A metà tra saggio e romanzo, viene rievocata la distruzione di Pontelandolfo e Casalduni, due paesi campani, in provincia di Benevento, ad opera dell’esercito piemontese, il 14 agosto 1861. E’ una vicenda, tristemente famosa, legata agli anni del brigantaggio postunitario.
I briganti furono ribelli che si opposero al nuovo ordine politico sabaudo, imposto con le armi agli abitanti del Regno delle Due Sicilie, senza dichiarazione di guerra. Ma erano anche ribelli alle ingiustizie sociali cui venivano sottoposte le classi soggette ad un secolare sfruttamento economico. I briganti sono stati i veri oppositori alla storia risorgimentale, che tanti danni ha arrecato alla società e alla economia meridionale. Dalla storia ufficiale sono stati considerati criminali, con conseguente giustificazione della repressione armata, con metodi che calpestavano ogni garanzia di diritto.
Ma in anni più recenti diversi autori (Molfese, Pedìo, De Jaco, Nitti, Scirocco, Topa, Alianello, ecc.) hanno effettuato una lettura più serena e attenta su quelle vicende. I briganti meridionali sono stati partigiani ribelli, che si sono successivamente trasformati in emigranti. Finalità del libro di Di Fiore è quella di raccontare una delle tante storie di quei “vinti”.
Scrive Di Fiore nella introduzione: “Per almeno due anni, dal 1861 al 1863, molti tra quelli che vennero definiti ‘briganti’ combatterono una loro guerra di Resistenza. Guerra civile contro i soldati ‘piemontesi’ e di classe contro i notabili dell’Italia meridionale. Ansie di riscatto, voglia di terra, fame, disillusione spingevano disperati, ex soldati borbonici sbandati, ex volontari garibaldini, contadini spogliati di fazzoletti di terra, pastori senza più pascoli e sorgenti per le loro greggi, a scatenare la prima guerra civile della nostra storia unitaria, mai abbastanza raccontata”.
Il libro è una libera rielaborazione delle vicende storiche, ricostruite partendo e lasciando come sfondo un approfondito accertamento su documenti e testi originali. In appendice poi vengono riportati un profilo storico dei personaggi, una cronologia dei fatti narrati, alcuni brani di documenti e testi esaminati, una ricca bibliografia. Intento dichiarato da Di Fiore è quello di carattere divulgativo e non accademico, nel tentativo di incuriosire il lettore non specialistico per spingerlo verso successivi approfondimenti.
Protagonista del romanzo-saggio è il brigante Pasqualino (nella realtà Ranaudo Pasquale detto Mattone) che si innamora della giovanissima Concetta (Concetta Biondi violentata e uccisa dai piemontesi). Pasquale finirà la sua vita in America, da emigrante.
La storia d’amore ha come sfondo i tragici fatti che avvennero a Pontelandolfo e Casalduni nell’agosto del 1861. I piemontesi, con la farsa del plebiscito celebratosi il 21 ottobre 1860, camuffarono l’invasione e l’annessione dei territori del Regno delle Due Sicilie. Viene pubblicato dal Piemonte un bando di chiamata alle armi dei giovani del Regno delle Due Sicilie. In molti luoghi questo bando non viene reso noto. I piemontesi eseguono molte fucilazioni dei renitenti alla leva. Cominciano le fughe sulle montagne, alimentate anche dai soldati borbonici sbandati. I piemontesi fucilano meridionali senza nessun processo, distruggono paesi, formano liste di sospetti.
La popolazione meridionale è ancora
dalla parte di Francesco II, ultimo re borbone, anche a Pontelandolfo e
Casalduni, ove i briganti capitanati da Cosimo Giordano e Angelo Pica entrano
ben accolti dalla popolazione. Il parroco di Pontelandolfo e il sindaco di
Casalduni erano di fede borbonica. Dagli uffici pubblici vennero abbattute le
insegne sabaude e riposizionate quelle borboniche. Durante la rivolta furono
uccisi alcuni “galantuomini” proprietari terrieri, sfruttatori del popolo.
Le autorità militari piemontesi inviarono degli uomini, al comando del tenente Augusto Bracci, per verificare l’accaduto. Il tenente, non rispettando gli ordini ricevuti di tenersi lontano dai briganti, volle entrare in Casalduni, quasi a sfidarli. Venne ucciso insieme a quaranta suoi soldati.
La morte di tanti soldati non venne lasciata passare liscia. Doveva essere impartita una solenne lezione a “quei cafoni ribelli”. E fu un massacro di tanti civili innocenti. Il generale Enrico Cialdini, luogotenente del re Vittorio Emanuele, fece inviare quattrocento soldati a Casalduni e cinquecento a Pontelandolfo con l’ordine: “Che di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra”. Fu appiccato il fuoco alle case con ancora molte persone dentro; chi usciva di casa veniva affrontato con le baionette, chi tentava di correre per mettersi al riparo veniva colpito da scariche di fucili. Fu un inferno. Era la legge degli invasori piemontesi: violenze, stupri, saccheggi, uccisioni di innocenti.
Venne inviato al Comando generale il seguente dispaccio telegrafico: “Giovedì, 15 agosto 1861. Ieri, all’alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora”. Quanti furono veramente i morti non si saprà mai. Forse un migliaio. Fu un massacro sul quale pian piano comincia a farsi luce.
Gigi Di Fiore, 1861 Pontelandolfo e Casalduni. Un massacro dimenticato, Gruner + Jahr/Mondadori, Milano 2013, Edizione di Focus Storia, pp. 192
Le autorità militari piemontesi inviarono degli uomini, al comando del tenente Augusto Bracci, per verificare l’accaduto. Il tenente, non rispettando gli ordini ricevuti di tenersi lontano dai briganti, volle entrare in Casalduni, quasi a sfidarli. Venne ucciso insieme a quaranta suoi soldati.
La morte di tanti soldati non venne lasciata passare liscia. Doveva essere impartita una solenne lezione a “quei cafoni ribelli”. E fu un massacro di tanti civili innocenti. Il generale Enrico Cialdini, luogotenente del re Vittorio Emanuele, fece inviare quattrocento soldati a Casalduni e cinquecento a Pontelandolfo con l’ordine: “Che di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra”. Fu appiccato il fuoco alle case con ancora molte persone dentro; chi usciva di casa veniva affrontato con le baionette, chi tentava di correre per mettersi al riparo veniva colpito da scariche di fucili. Fu un inferno. Era la legge degli invasori piemontesi: violenze, stupri, saccheggi, uccisioni di innocenti.
Venne inviato al Comando generale il seguente dispaccio telegrafico: “Giovedì, 15 agosto 1861. Ieri, all’alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora”. Quanti furono veramente i morti non si saprà mai. Forse un migliaio. Fu un massacro sul quale pian piano comincia a farsi luce.
Gigi Di Fiore, 1861 Pontelandolfo e Casalduni. Un massacro dimenticato, Gruner + Jahr/Mondadori, Milano 2013, Edizione di Focus Storia, pp. 192