Quando vinceremo anche in Sicilia e a Milano potremo nominare Berlusconi senatore a vita. Per meriti acquisiti sul campo. Aver fatto vincere in tutta Italia il centrosinistra. Prima dovrà finire di ricontarsi tutte le schede. A quelle del voto nazionale vanno ora ad aggiungersi anche quelle del voto amministrativo. Chissà se gli basterà la vita che gli resta.
La riperdita, come l´ha definita Massimo D´Alema, è stata servita dagli elettori al Berlusca su di un piatto freddo. Ed il Berlusca si incarognisce sempre più. Qualcuno, se potesse, dovrebbe consigliargli di smetterla.
La Cdl arretra dappertutto rispetto a cinque anni fa.
Il Berlusca si è slogata la spalla nel tentativo di dare la spallata a Prodi.
Le due classi dirigenti, quella di destra e quella di sinistra, sono fatte di pasta molto differente. I risultati elettorali ne sono la testimonianza. Quella del centrosinistra rafforza la propria credibilità nel governo delle città. Quella del centrodestra viene svilita e maltrattata dal miliardario ridens, che coopta solo i peggiori.
Di politico resta lo smacco di Berlusconi che ancora una volta non ha risparmiato insulti e minacce alla controparte sperando in un recupero bis, come alle politiche.
Queste elezioni che, secondo le intenzioni del Berlusca, dovevano dare lo sfratto a Prodi, hanno accelerato i tempi per lo sfratto a Berlusconi.
Ma queste elezioni hanno voluto dare anche degli schiaffi ai tanti uccelli di malaugurio presenti nella sinistra. Facevano previsioni disastrose, partendo non si riesce a capire da quali segnali, su queste elezioni. La propaganda elettorale del Berlusca aveva forse irretito pure loro. E' ora di svegliarsi, rimboccarsi le maniche, e mettersi a lavorare veramente per le cose nelle quali si dice di credere.
A cominciare dal referendum contro la devolution.
30 maggio 2006
Berlusca: la riperdita
29 maggio 2006
La Chiesa e l'olocausto
La visita di Papa Ratzinger al campo di sterminio di Auschwitz era una buona occasione per sentire da un Papa tedesco una parola chiara e definitiva di condanna del nazismo. Ma così non è stato. L'uomo ha preso la mano al Papa. Ratzinger che fu da ragazzo nella gioventù hitleriana, vestendone la divisa, non ha avuto il coraggio di distaccarsi da quel tragico passato. Si è comportato come un cittadino medio tedesco che vuol salvarsi la coscienza.
Ed allora la storia terribile dello sterminio nazista fu un affare di pochi. «I potentati del terzo Reich furono dei criminali che ingannarono un intero popolo, usato ed abusato come strumento di distruzione e di dominio in nome di prospettive di grandezza, di recupero dell'onore della nazione e della sua rilevanza» dice Ratzinger.
Alla domanda accorata che lui stesso pone: «Perchè Signore hai taciuto? Perchè hai potuto tollerare tutto questo?», Benedetto XVI non riesce a dare una risposta soddisfacente.
Di fronte ai cancelli di Auschwitz e Birkenau, ha usato due sole volte la parola che rappresenta il destino assegnato dai nazisti agli Ebrei, la Shoah. Ha nominato a ragione Stalin fra i mali del mondo (dimenticando però che sono state le truppe sovietiche ad abbattere i cancelli del luogo di sterminio tedesco-nazista), non ha mai nominato Hitler.
Quando chiede perdono a tutte le vittime del nazismo, i polacchi, i russi, i rom e quei tedeschi che finirono ad Auschwitz perchè si opposero a Hitler, non cita gli omosessuali, anch'essi sterminati. Insomma Ratzinger ha chiesto perdono, ma lo ha fatto ribadendo gran parte dei giudizi e dei pregiudizi che continuano a tenere viva e aperta la ferita nazista.
Ratzinger non riesce a dare una risposta chiara alla questione che da decenni divide la coscienza dei tedeschi: di chi fu la responsabilità.
Non ha avuto il coraggio dei governi tedeschi del dopoguerra, e della gran parte degli intellettuali di quel Paese, che hanno lavorato per impedire che si potesse dare una versione mite, riduttivistica del nazismo, che è stato e rimane un regime di sterminio, una meticolosa politica di sterminio, largamente sostenuta e condivisa dai tedeschi dell'epoca.
«Io figlio del popolo tedesco non potevo non venire qui. Dovevo venire qui. Era un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II». Ma di Papa Wojtyla non riesce ad avere il dovuto distacco storico ed intellettuale.
Il cittadino tedesco Ratzinger ha detto che la Germania, nel periodo nazista, è stata vittima di un imbroglio. E' caduta nelle mani di un gruppo di criminali. È finita sotto un governo cattivo e dispotico.
Dal Papa, da quel luogo, ci aspettavamo parole più grandi.
Ed allora la storia terribile dello sterminio nazista fu un affare di pochi. «I potentati del terzo Reich furono dei criminali che ingannarono un intero popolo, usato ed abusato come strumento di distruzione e di dominio in nome di prospettive di grandezza, di recupero dell'onore della nazione e della sua rilevanza» dice Ratzinger.
Alla domanda accorata che lui stesso pone: «Perchè Signore hai taciuto? Perchè hai potuto tollerare tutto questo?», Benedetto XVI non riesce a dare una risposta soddisfacente.
Di fronte ai cancelli di Auschwitz e Birkenau, ha usato due sole volte la parola che rappresenta il destino assegnato dai nazisti agli Ebrei, la Shoah. Ha nominato a ragione Stalin fra i mali del mondo (dimenticando però che sono state le truppe sovietiche ad abbattere i cancelli del luogo di sterminio tedesco-nazista), non ha mai nominato Hitler.
Quando chiede perdono a tutte le vittime del nazismo, i polacchi, i russi, i rom e quei tedeschi che finirono ad Auschwitz perchè si opposero a Hitler, non cita gli omosessuali, anch'essi sterminati. Insomma Ratzinger ha chiesto perdono, ma lo ha fatto ribadendo gran parte dei giudizi e dei pregiudizi che continuano a tenere viva e aperta la ferita nazista.
Ratzinger non riesce a dare una risposta chiara alla questione che da decenni divide la coscienza dei tedeschi: di chi fu la responsabilità.
Non ha avuto il coraggio dei governi tedeschi del dopoguerra, e della gran parte degli intellettuali di quel Paese, che hanno lavorato per impedire che si potesse dare una versione mite, riduttivistica del nazismo, che è stato e rimane un regime di sterminio, una meticolosa politica di sterminio, largamente sostenuta e condivisa dai tedeschi dell'epoca.
«Io figlio del popolo tedesco non potevo non venire qui. Dovevo venire qui. Era un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II». Ma di Papa Wojtyla non riesce ad avere il dovuto distacco storico ed intellettuale.
Il cittadino tedesco Ratzinger ha detto che la Germania, nel periodo nazista, è stata vittima di un imbroglio. E' caduta nelle mani di un gruppo di criminali. È finita sotto un governo cattivo e dispotico.
Dal Papa, da quel luogo, ci aspettavamo parole più grandi.
27 maggio 2006
Tettamanzi per il voto agli immigrati
L'arcivescovo di Milano cardinale Tettamanzi non teme i politicanti e non ha paura di dire pane al pane e vino al vino. L'altro giorno intervenendo ad un convegno della Cassa di Commercio ha usato parole chiarissime per dire cosa pensa del fenomeno dell'immigrazione. Ha chiamato i migranti «miei figli carissimi», ed ha detto loro, parlando di Milano: «Questa è la vostra città. Questa è la vostra casa. Milano farà di voi, come con tanti altri nel corso dei secoli, dei suoi veri figli. E da voi si aspetta che diate il meglio per costruirla, bella e forte».
Ed ha auspicato il voto agli immigrati, quanto meno nelle elezioni amministrative, ed il loro libero accesso agli incarichi pubblici.
Questa chiara presa di posizione dell´arcivescovo, proprio alla vigilia delle elezioni comunali, ha suscitato le ire dei centrodestri milanesi. Per loro l'intervento di Tettamanzi è stato come un sonoro schiaffo. Anche perché quella proposta fa parte del programma elettorale di Bruno Ferrante, candidato dell´Unione.
Ed il cardinale rincara la dose, per evitare equivoci: «I fenomeni migratori vanno certo regolamentati e disciplinati perché contribuiscano al bene di tutti. Ma questo non deve mai giustificare nessun tipo di discriminazione, ne può mai nascondere o favorire una mentalità intollerante o un clima di costante intimidazione, che alla fine portano a molteplici forme di conflittualità e di lacerazione e aprono la strada a possibili violenze». Non poteva esserci una condanna più chiara e più spietata della politica xenofoba della Lega e della destra italiana.
Gli attacchi volgari di questa parte politica non si sono lasciati attendere.
L'europarlamentare leghista Matteo Salvini si è rivolto all’arcivescovo con parole cariche di odio: «Caro monsignor Tettamanzi – è riportato nelle pagine locali del Corriere della Sera – per fortuna il sindaco di Milano lo voteranno i milanesi. Se i vescovi la mattina si alzano e pensano di essere degli imam, lo facciano pure, ma non a Milano. I vescovi pensino, anziché agli immigrati, ai milanesi poveri e a quelli che non vanno più in chiesa perché sono stufi marci».
Bel modo di rispettare, da parte di uno che si dice cattolico, il capo della sua chiesa. Il crocifisso viene usato come una clava sulla testa di un arcivescovo. Ben a ragione Fabio Brioschi scrive su aprileonline: «E questi sarebbero i difensori dell’identità cattolica? Ma Salvini lo ha mai, non dico letto, ma anche solo sfogliato il Vangelo? Davvero i cattolici milanesi possono riconoscersi nello sbraitare di un leghista che predica odio anziché tolleranza e accoglienza?».
E non è da meno la censura che è venuta dall'esponente di un partito che ama ostentare l'ispirazione cristiana. Luca Volontè dell'Udc si spaccia per interprete autentico della verità cattolica in politica e scomunica il cardinal Tettamanzi. «Ognuno di noi - avverte - ha un dovere in più, nelle ore che ci dividono dal voto di importanti città, tra cui Milano. Astenersi dal prender parte e dal 'citare' punti del programma dei singoli candidati è appunto un dovere civile e nello stesso tempo un esercizio della virtù della prudenza». Il cardinale è avvertito.
Ma Tettamanzi va avanti per la sua strada e sottolinea che in senso cristiano la risposta al disagio sociale «deve partire dalla considerazione che ha maggiori diritti non chi possiede da più tempo la residenza in città, ma soltanto chi ha più bisogno, sia egli residente da lunga data o migrante».
Domani si vota a Milano e non sappiamo chi vincerà. Ma i principi proclamati da Tettamanzi sono irrinunciabili.
Tettamazzi: sì al diritto di voto alle amministrative per gli immigrati
Il cardinal Tettamanzi: voto agli immigrati. E la destra insorge
Milano: Tettamanzi, "Sì al voto per gli immigrati"
Ed ha auspicato il voto agli immigrati, quanto meno nelle elezioni amministrative, ed il loro libero accesso agli incarichi pubblici.
Questa chiara presa di posizione dell´arcivescovo, proprio alla vigilia delle elezioni comunali, ha suscitato le ire dei centrodestri milanesi. Per loro l'intervento di Tettamanzi è stato come un sonoro schiaffo. Anche perché quella proposta fa parte del programma elettorale di Bruno Ferrante, candidato dell´Unione.
Ed il cardinale rincara la dose, per evitare equivoci: «I fenomeni migratori vanno certo regolamentati e disciplinati perché contribuiscano al bene di tutti. Ma questo non deve mai giustificare nessun tipo di discriminazione, ne può mai nascondere o favorire una mentalità intollerante o un clima di costante intimidazione, che alla fine portano a molteplici forme di conflittualità e di lacerazione e aprono la strada a possibili violenze». Non poteva esserci una condanna più chiara e più spietata della politica xenofoba della Lega e della destra italiana.
Gli attacchi volgari di questa parte politica non si sono lasciati attendere.
L'europarlamentare leghista Matteo Salvini si è rivolto all’arcivescovo con parole cariche di odio: «Caro monsignor Tettamanzi – è riportato nelle pagine locali del Corriere della Sera – per fortuna il sindaco di Milano lo voteranno i milanesi. Se i vescovi la mattina si alzano e pensano di essere degli imam, lo facciano pure, ma non a Milano. I vescovi pensino, anziché agli immigrati, ai milanesi poveri e a quelli che non vanno più in chiesa perché sono stufi marci».
Bel modo di rispettare, da parte di uno che si dice cattolico, il capo della sua chiesa. Il crocifisso viene usato come una clava sulla testa di un arcivescovo. Ben a ragione Fabio Brioschi scrive su aprileonline: «E questi sarebbero i difensori dell’identità cattolica? Ma Salvini lo ha mai, non dico letto, ma anche solo sfogliato il Vangelo? Davvero i cattolici milanesi possono riconoscersi nello sbraitare di un leghista che predica odio anziché tolleranza e accoglienza?».
E non è da meno la censura che è venuta dall'esponente di un partito che ama ostentare l'ispirazione cristiana. Luca Volontè dell'Udc si spaccia per interprete autentico della verità cattolica in politica e scomunica il cardinal Tettamanzi. «Ognuno di noi - avverte - ha un dovere in più, nelle ore che ci dividono dal voto di importanti città, tra cui Milano. Astenersi dal prender parte e dal 'citare' punti del programma dei singoli candidati è appunto un dovere civile e nello stesso tempo un esercizio della virtù della prudenza». Il cardinale è avvertito.
