È
una raccolta di canti popolari siciliani, in dialetto con traduzione in
italiano, che va dalle insurrezioni del 1812, del 1820, del 1837, del 1848-49,
alle lotte che portarono allo sbarco dei Mille, fino ai fatti di Palermo nel
1866. Ad essi si collega, dopo il 1860, ogni sorta di protesta contro la leva
obbligatoria e contro l’oppressione fiscale e, in genere, contro la monarchia
sabauda; si collega quindi la voce del popolo ingannato e sfruttato. Di alcuni
di essi si riporta in sintesi il contenuto. La prima edizione del volume è
apparsa nel 1961, anno del centenario del Regno d’Italia, presso l’editore
Parenti di Firenze.
Nel 1812 la monarchia borbonica fu travolta
dall’avanzata delle truppe napoleoniche. In quell’anno, come risulta in un
canto, fu inviato dall’Inghilterra in Sicilia il ministro plenipotenziario lord
Bentinch, che ben poco riuscì a fare. Sono degli anni successivi il canto sulla
carestia del 1813 e quello su Gioacchino Murat, che fu fucilato nel 1815 a
Pizzo Calabro.
La rivoluzione del 1820 ebbe come
protagonista il popolo palermitano. L’eroe dell’insurrezione fu il prete
Gioacchino Vàglica, che terminata la rivolta fu rinchiuso in un convento nella
fortezza di Gaeta.
I canti sul colera del 1837, che diedero
vita a uccisioni e rivolte popolari, documentano le condizioni in cui erano
tenute le classi subalterne siciliane.
Numerosi furono i canti che sorsero intorno
al glorioso ma sfortunato tentativo del 1848, quando i siciliani si schierarono
contro i Borbone, dimostrando così che lottavano per la loro terra e la loro
libertà. Si narrano avvenimenti che vanno dal 12 gennaio 1848 al 15 maggio
1849. I popolani sbaragliano le truppe ben armate e organizzate dei napoletani,
si riporta la storia del crudele Gioacchino Leto e della polizia borbonica; le
vicende vengono quasi completamente spogliate dei suoi connotati storici e
fissate in un’atmosfera fantastica. Il papa Pio IX venne invocato in tutte le
sommosse e finì col diventare un mito. Il 13 aprile 1848, a Palermo la Camera
dei Comuni, decretava all’unanimità la decadenza di Ferdinando di Borbone, a
cui si dava il titolo di Bombardatore. Il Popolo diventava il Re.
Il 1849 segna, dopo varie lotte e
spargimenti di sangue, la riappropriazione dell'intera Sicilia da parte dei
Borbone. All’arrivo dei regi ritorna nel popolo la calma. Vari canti riportano
tale cambio di umore popolare.
Nel 1860 molti sono i canti che inneggiano
a Garibaldi, che venne con i suoi Mille a risollevare la Sicilia, fintantoché
il popolo non s’accorse di essere stato ingannato ancora una volta. Si chiude
così la fase eroica del Risorgimento e si intraprende una protesta più aspra e
violenta contro i nuovi rapinatori sabaudi. È ormai diffuso, tra le masse
popolari, il convincimento che l’unificazione non determinerà mutamenti nelle
loro condizioni, anzi le peggiorerà; a cominciare dalla leva obbligatoria, a
continuare dalla moneta di carta che sostituisce quella di metallo spesso
prezioso, a seguire con la soppressione degli Ordini religiosi con la
spoliazione di chiese e conventi.
Con la rivolta fallita del sette e mezzo
(dalla durata in giorni) del settembre 1866 crolla definitivamente ogni
speranza di rinnovamento e di giustizia sociale.
Luigi Lombardi Satriani chiude la
sua introduzione al libro con la frase, con la quale siamo d’accordo: “Lo
scontro storico [nei primi decenni postunitari] si risolse ancora una volta in
una sconfitta delle classi subalterne e in una vittoria delle classi al
potere.”
Rocco Biondi
Antonino Uccello, Risorgimento e società nei canti popolari
siciliani, Introduzione di Luigi M. Lombardi Satriani, Pellicanolibri
Edizioni, Catania 1978, pp. 286