L’elezione del nero Barak Obama a presidente degli Stati Uniti d’America ha aperto uno spiraglio di luce nel buio mondiale di oggi. Oltre a rappresentare i “normali”, rappresenta i diversi, i più deboli, gli immigrati, i senza tetto, i disoccupati, quelli di religione diversa dalla nostra, chi ha perso il posto di lavoro, chi non riesce con i soldi che ha ad arrivare alla fine del mese, i ricercatori che sono costretti ad emigrare per poter lavorare, quelli che non rubano, quelli che aiutano gli altri a star meglio, le donne violentate, quelli che hanno un colore della pelle diversa dalla nostra, i nostri sogni che non riusciamo a realizzare. Tutti sperano che Obama possa fare miracoli, come un Messia laico: dar da mangiare agli affamati, curare i malati, posti di lavoro ai disoccupati, ordinazioni alle industrie, soldi alle banche. Ma i miracoli sono rari o forse non esistono. Gli americani però hanno avuto coraggio, si sono e ci hanno regalato un sogno.
Ma in contrapposizione a questo nero positivo, il 2008 ci ha lasciato un anno di nero buio negativo.
Gli israeliani stanno massacrando i palestinesi abitanti nella striscia di Gaza, con bombardamenti aerei indiscriminati, uccidendo anche donne e bambini. Dicono di voler annientare i terroristi di Hamas. Ma non potranno mai riuscirci. Hamas è un movimento politico che ha vinto le elezioni e rappresenta la maggioranza del mondo palestinese. Se gli attivisti di Hamas sono terroristi, allora tutti i palestinesi sono terroristi, e ciò non può essere vero. Ritengo invece che l’operazione “Piombo fuso” abbia come obiettivo quello di svuotare gli arsenali dell’industria bellica israeliana, per produrre nuove armi sempre più sofisticate. L’industria delle armi da guerra è forse la più fiorente attività economica israeliana. L’arsenale bellico di Hamas invece è costituito da poveri razzi Qassam, mortai imprecisi e migliaia di volontari pronti a morire. La sproporzione è enorme. E’ come se ad uno che ti dà un pugno tu gli spari in fronte. Nella striscia di Gaza si combatte la biblica battaglia di Golia israeliano contro Davide palestinese. Nel racconto biblico a vincere fu Davide, che prima tramortì Golia con una pietra lanciata da una fionda e poi lo uccise con la sua stessa spada. Non sempre vincono i più forti.
Il 2008 ci ha lasciato una delle più gravi crisi economiche mondiali dell’era contemporanea. Le grandi società economiche sono in crisi, quelle automobilistiche, quelle bancarie, quelle edilizie. Gli speculatori di Borsa stanno bruciando ingenti capitali. Ma la crisi è anche ambientale, culturale, politica, morale. Le conseguenze su di noi poveri e singoli consumatori sono pesanti. Il capitalismo senz’anima ha fallito.
All’Italia il 2008 ha riportato la grande sventura della vittoria di Berlusconi nelle elezioni di primavera. Il buio è pesto. Metà degli italiani ne sono consapevoli, l’altra metà ne è inconsapevole. L’attuale maggioranza di Governo, più che porre attenzione a migliorare le condizioni di vita dei cittadini italiani, è impegnata a risolvere i problemi giudiziari del Cavaliere. In Italia la democrazia reale è in pericolo. Il cielo è sempre più nero. Il buio italiano potrà cominciare a diradarsi quando Berlusconi scomparirà definitivamente dalla scena politica italiana.
31 dicembre 2008
24 dicembre 2008
Newsweek: il Berlusca non c’è
Il settimanale americano Newsweek ha stilato la lista dei 50 personaggi più potenti al mondo. A conferma di quello che noi pensiamo, che il Berlusca nello scacchiere mondiale valga quanto il due di bastone a briscola e cioè niente, il nostro PresDelCons non vi compare per niente. Per questo affronto, Lui è incazzato nero. A nulla sono valse le corna fatte al ministro degli Esteri spagnolo Josep Piqué durante la foto ricordo di una riunione della comunità europea, il cucù alla Merkel nel vertice italio-tedesco di Trieste, la corte alla presidente della Finlandia, le barzellette raccontate in giro per il mondo. Niente da fare, a Berlusconi nemmeno uno strapuntino come buffone di corte dell’intero mondo. E Lui si vendica minacciando di farsi eleggere Presidente unico ed assoluto dell’Italia unita.
Tutti gli altri paesi del G8 hanno loro rappresentanti nella classifica, manca solo l’Italia, per (de)merito di Berlusconi. Il presidente francese Sarkozy si è addirittura piazzato al 3° posto, dopo il presidente-eletto degli Usa Barack Obama (1°) ed il presidente cinese Hu Jintao (2°). Il capo della Chiesa cattolica romana, Papa Benedetto XVI Ratzinger, ospitato in territorio italiano, conquista un modesto 37° posto. Molto vicino al 42° posto del terrorista globale, leader di Al-Qaeda, Osama bin Laden. Il premier britannico Gordon Brown si piazza al 7° posto. All’8° posto la premier tedesca Angela Merkel.
Complessivamente le donne presenti in lista, compresa la già citata Merkel, sono solo sette: il prossimo segretario di Stato Usa Hillary Clinton (13°), il presidente del Partito del Congresso indiano Sonia Gandhi (17°), la moglie di Bill Gates Melinda Gates (23°), il presidente della Camera dei rappresentanti Usa Nancy Pelosi (24°), il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della salute Margaret Chan (44°), la regina dei talk-show tv Usa Oprah Winfre (47°). Pure le donne hanno annullato Berlusconi.
Se vuole contare qualcosa nel mondo, all’Italia urge liberarsi per sempre del Berlusca.
Tutti gli altri paesi del G8 hanno loro rappresentanti nella classifica, manca solo l’Italia, per (de)merito di Berlusconi. Il presidente francese Sarkozy si è addirittura piazzato al 3° posto, dopo il presidente-eletto degli Usa Barack Obama (1°) ed il presidente cinese Hu Jintao (2°). Il capo della Chiesa cattolica romana, Papa Benedetto XVI Ratzinger, ospitato in territorio italiano, conquista un modesto 37° posto. Molto vicino al 42° posto del terrorista globale, leader di Al-Qaeda, Osama bin Laden. Il premier britannico Gordon Brown si piazza al 7° posto. All’8° posto la premier tedesca Angela Merkel.
Complessivamente le donne presenti in lista, compresa la già citata Merkel, sono solo sette: il prossimo segretario di Stato Usa Hillary Clinton (13°), il presidente del Partito del Congresso indiano Sonia Gandhi (17°), la moglie di Bill Gates Melinda Gates (23°), il presidente della Camera dei rappresentanti Usa Nancy Pelosi (24°), il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della salute Margaret Chan (44°), la regina dei talk-show tv Usa Oprah Winfre (47°). Pure le donne hanno annullato Berlusconi.
Se vuole contare qualcosa nel mondo, all’Italia urge liberarsi per sempre del Berlusca.
