25 ottobre 2008

Berlusconi elmetto e manganello

Berlusconi ha perso il controllo di sé e della situazione. Ma non è una novità. Voleva mandare la polizia contro quei facinorosi di studenti che si permettono di contestare la sua Gelmini. Ma qualcuno gli ha fatto cambiare idea. Tanto lui ha la maggioranza in Parlamento ed andrà comunque avanti. Chissenefrega degli studenti, dei professori, dei rettori, dei genitori. Non c’è nessuna possibilità di dialogo. Berlusconi dice che quelle manifestazioni sono organizzate dall’estrema sinistra e dai centri sociali.
La Gelmini sostiene che chi difende la scuola e l’università di oggi è rimasto indietro. Ma lei è andata più indietro ancora, andando a resuscitare il maestro unico, morto quasi trenta anni fa. Povera Gelmini. Lei non sa cosa dice, ripete slogan che qualche altro le ha preparato.
Gli studenti dicono di non aver paura delle minacce di Berlusconi. Ed andranno avanti. Sostengono che è Berlusconi ad aver paura di loro. In questo muro contro muro, il potere potrebbe provocare qualche incidente. I media, che ora sono a favore dell’onda anomala degli studenti, potrebbero passare dalla parte dell’onda del potere.
Chi sosteneva che i giovani di oggi sono apatici e senza ideali, deve ricredersi. Un giovane ha detto: «Sai cosa c'è? Alla fine uno si rompe le balle di avere paura. Ho 22 anni e vivo ogni giorno a sotto ricatto. Paura di non farcela a riscattare tutti i crediti, del contratto da precario in scadenza, di non poter più pagare l'affitto e dover tornare dai miei, di non trovare un vero lavoro dopo la laurea, della crisi mondiale e dell'aumento delle bollette. Campo a testa china e tiro avanti sperando che domani sia migliore. Ma se mi dicono che domani non c'è più, l'hanno tagliato nella finanziaria, allora basta. Non mi spaventa più Berlusconi che dice di voler mandare la polizia. Non mi spaventa nulla, sono stufo. E finalmente, respiro». Ed allora avanti con le proteste e le occupazioni.
Non tutti vogliono vendersi l’anima e la dignità. Pochi sono figli di papà. Molti non li manda nessuno.
Ricordo che, quando moltissimi anni fa mi laureai, chiesi ad un professore-giornalista di darmi una mano per farmi entrare nel suo giornale, mi rispose che lui non aveva nessun potere. Avrebbe potuto aiutarmi, una volta dentro, solo se qualche altro mi avesse fatto entrare. Ma non mi mandava nessuno e rimasi fuori.
Qualche anno prima ero andato addirittura a parlare con Rossellini, allora direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, per chiedergli di aiutarmi ad entrare al Centro. Ricordo che mi guardò sorpreso. Forse, nell’al di là, sta ancora aspettando che qualcuno che conta mi presenti.
Riuscii invece ad iscrivermi ad un corso di giornalismo e cinematografia presso la Pro Deo di Padre Morlion. Ero uno dei pochissimi italiani iscritti, fra altri 250, quasi tutti stranieri. Correva l’anno accademico 1969/70. Erano gli anni della contestazione. Occupammo la Pro Deo per tre mesi. Auspicavamo l’arrivo della polizia. Ma Padre Morlion non la chiamò. L’occupazione si esaurì naturalmente. Gli ultimi ad abbandonare fummo io ed un ragazzo cileno.
Amarcord. Oggi i tempi sono cambiati. E forse peggiorati. Se non sei nessuno, rimani nessuno. Se non ti manda qualcuno, non vai da nessuna parte. Ma si sopravvive comunque. Meglio avere la schiena dritta e non arrendersi. Coraggio!