Ma Tettamanzi va avanti per la sua strada e sottolinea che in senso cristiano la risposta al disagio sociale «deve partire dalla considerazione che ha maggiori diritti non chi possiede da più tempo la residenza in città, ma soltanto chi ha più bisogno, sia egli residente da lunga data o migrante».
Domani si vota a Milano e non sappiamo chi vincerà. Ma i principi proclamati da Tettamanzi sono irrinunciabili.
Tettamazzi: sì al diritto di voto alle amministrative per gli immigrati
Il cardinal Tettamanzi: voto agli immigrati. E la destra insorge
Milano: Tettamanzi, "Sì al voto per gli immigrati"
26 maggio 2006
'Omm 'e merda
A Berlusconi gli è piaciuta tanto la battuta che se l'è ripetuta lui stesso, dal palco, durante la campagna elettorale per le elezioni del sindaco a Napoli. E l'ha detta pure in napoletano. Come i turisti, i quali la prima cosa che imparano, non appena giungono in un paese straniero, sono le parolacce dello slang popolare. Prendo la citazione dal Corriere della Sera: «Mi ha avvicinato una ragazzotta e mi ha dato - Berlusconi lo dice in napoletano - dell' 'omm 'e merda».
Ringrazio il compagno "se fossi stato - forsedovrei" per avermelo annotato.
Ed intanto Berlusconi, nella sua lucida follia (è follia o è prepotenza che gli deriva dai soldi?), minaccia di scatenare la piazza contro la sinistra. Parte sempre dalla solita fissa: gli mancano le schede. E se le ritrova dice che farà sfracelli. Nemmeno Moretti è riuscito a ipotizzare gli scenari che il cavalier berlusca evoca. Come un nuovo Masaniello. Tutti a Roma con i forconi in mano.
Ma Piazza Matteotti, ieri a Napoli, per il comizio di chiusura del berlusca, era semivuota (non più di un migliaia, dicono le cronache).
Ma intanto Antonio Padellaro ci mette in guardia e ci dice che il Berlusca va preso sul serio, quando minaccia una nuova marcia su Roma. «Ma la maggioranza non si mostra impressionata e minimizza e ci ride su, come si fa con un comiziante che ha alzato troppo il gomito. Eppure quell´uomo che ha della democrazia la stessa concezione di un despota caucasico ha già dimostrato cosa significa prenderlo sotto gamba».
Ringrazio il compagno "se fossi stato - forsedovrei" per avermelo annotato.
Ed intanto Berlusconi, nella sua lucida follia (è follia o è prepotenza che gli deriva dai soldi?), minaccia di scatenare la piazza contro la sinistra. Parte sempre dalla solita fissa: gli mancano le schede. E se le ritrova dice che farà sfracelli. Nemmeno Moretti è riuscito a ipotizzare gli scenari che il cavalier berlusca evoca. Come un nuovo Masaniello. Tutti a Roma con i forconi in mano.
Ma Piazza Matteotti, ieri a Napoli, per il comizio di chiusura del berlusca, era semivuota (non più di un migliaia, dicono le cronache).
Ma intanto Antonio Padellaro ci mette in guardia e ci dice che il Berlusca va preso sul serio, quando minaccia una nuova marcia su Roma. «Ma la maggioranza non si mostra impressionata e minimizza e ci ride su, come si fa con un comiziante che ha alzato troppo il gomito. Eppure quell´uomo che ha della democrazia la stessa concezione di un despota caucasico ha già dimostrato cosa significa prenderlo sotto gamba».
25 maggio 2006
Napolitano: distendere l'Italia
«Presidente Napolitano, che ne pensa di Berlusconi?».
«No comment», è la risposta di Napolitano, nella sua prima intervista ufficiale, al settimanale francese l'Express. Non vi è maggior condanna del silenzio. Il Berlusca è il maggior responsabile del deterioramento del clima politico e parlamentare in Italia.
Napolitano è consapevole che in Italia c'è bisogno di disgelo e sostiene: «Oggi occorre distendere l'Italia, superare la feroce interpretazione del bipolarismo e del principio maggioritario». Il maggioritario non può essere la dittatura della maggioranza.
Ma su questi temi Berlusconi è sordo da tutte e due le orecchie. Lui continua a ritenersi la maggioranza virtuale nel paese e minaccia di far scendere in piazza i suoi contro la maggioranza reale. In Italia a comandare non può essere che uno solo: lui. Alla faccia della democrazia.
Ha un bel dire Napolitano: «In questi ultimi anni, il bipolarismo è stato concepito come un sistema nel quale chi ha la maggioranza è onnipotente. Ciò significa la guerra totale, l'incomunicabilità assoluta, nessun impegno comune». Ma questo è Berlusconi, lui non capisce altro tipo di politica. Finché ci sarà lui non ci sarà dialogo. Urge liberarsi definitivamente di lui. E per far questo c'è bisogno dell'intervento dei suoi alleati. Fini e Casini datevi una mossa.
Anch'io credo, come Napolitano, che «esiste un'altra concezione, più civile, di rispetto tra le coalizioni avverse, malgrado le differenze. Il clima deve cambiare. In Parlamento e nel Paese».
Berlusconi se ne deve andare a casa. Per sempre.
Napolitano: Basta con le divisioni. Ma la destra lo insulta
«No comment», è la risposta di Napolitano, nella sua prima intervista ufficiale, al settimanale francese l'Express. Non vi è maggior condanna del silenzio. Il Berlusca è il maggior responsabile del deterioramento del clima politico e parlamentare in Italia.
Napolitano è consapevole che in Italia c'è bisogno di disgelo e sostiene: «Oggi occorre distendere l'Italia, superare la feroce interpretazione del bipolarismo e del principio maggioritario». Il maggioritario non può essere la dittatura della maggioranza.
Ma su questi temi Berlusconi è sordo da tutte e due le orecchie. Lui continua a ritenersi la maggioranza virtuale nel paese e minaccia di far scendere in piazza i suoi contro la maggioranza reale. In Italia a comandare non può essere che uno solo: lui. Alla faccia della democrazia.
Ha un bel dire Napolitano: «In questi ultimi anni, il bipolarismo è stato concepito come un sistema nel quale chi ha la maggioranza è onnipotente. Ciò significa la guerra totale, l'incomunicabilità assoluta, nessun impegno comune». Ma questo è Berlusconi, lui non capisce altro tipo di politica. Finché ci sarà lui non ci sarà dialogo. Urge liberarsi definitivamente di lui. E per far questo c'è bisogno dell'intervento dei suoi alleati. Fini e Casini datevi una mossa.
Anch'io credo, come Napolitano, che «esiste un'altra concezione, più civile, di rispetto tra le coalizioni avverse, malgrado le differenze. Il clima deve cambiare. In Parlamento e nel Paese».
Berlusconi se ne deve andare a casa. Per sempre.
Napolitano: Basta con le divisioni. Ma la destra lo insulta
24 maggio 2006
Il buco di Tremonti
Vi ricordate cinque anni fa la litania, da parte del centro destra, sul buco che avrebbe lasciato il centrosinistra? Ed il buco non c'era. Ora quelli del centrodestra, capitanati dal creativo Tremonti, il buco all'economia italiana l'hanno fatto veramente grande. Padoa-Schioppa e Prodi sono fortemente preoccupati. Il buco è di 10 miliardi di euro. Una cifra enorme ed incalcolabile da parte di noi poveri mortali.
Ci dovremmo aspettare da ora in avanti interventi da lacrime e sangue. Ma i nostri governanti sono uomini saggi. «Bisogna agire subito e prevedere una strategia di diminuzione dell'enorme debito che pesa sulle nostre spalle», ha detto Prodi in parlamento. Ma si punterà ad interventi strutturali e non a "manovre creative", una tantum, di tremontiana memoria. La scure deve colpire quelli che finora hanno evaso le tasse. Devono pagare i ricchi, tipo Berlusconi o aspiranti tali. I poveri diavoli come noi non hanno più buchi da stringere alla cinghia. Pagare tutti per pagare di meno. Stop ai condoni, torna la tassa di successione per gli straricchi sui grandi patrimoni, urge un nuovo regime per le rendite. Comunque noi lavoratori dipendenti, e chi un lavoro non ce l'ha proprio, non abbiamo niente da temere.
Per intanto è cominciato il lavoro di ricognizione. Bisogna conoscere per deliberare, dice Padoa-Schioppa.
«Il disastro è grande, ma ce la faremo».
"Buco peggio del previsto"
Ci dovremmo aspettare da ora in avanti interventi da lacrime e sangue. Ma i nostri governanti sono uomini saggi. «Bisogna agire subito e prevedere una strategia di diminuzione dell'enorme debito che pesa sulle nostre spalle», ha detto Prodi in parlamento. Ma si punterà ad interventi strutturali e non a "manovre creative", una tantum, di tremontiana memoria. La scure deve colpire quelli che finora hanno evaso le tasse. Devono pagare i ricchi, tipo Berlusconi o aspiranti tali. I poveri diavoli come noi non hanno più buchi da stringere alla cinghia. Pagare tutti per pagare di meno. Stop ai condoni, torna la tassa di successione per gli straricchi sui grandi patrimoni, urge un nuovo regime per le rendite. Comunque noi lavoratori dipendenti, e chi un lavoro non ce l'ha proprio, non abbiamo niente da temere.
Per intanto è cominciato il lavoro di ricognizione. Bisogna conoscere per deliberare, dice Padoa-Schioppa.
«Il disastro è grande, ma ce la faremo».
"Buco peggio del previsto"
23 maggio 2006
Cannes: il Caimano è ancora vivo
Il Caimano Berlusconi, nonostante abbia perso le elezioni, è sempre vivo. Nanni Moretti, nella conferenza stampa a fine film, non ha peli sulla lingua. «In Italia è accaduta una cosa unica: per quattro volte in dieci anni è stato permesso ad un candidato con un enorme potere mediatico e interessi economici in molti settori di presentarsi alle elezioni e diventare due volte Presidente del Consiglio. Sarebbe il caso che questo non accadesse per la quinta volta, visto che, secondo me, Berlusconi non resisterà cinque anni all'opposizione e farà di tutto per evitarlo». Urge fare una legge seria sul conflitto d'interessi per impedire a Berlusconi di presentarsi ancora all'elezioni.
Parlando con la stampa estera dell´ex premier, il regista non ha usato giri di parole per descrivere un innaturale competitore politico «che per 15 giorni non riconosce la sconfitta e parla di brogli nel silenzio dei suoi alleati. Facendo così sentire i suoi elettori non sconfitti ma derubati». Un atteggiamento «molto grave in democrazia». Per questo considera il suo film ancora attuale, raccontando di un Cavaliere che scorazza «nelle istituzioni, disprezzandole».
Moretti, già vincitore 5 anni fa della Palma d'Oro per La stanza del figlio, oggi si ripresenta sulla Croisette con un film "anche" politico che riguarda Silvio Berlusconi.
«Nel mio film, soprattutto nel finale, - dice Moretti - ho voluto sottolineare la pericolosità di quel modo di stare nelle istituzioni disprezzandole che è proprio di Berlusconi».
Il film proiettato ieri a Cannes, in concorso, ha riscosso un grande consenso di pubblico. Chissà se succederà lo stesso con la giuria.
Intanto a Cannes Nanni Moretti ha già ricevuto, per Il caimano, il "Premio Arcobaleno Latino", creato da Gillo Pontecorvo. Questa la motivazione: «Il premio va a un maestro tra i maestri del cinema europeo per una storia che è riflessione e testimonianza sullo stato della nostra civiltà. Il ritratto amaro e impietoso di una crisi d'identità collettiva che è deriva morale, culturale e politica dei singoli". Il caimano viene definito come «un atto di cinema coraggioso, maturo e indipendente, sorretto da un cast eccellente, dalla materiale presenza di Silvio Orlando a quella lunare di Margherita Buy, dalla trasognata vivida fotografia di Arnaldo Catinari alle immaginifiche suggestioni sonore di Franco Piersanti. Moretti unisce l'amore per il cinema con quello per la politica».
«Il Caimano è sempre vivo»
Moretti a Cannes: evitiamo un Berlusconi 5
Moretti alla sinistra: il clima non è cambiato
Cannes, applausi per Nanni Moretti - "Berlusconi? E' ancora un pericolo"
Parlando con la stampa estera dell´ex premier, il regista non ha usato giri di parole per descrivere un innaturale competitore politico «che per 15 giorni non riconosce la sconfitta e parla di brogli nel silenzio dei suoi alleati. Facendo così sentire i suoi elettori non sconfitti ma derubati». Un atteggiamento «molto grave in democrazia». Per questo considera il suo film ancora attuale, raccontando di un Cavaliere che scorazza «nelle istituzioni, disprezzandole».
Moretti, già vincitore 5 anni fa della Palma d'Oro per La stanza del figlio, oggi si ripresenta sulla Croisette con un film "anche" politico che riguarda Silvio Berlusconi.
«Nel mio film, soprattutto nel finale, - dice Moretti - ho voluto sottolineare la pericolosità di quel modo di stare nelle istituzioni disprezzandole che è proprio di Berlusconi».
Il film proiettato ieri a Cannes, in concorso, ha riscosso un grande consenso di pubblico. Chissà se succederà lo stesso con la giuria.