21 dicembre 2008
PD fusione a freddo
Certamente non farò come Berlusconi e i berlusconiani che, non essendo del Pd, pretendono di dettare i comportamenti che i “democratici” italiani devono tenere. Tantomeno voglio dare consigli. Sono interessato invece a che il Pd, la più grande forza della sinistra e attualmente l’unica presente nel Parlamento, esca dalle secche in cui si trova e prenda il largo, nell’interesse di tutta la sinistra e di tutti i democratici che vogliono far uscire per sempre l’Italia dall’involuzione e dal pericolo berlusconiani.
Quando dalla fusione a freddo tra Ds e Margherita nacque il Pd, io non vi entrai e segui Mussi nella Sinistra Democratica. Ma noi, insieme a tutti gli altri della cosiddetta sinistra radicale, abbiamo fatto una brutta fine. Come tanti altri, illudendomi di poter battere Berlusconi, votai Veltroni. Con conseguente doppia fregatura: Berlusconi vinse e noi della sinistra sparimmo dal Parlamento.
Ed ora che fare? Ipotesi e proposte sono tante e confuse. Una cosa però è certa. Finché andremo divisi e sparpagliati continueremo a perdere, lasciando per sempre l’Italia in mano al berlusconismo e condannandoci all’opposizione eterna.
Dopo aver auspicato che finiscano le guerre tra i big di sempre all’interno del Pd, pensiamo a trovare le medicine adatte per rivitalizzare noi della sinistra “radicale”. O moriremo tutti e per sempre.
Quando dalla fusione a freddo tra Ds e Margherita nacque il Pd, io non vi entrai e segui Mussi nella Sinistra Democratica. Ma noi, insieme a tutti gli altri della cosiddetta sinistra radicale, abbiamo fatto una brutta fine. Come tanti altri, illudendomi di poter battere Berlusconi, votai Veltroni. Con conseguente doppia fregatura: Berlusconi vinse e noi della sinistra sparimmo dal Parlamento.
Ed ora che fare? Ipotesi e proposte sono tante e confuse. Una cosa però è certa. Finché andremo divisi e sparpagliati continueremo a perdere, lasciando per sempre l’Italia in mano al berlusconismo e condannandoci all’opposizione eterna.
Dopo aver auspicato che finiscano le guerre tra i big di sempre all’interno del Pd, pensiamo a trovare le medicine adatte per rivitalizzare noi della sinistra “radicale”. O moriremo tutti e per sempre.
13 dicembre 2008
Uniti contro la Carfagna
Se mi fossi trovato a Roma oggi sarei stato in Piazza Farnese. A manifestare contro il Disegno di legge recante “Misure contro la prostituzione”, promosso dal Ministero per le pari opportunità di Mara Carfagna. Erano presenti prostitute, gay, trans, operatori di strada, associazioni laiche e cattoliche. Contro il perbenismo di facciata e controproducente dell’attuale governo. “E' la loro morale che inquina le strade”, recitava uno striscione.
Il ddl, nelle intenzioni e nelle dichiarazioni della Carfagna, avrebbe voluto essere un “durissimo schiaffo” alla prostituzione. Nei fatti è un ritorno alle “case chiuse” di prima della Legge Merlin. La prostituzione non la si vuol far scomparire, la si vuol solo nascondere. «La tipica logica che porta a spazzare l’immondizia sotto il tappeto», ha detto Andrea Morniroli dei “Cantieri sociali”. E comunque sull’equazione “prostituzione uguale immondizia” si dovrebbe forse riflettere.
E’ stato gioco facile rinfacciare alla Carfagna la sua doppia morale; lei il suo corpo ha potuto venderlo posando nuda sui calendari, non possono venderlo invece le prostitute. Sono state vendute delle t-shirt con una foto del calendario dell'allora soubrette Mara Carfagna, sottotitolate: “Che orrore vendere il proprio corpo”. Sergio Ravasio di “Certi diritti” ha detto: «Il ministro Carfagna dovrebbe essere più coerente. Non può dire, in tono ripugnante, che non bisogna vendere il proprio corpo, quando in passato ha posato nuda per calendari».
Ci opponiamo al ddl della Carfagna perché con esso si vuole costringere le persone ad esercitare la prostituzione al chiuso, dove è più difficile difendersi dalla violenza e dove aumenta la precarietà. Con la sua impostazione esclusivamente repressiva toglie ogni prospettiva futura per chiunque voglia abbandonare la prostituzione. Chi esercita la prostituzione si vedrà drasticamente ridotte le possibilità di accedere all’assistenza e protezione sociale in quanto sarà sempre più irraggiungibile dagli operatori sociali ma anche dalle forze dell’ordine. Il ddl, criminalizzando la prostituzione, aumenta la stigmatizzazione e il pregiudizio verso chi la pratica, esponendo le persone a violenze, persecuzioni, discriminazioni e maggior emarginazione. Si limita la libertà, l’autodeterminazione e si ledono i diritti delle persone.
La prostituzione potrebbe sembrare un fatto marginale, ma forse non lo è se in Italia sono 9 milioni gli uomini che comprano sesso e 70 mila le prostitute che lo offrono.
In Italia si è creato un pericoloso clima di intolleranza verso tutte le persone socialmente più deboli, facendole diventare il capro espiatorio su cui sfogare le frustrazioni di un Paese che continua ad impoverirsi sempre più e non solo economicamente.
La “sicurezza” sta diventando l’abbaglio e il pretesto per escludere e discriminare i più deboli, idiversi e gli stranieri, nei confronti dei quali sono aumentate aggressioni, violenze, discriminazioni. Sulla paura e sull’insicurezza si costruiscono campagne che non risolvono ma ingigantiscono i problemi, dei quali si continua a non considerare le cause cercando semplicemente di eliminarne gli effetti.
Il ddl, nelle intenzioni e nelle dichiarazioni della Carfagna, avrebbe voluto essere un “durissimo schiaffo” alla prostituzione. Nei fatti è un ritorno alle “case chiuse” di prima della Legge Merlin. La prostituzione non la si vuol far scomparire, la si vuol solo nascondere. «La tipica logica che porta a spazzare l’immondizia sotto il tappeto», ha detto Andrea Morniroli dei “Cantieri sociali”. E comunque sull’equazione “prostituzione uguale immondizia” si dovrebbe forse riflettere.
E’ stato gioco facile rinfacciare alla Carfagna la sua doppia morale; lei il suo corpo ha potuto venderlo posando nuda sui calendari, non possono venderlo invece le prostitute. Sono state vendute delle t-shirt con una foto del calendario dell'allora soubrette Mara Carfagna, sottotitolate: “Che orrore vendere il proprio corpo”. Sergio Ravasio di “Certi diritti” ha detto: «Il ministro Carfagna dovrebbe essere più coerente. Non può dire, in tono ripugnante, che non bisogna vendere il proprio corpo, quando in passato ha posato nuda per calendari».
Ci opponiamo al ddl della Carfagna perché con esso si vuole costringere le persone ad esercitare la prostituzione al chiuso, dove è più difficile difendersi dalla violenza e dove aumenta la precarietà. Con la sua impostazione esclusivamente repressiva toglie ogni prospettiva futura per chiunque voglia abbandonare la prostituzione. Chi esercita la prostituzione si vedrà drasticamente ridotte le possibilità di accedere all’assistenza e protezione sociale in quanto sarà sempre più irraggiungibile dagli operatori sociali ma anche dalle forze dell’ordine. Il ddl, criminalizzando la prostituzione, aumenta la stigmatizzazione e il pregiudizio verso chi la pratica, esponendo le persone a violenze, persecuzioni, discriminazioni e maggior emarginazione. Si limita la libertà, l’autodeterminazione e si ledono i diritti delle persone.
