diario, si riesce a conoscere il percorso e gli scontri
effettuati con le truppe piemontesi, la guardia nazionale, i carabinieri. Il Diario si compone di una relazione
indirizzata al generale Clary e di due piccoli taccuini. Il primo documento è
la stesura finale degli appunti giornalieri del periodo tra l’11 e il 21
settembre 1861; il secondo, che consta di 105 carte numerate, va dal 22
settembre al 16 ottobre; il terzo consta di cento carte non numerate e va dal
17 ottobre al 1° dicembre. Quest’ultimo, nel verso contrario e con diversa
grafia, riporta scritti vari, elenchi e note spese.
La prima preoccupazione è quella di
aumentare l’organico, e Borges si mette in contatto con il capobrigante
Ferdinando Mittiga. Valentino Romano, contrariamente ad altri scrittori che
ritengono che il compito di Borges sia quello di unirsi alla banda Mittiga per
dare alla lotta un’impronta legittimista, scrive: “Borges si trova di fronte ad
un’accozzaglia di poveracci, aggregati dal brigante Mittica con la promessa e
la prospettiva di un consistente guadagno e con la promessa dell’agognata
divisione delle terre”. Mittiga rappresenta l’unica possibilità per tentare di
formare il nucleo iniziale della formazione in grado di contrastare l’esercito
governativo. Ma il tentativo Mittiga fallirà.
Borges peregrinerà in Calabria, con l’aiuto
di guide pagate profumatamente, fino al 10 ottobre 1861. La sua missione, che
doveva essere segreta, veniva conosciuta anticipatamente dai piemontesi, e
talvolta era addirittura annunciata dai giornali. La repressione sabauda
inesorabilmente lo inseguiva. Borges nel suo diario spesso lamenta lo stato di
abbandono: “Se fossi sbarcato con 400 uomini, adesso avrei 15.000 uomini ai
miei ordini”, oppure: “Se io disponessi oggi di qualche centinaio di migliaia
di franchi, trecento uomini, e un certo numero di ufficiali, è molto probabile
che diverrei il padrone della situazione”. Bruzzano, Precacore, Gerace, Cerri,
Serra di Cucco, Nocella, Serrastretta, ecc., sono le tappe di questo
peregrinare.
In Basilicata, Borges dopo aver vagato
senza una direzione precisa tra San Costantino Albanese, San Paolo Albanese,
Noepli, San Giorgio Lucano, Colobraro, Grassano, incontra Carmine Crocco, che comanda
molti uomini. Insieme assaltano e occupano diversi paesi: Trivigno, Calciano,
Gagaruso, Salandra, Craco, Aliano; si tratta di un’occupazione provvisoria,
perché subito arrivano le forze governative a rioccuparle. Nella piana
dell’Acinella Borges e Crocco, benché in inferiorità numerica (circa
quattrocento uomini), decidono di accettare lo scontro frontale in campo aperto
con i nemici e vincono. Conquistano Stigliano, Cirigliano, Gorgoglione,
Accettura, Grassano.
Dopo questi successi si decide di occupare
Potenza; la presa del capoluogo della Basilicata “avrebbe la naturale
conseguenza di non considerare più del tutto completata la conquista piemontese
e non ancora del tutto scomparso il Regno delle Due Sicilie”. Ma qualcosa va
storto. Crocco ne è prontamente informato e si rende conto che la partita è
persa per sempre. I notabili a lui vicini hanno abbandonato il progetto; la
borghesia rurale si schiera con i “liberatori sabaudi”, che sono i vincitori.
L’intesa fra Borges e Crocco è destinata a
fallire; dopo alcune altre azioni in comune i due si lasciano e ognuno va per
la sua strada. E Borges va verso la sua fine. Entra in campo il vice console
francese Leon de Rotrou. Borges fa alcuni passi nella sua marcia che un
comandante, esperto come lui, normalmente non farebbe. Si dirige con i suoi
fuggiaschi verso Sante Marie, in località “La Luppa”, in una cascina posseduta
dai Mastroddi, famiglia di possidenti locali, a circa quattro miglia dal
confine pontificio (e quindi dalla salvezza). Qui si ferma inspiegabilmente per
circa dieci ore. Il maggiore Franchìni, che comanda un battaglione di
bersaglieri, dà ordine di circondare la cascina. Borges decide di arrendersi, e
viene catturato con i suoi; viene condotto nella non lontana Tagliacozzo e
fucilato con i suoi. Sono circa le sedici dell’8 dicembre 1861.
Tanto altro contiene il libro di Valentino
Romano, fra personaggi e ipotesi. Vaste furono le reazioni, sui giornali
italiani e stranieri, sulla morte di Borges.
Se un appunto deve essere fatto al libro, è
quello che sarebbe stato opportuno tradurre (almeno in nota) i testi stranieri
presenti: spagnoli, francesi, ecc.
Valentino Romano, Dalle Calabrie agli Abruzzi, Il generale
José Borges tra i briganti di re Francesco II, D’Amico Editore, Nocera Superiore
2018, pp. 334