Intanto a Cannes Nanni Moretti ha già ricevuto, per Il caimano, il "Premio Arcobaleno Latino", creato da Gillo Pontecorvo. Questa la motivazione: «Il premio va a un maestro tra i maestri del cinema europeo per una storia che è riflessione e testimonianza sullo stato della nostra civiltà. Il ritratto amaro e impietoso di una crisi d'identità collettiva che è deriva morale, culturale e politica dei singoli". Il caimano viene definito come «un atto di cinema coraggioso, maturo e indipendente, sorretto da un cast eccellente, dalla materiale presenza di Silvio Orlando a quella lunare di Margherita Buy, dalla trasognata vivida fotografia di Arnaldo Catinari alle immaginifiche suggestioni sonore di Franco Piersanti. Moretti unisce l'amore per il cinema con quello per la politica».
«Il Caimano è sempre vivo»
Moretti a Cannes: evitiamo un Berlusconi 5
Moretti alla sinistra: il clima non è cambiato
Cannes, applausi per Nanni Moretti - "Berlusconi? E' ancora un pericolo"
22 maggio 2006
Il Codice Da Vinci - Film
La parola è più potente dell'immagine. Chi ha letto il libro può fare benissimo a meno di andare a vedere il film. Il film non riesce a tradurre il fascino del libro. Per chi ha letto il libro il film può essere un semplice ripasso. Il film è una trasposizione quasi fedele del libro, con qualche aggiustamento. L'attacco alla Chiesa viene mitigato. Nel film non sono l'Opus Dei ed il Vaticano ad andare alla caccia dei "figli di Dio" e del Priorato di Sion, che li nasconde. Ma una cupola clandestina dentro il Vaticano. Alla fine del film la fede cristiana viene in qualche modo salvata.
La realizzazione del film è costata 125 milioni di dollari.
Le copie vendute del libro, in tutto il mondo, sono state circa 46 milioni. Ma quanti l'hanno letto veramente? Vedendo solo il film è difficile capirne la trama. Bisogna ricorrere al libro.
Un critico cinematografico che stimo, Alberto Crespi, da Cannes, dove il film è stato presentato fuori concorso, ha scritto che Il Codice Da Vinci è una boiata pazzesca che ha scatenato in sala anche una grande risata. Ma intanto il film, nei tre giorni del primo week end di programmazione, ha battuto nelle sale italiane il record di incassi di tutti i tempi.
Non mi hanno entusiasmato, come recitazione, né Tom Hanks né la Audrey Tautou. Ma fra i due quello che mi è parso più spaesato e fuori ruolo è stato Tom Hanks. Ha fatto cose migliori.
Del film l'unica cosa che mi ha colpito positivamente è stata la musica. Ma forse il merito è stato dell'apparato di amplificazione della sala.
Film da non vedere. Chi non lo vede non si perde niente. Ma forse è difficile resistere al battage pubblicitario.
Trama
Per proteggere un segreto, a volte basta chiedere a chi lo custodisce di non rivelarlo. Ma se il segreto può far crollare 2.000 anni di dogmi consolidati, bisogna mettere a tacere i suoi depositari. Costasse anche la loro vita. Nel Museo del Louvre ha avuto luogo uno spettacolare omicidio. Tutti gli indizi fanno pensare ad una setta religiosa che non si ferma davanti a niente, pur di difendere una verità. Solo che la verità non può essere nascosta ancora a lungo e il mistero rischia di essere decodificato.
Cast
Regia: Ron Howard
Interpreti: Tom Hanks, Jean Reno, Audrey Tautou, Alfred Molina, Ian McKellen, Paul Bettany, Jurgen Prochnow
Titolo originale: The Da Vinci Code
Genere: Thriller, Drammatico
Nazione: U.S.A.
Produzione: Columbia Pictures Corporation, Imagine Entertainment
Distribuzione: Sony Pictures
Durata: 148'
Data di uscita: Cannes 2006, 19 Maggio 2006 (cinema)
Sito ufficiale: http://www.sonypictures.com/movies/thedavincicode/
Sito italiano: www.codice-davinci.it
RECORD PER CODICE DA VINCI, MIGLIOR RISULTATO DI TUTTI I TEMPI
Il Codice Da Vinci: un record mondiale
La realizzazione del film è costata 125 milioni di dollari.
Le copie vendute del libro, in tutto il mondo, sono state circa 46 milioni. Ma quanti l'hanno letto veramente? Vedendo solo il film è difficile capirne la trama. Bisogna ricorrere al libro.
Un critico cinematografico che stimo, Alberto Crespi, da Cannes, dove il film è stato presentato fuori concorso, ha scritto che Il Codice Da Vinci è una boiata pazzesca che ha scatenato in sala anche una grande risata. Ma intanto il film, nei tre giorni del primo week end di programmazione, ha battuto nelle sale italiane il record di incassi di tutti i tempi.
Non mi hanno entusiasmato, come recitazione, né Tom Hanks né la Audrey Tautou. Ma fra i due quello che mi è parso più spaesato e fuori ruolo è stato Tom Hanks. Ha fatto cose migliori.
Del film l'unica cosa che mi ha colpito positivamente è stata la musica. Ma forse il merito è stato dell'apparato di amplificazione della sala.
Film da non vedere. Chi non lo vede non si perde niente. Ma forse è difficile resistere al battage pubblicitario.
Trama
Per proteggere un segreto, a volte basta chiedere a chi lo custodisce di non rivelarlo. Ma se il segreto può far crollare 2.000 anni di dogmi consolidati, bisogna mettere a tacere i suoi depositari. Costasse anche la loro vita. Nel Museo del Louvre ha avuto luogo uno spettacolare omicidio. Tutti gli indizi fanno pensare ad una setta religiosa che non si ferma davanti a niente, pur di difendere una verità. Solo che la verità non può essere nascosta ancora a lungo e il mistero rischia di essere decodificato.
Cast
Regia: Ron Howard
Interpreti: Tom Hanks, Jean Reno, Audrey Tautou, Alfred Molina, Ian McKellen, Paul Bettany, Jurgen Prochnow
Titolo originale: The Da Vinci Code
Genere: Thriller, Drammatico
Nazione: U.S.A.
Produzione: Columbia Pictures Corporation, Imagine Entertainment
Distribuzione: Sony Pictures
Durata: 148'
Data di uscita: Cannes 2006, 19 Maggio 2006 (cinema)
Sito ufficiale: http://www.sonypictures.com/movies/thedavincicode/
Sito italiano: www.codice-davinci.it
RECORD PER CODICE DA VINCI, MIGLIOR RISULTATO DI TUTTI I TEMPI
Il Codice Da Vinci: un record mondiale
21 maggio 2006
Il codice da Vinci - II
«Sono il mistero e la meraviglia a muovere le nostre anime, non il Graal in se stesso. La bellezza del Graal sta nella sua natura inafferrabile». Concordo pienamente con questa affermazione che Dan Brown mette in bocca a Marie Chauvel alla fine del suo libro. E' questo forse il messaggio "pulito" che Dan Brown ha voluto lanciare con le 523 pagine del suo romanzo thriller. Concordo un po' meno invece con la strada e i mezzi "poco puliti" che ha usati per lanciare il messaggio.
Non ci si salva la coscienza affermando che il libro è un'opera di fantasia e che i personaggi sono di pura invenzione. Cosa diremmo noi se qualcuno scrivendo la storia della nostra famiglia dicesse che nostra madre è una puttana, ma solo per finzione ed esigenze di racconto? Sarebbe legittima la nostra reazione nei confronti di quel ipotetico autore: «Della "puttana" lo dai a tua madre». Con altre parole, è la legittima reazione dei cattolici contro Dan Brown.
Ritengo che sarebbe stato più onesto se Dan Brown avesse epurato il suo racconto dalle invenzioni presentate come storiche. In questa ottica sarebbe stata forse opportuna la soppressione di sei capitoli, dal 55 al 60. L'economia del racconto non avrebbe perso niente. Ma forse ne avrebbe perso la "disonesta" operazione commerciale. Questo forse è il problema vero.
Io, che certamente "chierico" non sono, ritengo che la Chiesa cattolica sia stata, nelle sue reazioni, fin troppo compita e democratica. Immaginate cosa sarebbe successo nel mondo se Dan Brown avesse scritto qualcosa di simile contro Maometto.
Sul sito dell'Opus Dei hanno mille ragioni da vendere quando scrivono: «Essendo un'istituzione maschilista, si ripete nel libro, la Chiesa aborrirebbe il femminino sacro di cui la Maddalena sarebbe portatrice. Peccato che, in cinquecento pagine abbondanti, l'autore non abbia trovato spazio per ragionare un po' sul ruolo dell'altra Maria, la Madre di Gesù, figlia del suo Figlio e corredentrice».
Altra storia è quella dell'accusa di plagio contro Dan Brown, avanzata da due autori inglesi che sostenevano che il bestseller fosse stato "copiato" da un loro saggio del 1982.
L'Alta corte di Londra ha dato torto ai due autori. L'accusa nei confronti di Brown era di aver copiato il tema centrale da The Holy Blood and The Holy Grail di Michael Baigent e Richard Leigh, tradotto in Italia con il titolo Il Santo Graal.
Brown, nella sua deposizione, aveva ammesso di aver letto il libro di Baigent e Leigh mentre faceva ricerche per Il Codice (questo fatto appare anche nel cap. 60 del romanzo), ma aveva spiegato che era una delle fonti usate, e che non aveva preso dal saggio l'idea del suo romanzo.
Ora andrò a vedere il film, per capire come le parole del romanzo siano state tradotte in immagini.
Codice Da Vinci: molti soldi, poca qualità
"Il Codice da Vinci" non è plagio. Dan Brown vince la causa
Non ci si salva la coscienza affermando che il libro è un'opera di fantasia e che i personaggi sono di pura invenzione. Cosa diremmo noi se qualcuno scrivendo la storia della nostra famiglia dicesse che nostra madre è una puttana, ma solo per finzione ed esigenze di racconto? Sarebbe legittima la nostra reazione nei confronti di quel ipotetico autore: «Della "puttana" lo dai a tua madre». Con altre parole, è la legittima reazione dei cattolici contro Dan Brown.
Ritengo che sarebbe stato più onesto se Dan Brown avesse epurato il suo racconto dalle invenzioni presentate come storiche. In questa ottica sarebbe stata forse opportuna la soppressione di sei capitoli, dal 55 al 60. L'economia del racconto non avrebbe perso niente. Ma forse ne avrebbe perso la "disonesta" operazione commerciale. Questo forse è il problema vero.
Io, che certamente "chierico" non sono, ritengo che la Chiesa cattolica sia stata, nelle sue reazioni, fin troppo compita e democratica. Immaginate cosa sarebbe successo nel mondo se Dan Brown avesse scritto qualcosa di simile contro Maometto.
Sul sito dell'Opus Dei hanno mille ragioni da vendere quando scrivono: «Essendo un'istituzione maschilista, si ripete nel libro, la Chiesa aborrirebbe il femminino sacro di cui la Maddalena sarebbe portatrice. Peccato che, in cinquecento pagine abbondanti, l'autore non abbia trovato spazio per ragionare un po' sul ruolo dell'altra Maria, la Madre di Gesù, figlia del suo Figlio e corredentrice».
Altra storia è quella dell'accusa di plagio contro Dan Brown, avanzata da due autori inglesi che sostenevano che il bestseller fosse stato "copiato" da un loro saggio del 1982.
L'Alta corte di Londra ha dato torto ai due autori. L'accusa nei confronti di Brown era di aver copiato il tema centrale da The Holy Blood and The Holy Grail di Michael Baigent e Richard Leigh, tradotto in Italia con il titolo Il Santo Graal.
Brown, nella sua deposizione, aveva ammesso di aver letto il libro di Baigent e Leigh mentre faceva ricerche per Il Codice (questo fatto appare anche nel cap. 60 del romanzo), ma aveva spiegato che era una delle fonti usate, e che non aveva preso dal saggio l'idea del suo romanzo.
Ora andrò a vedere il film, per capire come le parole del romanzo siano state tradotte in immagini.
Codice Da Vinci: molti soldi, poca qualità
"Il Codice da Vinci" non è plagio. Dan Brown vince la causa
19 maggio 2006
Governo Prodi: cahiers de doléances
Molteplici sono i motivi di scontento nei confronti del governo Prodi, da parte di chi come me ha contribuito con il voto alla sua nascita.
Eccone alcuni.
1) Romano Prodi tra ministri, viceministri e sottosegretari ha assegnato 99 poltrone, una in più di Berlusconi III e due in meno di Andreootti VII. Presidente, 26 ministri, 63 sottosegretari, 9 viceministri. Poco bella figura per chi aveva proclamato che avrebbe diminuito i ministeri.
2) Solo sei ministro donne, di cui solo una con portafoglio. Prodi aveva promesso che un terzo dei ministeri sarebbe stato assegnato a donne. La situazione è ancora meno rosea con i sottosegretari.
3) Grossa bega a Roma. I margheriti di Rutelli si son pappati tutti i posti al governo, lasciando a secco i veltroniani. Niente per Bettini e Borgna. I Ds romani non hanno gradito ed hanno accusato Rutelli di "incomprensibile arroganza". Con la campagna per le elezioni comunali in corso non è un belvedere.
4) Il ministero delle "Politiche giovanili e attività sportive" della Melandri è «senza portafoglio, senza sedie e senza persone da far sedere sulle sedie», scherza sarcasticamente la ministra. E' passata dal ministero dei Beni culturali con 25mila dipendenti ad uno con solo tre dipendenti.
5) La repubblicana europea Luciana Sbarbati è incazzata. Non avendo avuto nessun tipo di posto nel governo minaccia di non bere più olio.
Comunque, forza Prodi! Dobbiamo resistere cinque anni. Meglio se con un poco di più coerenza.
Eccone alcuni.
