7 giugno 2018

Non mi arrendo, di Gianandrea de Antonellis

«È un romanzo storico che, - come si dice nel primo risvolto di copertina -, pur presentando protagonisti di fantasia, rispetta accuratamente le vicende reali che gli fanno da sfondo, dalla ricostruzione degli ambienti alla verosimiglianza degli avvenimenti».
     Protagonista è il barone Luigi Vinciguerra, capitano dell’esercito borbonico. Gli vengono affidate, nel decennio 1860-1870, varie missioni, che lo fanno sperare in una riscossa militare. Ma alla fine si rende conto che la sua è una battaglia perduta.
     Chiede ed ottiene, dopo la resa di Gaeta, di portare uno stendardo, ricamato dalla regina Maria Cristina e benedetto dal Papa, da quest’ultima fortezza a quella di Civitella del Tronto che ancora non si era arresa. Luigi, dopo la caduta anche di quest’ultima, riportò lo stendardo a Roma, dove si trovava il Re. A lui la regina Maria Sofia affidò l’incarico di visitare i presidenti dei comitati borbonici sorti a Barcellona, a Marsiglia e nel sud della Francia, per sondare le loro vere intenzioni ai fini della rivolta per riportare i Borbone sul trono delle Due Sicilie. Luigi a Marsiglia incontrò il generale José Borges.
     Al duca Andrea Guarna era stato incarico dalla regina di contattare i principali comitati borbonici del Lazio, dove operava la Brigata Leggera organizzata da Theodor Friedrich Klitsche De La Grance; il duca Guarna avrebbe dovuto aprire le porte di Potenza ai filoborbonici. Il barone Pino Lancia, che non aveva preso contatto con alcun comitato, e che conosceva molto bene tutti i luoghi, dalla Calabria a Roma, dove José Borges era stato stabilito avrebbe fatto sollevare tutti coloro che non avevano ricevuto alcun beneficio dall’invasione piemontese: i contadini, i braccianti, i pastori, da un lato; gli aristocratici e la borghesia onesta, dall’altro.
     Ma Potenza non fu presa e Borges insieme ai suoi pochi compagni furono uccisi a Tagliacozzo.
     Altri personaggi del romanzo sono: padre Zilli che rimane sempre convinto che prima o poi il re Francesco II sarebbe tornato sul suo trono, la brigantessa Rosa attorno alla quale erano fiorite varie leggende, il legittimista marchese Alfred de Trezegnies de Namour, Rita la cameriera che conosceva vari segreti della famiglia Vinciguerra.
     Luigi aveva passato molti anni fra i briganti, ma non si fidava di essi. Fra Carmine Crocco e José Borges preferiva quest’ultimo.
     A Luigi, mentre stava progettando l’assassinio del prefetto, gli fu condonato tutto il passato. Tornava ad essere completamente libero. Abbandonò ogni proposito militare, «la Tradizione [nel romanzo si parla spesso di essa] non si serve solo con le armi in pugno, ma anche con l’esempio quotidiano». Non si sarebbe arreso mai, non si sarebbe mai dato per vinto, contro tutte le apparenze.
Rocco Biondi

Gianandrea de Antonellis, Non mi arrendo, da Gaeta a Civitella l’eroica difesa del Regno delle Due Sicilie, Controcorrente, Napoli 2001, pp. 232