La prostituzione potrebbe sembrare un fatto marginale, ma forse non lo è se in Italia sono 9 milioni gli uomini che comprano sesso e 70 mila le prostitute che lo offrono.
In Italia si è creato un pericoloso clima di intolleranza verso tutte le persone socialmente più deboli, facendole diventare il capro espiatorio su cui sfogare le frustrazioni di un Paese che continua ad impoverirsi sempre più e non solo economicamente.
La “sicurezza” sta diventando l’abbaglio e il pretesto per escludere e discriminare i più deboli, idiversi e gli stranieri, nei confronti dei quali sono aumentate aggressioni, violenze, discriminazioni. Sulla paura e sull’insicurezza si costruiscono campagne che non risolvono ma ingigantiscono i problemi, dei quali si continua a non considerare le cause cercando semplicemente di eliminarne gli effetti.
11 dicembre 2008
Prima uomini poi briganti - Borges
La vigilia e la festa dell’Immacolata le ho passate sulle tracce dei briganti. Con l’amico avv. Vito Nigro, domenica 7 eravamo a Filiano, in provincia di Potenza, dove nella serata, presso la biblioteca comunale, partiva una settimana dedicata al brigantaggio. L’accattivante titolo del programma era “Prima uomini poi briganti, l’altro volto del Brigantaggio”. Questo tema è stato appunto trattato nel Convegno tenutosi domenica 7, dove hanno relazionato Pietro Golia, Costantino Conte, Valentino Romano, Edoardo Vitale. Tutti amici e studiosi che sono passati, tra i tanti altri, nelle tre settimane di studio sul brigantaggio meridionale, che abbiamo tenute negli anni scorsi a Villa Castelli (Brindisi). La nostra idea di una settimana intera dedicata ai briganti meridionali, nostri antenati che hanno dato la vita per la loro e nostra sopravvivenza di meridionali, sta facendo scuola. Ne siamo immensamente felici, e ci auguriamo che queste settimane si moltiplichino su tutto il territorio nazionale. I nostri padri briganti se lo meritano. Rivalutiamo il loro sacrificio e diamo il nostro contributo a riscrivere la storia che portò all’unità d’Italia, facendo conoscere anche le loro ragioni. Qualcuno ha scritto a proposito del brigantaggio meridionale: «Un popolo intero assumeva il titolo di brigante».
Lunedì 8 dicembre eravamo a Sante Marie, in provincia dell’Aquila, a circa 400 km da Filiano. A Sante Marie, nella cascina Mastroddi, il 7 dicembre 1861 fu arrestato dai piemontesi il generale legittimista José Borges, che il giorno successivo fu fucilato in una piazza di Tagliacozzo. Borges dalla Spagna era venuto nel meridione, per organizzare la rivolta contro i piemontesi, nella speranza di riportare i Borboni sul trono dell’ex Regno delle Due Sicilie. Da diversi anni ormai si celebra, attorno ad un cippo commemorativo nei pressi della cascina Mastroddi, il sacrificio di Borges. Organizzatore dell’evento è il neoborbonico “Comitato per la ricerca e la divulgazione della Verità storica”. I neoborbonici, anche se da un punto di vista molto di parte, sono attivamente e meritoriamente impegnati nella rivalutazione del brigantaggio meridionale. Il Sindaco di Sante Marie, nel suo intervento, affermava che Borges non era un brigante ma un soldato. Noi invece riteniamo che Borges sia stato un “brigante”, convinti che al termine brigante debba ormai essere data una connotazione positiva, nell’accezione di difensore degli oppressi del Sud.
Lunedì 8 dicembre eravamo a Sante Marie, in provincia dell’Aquila, a circa 400 km da Filiano. A Sante Marie, nella cascina Mastroddi, il 7 dicembre 1861 fu arrestato dai piemontesi il generale legittimista José Borges, che il giorno successivo fu fucilato in una piazza di Tagliacozzo. Borges dalla Spagna era venuto nel meridione, per organizzare la rivolta contro i piemontesi, nella speranza di riportare i Borboni sul trono dell’ex Regno delle Due Sicilie. Da diversi anni ormai si celebra, attorno ad un cippo commemorativo nei pressi della cascina Mastroddi, il sacrificio di Borges. Organizzatore dell’evento è il neoborbonico “Comitato per la ricerca e la divulgazione della Verità storica”. I neoborbonici, anche se da un punto di vista molto di parte, sono attivamente e meritoriamente impegnati nella rivalutazione del brigantaggio meridionale. Il Sindaco di Sante Marie, nel suo intervento, affermava che Borges non era un brigante ma un soldato. Noi invece riteniamo che Borges sia stato un “brigante”, convinti che al termine brigante debba ormai essere data una connotazione positiva, nell’accezione di difensore degli oppressi del Sud.
7 dicembre 2008
Giù le mani da Internet
Berlusconi vuole regolamentare Internet. O forse l’affermazione di voler portare su questo tema una sua proposta al prossimo G8 è semplicemente frutto del suo narcisismo malato. Comunque bisogna vigilare. Internet è il più grande fenomeno mondiale dei nostri tempi. Chi si crede dio si sente autorizzato a dire la sua su di esso. E qualcuno potrebbe approfittare della stravaganza del barzellettiere di stato per tentare di mettere il bavaglio ad internet anche nei paesi “democratici” occidentali. Molti ne avrebbero interesse a farlo. A cominciare dal cavalier Berlusca, che farebbe oscurare tutti i siti e blog che parlano male di lui. In pratica quasi tutti quelli che si interessano di politica. Ma anche potentati economici potrebbero sperarne grandi vantaggi.
Nel mondo la mappa del controllo su internet è molto vario e frastagliato. La desumo da la Repubblica del 4 dicembre 2008. Si va dai paesi in cui vi è una censura totale, quali per esempio Bielorussia, Birmania, Cina, Cuba, Egitto, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Siria, Tunisia, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam. In Italia ed in molti altri paesi sono stati istituiti dei filtri che bloccano l’accesso a siti sospetti di attività criminali. All’estremo opposto si trovano gli Stati Uniti d’America dove è in preparazione una legge che si prefigge di aiutare i provider che denunciano pressioni censorie da stati stranieri.
In Italia comunque eludere i filtri censori non è illegale. Non esiste infatti nessuna norma che lo vieti. Gli unici obblighi previsti, con le relative sanzioni, sono per i provider, non per gli utenti.
L’uscita di Berlusconi ha suscitato la reazione contraria degli internauti. Il web è insorto. Gli interventi nei blog sono stati spietati. In Facebook, nel giro di poche ore, si sono formati gruppi affollatissimi in difesa della libertà in internet. Un eventuale controllo può nascere solo dall’interno dei fruitori, non imposto dall’esterno. Siamo contrari a qualsiasi tipo di censura esterna. Il web non può che essere democratico.