1) Romano Prodi tra ministri, viceministri e sottosegretari ha assegnato 99 poltrone, una in più di Berlusconi III e due in meno di Andreootti VII. Presidente, 26 ministri, 63 sottosegretari, 9 viceministri. Poco bella figura per chi aveva proclamato che avrebbe diminuito i ministeri.
2) Solo sei ministro donne, di cui solo una con portafoglio. Prodi aveva promesso che un terzo dei ministeri sarebbe stato assegnato a donne. La situazione è ancora meno rosea con i sottosegretari.
3) Grossa bega a Roma. I margheriti di Rutelli si son pappati tutti i posti al governo, lasciando a secco i veltroniani. Niente per Bettini e Borgna. I Ds romani non hanno gradito ed hanno accusato Rutelli di "incomprensibile arroganza". Con la campagna per le elezioni comunali in corso non è un belvedere.
4) Il ministero delle "Politiche giovanili e attività sportive" della Melandri è «senza portafoglio, senza sedie e senza persone da far sedere sulle sedie», scherza sarcasticamente la ministra. E' passata dal ministero dei Beni culturali con 25mila dipendenti ad uno con solo tre dipendenti.
5) La repubblicana europea Luciana Sbarbati è incazzata. Non avendo avuto nessun tipo di posto nel governo minaccia di non bere più olio.
Comunque, forza Prodi! Dobbiamo resistere cinque anni. Meglio se con un poco di più coerenza.
17 maggio 2006
La verità sul Codice da Vinci
Bart D. Ehrman, uno tra i più autorevoli studiosi delle origini del cristianesimo, nel suo libro La verità sul Codice da Vinci cerca di fare chiarezza sui molti punti controversi del libro di Dan Brown, separa i fatti storici dalla creazione letteraria, fornisce ai lettori una chiave di decodifica dei segreti di uno dei libri più avvincenti finora scritti.
La capacità di registi e scrittori - scrive - di condizionare i sentimenti e modificare le opinioni del pubblico non è di per sé né buona né cattiva; è semplicemente una realtà dei nostri tempi. Ma se le immagini che creano per gli spettatori o per i lettori sono erronee, i fatti saranno per forza travisati e la finzione si sostituirà alla storia.
Ed ecco il decalogo da lui stilato sugli errori del Codice da Vinci.
1. La vita di Gesù certamente non è stata «scritta da migliaia di suoi seguaci in tutte le terre». Gesù non aveva migliaia di seguaci e men che meno alfabetizzati (p. 272).
2. Non è vero, ed è improprio, dire che «più di ottanta vangeli sono stati presi in considerazione per il Nuovo Testamento» (p. 272).
3. Non è assolutamente vero che prima del concilio di Nicea Gesù non era considerato divino bensì un «profeta mortale» (p. 273). La maggioranza dei cristiani, fin dall'inizio del IV secolo, ne riconosceva la divinità. (Alcuni pensavano che fosse divino al punto da non essere affatto umano!)
4. Costantino non commissionò una «nuova Bibbia» che omettesse i riferimenti ai tratti umani di Gesù (p. 275). Anzitutto non ne commissionò affatto una nuova, e inoltre, i libri che vi furono inclusi sono fitti di riferimenti ai tratti umani di Cristo (è affamato, stanco, si arrabbia; turbato; sanguina, muore...).
5. I Rotoli del Mar Morto non furono «trovati negli anni Cinquanta» (p. 275). Era il 1947. E i documenti di Nag Hammadi non raccontano per nulla la storia del Gral, né sottolineano l'umanità di Gesù. Semmai il contrario.
6. Il «costume dell'epoca» non imponeva «a un ebreo di essere sposato» (p. 288). Infatti i membri della comunità dei Rotoli del Mar Nero erano in gran parte maschi celibi.
7. I Rotoli del Mar Morto non sono tra «i più antichi documenti cristiani» (p. 288). Sono ebraici e di cristiano non hanno nulla.
8. Non sappiamo niente della discendenza di Maria Maddalena e niente la collega alla «Casa di Beniamino». Se anche ne avesse fatto parte, ciò non farebbe di lei una discendente di Davide (p. 291).
9. Non c'è nessun dato a confermare che Maria Maddalena era incinta all'epoca della crocifissione (p. 298).
10. Il documento Q non è una fonte pervenuta a noi e nascosta dal Vaticano, né un libro forse scritto dallo stesso Gesù. E' un ipotetico documento che per gli studiosi potrebbe essere stato a disposizione di Matteo e di Luca: sarebbe sostanzialmente una raccolta dei detti di Gesù. Gli studiosi cattolici ne hanno la stessa opinione dei non cattolici; non esistono segreti in merito (p. 300).
E così anche nessuna delle fonti antiche di cui disponiamo rivela che Gesù era sposato, tento meno con Maria Maddalena.
E' facile fare affermazioni sensazionalistiche su Gesù: Gesù era sposato! Gesù ebbe dei figli! Gesù era un mago! Gesù era un marxista! Gesù era un rivoluzionario armato! Gesù era gay! La gente comune ha pieno diritto di fare tutte le affermazioni che vuole, ma gli storici devono guardare alle prove. E di prove in questi sensi non ve ne sono.
La capacità di registi e scrittori - scrive - di condizionare i sentimenti e modificare le opinioni del pubblico non è di per sé né buona né cattiva; è semplicemente una realtà dei nostri tempi. Ma se le immagini che creano per gli spettatori o per i lettori sono erronee, i fatti saranno per forza travisati e la finzione si sostituirà alla storia.
Ed ecco il decalogo da lui stilato sugli errori del Codice da Vinci.
1. La vita di Gesù certamente non è stata «scritta da migliaia di suoi seguaci in tutte le terre». Gesù non aveva migliaia di seguaci e men che meno alfabetizzati (p. 272).
2. Non è vero, ed è improprio, dire che «più di ottanta vangeli sono stati presi in considerazione per il Nuovo Testamento» (p. 272).
3. Non è assolutamente vero che prima del concilio di Nicea Gesù non era considerato divino bensì un «profeta mortale» (p. 273). La maggioranza dei cristiani, fin dall'inizio del IV secolo, ne riconosceva la divinità. (Alcuni pensavano che fosse divino al punto da non essere affatto umano!)
4. Costantino non commissionò una «nuova Bibbia» che omettesse i riferimenti ai tratti umani di Gesù (p. 275). Anzitutto non ne commissionò affatto una nuova, e inoltre, i libri che vi furono inclusi sono fitti di riferimenti ai tratti umani di Cristo (è affamato, stanco, si arrabbia; turbato; sanguina, muore...).
5. I Rotoli del Mar Morto non furono «trovati negli anni Cinquanta» (p. 275). Era il 1947. E i documenti di Nag Hammadi non raccontano per nulla la storia del Gral, né sottolineano l'umanità di Gesù. Semmai il contrario.
6. Il «costume dell'epoca» non imponeva «a un ebreo di essere sposato» (p. 288). Infatti i membri della comunità dei Rotoli del Mar Nero erano in gran parte maschi celibi.
7. I Rotoli del Mar Morto non sono tra «i più antichi documenti cristiani» (p. 288). Sono ebraici e di cristiano non hanno nulla.
8. Non sappiamo niente della discendenza di Maria Maddalena e niente la collega alla «Casa di Beniamino». Se anche ne avesse fatto parte, ciò non farebbe di lei una discendente di Davide (p. 291).
9. Non c'è nessun dato a confermare che Maria Maddalena era incinta all'epoca della crocifissione (p. 298).
10. Il documento Q non è una fonte pervenuta a noi e nascosta dal Vaticano, né un libro forse scritto dallo stesso Gesù. E' un ipotetico documento che per gli studiosi potrebbe essere stato a disposizione di Matteo e di Luca: sarebbe sostanzialmente una raccolta dei detti di Gesù. Gli studiosi cattolici ne hanno la stessa opinione dei non cattolici; non esistono segreti in merito (p. 300).
E così anche nessuna delle fonti antiche di cui disponiamo rivela che Gesù era sposato, tento meno con Maria Maddalena.
E' facile fare affermazioni sensazionalistiche su Gesù: Gesù era sposato! Gesù ebbe dei figli! Gesù era un mago! Gesù era un marxista! Gesù era un rivoluzionario armato! Gesù era gay! La gente comune ha pieno diritto di fare tutte le affermazioni che vuole, ma gli storici devono guardare alle prove. E di prove in questi sensi non ve ne sono.
16 maggio 2006
Il codice da Vinci - I
Avevo acquistato il libro di Dan Brown un anno fa circa. Ma non l'avevo letto, anzi l'avevo perso nelle masse dei miei libri. Ho riacquistato una nuova copia del libro di recente ed ho cominciato a leggerlo il giorno di Pasqua scorso. Oggi sono ancora arrivato nella lettura a pagina 277, sulle 523 pagine totali. Un fatto anomalo per uno come me che nei lontani anni universitari romani leggeva in media un libro al giorno e per molti mesi. Ma oggi gli impegni di lavoro e familiari hanno ridotto di molto i tempi per la lettura.
Il capitolo 55, che ho finito di leggere poco fa, rappresenta la "chiave di volta" di tutto il romanzo. I capitoli precedenti hanno preparato il terreno, hanno introdotto e presentato i protagonisti, hanno visto morire testimoni fondamentali della storia, hanno creato suspense su suspense, che hanno portato i protagonisti a venire in possesso del misterioso cryptex. Ma è con il capitolo 55 appunto che vengono scoperte le carte in tavola. Vengono sganciate affermazioni che sono diventate bombe in esplosione negli ambienti cattolici. Le reazioni di sdegno sono state forti e vibranti, forse giustamente.
Si ha un bel dire quando si afferma che questo libro è un'opera di fantasia e che personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell'autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Io ritengo che si sia scherzato troppo con i santi.
Ecco una silloge di alcuni brani del capitolo 55.
«La Bibbia non ci è arrivata per fax dal Cielo».
«La Bibbia è un prodotto dell'uomo, mia cara, non di Dio. La Bibbia non è caduta magicamente dalle nuvole. L'uomo l'ha creata come memoria storica di tempi tumultuosi ed è passata attraverso innumerevoli traduzioni, aggiunte e revisioni».
«Gesù Cristo è una figura storica di enorme influenza, forse il leader più enigmatico e seguito che il mondo abbia conosciuto. Com'è comprensibile, la sua vita è stata scritta da migliaia di suoi seguaci in tutte le terre. Più di ottanta vangeli sono stati presi in considerazione per il Nuovo Testamento, tra cui quelli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni».
«La Bibbia, come noi la conosciamo oggi, è stata collazionata dall'imperatore romano pagano Costantino il Grande».
«Costantino era anche un ottimo uomo d'affari. Vedendo che il cristianesimo era in ascesa, si è semplicemente limitato a puntare sul cavallo favorito. Fondendo con la tradizione cristiana ancora in fase di sviluppo i simboli, le date e i rituali pagani, ha creato una sorta di religione ibrida che risultava accettabile a tutt'e due».
«Nel cristianesimo non c'è nulla di originale».
«Costantino sentì il bisogno di rafforzare la nuova tradizione cristiana, e perciò convocò una famosa riunione ecumenica nota come concilio di Nicea».
«Lo statuto di Gesù come "Figlio di Dio" è stato ufficialmente proposto e votato dal concilio di Nicea».
«Costantino commissionò e finanziò una nuova Bibbia, che escludeva i vangeli in cui si parlava dei tratti umani di Cristo e infiorava i vangeli che ne esaltavano gli aspetti divini. I vecchi vangeli vennero messi al bando, sequestrati e bruciati».
Tutte queste affermazioni sono state dichiarate false da seri studiosi. Appellarsi alla fantasia non può giustificare pure falsità.
Come è capitato a me, consiglierei a tutti di leggere prima del libro Il codice da Vinci di Dan Brown un altro libro intitolato La verità sul codice da Vinci di Bart D. Ehrman. Si farebbe così una lettura più opportunamente critica di Dan Brown. Su questo scriverò qualcosa in un prossimo post.
Il capitolo 55, che ho finito di leggere poco fa, rappresenta la "chiave di volta" di tutto il romanzo. I capitoli precedenti hanno preparato il terreno, hanno introdotto e presentato i protagonisti, hanno visto morire testimoni fondamentali della storia, hanno creato suspense su suspense, che hanno portato i protagonisti a venire in possesso del misterioso cryptex. Ma è con il capitolo 55 appunto che vengono scoperte le carte in tavola. Vengono sganciate affermazioni che sono diventate bombe in esplosione negli ambienti cattolici. Le reazioni di sdegno sono state forti e vibranti, forse giustamente.
Si ha un bel dire quando si afferma che questo libro è un'opera di fantasia e che personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell'autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Io ritengo che si sia scherzato troppo con i santi.
Ecco una silloge di alcuni brani del capitolo 55.
«La Bibbia non ci è arrivata per fax dal Cielo».
«La Bibbia è un prodotto dell'uomo, mia cara, non di Dio. La Bibbia non è caduta magicamente dalle nuvole. L'uomo l'ha creata come memoria storica di tempi tumultuosi ed è passata attraverso innumerevoli traduzioni, aggiunte e revisioni».
«Gesù Cristo è una figura storica di enorme influenza, forse il leader più enigmatico e seguito che il mondo abbia conosciuto. Com'è comprensibile, la sua vita è stata scritta da migliaia di suoi seguaci in tutte le terre. Più di ottanta vangeli sono stati presi in considerazione per il Nuovo Testamento, tra cui quelli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni».
«La Bibbia, come noi la conosciamo oggi, è stata collazionata dall'imperatore romano pagano Costantino il Grande».