18 ottobre 2008

Il federalismo bossiano è una scorreggia

Mutuando una battuta del senatur padano Bossi contro Gianfranco Miglio (padre del federalismo alla polenta con gli osèi), potremmo dire che il contenuto del disegno di legge sul federalismo fiscale, sfornato dal consiglio dei ministri del 3 ottobre 2008, è una scorreggia nello spazio.
Il vero federalismo è quello che propugna l’unione di più stati nazionali per raggiungere più facilmente fini comuni. Il disegno di legge italiano invece vuole in pratica smembrare lo stato unitario in regioni autonome, che spendono nei propri confini le entrate fiscali, senza farle confluire al centro.
Eugenio Scalfari ha scritto che quel disegno di legge è soltanto una scatola vuota, che è già costata un bel po’ di soldi agli italiani. La berlusconiana abolizione dell’Ici era una totale sciocchezza populista, che sarebbe caduta sulle spalle di noi contribuenti, come è avvenuto e continuerà ad avvenire. Alla fine del processo, se non viene bloccato prima, avremo un’Italia a doppia velocità: il nord continuerà ad arricchirsi ed il sud diventerà sempre più povero. «Se c’era un momento - scrive Scalfari - in cui sarebbe stato insensato parlare di federalismo fiscale, quel momento è esattamente l’autunno del 2008 cioè i giorni e i mesi che stiamo vivendo».
Paolo Ferrero ha detto che il federalismo fiscale è una storica fregatura, che gli italiani pagheranno a lungo. Forse per sempre, dico io.
Quello che Bossi vuole fare oggi, sarebbe stato bene farlo nel 1860. Quando il sud dei re Borbone era molto più ricco del nord dei Savoia e degli altri stati e staterelli italiani messi assieme. Allora i piemontesi rubarono tutte le ricchezze del sud e se le portarono al nord. Con l’odierno federalismo il nord vuole perpetuare quel ladrocinio.
Negli anni in cui fu fatta l’unità d’Italia, si fronteggiavano due posizioni contrapposte: quella degli unitari, che sostenevano l’esigenza che l’Italia diventasse «una sola repubblica indivisibile» e quella dei federalisti, che ritenevano più opportuno dar vita agli «Stati liberi federati d’Italia».
Il maggiore esponente degli “unitari” fu Mazzini, che sostenne l’esigenza di un’Italia «unita, indipendente, libera e repubblicana». Sul fronte dei “federalisti” si schierarono, da una parte, Gioberti, con il suo progetto di “neoguelfismo”, che immaginava di mettere alla testa di una confederazione degli Stati italiani il Papa Pio IX, e dall’altra parte Balbo, Torelli, Durando, che propugnavano un federalismo nazionale moderato, di cui la monarchia avrebbe costituito l’elemento aggregante e unificatore.
Vinsero, purtroppo potremmo dire con il senno dipoi, gli unitari. Se avessero vinto i federalisti non avremmo avuta la guerra civile, che insanguinò l’Italia per un decennio (1860-1870), e che vide contrapposti gli italiani del sud, appellati spregiativamente “briganti”, e gli italiani del nord, esportatori di civiltà con le armi e con la forza bruta della legge Pica.
Massimo teorico del federalismo fu Carlo Cattaneo, che nel 1860 scriveva: «Io non ho sperato mai nella nuda unità: per me la sola possibil forma d’unità tra liberi popoli è un patto federale». Bisogna contrapporre - diceva ancora Cattaneo - la federazione alla fusione e mostrare che un patto fra popoli è la sola via che può avviarli alla concordia e all’unità: «ogni fusione conduce al divorzio e all’odio». Il sistema federale nasce “dal basso”, non può essere imposto.
Ed ancora Cattaneo, nel luglio del 1860, replicando a Crispi, diceva: «La mia formula è Stati Uniti, se volete Regni Uniti. Per essere amici bisogna che ognuno resti padrone in casa sua». Ed andava ancora oltre: «Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d’Europa».
Le idee sul federalismo del Cattaneo sono d’altra tempra, rispetto alle scorregge di Bossi.