Nel mondo la mappa del controllo su internet è molto vario e frastagliato. La desumo da la Repubblica del 4 dicembre 2008. Si va dai paesi in cui vi è una censura totale, quali per esempio Bielorussia, Birmania, Cina, Cuba, Egitto, Iran, Corea del Nord, Arabia Saudita, Siria, Tunisia, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam. In Italia ed in molti altri paesi sono stati istituiti dei filtri che bloccano l’accesso a siti sospetti di attività criminali. All’estremo opposto si trovano gli Stati Uniti d’America dove è in preparazione una legge che si prefigge di aiutare i provider che denunciano pressioni censorie da stati stranieri.
In Italia comunque eludere i filtri censori non è illegale. Non esiste infatti nessuna norma che lo vieti. Gli unici obblighi previsti, con le relative sanzioni, sono per i provider, non per gli utenti.
L’uscita di Berlusconi ha suscitato la reazione contraria degli internauti. Il web è insorto. Gli interventi nei blog sono stati spietati. In Facebook, nel giro di poche ore, si sono formati gruppi affollatissimi in difesa della libertà in internet. Un eventuale controllo può nascere solo dall’interno dei fruitori, non imposto dall’esterno. Siamo contrari a qualsiasi tipo di censura esterna. Il web non può che essere democratico.
29 novembre 2008
Social card: uno schifo
Lo straricco Berlusconi sputa in faccia ai poveri. E’ uno schifo usare la povertà per uno spot politico. La social card di 40 euro al mese (1,33 euro al giorno) è una squallida elemosina, che diventa un marchio infamante e mortificante per i poveri. L’erre moscia Tremonti annunzia la carta come una grande trovata pubblicitaria. Per lui ed il suo capo non conta il risultato ma l’effetto mediatico. Avvilisce la supponenza con cui annunciano una merdata come se fosse oro colato.
Senza alcun pudore vengono insultati i poveri. Possiederanno adesso il distintivo di appartenenza. Potranno andare al supermercato orgogliosi di avere e mostrare la carta dei poveri. Berlusconi e Tremonti dovreste vergognarvi, se ne foste capaci, della miserevole trovata.
La carta sociale non cambierà il tenore di vita dei poveri, non risolleverà la crisi dei consumi.
La social card è un’altra trovata italiana per fregare soldi allo stato. Solo una mente screativa come quella di Tremonti poteva partorirla. In realtà servirà ad arricchire chi la stamperà e chi incasserà la commissione sull’uso. Alla faccia dei poveri.
Se veramente si volevano aiutare i bisognosi bastava aumentare le pensioni sociali di quell’importo o far pervenire quei soldi direttamente nelle loro tasche.
Senza contare gli automatici imbrogli conseguenti alle false dichiarazione dei redditi. Verranno premiati gli evasori. Poca cosa, ma sempre premio ed imbroglio è.
L’attuale governo continua a mancare di serietà. Ma non è una novità. I governanti berlusconiani continueranno a vantarsi di essere stati votati. E questa volta non mentono. Altro discorso sarebbe vedere come hanno estorto quei voti.
Senza alcun pudore vengono insultati i poveri. Possiederanno adesso il distintivo di appartenenza. Potranno andare al supermercato orgogliosi di avere e mostrare la carta dei poveri. Berlusconi e Tremonti dovreste vergognarvi, se ne foste capaci, della miserevole trovata.
La carta sociale non cambierà il tenore di vita dei poveri, non risolleverà la crisi dei consumi.
La social card è un’altra trovata italiana per fregare soldi allo stato. Solo una mente screativa come quella di Tremonti poteva partorirla. In realtà servirà ad arricchire chi la stamperà e chi incasserà la commissione sull’uso. Alla faccia dei poveri.
Se veramente si volevano aiutare i bisognosi bastava aumentare le pensioni sociali di quell’importo o far pervenire quei soldi direttamente nelle loro tasche.
Senza contare gli automatici imbrogli conseguenti alle false dichiarazione dei redditi. Verranno premiati gli evasori. Poca cosa, ma sempre premio ed imbroglio è.
L’attuale governo continua a mancare di serietà. Ma non è una novità. I governanti berlusconiani continueranno a vantarsi di essere stati votati. E questa volta non mentono. Altro discorso sarebbe vedere come hanno estorto quei voti.
23 novembre 2008
Dossier Brigantaggio, di Francesco Mario Agnoli
Agnoli con il suo libro intraprende un allegorico viaggio nell’Italia meridionale di quasi un secolo e mezzo fa. Le modalità del viaggio sono simili a quelle del settecentesco Grand Tour, i cui viaggiatori, prima della partenza, si informavano e raccoglievano quante più notizie possibili sui luoghi che avrebbero visitato. Il passaggio diretto su quei luoghi serviva però a controllare l’esattezza sul terreno delle notizie raccolte sulle carte e talvolta ci si dedicava alla stesura di “una nuova cartografia”. Si scoprivano percorsi o completamente nuovi o malamente riportati sulle carte preesistenti, venivano ricollocati nel giusto sito fiumi e montagne, venivano rettificate strade per non correre il rischio di smarrirsi. Si incontravano paesaggi mai visti, abitatori sconosciuti, monumenti nuovi.
Come guide per il suo viaggio l’Agnoli si sceglie sia storici e scrittori che guardano con simpatia ai protagonisti del brigantaggio meridionale postunitario prestando maggiore attenzione ai vinti del Risorgimento: Carlo Alianello, Silvio Vitale, ma anche scrittori filorisorgimentali utili per conoscere i fatti accaduti in quegli anni (dandone però una diversa interpretazione): Antonio Lucarelli, Emidio Cardinali. Ma si ascoltano anche testimonianze dei diretti protagonisti di quei fatti: José Borges, Carmine Donatelli Crocco, il Sergente Romano.
All’Agnoli viene rivolta l’accusa di ripetere cose ormai risapute ed accettate dagli storici. Lui controbatte dicendo che non è assolutamente vero che l’approccio revisionista sia ormai ampiamente condiviso fra gli storici e rivendica la necessità di una rivisitazione della nostra storia dalla Rivoluzione francese in poi.
Dal punto di vista storico continuano ancora a fronteggiarsi due opposte ed inconciliabili interpretazioni dei fatti che avvennero nel decennio che va dal 1860 al 1870. Quella ufficiale, risorgimentalista e liberale, che ritiene sostanzialmente volontaria la partecipazione del Sud al processo dell’unificazione italiana. L’altra interpretazione invece sostiene che quella piemontese fu una vera e propria occupazione, o addirittura una conquista, del Sud. In quest’ultimo contesto il cosiddetto brigantaggio meridionale fu un’autentica ribellione popolare contro un’ingiusta aggressione.
Nelle popolazioni del Sud era chiara la volontà di voler difendere, anche con le armi, la propria patria dall’invasore straniero. Gli abitanti del Sud, tramite il braccio armato dei briganti, intendevano difendere un intero mondo con la sua fede religiosa, le sue tradizioni, le sue cerimonie, i suoi costumi. Lottavano in difesa della loro cultura e del loro dialetto contro una cultura ed un dialetto per loro incomprensibile.
I plebisciti, voluti dai piemontesi, furono un tentativo truffaldino e violento di voler fare ratificare sotto forma di apparente consenso popolare una serie di meri atti di forza. Il vero plebiscito invece contro i piemontesi fu espresso con la guerriglia di popolo.