«Costantino era anche un ottimo uomo d'affari. Vedendo che il cristianesimo era in ascesa, si è semplicemente limitato a puntare sul cavallo favorito. Fondendo con la tradizione cristiana ancora in fase di sviluppo i simboli, le date e i rituali pagani, ha creato una sorta di religione ibrida che risultava accettabile a tutt'e due».
«Nel cristianesimo non c'è nulla di originale».
«Costantino sentì il bisogno di rafforzare la nuova tradizione cristiana, e perciò convocò una famosa riunione ecumenica nota come concilio di Nicea».
«Lo statuto di Gesù come "Figlio di Dio" è stato ufficialmente proposto e votato dal concilio di Nicea».
«Costantino commissionò e finanziò una nuova Bibbia, che escludeva i vangeli in cui si parlava dei tratti umani di Cristo e infiorava i vangeli che ne esaltavano gli aspetti divini. I vecchi vangeli vennero messi al bando, sequestrati e bruciati».
Tutte queste affermazioni sono state dichiarate false da seri studiosi. Appellarsi alla fantasia non può giustificare pure falsità.
Come è capitato a me, consiglierei a tutti di leggere prima del libro Il codice da Vinci di Dan Brown un altro libro intitolato La verità sul codice da Vinci di Bart D. Ehrman. Si farebbe così una lettura più opportunamente critica di Dan Brown. Su questo scriverò qualcosa in un prossimo post.
15 maggio 2006
Berlusconi dorme
14 maggio 2006
La vita è un miracolo - Film
Quattordicesimo film del Cineforum Grottaglie 2006
La vita è una giostra, dove si gira al ritmo della musica popolare, dove gli animali recitano la loro parte al pari degli umani, dove i letti degli amanti volano nell'aria come tappeti volanti, dove si vive e si muore quasi giocando, dove la follia diventa quotidianità, dove i fatti si ripetono in modo quasi snervante, dove gli uomini sono dei clown.
E' un film che ci sorprende con le sue trovate inaspettate. E' il regno della fantasia più sbrigliata. L'ottimismo ci contagia e ci lasciamo trasportare senza freni. L'amore e i sentimenti trionfano. Un'altra vita è possibile.
La macchina da presa che si muove al ritmo della musica. I colori belli e smaglianti. Gli attori che recitano in modo superbo, ben tipizzando caratteri diversi.
Citazioni felliniane.
Trama
Siamo in Bosnia, nel 1992 alla vigilia della cruenta guerra civile che devastò quel Paese. Luka è un ingegnere serbo di Belgrado inviato in Bosnia per la costruzione di una ferrovia. Vi si stabilisce assieme alla moglie - ex cantante d'opera - ed al figlio Milos, giovane calciatore di belle speranze. Con l'arrivo della guerra, la moglie fugge con un musicista ungherese ed il figlio parte militare. Luka rimane solo finché non le consegnano una prigioniera musulmana, Sabaha, che dovrà custodire fino allo scambio con altri prigionieri. Di lì a poco, Luka si innamora della ragazza che però dovrà essere consegnata proprio in cambio del proprio figlio Milos.
Cast
Regia: Emir Kusturica
Interpreti: Slavko Stimac, Vesna Trivalic, Natasa Solak, Vuc Kostic
Titolo originale: Zivod Je Cudo
Nazione: Repubblica Yugoslava, Francia
Durata: 155'
Genere: Drammatico
Distribuzione: Fandango
Data di uscita: Cannes 2004 (in concorso)
04 Marzo 2005 (cinema)
La vita è una giostra, dove si gira al ritmo della musica popolare, dove gli animali recitano la loro parte al pari degli umani, dove i letti degli amanti volano nell'aria come tappeti volanti, dove si vive e si muore quasi giocando, dove la follia diventa quotidianità, dove i fatti si ripetono in modo quasi snervante, dove gli uomini sono dei clown.
E' un film che ci sorprende con le sue trovate inaspettate. E' il regno della fantasia più sbrigliata. L'ottimismo ci contagia e ci lasciamo trasportare senza freni. L'amore e i sentimenti trionfano. Un'altra vita è possibile.
La macchina da presa che si muove al ritmo della musica. I colori belli e smaglianti. Gli attori che recitano in modo superbo, ben tipizzando caratteri diversi.
Citazioni felliniane.
Trama
Siamo in Bosnia, nel 1992 alla vigilia della cruenta guerra civile che devastò quel Paese. Luka è un ingegnere serbo di Belgrado inviato in Bosnia per la costruzione di una ferrovia. Vi si stabilisce assieme alla moglie - ex cantante d'opera - ed al figlio Milos, giovane calciatore di belle speranze. Con l'arrivo della guerra, la moglie fugge con un musicista ungherese ed il figlio parte militare. Luka rimane solo finché non le consegnano una prigioniera musulmana, Sabaha, che dovrà custodire fino allo scambio con altri prigionieri. Di lì a poco, Luka si innamora della ragazza che però dovrà essere consegnata proprio in cambio del proprio figlio Milos.
Cast
Regia: Emir Kusturica
Interpreti: Slavko Stimac, Vesna Trivalic, Natasa Solak, Vuc Kostic
Titolo originale: Zivod Je Cudo
Nazione: Repubblica Yugoslava, Francia
Durata: 155'
Genere: Drammatico
Distribuzione: Fandango
Data di uscita: Cannes 2004 (in concorso)
04 Marzo 2005 (cinema)
13 maggio 2006
Per fortuna che c'è il Milan
Per fortuna che c'è il Milan fra le squadre di calcio indagate per associazione a delinquere, insieme a Juventus, Lazio e Fiorentina. Altrimenti chi ci avrebbe liberato dagli insulti di patron Berlusconi contro gli arbitri rossi e contro i presidenti rossi, che tramavano contro di lui ed il suo Milan. Ma trovandosi immischiato pure lui, vedrete che se la prenderà come al solito con i giudici rossi.
Il gioco del calcio si è fatto criminale. La maleodorante merda sta venendo a galla dal pantano dello sconquasso delle coscienze, procurato da chi ha come unico obiettivo il profitto, da chi vuole asservire le leggi ai suoi interessi, da chi misconosce qualsiasi morale. Il mondo del calcio si è adeguato alla più generale perdita dei valori etici in tutti i campi.
Lo ha detto molto bene Antonio Padellaro. «Lo scandalo è calcistico ma in realtà stiamo parlando di un collasso etico, di un sistema di valori calpestato e che va ripristinato nelle coscienze individuali prima ancora che negli stadi. Da anni vige nel paese una sorta di morale capovolta: quella delle prepotenze e degli intrallazzi; quella del bene pubblico prostituito agli interessi privati; quella del se non fai così sei fuori».
E' stato costruito attorno al mondo del pallone un sistema criminale fatto di truffe, imbrogli, ricatti, estorsioni e perfino violenza fisica.
La vittoria del centrosinistra ci fa sperare che verranno rotti questi meccanismi perversi. Non sarà stato forse un caso che l'arresto di Provenzano è avvenuto proprio il giorno dopo le elezioni, che forse hanno segnato uno spartiacque nella guerra tra i poteri dello Stato democratico e la mafia.
Per fortuna abbiamo ancora tante persone perbene su cui lo sport italiano può ancora contare.
A Prodi chiediamo di fare subito piazza pulita di tutte le disonestà. L'Italia ha bisogno di un forte segnale di rinnovamento e di moralità.
Gioco criminale
Calcio, duro l'Osservatore Romano. 'Profondo disgusto, offesa la gioia'
L'accusa: una «cupola» manovrava le partite
12 maggio 2006
Qualcosa di sinistra
Dopo la dura presa di posizione contro D'Alema al Quirinale da parte di MicroMega, diretta da Paolo Flores d'Arcais, sono fortemente tentato di non acquistare più quella rivista, che finora ho quasi sempre comprata fin dalla sua nascita. Non ho capito bene se la critica del gruppo MicroMega viene fatta da destra o da sinistra rispetto a D'Alema, pur tenendo conto della aleatorietà di questi termini. E' certo però che io in questo caso specifico critico il gruppo MicroMega dalla sua sinistra. Le mie ragioni le ho esposte in alcuni post precedenti (1, 2, 3).
Ora ho in mano l'ultimo numero di MicroMega (3/2006), che è stato chiuso il 4/5/2006, prima quindi delle elezioni presidenziali. Voglio fare qualche considerazione sul fondo di Flores d'Arcais, intitolato Qualcosa di sinistra. Si prende spunto da cinque fatti recenti.
A Trieste è stato rieletto un sindaco berlusconiano. Il 25 aprile l'hanno festeggiato issando su un monumento della città la bandiera repubblichina, la bandiera nazifascista degli italiani traditori che si schierarono con le Ss. D'Arcais nota che nessuno si è opposto a questo insulto alla nostra storia repubblicana e conclude: «dire che cinque anni di berlusconismo ci consegnano un paese in macerie, morali e istituzionali, è addirittura al di sotto della realtà». Concordo pienamente.
Il secondo fatto è il discorso pronunciato da Bertinotti in occasione della sua elezione a presidente della Camera dei deputati. Stranamente, nell'articolo, a Bertinotti viene attribuito il nome Franco. Visto quello che successe durante l'elezione del presidente del Senato con i nomi Franco e Francesco, l'errore di d'Arcais sul nome di Bertinotti desta qualche sospetto. Bertinotti pose l'accento nel suo discorso sui due valori fondamentali della Costituzione italiana: l'antifascismo e il lavoro, suscitando le ire della destra, che ha accusato Bertinotti di essere di parte. Per la destra, scrive d'Arcais, il lavoro da onorare e santificare è quello dei padroni dirigenti e manager, e non quello dei campi e delle officine, dei call-center e del turismo. La destra pretende la par condicio tra i fascisti e gli antifascisti. Anche questo è frutto dei cinque anni di berlusconismo.
Il terzo fatto sono i fischi alla Moratti. Pare che d'Arcais condanni quelli del 25 aprile e difenda quelli del primo maggio. Io ho sostenuto che sia gli uni che gli altri erano fischi sacrosanti.
Il quarto fatto è la scelta dei Comunisti italiani di Diliberto di fornire a Prodi, per la formazione del governo, una lista di personalità non di partito. D'Arcais osanna questa scelta e attacca tutti gli altri partiti del centrosinistra che secondo lui andrebbero a caccia di poltrone. D'Arcais vorrebbe che le poltrone venissero lasciate a non politici, a persone della società civile, magari un ministero per lui andrebbe pure bene. Eh no, è troppo comodo così. I politici si fanno tanto di culo per vincere le elezioni e gli intellettuali vanno a governare.
L'ultimo episodio è l'incendio della bandiera israeliana durante il corteo del 25 aprile a Milano. Sono d'accordo su tutto quello che scrive d'Arcais, sul diritto sia degli israeliani che dei palestinesi ad avere uno stato, non concordo sul fatto che non abbia detto che ad incendiare le bandiere siano stati degli immigrati filopalestinesi e non degli appartenenti alla sinistra italiana. Così facendo dà man forte alla destra berlusconiana.
Ora ho in mano l'ultimo numero di MicroMega (3/2006), che è stato chiuso il 4/5/2006, prima quindi delle elezioni presidenziali. Voglio fare qualche considerazione sul fondo di Flores d'Arcais, intitolato Qualcosa di sinistra. Si prende spunto da cinque fatti recenti.
A Trieste è stato rieletto un sindaco berlusconiano. Il 25 aprile l'hanno festeggiato issando su un monumento della città la bandiera repubblichina, la bandiera nazifascista degli italiani traditori che si schierarono con le Ss. D'Arcais nota che nessuno si è opposto a questo insulto alla nostra storia repubblicana e conclude: «dire che cinque anni di berlusconismo ci consegnano un paese in macerie, morali e istituzionali, è addirittura al di sotto della realtà». Concordo pienamente.
Il secondo fatto è il discorso pronunciato da Bertinotti in occasione della sua elezione a presidente della Camera dei deputati. Stranamente, nell'articolo, a Bertinotti viene attribuito il nome Franco. Visto quello che successe durante l'elezione del presidente del Senato con i nomi Franco e Francesco, l'errore di d'Arcais sul nome di Bertinotti desta qualche sospetto. Bertinotti pose l'accento nel suo discorso sui due valori fondamentali della Costituzione italiana: l'antifascismo e il lavoro, suscitando le ire della destra, che ha accusato Bertinotti di essere di parte. Per la destra, scrive d'Arcais, il lavoro da onorare e santificare è quello dei padroni dirigenti e manager, e non quello dei campi e delle officine, dei call-center e del turismo. La destra pretende la par condicio tra i fascisti e gli antifascisti. Anche questo è frutto dei cinque anni di berlusconismo.
Il terzo fatto sono i fischi alla Moratti. Pare che d'Arcais condanni quelli del 25 aprile e difenda quelli del primo maggio. Io ho sostenuto che sia gli uni che gli altri erano fischi sacrosanti.
Il quarto fatto è la scelta dei Comunisti italiani di Diliberto di fornire a Prodi, per la formazione del governo, una lista di personalità non di partito. D'Arcais osanna questa scelta e attacca tutti gli altri partiti del centrosinistra che secondo lui andrebbero a caccia di poltrone. D'Arcais vorrebbe che le poltrone venissero lasciate a non politici, a persone della società civile, magari un ministero per lui andrebbe pure bene. Eh no, è troppo comodo così. I politici si fanno tanto di culo per vincere le elezioni e gli intellettuali vanno a governare.
