Il
libro “Carnefici” di Pino Aprile, pubblicato nel 2016, è l’ideale prosecuzione
e completamento di “Terroni”, uscito nel 2010. Obiettivo è dimostrare,
riuscendoci, che nel decennio 1861-1871 è stato perpetrato dai piemontesi
contro gli abitanti del Sud Italia un vero genocidio.
Vien data ed illustrata la definizione di
“genocidio”, traendola dal polacco Raphael Lemkim, che ebbe la famiglia
distrutta dai nazisti: esso è un «piano coordinato di azioni differenti che
hanno come obiettivo la distruzione dei fondamenti essenziali della vita dei
gruppi nazionali attraverso la distruzione delle istituzioni politiche e
sociali, dell’economia, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali o
della religione, della libertà, della dignità, della salute e perfino della
vita degli individui non per motivazioni individuali ma in quanto membri di un
gruppo nazionale». È quanto avvenuto nel Regno delle Due Sicilie nel primo
decennio postunitario.
Lo Stato piemontese impose se stesso, le
sue armi, la sua libertà alla Nazione napoletana, chiudendo giornali, riempendo
le carceri, deportando e fucilando, imponendo le sue tasse, le sue leggi e persino
i suoi impiegati. Il Sud fu annesso dal Piemonte con le armi, interi paesi
furono messi a ferro e fuoco, la gente fu seviziata, arsa viva, fucilata in
massa, stuprate le donne, saccheggiati i beni.
Per dimostrare il genocidio vengono
incrociati i risultati dei censimenti disposti dai Savoia (nel 1861 e nel 1871)
e i dati delle anagrafi borboniche. Scrive Pino Aprile che al Sud, secondo i
vari raffronti, mancano da almeno 120.000 a 652.000 persone, forse di più, solo
da metà del 1860 al 1861. Il confronto continua per i nove anni successivi. La
causa del saldo negativo è la guerra civile che si combatte in quegli anni nel
Sud, come ammettono stesse fonti piemontesi. Furono mandati 120.000 soldati
piemontesi, più i carabinieri, più le guardie nazionali a combattere i Briganti
del Sud. “Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti, all’epoca parlò di più di
un milione di morti, a causa della guerra di aggressione e delle sue conseguenze.
Ci vollero dieci anni perché le cifre, che nel
Sud decrescevano sempre più, tornassero quasi pari. Fallita la risposta
militare all’invasione, lo spopolamento del Sud continuò con l’emigrazione. Ai
vinti in armi, dopo la sconfitta resta la fuga.
Il libro contiene una sequela di numeri,
che l’autore ritiene necessari per dimostrare che al Sud vi fu un genocidio ad
opera dei piemontesi. Vengono riportati tantissimi episodi, più o meno truci, che
avvennero in moltissimi paesi del Sud. L’eccidio-simbolo dei massacri al Sud è
quello di Pontelandolfo e Casalduni, due paesi del beneventano che, per
rappresaglia e per ordine del generale “macellaio” Enrico Cialdini, furono
incendiati il 14 agosto 1861; vi furono rapine, stupri, massacri: rimasero in
piedi solo tre case. La popolazione di Pontelandolfo, da documenti ufficiali, il
10 agosto 1861 (quattro giorni prima dell’eccidio) risulta essere di 5.747
abitanti, dopo la strage del 14 agosto 1861 gli abitanti scesero a 4.284: 1.463
in meno (sono i morti di quel giorno e di quelli immediatamente successivi). E
i paesi che vennero trattati alla maniera di Pontelandolfo e Casalduni furono
decine.
Le statistiche sulle esecuzioni capitali di
quegli anni sono state fatte sparire, come sono scomparse le carte dei
censimenti. Quasi tutti i documenti importanti sono scomparsi o sono stati
nascosti. Gli studiosi ufficiali li hanno sempre ignorati. Solo pochi, ma in
anni recenti cominciano a diventare molti, hanno ricercato e tirato fuori
documenti che narrano l’altra storia, quella dei vinti. Si comincia a sapere
quello che realmente è accaduto, e la reazione degli offesi non sembra più una
barbarie.
Nel libro vengono fatte molte domande e si
tenta una risposta. Quanti furono i Briganti uccisi (solo nel 1861, scrive
Zimmermann, furono 19.540)? Quante erano le bande brigantesche (Molfese ne
conta circa quattrocento; conteggi successivi le portano a quasi cinquecento; e
la Sicilia non è inclusa)? Quanti erano i briganti (secondo i diversi conteggi
la cifra complessiva potrebbe essere compresa fra gli 85.000 e i 135.000)?
Quante furono al Sud le persone incarcerate dai piemontesi (nella sola
Agrigento, denunciò Crispi, in un mese i detenuti furono trentaduemila)? Quanti
furono i meridionali deportati in quasi tutte le isole e in una rete di città e
paesi sparsi nel nord: il più grande era quello di San Maurizio, il peggiore
era Fenestrelle (se fate due calcoli la cifra di oltre centomila non è fuori
luogo)? Le risposte (tutte riportate nel libro), date fra parentesi, sono una
semplice indicazione per capire la grandezza numerica di cui si parla; esse
sono molto più ricche e articolate nel libro.
Furono soppressi quasi 2.400 conventi e
monasteri; poco meno di 30.000 religiosi persero tetto e mezzi di sussistenza.
Inattendibili sono i dati ufficiali sulle perdite
subite dall’esercito sabaudo nella guerra contro il Brigantaggio.
Falso è anche il dato sull’alfabetizzazione
del Sud nel 1861. In realtà nel Regno delle Due Sicilie c’erano almeno una
scuola pubblica maschile e una scuola pubblica femminile per ogni Comune, oltre
a tante scuole private. Altrimenti non si spiega perché, al momento dell’Unità,
nelle Due Sicilie, ci fossero 10.528 studenti universitari, contro i 5.203 del
resto d’Italia messo insieme. Fu dopo il 1861 che, in un solo anno, vennero
chiuse 875 scuole.
Aprile chiude il suo libro affermando che
la memoria del primo decennio postunitario, liberato dalle incrostazioni della
“storia costruita”, deve avere le sue pagine, i suoi altari, i giorni del
dolore. Il genocidio dei meridionali, l’aggressione che subirono e la loro
dequalificazione umana devono diventare insegnamento scolastico, monumenti alle
vittime, nome delle strade e delle piazze, un giorno nel calendario.
Se questo non avverrà allora continueremo
ad avere due Paesi. I sentimenti che montano al Sud sono tali (minoritari
ancora, ma sempre più forti) che prima o poi si potrebbe arrivare alla
secessione.
Rocco Biondi
Rocco Biondi
Pino Aprile, Carnefici, Piemme Edizioni, Milano 2016,
pp. 466, € 19,50