Gli unitari sabaudi per imporre la loro volontà istituirono i tribunali militari chiamati ad infliggere condanne capitali a chiunque venisse sorpreso armato. Fecero ricorso a fucilazioni indiscriminate, a prolungate carcerazioni di innocenti, senza risparmiare donne e bambini. Distrussero, incendiarono e saccheggiarono interi paesi, che avevano osato ribellarsi.
I mezzi usati dai piemontesi sono altrettanto e a volte più feroci di quelli cui fanno ricorso gli insorti meridionali. «Sicché - scrive Agnoli - o si attribuisce a tutte le parti in conflitto la qualifica di brigante indipendentemente dalla divisa indossata o, quanto meno, se ne esentano entrambe».
Le responsabilità dei sabaudi piemontesi soverchiano di gran lunga quelle dei briganti meridionali. La tristemente famosa legge Pica, già indegna di un paese civile nella formulazione, diviene ancora e di gran lunga peggiore nella sua applicazione.
I primi due ribelli che Agnoli incontra nel suo viaggio nell’ex Regno delle Due Sicilie sono il generale spagnolo José Borges e l’ex pastore di Rionero Carmine Donatelli Crocco, forse i principali protagonisti della rivolta del Sud, certamente i più noti. Due personalità e due modi di concepire la rivolta totalmente diversi, che non nutrono alcuna stima reciproca. Borges considera Crocco non un combattente legittimista, non un soldato, ma un ladro, anzi il re dei ladri. A sua volta Crocco riteneva che il generale Borges fosse un uomo inetto. Eppure l’obiettivo che si prefiggevano era comune e per un certo periodo collaborarono insieme.
Dopo alcuni successi militari contro i piemontesi, Borges e Crocco progettano l’assalto a Potenza. Progetto però che non intraprenderanno mai. Tale rinuncia quasi certamente fu concordata fra Borges e Crocco.
Borges certamente non è un inetto, ma Crocco non sbaglia a definirlo un illuso. Al di là del valore dei due personaggi - scrive Agnoli - non vi è dubbio che il cafone Carmine Donatelli Crocco rappresenti, nel bene e nel male, la rivolta meridionale all’invasione assai più a fondo del valoroso hidalgo José Borges.
Proseguendo il suo viaggio nelle terre del Sud l’Agnoli incontra tanti legittimisti stranieri, venuti in Italia da tutta Europa a sostegno di re Francesco II e della regina Maria Sofia. Quasi tutti appartenuti agli alti gradi dalla carriera militare. Fra essi l’ufficiale prussiano e poeta romantico Edwin Kalkreuth de Gotha, il generale bretone Augustin de Langlais, il marchese belga Alfred de Trazegnies, il generale spagnolo Rafael Tristany, l’austriaco Ludwig Richard Zimmermann, Theodor Friedrich Klitsche de La Grange, Emile Théodule de Christen; legittimista italiano è il tenente Achille Caracciolo di Girifalco.
Nel basso Lazio, ai confini con gli Abruzzi, combatteva il brigante Luigi Alonzi, detto Chiavone. Guardaboschi, nato a Sora, era riuscito a raccogliere nella sua banda fino a 500 uomini. Ottenne vari successi contro l’esercito piemontese. Con lui ebbero a che fare quasi tutti i legittimisti sopra citati. Fu contrastato dal Tristany e dallo Zimmermann, che lo fecero condannare a morte e fucilare. Ma anche Chiavone, come Crocco, è più vicino alla lotta meridionale di quanto non lo siano i legittimisti stranieri.
Proseguendo il suo viaggio nelle terre dei briganti l’Agnoli arriva in Puglia ed incontra Pasquale Domenico Romano, detto il Sergente Romano, «uno dei protagonisti più umanamente positivi, accanto allo spagnolo José Borges, dell’intera vicenda della ribellione meridionale all’invasione piemontese». Romano riuscì ad unire attorno a sé tutti i capi della ribellione barese e leccese: Rocco Chirichigno, Francesco Monaco, Cosimo Mazzeo Pizzichicchio, Giuseppe Valente Nenna-Nenna; ebbe contatti e fece delle azioni di guerriglia anche insieme a Crocco. Dopo diverse vittorie, Romano in un ultimo scontro fu ucciso dai piemontesi a colpi di sciabola.
Nella sua virtuale peregrinazione Agnoli va anche nella fortezza di Civitella del Tronto, ultimo baluardo borbonico; deviando poi per Napoli, partecipa alla congiura di Frisio, un luogo sulla costa di Posillipo, dove si tentò di organizzare una opposizione cittadina, aristocratica e borghese all’invasione piemontese; visita anche Montefalcione, vicino Avellino, dove nel 1861 vi fu una corale insurrezione popolare contro i piemontesi; partecipa ai moti siciliani del 1866; incontra poi le brigantesse Maria Lucia Di Nella, Filomena Pennacchio, Marianna Corfù, Maria Capitanio, Michelina Di Cesare, Maria Orsola D’Acquisto, Maria Oliverio ed anche l’ultima brigantessa del Sud: la regina Maria Sofia, la giovane moglie bavarese di Francesco II.
Rocco Biondi
Francesco Mario Agnoli, Dossier Brigantaggio - Viaggio tra i ribelli al borghesismo e alla modernità, Controcorrente, Napoli 2003, pp. 390, € 20,00
Come guide per il suo viaggio l’Agnoli si sceglie sia storici e scrittori che guardano con simpatia ai protagonisti del brigantaggio meridionale postunitario prestando maggiore attenzione ai vinti del Risorgimento: Carlo Alianello, Silvio Vitale, ma anche scrittori filorisorgimentali utili per conoscere i fatti accaduti in quegli anni (dandone però una diversa interpretazione): Antonio Lucarelli, Emidio Cardinali. Ma si ascoltano anche testimonianze dei diretti protagonisti di quei fatti: José Borges, Carmine Donatelli Crocco, il Sergente Romano.
All’Agnoli viene rivolta l’accusa di ripetere cose ormai risapute ed accettate dagli storici. Lui controbatte dicendo che non è assolutamente vero che l’approccio revisionista sia ormai ampiamente condiviso fra gli storici e rivendica la necessità di una rivisitazione della nostra storia dalla Rivoluzione francese in poi.
Dal punto di vista storico continuano ancora a fronteggiarsi due opposte ed inconciliabili interpretazioni dei fatti che avvennero nel decennio che va dal 1860 al 1870. Quella ufficiale, risorgimentalista e liberale, che ritiene sostanzialmente volontaria la partecipazione del Sud al processo dell’unificazione italiana. L’altra interpretazione invece sostiene che quella piemontese fu una vera e propria occupazione, o addirittura una conquista, del Sud. In quest’ultimo contesto il cosiddetto brigantaggio meridionale fu un’autentica ribellione popolare contro un’ingiusta aggressione.
Nelle popolazioni del Sud era chiara la volontà di voler difendere, anche con le armi, la propria patria dall’invasore straniero. Gli abitanti del Sud, tramite il braccio armato dei briganti, intendevano difendere un intero mondo con la sua fede religiosa, le sue tradizioni, le sue cerimonie, i suoi costumi. Lottavano in difesa della loro cultura e del loro dialetto contro una cultura ed un dialetto per loro incomprensibile.
I plebisciti, voluti dai piemontesi, furono un tentativo truffaldino e violento di voler fare ratificare sotto forma di apparente consenso popolare una serie di meri atti di forza. Il vero plebiscito invece contro i piemontesi fu espresso con la guerriglia di popolo.