L'ultimo episodio è l'incendio della bandiera israeliana durante il corteo del 25 aprile a Milano. Sono d'accordo su tutto quello che scrive d'Arcais, sul diritto sia degli israeliani che dei palestinesi ad avere uno stato, non concordo sul fatto che non abbia detto che ad incendiare le bandiere siano stati degli immigrati filopalestinesi e non degli appartenenti alla sinistra italiana. Così facendo dà man forte alla destra berlusconiana.
11 maggio 2006
Il Pacs non sia con voi
Patto Civile di Solidarietà
E' ovvio che il Papa può dire ciò che vuole, ma è altrettanto ovvio che quello che dice è valido per i cattolici che si riconoscono nel suo insegnamento. Non può diventare vincolo per uno stato laico, che ha suoi strumenti normativi e suoi principi a cui ispirarsi.
Papa Benedetto XVI Ratzinger così oggi ha pontificato: «Il vero amore è possibile solo tra uomo e donna e si attua nella sua forma più importante che è il matrimonio». Legittima affermazione, valida per lui e per chi crede in lui.
Gli Stati nazionali, nell'interesse dei loro cittadini, hanno fatto o possono fare scelte diverse.
Il filosofo Giulio Giorello, nel suo libro best-seller "Di nessuna chiesa" condivisibilmente afferma: «Brutti tempi quando non si applica più il precetto evangelico "Date a Dio quel che è di Dio", con quel che segue. Voler imporre a Cesare le regole morali della Chiesa è disastroso per lo stesso cristianesimo, oltre che per le leggi della Repubblica».
D'altra parte l'immagine di coppie gay o lesbiche che mano nella mano in municipio pronunciano il fatidico "sì", e non solo in Olanda, ma anche nella cattolicissima Spagna, agita le gerarchie ecclesiastiche.
Per accettare questa visione bisogna avere il coraggio di guardare alla società com'è e non come si vorrebbe che fosse.
Il 28 aprile 2006 il deputato ds Franco Grillini ha presentato alla Camera dei Deputati una proposta di legge sul Pacs. Questa proposta ripropone con qualche aggiustamento quella presentata dallo stesso Grillini nella passata legislatura e che fu firmata da 161 parlamentari di vario orientamento politico. Le prime cinque firme erano quelle di Grillini, Pollastrini, Violante, Fassino, D'Alema.
Pacs. Benedetto XVI: il vero amore e' possibile solo tra uomo e donna, e nella forma del matrimonio
Di che pacs sei?
Unione civile
PACS. Patto Civile di Solidarietà
E' ovvio che il Papa può dire ciò che vuole, ma è altrettanto ovvio che quello che dice è valido per i cattolici che si riconoscono nel suo insegnamento. Non può diventare vincolo per uno stato laico, che ha suoi strumenti normativi e suoi principi a cui ispirarsi.
Papa Benedetto XVI Ratzinger così oggi ha pontificato: «Il vero amore è possibile solo tra uomo e donna e si attua nella sua forma più importante che è il matrimonio». Legittima affermazione, valida per lui e per chi crede in lui.
Gli Stati nazionali, nell'interesse dei loro cittadini, hanno fatto o possono fare scelte diverse.
Il filosofo Giulio Giorello, nel suo libro best-seller "Di nessuna chiesa" condivisibilmente afferma: «Brutti tempi quando non si applica più il precetto evangelico "Date a Dio quel che è di Dio", con quel che segue. Voler imporre a Cesare le regole morali della Chiesa è disastroso per lo stesso cristianesimo, oltre che per le leggi della Repubblica».
D'altra parte l'immagine di coppie gay o lesbiche che mano nella mano in municipio pronunciano il fatidico "sì", e non solo in Olanda, ma anche nella cattolicissima Spagna, agita le gerarchie ecclesiastiche.
Per accettare questa visione bisogna avere il coraggio di guardare alla società com'è e non come si vorrebbe che fosse.
Il 28 aprile 2006 il deputato ds Franco Grillini ha presentato alla Camera dei Deputati una proposta di legge sul Pacs. Questa proposta ripropone con qualche aggiustamento quella presentata dallo stesso Grillini nella passata legislatura e che fu firmata da 161 parlamentari di vario orientamento politico. Le prime cinque firme erano quelle di Grillini, Pollastrini, Violante, Fassino, D'Alema.
Pacs. Benedetto XVI: il vero amore e' possibile solo tra uomo e donna, e nella forma del matrimonio
Di che pacs sei?
Unione civile
PACS. Patto Civile di Solidarietà
10 maggio 2006
Abbiamo il Presidente
Con il mal di pancia saluto Giorgio Napolitano come nuovo Presidente della Repubblica. Non sono un direttore di giornale, non sono un dirigente politico, quello che scrivo vale quindi solo per me. Io tesserato Ds avrei preferito a Presidente Massimo D'Alema. Per me la candidatura di Giorgio Napolitano, avanzata anche da D'Alema, aveva una logica nel tentativo di raccogliere sul suo nome anche i voti della destra. Ma quando è stato chiaro che questo non sarebbe avvenuto e che il Presidente sarebbe stato eletto solo con il voto del centrosinistra, allora bisognava essere tornati alla proposta originaria della sinistra: eleggere D'Alema.
Non ho mai apprezzato le sparate di Francesco Cossiga, ma questa volta condivido la sua valutazione. Dopo aver affermato, prima del voto, che se i Ds avessero indicato quale candidato unitario Giorgio Napolitano l'avrebbe votato, aggiunge: «anche se non con grande convinzione politico-istituzionale. E' mia ferma opinione che la candidatura di D'Alema sia la migliore "garanzia politica", la via migliore per sanare le ferite di una campagna elettorale dura. Chi ha cospirato contro di lui lo ha fatto per impedire che la "politica" torni al centro della vita istituzionale del Paese».
Ritengo che Berlusconi preferiva l'elezione di D'Alema al Quirinale, senza però votarlo. Ma ha giocato male la partita, dimostrando ancora una volta la sua scarsa capacità politica.
Ma ora, noi di sinistra, sfruttiamo e valorizziamo l'elezione di Napolitano.
50 anni di iscrizione al «Partito». Pci, Pds, infine Ds: un percorso senza strappi, abiure o colpi di spugna.
Segretario delle federazioni comuniste di Napoli e Caserta, partenopeo nella discendenza politica da Giorgio Amendola e nelle liste per le elezioni politiche, Napolitano è però anche profondamente legato a Roma.
«Tanto per cominciare – racconta Napolitano di sé - quando mi sono avvicinato e iscritto al Pci, a Napoli nell'ormai lontano 1945, fui spinto, ben più che da qualsiasi scelta ideologica, da un senso di rivolta morale. Uscivamo da una guerra distruttiva, eravamo nel pieno di una occupazione militare. Lì, tra antiche miserie e nuove speranze, la mia formazione politica è avvenuta a contatto con il mondo delle fabbriche, delle sezioni, dei quartieri, dei paesi della provincia, tra la gente del popolo. Certo, per non aver ceduto alla demagogia posso aver pagato il prezzo di non essere circondato da entusiasmi, ma francamente non ne sono pentito».
Viva Napolitano.
Non ho mai apprezzato le sparate di Francesco Cossiga, ma questa volta condivido la sua valutazione. Dopo aver affermato, prima del voto, che se i Ds avessero indicato quale candidato unitario Giorgio Napolitano l'avrebbe votato, aggiunge: «anche se non con grande convinzione politico-istituzionale. E' mia ferma opinione che la candidatura di D'Alema sia la migliore "garanzia politica", la via migliore per sanare le ferite di una campagna elettorale dura. Chi ha cospirato contro di lui lo ha fatto per impedire che la "politica" torni al centro della vita istituzionale del Paese».
Ritengo che Berlusconi preferiva l'elezione di D'Alema al Quirinale, senza però votarlo. Ma ha giocato male la partita, dimostrando ancora una volta la sua scarsa capacità politica.
Ma ora, noi di sinistra, sfruttiamo e valorizziamo l'elezione di Napolitano.
50 anni di iscrizione al «Partito». Pci, Pds, infine Ds: un percorso senza strappi, abiure o colpi di spugna.
Segretario delle federazioni comuniste di Napoli e Caserta, partenopeo nella discendenza politica da Giorgio Amendola e nelle liste per le elezioni politiche, Napolitano è però anche profondamente legato a Roma.
«Tanto per cominciare – racconta Napolitano di sé - quando mi sono avvicinato e iscritto al Pci, a Napoli nell'ormai lontano 1945, fui spinto, ben più che da qualsiasi scelta ideologica, da un senso di rivolta morale. Uscivamo da una guerra distruttiva, eravamo nel pieno di una occupazione militare. Lì, tra antiche miserie e nuove speranze, la mia formazione politica è avvenuta a contatto con il mondo delle fabbriche, delle sezioni, dei quartieri, dei paesi della provincia, tra la gente del popolo. Certo, per non aver ceduto alla demagogia posso aver pagato il prezzo di non essere circondato da entusiasmi, ma francamente non ne sono pentito».
Viva Napolitano.
9 maggio 2006
Libri in fiera
Sarei stato volentieri alla Fiera del Libro che si è svolta a Torino dal 3 all'8 maggio. Mi son dovuto accontentare di qualche eco che mi è giunto dai giornali. 1.263 gli editori presenti, 800 gli eventi in programma, 300.000 i visitatori. Tema conduttore di quest'anno: l'avventura.
Pian pianino in Italia i lettori crescono. Nel 2005 fra i maggiori di sei anni coloro che hanno letto almeno un libro sono stati il 42,3%, secondo l'indagine annuale dell'Associazione Italiana Editori. Sarà vero? Comunque c'è molto ancora da fare. La scuola dovrebbe essere promotrice della lettura.
Scarsa l'attenzione del mondo politico al mondo del libro. I politici sono stati totalmente assenti dalla Fiera. Anche se quest'anno avevano l'alibi che stavano a Roma per eleggere il Presidente della Repubblica. Vi ricordate di un presidente del consiglio che si è vantato di aver letto l'ultimo libro venti anni fa?
Grande successo economico hanno avuto in questi ultimi anni i libri contro Berlusconi: saggi, pamphlet, vignette. La sua fine politica costringerà gli editori a riposizionarsi.
A Torino si è anche parlato del progetto Google Search Books, progetto che punta a costruire una specie di biblioteca universale on line.
Una qualche eco ha avuto l'iniziativa lanciata dal neonato portale di cultura e spettacolo http://www.wuz.it/, che permette di stampare un proprio libro e di metterlo in vendita su InternetBookShop. Tutti possono diventare autori con Wuz e Lampi di stampa.
La 19esima edizione della Fiera del Libro di Torino quest'anno si è inserita nel più generale evento di 'Torino Capitale Mondiale del Libro con Roma', che iniziato il 23 aprile 2006 si concluderà il 22 aprile 2007.
Pian pianino in Italia i lettori crescono. Nel 2005 fra i maggiori di sei anni coloro che hanno letto almeno un libro sono stati il 42,3%, secondo l'indagine annuale dell'Associazione Italiana Editori. Sarà vero? Comunque c'è molto ancora da fare. La scuola dovrebbe essere promotrice della lettura.
Scarsa l'attenzione del mondo politico al mondo del libro. I politici sono stati totalmente assenti dalla Fiera. Anche se quest'anno avevano l'alibi che stavano a Roma per eleggere il Presidente della Repubblica. Vi ricordate di un presidente del consiglio che si è vantato di aver letto l'ultimo libro venti anni fa?
Grande successo economico hanno avuto in questi ultimi anni i libri contro Berlusconi: saggi, pamphlet, vignette. La sua fine politica costringerà gli editori a riposizionarsi.
A Torino si è anche parlato del progetto Google Search Books, progetto che punta a costruire una specie di biblioteca universale on line.
Una qualche eco ha avuto l'iniziativa lanciata dal neonato portale di cultura e spettacolo http://www.wuz.it/, che permette di stampare un proprio libro e di metterlo in vendita su InternetBookShop. Tutti possono diventare autori con Wuz e Lampi di stampa.
La 19esima edizione della Fiera del Libro di Torino quest'anno si è inserita nel più generale evento di 'Torino Capitale Mondiale del Libro con Roma', che iniziato il 23 aprile 2006 si concluderà il 22 aprile 2007.
8 maggio 2006
Al posto di D'Alema
La ragione dice che la Cdl (Berlusconi) accetterà la candidatura di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica e che quindi Napolitano sarà il prossimo Presidente.
Ma il cuore vorrebbe che dopo le prima tre votazioni infruttuose rientrasse in campo la candidatura di D'Alema per essere eletto dalla maggioranza sufficiente del centrosinistra.
Se io oggi fossi stato in Parlamento avrei votato, come testimonianza, D'Alema. Non si può nel giro di una nottata dimenticare quello che si è pensato e detto per giorni e giorni. Fassino, Bertinotti, Diliberto ed altri della compagnia del centro sinistra ci hanno detto in lungo ed in largo ragioni e motivazione per convincerci della bontà della scelta di D'Alema a Presidente della Repubblica. Mieli, Scalfari, Padellaro, Feltri, Ferrara, Rossella ci hanno bombardato con i loro editoriali argomentando che D'Alema poteva andare bene sia a destra che a sinistra. Rossi e Confalonieri hanno detto che l'industria italiana ne avrebbe tratto vantaggio con D'Alema al Quirinale. Perfino il giornale dei vescovi aveva riconosciuto a D'Alema indipendenza e autorevolezza.
Ed ora contrordine, compagni e lettori, "Baffino di ferro" può andare meglio come Ministro degli Esteri, al Quirinale mandiamoci l'ultraottante principe Giorgio. Farà cantare Fratelli d'Italia e sventolerà il tricolore.