Gli unitari sabaudi per imporre la loro volontà istituirono i tribunali militari chiamati ad infliggere condanne capitali a chiunque venisse sorpreso armato. Fecero ricorso a fucilazioni indiscriminate, a prolungate carcerazioni di innocenti, senza risparmiare donne e bambini. Distrussero, incendiarono e saccheggiarono interi paesi, che avevano osato ribellarsi.
I mezzi usati dai piemontesi sono altrettanto e a volte più feroci di quelli cui fanno ricorso gli insorti meridionali. «Sicché - scrive Agnoli - o si attribuisce a tutte le parti in conflitto la qualifica di brigante indipendentemente dalla divisa indossata o, quanto meno, se ne esentano entrambe».
Le responsabilità dei sabaudi piemontesi soverchiano di gran lunga quelle dei briganti meridionali. La tristemente famosa legge Pica, già indegna di un paese civile nella formulazione, diviene ancora e di gran lunga peggiore nella sua applicazione.
I primi due ribelli che Agnoli incontra nel suo viaggio nell’ex Regno delle Due Sicilie sono il generale spagnolo José Borges e l’ex pastore di Rionero Carmine Donatelli Crocco, forse i principali protagonisti della rivolta del Sud, certamente i più noti. Due personalità e due modi di concepire la rivolta totalmente diversi, che non nutrono alcuna stima reciproca. Borges considera Crocco non un combattente legittimista, non un soldato, ma un ladro, anzi il re dei ladri. A sua volta Crocco riteneva che il generale Borges fosse un uomo inetto. Eppure l’obiettivo che si prefiggevano era comune e per un certo periodo collaborarono insieme.
Dopo alcuni successi militari contro i piemontesi, Borges e Crocco progettano l’assalto a Potenza. Progetto però che non intraprenderanno mai. Tale rinuncia quasi certamente fu concordata fra Borges e Crocco.
Borges certamente non è un inetto, ma Crocco non sbaglia a definirlo un illuso. Al di là del valore dei due personaggi - scrive Agnoli - non vi è dubbio che il cafone Carmine Donatelli Crocco rappresenti, nel bene e nel male, la rivolta meridionale all’invasione assai più a fondo del valoroso hidalgo José Borges.
Proseguendo il suo viaggio nelle terre del Sud l’Agnoli incontra tanti legittimisti stranieri, venuti in Italia da tutta Europa a sostegno di re Francesco II e della regina Maria Sofia. Quasi tutti appartenuti agli alti gradi dalla carriera militare. Fra essi l’ufficiale prussiano e poeta romantico Edwin Kalkreuth de Gotha, il generale bretone Augustin de Langlais, il marchese belga Alfred de Trazegnies, il generale spagnolo Rafael Tristany, l’austriaco Ludwig Richard Zimmermann, Theodor Friedrich Klitsche de La Grange, Emile Théodule de Christen; legittimista italiano è il tenente Achille Caracciolo di Girifalco.
Nel basso Lazio, ai confini con gli Abruzzi, combatteva il brigante Luigi Alonzi, detto Chiavone. Guardaboschi, nato a Sora, era riuscito a raccogliere nella sua banda fino a 500 uomini. Ottenne vari successi contro l’esercito piemontese. Con lui ebbero a che fare quasi tutti i legittimisti sopra citati. Fu contrastato dal Tristany e dallo Zimmermann, che lo fecero condannare a morte e fucilare. Ma anche Chiavone, come Crocco, è più vicino alla lotta meridionale di quanto non lo siano i legittimisti stranieri.
Proseguendo il suo viaggio nelle terre dei briganti l’Agnoli arriva in Puglia ed incontra Pasquale Domenico Romano, detto il Sergente Romano, «uno dei protagonisti più umanamente positivi, accanto allo spagnolo José Borges, dell’intera vicenda della ribellione meridionale all’invasione piemontese». Romano riuscì ad unire attorno a sé tutti i capi della ribellione barese e leccese: Rocco Chirichigno, Francesco Monaco, Cosimo Mazzeo Pizzichicchio, Giuseppe Valente Nenna-Nenna; ebbe contatti e fece delle azioni di guerriglia anche insieme a Crocco. Dopo diverse vittorie, Romano in un ultimo scontro fu ucciso dai piemontesi a colpi di sciabola.
Nella sua virtuale peregrinazione Agnoli va anche nella fortezza di Civitella del Tronto, ultimo baluardo borbonico; deviando poi per Napoli, partecipa alla congiura di Frisio, un luogo sulla costa di Posillipo, dove si tentò di organizzare una opposizione cittadina, aristocratica e borghese all’invasione piemontese; visita anche Montefalcione, vicino Avellino, dove nel 1861 vi fu una corale insurrezione popolare contro i piemontesi; partecipa ai moti siciliani del 1866; incontra poi le brigantesse Maria Lucia Di Nella, Filomena Pennacchio, Marianna Corfù, Maria Capitanio, Michelina Di Cesare, Maria Orsola D’Acquisto, Maria Oliverio ed anche l’ultima brigantessa del Sud: la regina Maria Sofia, la giovane moglie bavarese di Francesco II.
Rocco Biondi
Francesco Mario Agnoli, Dossier Brigantaggio - Viaggio tra i ribelli al borghesismo e alla modernità, Controcorrente, Napoli 2003, pp. 390, € 20,00
15 novembre 2008
Carla Bruni, Obama “abbronzato” e Berlusconi
Per ricambiare la carineria fatta da Berlusconi nei confronti di Obama: «E’ giovane, bello e abbronzato», noi di Berlusconi potremmo dire: «E’ vecchio, brutto e pallido».
Arriverà il tempo che l’insulto che noi di «razza bianca» rivolgiamo ai neri: «Sporco negro di merda!» ci verrà ricambiato da quelli di «razza nera» con l’equivalente «Sporco bianco di merda!». Non ho fatta una ricerca approfondita, ma a naso dico che il colore della merda accomuna bianchi e neri.
Mario Pirani carinamente ha tentato di ingentilire il primo slogan tramutandolo in «sporco abbronzato di merda!». Io ho un’idea di come ingentilire, personalizzandolo, il secondo slogan, ma me la tengo per me.
Potrebbe arrivare il tempo che la «razza bianca» diventi «razza inferiore», rispetto alla nera. Forse ci potrebbe convenire annientare completamente il concetto di razza. Forse ci conviene parteggiare per gli abbronzati.
Carla Bruni, moglie del presidente francese Sarkozy, non ha dubbi, si schiera apertamente dalla parte dell’abbronzato Obama. «Mi fa uno strano effetto - ha detto la Bruni - quanto sento Silvio Berlusconi prendere l’avvenimento alla leggera e scherzare sul fatto che Obama è “sempre abbronzato”. E per questo sono felice di non essere più italiana».
Sono tantissimi gli italiani che sarebbero felici di non essere più italiani, per non essere spernacchiati alle uscite di Berlusconi. Almeno per il tempo che il Berlusca è pres del cons italiano.