Il Vaticano dice che è meglio Napolitano di D'Alema. Il centrodestra non si lasci sfuggire l'occasione.
D'Alema, che conduce direttamente la partita, ha capito l'antifona ed ha telefonato direttamente a Napolitano invitandolo a scendere in campo, non abbiamo ancora capito bene se per fargli fare il capitano o il gregario.
Noi ci illudiamo, o se volete speriamo, che D'alema stia ancora giocando per sé.
Al posto di D'Alema, per noi, c'è ancora D'alema come migliore piazzato nella corsa per il Quirinale.
Se così non sarà avremo poi tempo per tessere le lodi di Napolitano.
Rossi: dico D’Alema, è un vero liberale
Ma il cuore vorrebbe che dopo le prima tre votazioni infruttuose rientrasse in campo la candidatura di D'Alema per essere eletto dalla maggioranza sufficiente del centrosinistra.
Se io oggi fossi stato in Parlamento avrei votato, come testimonianza, D'Alema. Non si può nel giro di una nottata dimenticare quello che si è pensato e detto per giorni e giorni. Fassino, Bertinotti, Diliberto ed altri della compagnia del centro sinistra ci hanno detto in lungo ed in largo ragioni e motivazione per convincerci della bontà della scelta di D'Alema a Presidente della Repubblica. Mieli, Scalfari, Padellaro, Feltri, Ferrara, Rossella ci hanno bombardato con i loro editoriali argomentando che D'Alema poteva andare bene sia a destra che a sinistra. Rossi e Confalonieri hanno detto che l'industria italiana ne avrebbe tratto vantaggio con D'Alema al Quirinale. Perfino il giornale dei vescovi aveva riconosciuto a D'Alema indipendenza e autorevolezza.
Ed ora contrordine, compagni e lettori, "Baffino di ferro" può andare meglio come Ministro degli Esteri, al Quirinale mandiamoci l'ultraottante principe Giorgio. Farà cantare Fratelli d'Italia e sventolerà il tricolore.
Il Vaticano dice che è meglio Napolitano di D'Alema. Il centrodestra non si lasci sfuggire l'occasione.
D'Alema, che conduce direttamente la partita, ha capito l'antifona ed ha telefonato direttamente a Napolitano invitandolo a scendere in campo, non abbiamo ancora capito bene se per fargli fare il capitano o il gregario.
Noi ci illudiamo, o se volete speriamo, che D'alema stia ancora giocando per sé.
Al posto di D'Alema, per noi, c'è ancora D'alema come migliore piazzato nella corsa per il Quirinale.
Se così non sarà avremo poi tempo per tessere le lodi di Napolitano.
Rossi: dico D’Alema, è un vero liberale
7 maggio 2006
Saimir - Film
Tredicesimo film del Cineforum Grottaglie 2006
E' la storia di un padre ed un figlio albanesi, che vivono in Italia, arrangiandosi per sopravvivere. Ma l'Italia resta sullo sfondo, è solo il palcoscenico su cui si recita la commedia. I due protagonisti sono attori albanesi, professionista il padre, preso dalla strada il figlio. Non è una storia sull'immigrazione, ma una storia sulle conseguenze dell'immigrazione. Una vita vissuta senza diritti: senza diritto al voto, senza possibilità di trovare lavoro, senza avere un passaporto, senza potersi muovere liberamente. E' il limbo della società.
«Questo è il nostro destino», dice il padre al figlio che durante una lite gli rinfaccia il fatto che loro non stiano vivendo.
Il padre si è adattato, il figlio vorrebbe ribellarsi ma non sa come. Alla fine del film Saimir trova una via d'uscita. Ma va verso un futuro sconosciuto.
I ragazzi del film di Munzi richiamano in qualche modo i ragazzi di borgata dei film di Pasolini.
Il film è stato girato sui litorali di Ostia, Fregene, Torvaianica, Ladispoli, nel periodo invernale, quanto quelle zone diventano gli accampamenti degli extracomunitari.
Girato in super16 invece che in 35mm, per risparmiare sulla pellicola. «Questo ha causato - dice il regista - una perdita di definizione dell’immagine che ha guadagnato a mio avviso in significato perché l’effetto sgranato era proprio quello che volevo!».
Film che dimostra una buona maturità del regista, che comunque dovrà ancora affinarsi.
Trama
Saimir, quindici anni, e suo padre Edmond sono immigrati in Italia dall'Albania. Tra i due c'è un legame profondo, ma un difficile rapporto di comunicazione. Edmond lotta per creare per se e per il figlio un futuro diverso. Per fare ciò continua ad usare, tuttavia, metodi illeciti, gli unici che conosce: il traffico di clandestini provenienti dall'Europa dell'est.
Cast
Regia: Francesco Munzi
Interpreti: Mishel Manoku, Xhevdet Feri, Lavinia Guglielman, Anna Ferruzzo.
Titolo originale: Saimir
Nazione: Italia
Anno: 2004
Genere: Drammatico
Durata: 88'
Produzione: Cristiano Bortone, Daniele Mazzocca, Gianluca Arcopinto
Distribuzione: Istituto Luce
Data di uscita: Venezia 2004
29 Aprile 2005 (cinema)
E' la storia di un padre ed un figlio albanesi, che vivono in Italia, arrangiandosi per sopravvivere. Ma l'Italia resta sullo sfondo, è solo il palcoscenico su cui si recita la commedia. I due protagonisti sono attori albanesi, professionista il padre, preso dalla strada il figlio. Non è una storia sull'immigrazione, ma una storia sulle conseguenze dell'immigrazione. Una vita vissuta senza diritti: senza diritto al voto, senza possibilità di trovare lavoro, senza avere un passaporto, senza potersi muovere liberamente. E' il limbo della società.
«Questo è il nostro destino», dice il padre al figlio che durante una lite gli rinfaccia il fatto che loro non stiano vivendo.
Il padre si è adattato, il figlio vorrebbe ribellarsi ma non sa come. Alla fine del film Saimir trova una via d'uscita. Ma va verso un futuro sconosciuto.
I ragazzi del film di Munzi richiamano in qualche modo i ragazzi di borgata dei film di Pasolini.
Il film è stato girato sui litorali di Ostia, Fregene, Torvaianica, Ladispoli, nel periodo invernale, quanto quelle zone diventano gli accampamenti degli extracomunitari.
Girato in super16 invece che in 35mm, per risparmiare sulla pellicola. «Questo ha causato - dice il regista - una perdita di definizione dell’immagine che ha guadagnato a mio avviso in significato perché l’effetto sgranato era proprio quello che volevo!».
Film che dimostra una buona maturità del regista, che comunque dovrà ancora affinarsi.
Trama
Saimir, quindici anni, e suo padre Edmond sono immigrati in Italia dall'Albania. Tra i due c'è un legame profondo, ma un difficile rapporto di comunicazione. Edmond lotta per creare per se e per il figlio un futuro diverso. Per fare ciò continua ad usare, tuttavia, metodi illeciti, gli unici che conosce: il traffico di clandestini provenienti dall'Europa dell'est.
Cast
Regia: Francesco Munzi
Interpreti: Mishel Manoku, Xhevdet Feri, Lavinia Guglielman, Anna Ferruzzo.
Titolo originale: Saimir
Nazione: Italia
Anno: 2004
Genere: Drammatico
Durata: 88'
Produzione: Cristiano Bortone, Daniele Mazzocca, Gianluca Arcopinto
Distribuzione: Istituto Luce
Data di uscita: Venezia 2004
29 Aprile 2005 (cinema)
6 maggio 2006
D'Alema Presidente
Il 3 gennaio 2006, nel mio vecchio blog, scrivevo un post intitolato "Toto-Quirinale: D'Alema in testa", che cominciava così: «Dicono che D'Alema, al timone della sua barca, è in testa nella corsa per la conquista del Quirinale. Non mi sorprenderebbe se ce la facesse veramente». Non era né un auspicio, né un desiderio, ma solo una constatazione. Oggi dico che non mi dispiacerebbe se ciò avvenisse. Non ho mai amato D'Alema, ma l'ho sempre stimato. Quando a noi tesserati ci proposero di scegliere tra D'Alema e Veltroni, io scelsi Veltroni.
Mancano ormai poche ore alla soluzione del dilemma: ce la farà o non ce la farà? Pare che il vento stia spingendo la sua barca verso il Colle. Tutti i partiti del centro-sinistra (con l'eccezione della Rosa nel pugno) soffiano in quella direzione.
Ma anche da destra molti indicano vento favorevole. Non sono pochi i dalemiani polisti e di forte calibratura.
Piero Ostellino sul Corriere della Sera ha indicato sei ragioni per le quali lui liberale vota D'Alema. Cito fra tutte la quarta. Con la sua elezione a presidente della Repubblica, si concluderebbe finalmente la lunga transizione dal «fattore K» (la conventio ad excludendum del Pci e dei suoi nipotini) al «fattore D» (la democrazia compiuta). Al Quirinale salirebbe, sì, un ex o post comunista che dir si voglia, ma anche un riformista di stampo europeo, aperto alle logiche del capitalismo, del mercato e della globalizzazione.
Aldo Cazzullo, sempre sul Corriere della Sera, scrive che ognuno di quelli che da destra ama D'Alema ha sue motivazioni: perché è il più politico, perché ha sempre considerato Berlusconi non un demone da esorcizzare ma un avversario con cui trattare, perché da dieci anni progetta di riscrivere con gli altri quelle regole istituzionali che larga parte dei suoi vorrebbe semmai difendere. Soprattutto, D'Alema piace a destra perché come la destra disprezza la sinistra delle emozioni e dei tortellini, dei moralisti e dei giustizialisti.
Ama D'Alema Giuliano Ferrara; il suo Foglio ha aperto la campagna per "Spaccaferro" sul Colle prima ancora della rinuncia di Ciampi.
Fra i sostenitori della prima ora di D'Alema ci sono anche Carlo Rossella e Giano Accame.
Vogliono D'Alema gli ex leader di Potere Operaio Oreste Scalzone e Lanfranco Pace e gli ex dc Francesco Cossiga e Paolo Cirino Pomicino.
Marcello Veneziani confessa di nutrire «da tempo una grande ammirazione per la mente più lucida dei Ds».
Vittorio Emanuele Parsi, editorialista di Avvenire, gli riconosce «indipendenza e autorevolezza».
Vittorio Feltri ha schierato Libero: «D'Alema disgrazia accettabile», «D'Alema il male minimo», «Condannati a D'Alema» sono gli ultimi tre titoli. E il vicedirettore Renato Farina scrive: «Chiunque altro di sinistra sarebbe una sciacquetta, con cui sarebbe inutile stringere qualsiasi patto: tanto nessuno seguirebbe alla base. L'unico capace di mantenere i patti è D'Alema. E' un cobra; ma sarà più facile che morda Prodi anziché il Cavaliere. E poi se Prodi cadesse non darebbe mai l'incarico a Veltroni».
E' ovvio che tanti apprezzamenti destano sospetti. Ma dimostrano che non è vero quello che Berlusconi e soci sono costretti a dire pubblicamente. Intimamente, per calcoli propri, a loro non dispiacerebbe D'Alema al Quirinale.
A questo punto se D'Alema non ce la farà, sarà perché lui avrà deciso di non farcela. Riterrebbe di avere cose migliori da fare.
Mancano ormai poche ore alla soluzione del dilemma: ce la farà o non ce la farà? Pare che il vento stia spingendo la sua barca verso il Colle. Tutti i partiti del centro-sinistra (con l'eccezione della Rosa nel pugno) soffiano in quella direzione.
Ma anche da destra molti indicano vento favorevole. Non sono pochi i dalemiani polisti e di forte calibratura.
Piero Ostellino sul Corriere della Sera ha indicato sei ragioni per le quali lui liberale vota D'Alema. Cito fra tutte la quarta. Con la sua elezione a presidente della Repubblica, si concluderebbe finalmente la lunga transizione dal «fattore K» (la conventio ad excludendum del Pci e dei suoi nipotini) al «fattore D» (la democrazia compiuta). Al Quirinale salirebbe, sì, un ex o post comunista che dir si voglia, ma anche un riformista di stampo europeo, aperto alle logiche del capitalismo, del mercato e della globalizzazione.
Aldo Cazzullo, sempre sul Corriere della Sera, scrive che ognuno di quelli che da destra ama D'Alema ha sue motivazioni: perché è il più politico, perché ha sempre considerato Berlusconi non un demone da esorcizzare ma un avversario con cui trattare, perché da dieci anni progetta di riscrivere con gli altri quelle regole istituzionali che larga parte dei suoi vorrebbe semmai difendere. Soprattutto, D'Alema piace a destra perché come la destra disprezza la sinistra delle emozioni e dei tortellini, dei moralisti e dei giustizialisti.
Ama D'Alema Giuliano Ferrara; il suo Foglio ha aperto la campagna per "Spaccaferro" sul Colle prima ancora della rinuncia di Ciampi.
Fra i sostenitori della prima ora di D'Alema ci sono anche Carlo Rossella e Giano Accame.
Vogliono D'Alema gli ex leader di Potere Operaio Oreste Scalzone e Lanfranco Pace e gli ex dc Francesco Cossiga e Paolo Cirino Pomicino.
Marcello Veneziani confessa di nutrire «da tempo una grande ammirazione per la mente più lucida dei Ds».
Vittorio Emanuele Parsi, editorialista di Avvenire, gli riconosce «indipendenza e autorevolezza».