Non si vergognano invece di essere berlusconiani Francesco Cossiga, Giorgia Meloni, Alessandra Mussolini e Roberto Castelli, che ha avuto il grandissimo acume di affermare: «la first lady di un paese importante dovrebbe pensare bene prima di parlare», che è appunto quello che in tutto il mondo pensano dovrebbe fare Berlusconi. In Francia ed in tutto il mondo civile, una battuta come quella di Berlusconi avrebbe provocato una tempesta politica e non avrebbe potuto essere liquidata come una carineria.
Ma l’uscita di Berlusconi può essere considerata una semplice cazzata? Non lo ritiene Mario Pirani, che afferma: «Non reputo una gaffe la desolante battuta del campione mondiale delle facce di bronzo, ancorché perfezionato da lifting, trapianti di chioma e tiraggi anti ruga». Quella battuta sottende una cultura sedimentata, che affonda le sue radici nel fascismo di Benito Mussolini, l’emanatore delle leggi razziali e che Dell’Utri ritiene «un uomo di valore dal punto di vista sia umano che culturale».
Il Regime fascista puniva con anni di carcere il concubinato tra un bianco e «una persona suddita dell’Africa orientale». Il Regime si rivolse anche al Vaticano «per evitare le nascite dei mulatti, che sono dei degenerati». Papa Pio XI approvò una direttiva che vietava «le ibridi unioni, per i saggi motivi igienico-sanitari intesi dallo Stato, la sconvenienza di un coniugio fra un bianco e un negro, le accresciute deficienze morali nel carattere della prole nascitura».
Queste cose qualcuno le avrà dette ad Obama.
Arriverà il tempo che l’insulto che noi di «razza bianca» rivolgiamo ai neri: «Sporco negro di merda!» ci verrà ricambiato da quelli di «razza nera» con l’equivalente «Sporco bianco di merda!». Non ho fatta una ricerca approfondita, ma a naso dico che il colore della merda accomuna bianchi e neri.
Mario Pirani carinamente ha tentato di ingentilire il primo slogan tramutandolo in «sporco abbronzato di merda!». Io ho un’idea di come ingentilire, personalizzandolo, il secondo slogan, ma me la tengo per me.
Potrebbe arrivare il tempo che la «razza bianca» diventi «razza inferiore», rispetto alla nera. Forse ci potrebbe convenire annientare completamente il concetto di razza. Forse ci conviene parteggiare per gli abbronzati.
Carla Bruni, moglie del presidente francese Sarkozy, non ha dubbi, si schiera apertamente dalla parte dell’abbronzato Obama. «Mi fa uno strano effetto - ha detto la Bruni - quanto sento Silvio Berlusconi prendere l’avvenimento alla leggera e scherzare sul fatto che Obama è “sempre abbronzato”. E per questo sono felice di non essere più italiana».
Sono tantissimi gli italiani che sarebbero felici di non essere più italiani, per non essere spernacchiati alle uscite di Berlusconi. Almeno per il tempo che il Berlusca è pres del cons italiano.
Non si vergognano invece di essere berlusconiani Francesco Cossiga, Giorgia Meloni, Alessandra Mussolini e Roberto Castelli, che ha avuto il grandissimo acume di affermare: «la first lady di un paese importante dovrebbe pensare bene prima di parlare», che è appunto quello che in tutto il mondo pensano dovrebbe fare Berlusconi. In Francia ed in tutto il mondo civile, una battuta come quella di Berlusconi avrebbe provocato una tempesta politica e non avrebbe potuto essere liquidata come una carineria.
Ma l’uscita di Berlusconi può essere considerata una semplice cazzata? Non lo ritiene Mario Pirani, che afferma: «Non reputo una gaffe la desolante battuta del campione mondiale delle facce di bronzo, ancorché perfezionato da lifting, trapianti di chioma e tiraggi anti ruga». Quella battuta sottende una cultura sedimentata, che affonda le sue radici nel fascismo di Benito Mussolini, l’emanatore delle leggi razziali e che Dell’Utri ritiene «un uomo di valore dal punto di vista sia umano che culturale».
Il Regime fascista puniva con anni di carcere il concubinato tra un bianco e «una persona suddita dell’Africa orientale». Il Regime si rivolse anche al Vaticano «per evitare le nascite dei mulatti, che sono dei degenerati». Papa Pio XI approvò una direttiva che vietava «le ibridi unioni, per i saggi motivi igienico-sanitari intesi dallo Stato, la sconvenienza di un coniugio fra un bianco e un negro, le accresciute deficienze morali nel carattere della prole nascitura».
Queste cose qualcuno le avrà dette ad Obama.
8 novembre 2008
Raccolta differenziata: email al Sindaco di Villa Castelli
Ho ricevuta da Silvia la seguente email. La pubblico volentieri in questo mio blog, nella speranza che susciti qualche seria riflessione in chi legge e principalmente negli amministratori di Villa Castelli.
Salve,
sono una cittadina di Villa Castelli, anche se da qualche anno vivo a Lecce.
Volevo portarla a conoscenza di una email che ho mandato al signor Sindaco e che ho invano tentato di mandare ad altri consiglieri comunali, che però non dispongono di indirizzo email.
Poichè il suo blog è molto in vista, volevo chiederle di dare luce al problema della raccolta differenziata nel nostro paese, chissà che non si riesca a trarne qualcosa.
Io intanto resto in attesa di una gradita risposta dal signor Sindaco.
Di seguito l'email spedita.
Grazie per l'attenzione prestata.
Salve Signor Sindaco, avrei desiderio di sapere la politica del nostro paese per quanto riguarda la raccolta differenziata.
Salve,
sono una cittadina di Villa Castelli, anche se da qualche anno vivo a Lecce.
Volevo portarla a conoscenza di una email che ho mandato al signor Sindaco e che ho invano tentato di mandare ad altri consiglieri comunali, che però non dispongono di indirizzo email.
Poichè il suo blog è molto in vista, volevo chiederle di dare luce al problema della raccolta differenziata nel nostro paese, chissà che non si riesca a trarne qualcosa.
Io intanto resto in attesa di una gradita risposta dal signor Sindaco.
Di seguito l'email spedita.
Grazie per l'attenzione prestata.
Salve Signor Sindaco, avrei desiderio di sapere la politica del nostro paese per quanto riguarda la raccolta differenziata.
Manco da Villa Castelli da qualche anno per motivi di studio, e mi ha dato "fastidio" sentir nominare questo bel paese quale pecora nera nella raccolta differenziata (meno dell'1% dei rifiuti totali) nell'ambito pugliese.
La notizia l'ho appresa da un servizio di Raitre (se non sbaglio AmbienteItalia) lo scorso 1 novembre, e i dati sono stati confermati in questo sito http://www.rifiutiebonifica.puglia.it/dettaglio_trasmissione.php?IdComune=161&DataInizio=9
Volevo chiedervi dunque di poter prendere seri provvedimenti con iniziative di sensibilizzazione che coinvolgano attivamente il cittadino, in modo da risollevare i dati, e poter sentire notizie solo positive su questo bel paese!!!
Spero vivamente che possiate prendere in considerazione questo mio pensiero, visti i tempi che corrono....
La qualità dell'ambiente che ci circonda, l'aria che respiriamo, e che respireranno i nostri figli in futuro, dipende da tutto quello che noi cittadini, insieme ai comuni, ci impegnamo a fare...