Vittorio Feltri ha schierato Libero: «D'Alema disgrazia accettabile», «D'Alema il male minimo», «Condannati a D'Alema» sono gli ultimi tre titoli. E il vicedirettore Renato Farina scrive: «Chiunque altro di sinistra sarebbe una sciacquetta, con cui sarebbe inutile stringere qualsiasi patto: tanto nessuno seguirebbe alla base. L'unico capace di mantenere i patti è D'Alema. E' un cobra; ma sarà più facile che morda Prodi anziché il Cavaliere. E poi se Prodi cadesse non darebbe mai l'incarico a Veltroni».
E' ovvio che tanti apprezzamenti destano sospetti. Ma dimostrano che non è vero quello che Berlusconi e soci sono costretti a dire pubblicamente. Intimamente, per calcoli propri, a loro non dispiacerebbe D'Alema al Quirinale.
A questo punto se D'Alema non ce la farà, sarà perché lui avrà deciso di non farcela. Riterrebbe di avere cose migliori da fare.
5 maggio 2006
Kilombo: darsi una regolata
Altra volta in un mio post intitolato Kilombo - Qualcuno ha sbagliato casa sollevai il problema della mancanza di coerenza tra quanto si sancisce nell'art. 3 della Carta di Kilombo e quello che si inserisce (si lascia passare) nel meta-blog.
Riporto nuovamente quello che si legge nell'art. 3: «Kilombo intende rappresentare un libero spazio di discussione pubblica, scambio paritario di conoscenze e mobilitazione democratica, tra cittadini che si riconoscono nella storia della sinistra parlamentare ed extraparlamentare e/o nelle attuali formazioni politiche o gruppi e associazioni di sinistra e/o che condividano dall’esterno le battaglie civili e sociali di tali partiti, gruppi o associazioni. Kilombo si prefigge lo scopo di far incontrare e mettere a confronto le diverse anime della sinistra (da quelle radicali a quelle riformiste) esaltandone i punti di divergenza e di contatto, in una tensione politico-culturale di accomunamento delle differenze».
Questa volta voglio porre l'attenzione su di un post intitolato No a D'Alema Presidente, dove filomenoviscido ha scritto: «Questo blogger intende esprimere la propria contrarietà nettissima all'eventualità che un uomo proveniente dalla tradizione comunista quando questa era dominata dall'Unione Sovietica e dalla dittatura ad essa collegate (nonché da concessioni a pensieri antidemocratici) diventi Presidente della Repubblica. La Presidenza della Repubblica spetta ad uomini di tradizioni pienamente democratiche: Liberali, Democraticicristiani, Socialisti».
Questo corrisponde esattamente a quello che ha detto oggi Berlusconi, durante una manifestazine elettorale a Napoli: «Chi ha detto di avere inciso nel cuore il simbolo della falce e del martello, un simbolo di morte, non può pretendere di occupare una poltrona che deve essere di garanzia».
Ripeto per filomenoviscido quello che dissi per abele. Chi attacca uno dei più importanti e migliori leader della sinistra, utilizzando termini ed argomentazioni della destra più retriva non può appartenere alla sinistra, non ha nulla a che fare con la sinistra e non può quindi appartenere al progetto di "kilombo - meta-blog delle sinistre".
Quando ci si lamenta che kilombo non riesce a suscitare attenzione sui media, forse la causa è da addebitare alla sfasatura tra l'idea e la pratica.
Credo che manchi il coraggio necessario per condurre fino in fondo un progetto ambizioso qual'è kilombo. Bisogna scegliere tra la quantità delle adesioni e la qualità-coerenza degli aderenti.
Forse si sta già rinunciando all'ottima idea iniziale e si sta facendo diventare kilombo un aggregatore qualunque.
Riporto nuovamente quello che si legge nell'art. 3: «Kilombo intende rappresentare un libero spazio di discussione pubblica, scambio paritario di conoscenze e mobilitazione democratica, tra cittadini che si riconoscono nella storia della sinistra parlamentare ed extraparlamentare e/o nelle attuali formazioni politiche o gruppi e associazioni di sinistra e/o che condividano dall’esterno le battaglie civili e sociali di tali partiti, gruppi o associazioni. Kilombo si prefigge lo scopo di far incontrare e mettere a confronto le diverse anime della sinistra (da quelle radicali a quelle riformiste) esaltandone i punti di divergenza e di contatto, in una tensione politico-culturale di accomunamento delle differenze».
Questa volta voglio porre l'attenzione su di un post intitolato No a D'Alema Presidente, dove filomenoviscido ha scritto: «Questo blogger intende esprimere la propria contrarietà nettissima all'eventualità che un uomo proveniente dalla tradizione comunista quando questa era dominata dall'Unione Sovietica e dalla dittatura ad essa collegate (nonché da concessioni a pensieri antidemocratici) diventi Presidente della Repubblica. La Presidenza della Repubblica spetta ad uomini di tradizioni pienamente democratiche: Liberali, Democraticicristiani, Socialisti».
Questo corrisponde esattamente a quello che ha detto oggi Berlusconi, durante una manifestazine elettorale a Napoli: «Chi ha detto di avere inciso nel cuore il simbolo della falce e del martello, un simbolo di morte, non può pretendere di occupare una poltrona che deve essere di garanzia».
Ripeto per filomenoviscido quello che dissi per abele. Chi attacca uno dei più importanti e migliori leader della sinistra, utilizzando termini ed argomentazioni della destra più retriva non può appartenere alla sinistra, non ha nulla a che fare con la sinistra e non può quindi appartenere al progetto di "kilombo - meta-blog delle sinistre".
Quando ci si lamenta che kilombo non riesce a suscitare attenzione sui media, forse la causa è da addebitare alla sfasatura tra l'idea e la pratica.
Credo che manchi il coraggio necessario per condurre fino in fondo un progetto ambizioso qual'è kilombo. Bisogna scegliere tra la quantità delle adesioni e la qualità-coerenza degli aderenti.
Forse si sta già rinunciando all'ottima idea iniziale e si sta facendo diventare kilombo un aggregatore qualunque.
3 maggio 2006
L'ultima pernacchia
«Ci rimpiangeranno, siamo stati il migliore governo della Repubblica». E qui sgorga spontanea una pernacchia, l'ultima contro Berlusconi.
D'ora in poi di lui ci occuperemo sempre di meno.
Martedì 2 di maggio è stato per il Berlusca il più brutto giorno della sua vita. Mai si sognava di dover dire addio alla poltrona di primo ministro. Eppure gli è toccato.
Il suo regno è cominciato con un morto ed è terminato con un funerale. La morte di Carlo Giuliani segnò il suo esordio internazionale da premier, durante il G8 di Genova nel 2001. I funerali dei tre soldati uccisi a Nassiriya sono stati l'ultimo atto da presidente in carica.
Ed in mezzo cinque anni di bravate. La politica come cabaret, le pacche sulle spalle, le corna ai capi di stato, gli inopportuni complimenti alle signore, le canzonette al posto delle discussioni, l'appoggio alla guerra in Iraq, le leggi ad personam e per i suoi amici, il conflitto d'interessi, il falso in bilancio, gli insulti ai giudici, la bandana a coprire il trapianto dei capelli, il cerone per coprire le rughe, il rialzo alle scarpe per sembrare più alto, la controriforma della scuola, la fissa dei comunisti, i bambini bolliti in Cina, l'autoproclamazione a Napoleone e gesù cristo.
E' tutto finito. Senza rimpianti e senza pietà. Domani è un altro giorno.
Senza rimpianti
D'ora in poi di lui ci occuperemo sempre di meno.
Martedì 2 di maggio è stato per il Berlusca il più brutto giorno della sua vita. Mai si sognava di dover dire addio alla poltrona di primo ministro. Eppure gli è toccato.
Il suo regno è cominciato con un morto ed è terminato con un funerale. La morte di Carlo Giuliani segnò il suo esordio internazionale da premier, durante il G8 di Genova nel 2001. I funerali dei tre soldati uccisi a Nassiriya sono stati l'ultimo atto da presidente in carica.
Ed in mezzo cinque anni di bravate. La politica come cabaret, le pacche sulle spalle, le corna ai capi di stato, gli inopportuni complimenti alle signore, le canzonette al posto delle discussioni, l'appoggio alla guerra in Iraq, le leggi ad personam e per i suoi amici, il conflitto d'interessi, il falso in bilancio, gli insulti ai giudici, la bandana a coprire il trapianto dei capelli, il cerone per coprire le rughe, il rialzo alle scarpe per sembrare più alto, la controriforma della scuola, la fissa dei comunisti, i bambini bolliti in Cina, l'autoproclamazione a Napoleone e gesù cristo.
E' tutto finito. Senza rimpianti e senza pietà. Domani è un altro giorno.
Senza rimpianti
2 maggio 2006
Grande festa del 1° Maggio
In tutta Italia ieri si è celebrata la festa dei lavoratori con un entusiasmo che mancava da tempo. Piazze e cortei strapieni. E' stata la risposta democratica ai bui cinque anni di regime berlusconiano. La parte più attiva dell'Italia, quella che lavora o che vuole lavorare, ha voluto testimoniare che è sempre viva e presente. Ma il cuore della festa sono stati i giovani, a Locri, a Milano, a Roma, e dovunque.
Piccoli nei nella grande festa sono state le provocazione della destra. Fra queste la più premeditata quella della Letizia Moratti a Milano. Era stata già preavvisata con i fischi del 25 aprile. Ma lei è voluta entrare nel corteo del 1° Maggio con la palese intenzione di sfottere. Ed ha suonato la solita toccata e fuga. Compare nel corteo, si fa fischiare, e scappa. E' ovvio che tutti sono liberi di partecipare a tutti i cortei che vogliono, ma è altrettanto ovvio che tutti sono liberi di fischiare chi vogliono. Libero corteo, con liberi fischi. Ma per arrivare fino in fondo ad un corteo venendo fischiati ci vogliono le palle, e la Moratti non ce l'ha. Anche se un po' controvoglia, devo riconoscere che le palle ha dimostrato di averle Rocco Buttiglione, che pare sia riuscito a Torino ad arrivare fino alla fine del corteo pur tra i fischi.
Un milione di persone, principalmente giovani e ragazzi, in piazza San Giovanni a Roma. Una piazza così gremita i più vecchi la ricordavano solo per i funerali di Palmiro Togliatti e i più giovani per quelli di Enrico Berlinguer. Per otto ore si è ballato, cantato, insultato Berlusconi in un mix di politica e spettacolo. I ragazzi hanno srotolato i loro striscioni ironici e politici: "Io sto a Berlusconi come il pettine a Bisio", "Associazione mafiosa 3-6 anni. 3 canne 6-20 anni". Lungo applauso in ricordo dei soldati italiani morti a Nassiriya. Migliaia di bandiere arcobaleno del movimento pacifista.
I ragazzi, senza limiti di età, hanno ascoltato con attenzione e rispetto la lettera scritta dai giovani di Locri, un vero e proprio appello a non essere lasciati soli di fronte alle pistole ed ai fucili della 'ndrangheta.
Musica e politica fusi insieme. I cantanti si sono esibiti al meglio, gasati dall'entusiasmo della piazza. Dalla mia Puglia è arrivato Caparezza; capelli per aria e rap politico; nato nei centri sociali salentini ha incantato e divertito la piazza con il suo "vengo dalla luna".
I Modena City Ramblers hanno intonato la loro famosa versione di "Bella Ciao". La piazza l'ha cantato in coro ed ha chiesto il bis. Non c'è primo maggio senza "Bella ciao".
Piccoli nei nella grande festa sono state le provocazione della destra. Fra queste la più premeditata quella della Letizia Moratti a Milano. Era stata già preavvisata con i fischi del 25 aprile. Ma lei è voluta entrare nel corteo del 1° Maggio con la palese intenzione di sfottere. Ed ha suonato la solita toccata e fuga. Compare nel corteo, si fa fischiare, e scappa. E' ovvio che tutti sono liberi di partecipare a tutti i cortei che vogliono, ma è altrettanto ovvio che tutti sono liberi di fischiare chi vogliono. Libero corteo, con liberi fischi. Ma per arrivare fino in fondo ad un corteo venendo fischiati ci vogliono le palle, e la Moratti non ce l'ha. Anche se un po' controvoglia, devo riconoscere che le palle ha dimostrato di averle Rocco Buttiglione, che pare sia riuscito a Torino ad arrivare fino alla fine del corteo pur tra i fischi.
Un milione di persone, principalmente giovani e ragazzi, in piazza San Giovanni a Roma. Una piazza così gremita i più vecchi la ricordavano solo per i funerali di Palmiro Togliatti e i più giovani per quelli di Enrico Berlinguer. Per otto ore si è ballato, cantato, insultato Berlusconi in un mix di politica e spettacolo. I ragazzi hanno srotolato i loro striscioni ironici e politici: "Io sto a Berlusconi come il pettine a Bisio", "Associazione mafiosa 3-6 anni. 3 canne 6-20 anni". Lungo applauso in ricordo dei soldati italiani morti a Nassiriya. Migliaia di bandiere arcobaleno del movimento pacifista.
I ragazzi, senza limiti di età, hanno ascoltato con attenzione e rispetto la lettera scritta dai giovani di Locri, un vero e proprio appello a non essere lasciati soli di fronte alle pistole ed ai fucili della 'ndrangheta.
Musica e politica fusi insieme. I cantanti si sono esibiti al meglio, gasati dall'entusiasmo della piazza. Dalla mia Puglia è arrivato Caparezza; capelli per aria e rap politico; nato nei centri sociali salentini ha incantato e divertito la piazza con il suo "vengo dalla luna".
I Modena City Ramblers hanno intonato la loro famosa versione di "Bella Ciao". La piazza l'ha cantato in coro ed ha chiesto il bis. Non c'è primo maggio senza "Bella ciao".
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