Cordialmente
Cordialmente
Lidia Urso
1 novembre 2008
Scuola: quant’è bona la Gelmini
Era prevedibile. Sarebbero nati i gruppi in difesa della Gelmini. Senza pudore e con la più grande faccia tosta. Il più colorito ed il più vuoto è quello nato su facebook intitolato “Gelmini: un ministro con le palle”. Alla signorina le palle gliele ha disegnate Tremonti, intimandole: “zitta e taglia”. E la signorina esegue.
Era prevedibile. Le manifestazioni di studenti, genitori e professori stavano andando bene. La popolarità del Berlusca andava in discesa libera. Ed allora vengono mandati i guastatori fascisti con le mazze ferrate a creare un po’ di scompiglio. Su ispirazione del guastatore-mazziere Cossiga.
Era prevedibile. I compari si schierano compatti in difesa della malcapitata Gelmini. Il più accanito difensore è il ministro della difesa La Russa, che chiama l’applauso: «Glielo abbiamo fatto per come ha contrastato le falsità sulla riforma della scuola». E ci mancherebbe, aveva imparato a memoria la lezioncina.
Era prevedibile. Gli appartenenti al clan Berlusca vogliono far fare agli altri quello che non fanno loro. Ed allora il primo articolo del famigerato decreto-legge 137 (ora legge) recita che nelle scuole devono essere attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione finalizzate all’acquisizione delle conoscenze e delle competenze relative a “Cittadinanza e Costituzione”, in tutte le aree, eccetto ovviamente nell’area dell’attuale maggioranza.
Era prevedibile. Le manifestazioni di studenti, genitori e professori stavano andando bene. La popolarità del Berlusca andava in discesa libera. Ed allora vengono mandati i guastatori fascisti con le mazze ferrate a creare un po’ di scompiglio. Su ispirazione del guastatore-mazziere Cossiga.
Era prevedibile. I compari si schierano compatti in difesa della malcapitata Gelmini. Il più accanito difensore è il ministro della difesa La Russa, che chiama l’applauso: «Glielo abbiamo fatto per come ha contrastato le falsità sulla riforma della scuola». E ci mancherebbe, aveva imparato a memoria la lezioncina.
Era prevedibile. Gli appartenenti al clan Berlusca vogliono far fare agli altri quello che non fanno loro. Ed allora il primo articolo del famigerato decreto-legge 137 (ora legge) recita che nelle scuole devono essere attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione finalizzate all’acquisizione delle conoscenze e delle competenze relative a “Cittadinanza e Costituzione”, in tutte le aree, eccetto ovviamente nell’area dell’attuale maggioranza.
Era prevedibile. Gli studenti hanno detto che non si lasceranno intimorire e continueranno nella lotta. Speriamo che non si stanchino mai. Fino alla vittoria.
25 ottobre 2008
Berlusconi elmetto e manganello
Berlusconi ha perso il controllo di sé e della situazione. Ma non è una novità. Voleva mandare la polizia contro quei facinorosi di studenti che si permettono di contestare la sua Gelmini. Ma qualcuno gli ha fatto cambiare idea. Tanto lui ha la maggioranza in Parlamento ed andrà comunque avanti. Chissenefrega degli studenti, dei professori, dei rettori, dei genitori. Non c’è nessuna possibilità di dialogo. Berlusconi dice che quelle manifestazioni sono organizzate dall’estrema sinistra e dai centri sociali.
La Gelmini sostiene che chi difende la scuola e l’università di oggi è rimasto indietro. Ma lei è andata più indietro ancora, andando a resuscitare il maestro unico, morto quasi trenta anni fa. Povera Gelmini. Lei non sa cosa dice, ripete slogan che qualche altro le ha preparato.
Gli studenti dicono di non aver paura delle minacce di Berlusconi. Ed andranno avanti. Sostengono che è Berlusconi ad aver paura di loro. In questo muro contro muro, il potere potrebbe provocare qualche incidente. I media, che ora sono a favore dell’onda anomala degli studenti, potrebbero passare dalla parte dell’onda del potere.
Chi sosteneva che i giovani di oggi sono apatici e senza ideali, deve ricredersi. Un giovane ha detto: «Sai cosa c'è? Alla fine uno si rompe le balle di avere paura. Ho 22 anni e vivo ogni giorno a sotto ricatto. Paura di non farcela a riscattare tutti i crediti, del contratto da precario in scadenza, di non poter più pagare l'affitto e dover tornare dai miei, di non trovare un vero lavoro dopo la laurea, della crisi mondiale e dell'aumento delle bollette. Campo a testa china e tiro avanti sperando che domani sia migliore. Ma se mi dicono che domani non c'è più, l'hanno tagliato nella finanziaria, allora basta. Non mi spaventa più Berlusconi che dice di voler mandare la polizia. Non mi spaventa nulla, sono stufo. E finalmente, respiro». Ed allora avanti con le proteste e le occupazioni.
Non tutti vogliono vendersi l’anima e la dignità. Pochi sono figli di papà. Molti non li manda nessuno.
Ricordo che, quando moltissimi anni fa mi laureai, chiesi ad un professore-giornalista di darmi una mano per farmi entrare nel suo giornale, mi rispose che lui non aveva nessun potere. Avrebbe potuto aiutarmi, una volta dentro, solo se qualche altro mi avesse fatto entrare. Ma non mi mandava nessuno e rimasi fuori.
Qualche anno prima ero andato addirittura a parlare con Rossellini, allora direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, per chiedergli di aiutarmi ad entrare al Centro. Ricordo che mi guardò sorpreso. Forse, nell’al di là, sta ancora aspettando che qualcuno che conta mi presenti.
Riuscii invece ad iscrivermi ad un corso di giornalismo e cinematografia presso la Pro Deo di Padre Morlion. Ero uno dei pochissimi italiani iscritti, fra altri 250, quasi tutti stranieri. Correva l’anno accademico 1969/70. Erano gli anni della contestazione. Occupammo la Pro Deo per tre mesi. Auspicavamo l’arrivo della polizia. Ma Padre Morlion non la chiamò. L’occupazione si esaurì naturalmente. Gli ultimi ad abbandonare fummo io ed un ragazzo cileno.
Amarcord. Oggi i tempi sono cambiati. E forse peggiorati. Se non sei nessuno, rimani nessuno. Se non ti manda qualcuno, non vai da nessuna parte. Ma si sopravvive comunque. Meglio avere la schiena dritta e non arrendersi. Coraggio!
La Gelmini sostiene che chi difende la scuola e l’università di oggi è rimasto indietro. Ma lei è andata più indietro ancora, andando a resuscitare il maestro unico, morto quasi trenta anni fa. Povera Gelmini. Lei non sa cosa dice, ripete slogan che qualche altro le ha preparato.
Gli studenti dicono di non aver paura delle minacce di Berlusconi. Ed andranno avanti. Sostengono che è Berlusconi ad aver paura di loro. In questo muro contro muro, il potere potrebbe provocare qualche incidente. I media, che ora sono a favore dell’onda anomala degli studenti, potrebbero passare dalla parte dell’onda del potere.
Chi sosteneva che i giovani di oggi sono apatici e senza ideali, deve ricredersi. Un giovane ha detto: «Sai cosa c'è? Alla fine uno si rompe le balle di avere paura. Ho 22 anni e vivo ogni giorno a sotto ricatto. Paura di non farcela a riscattare tutti i crediti, del contratto da precario in scadenza, di non poter più pagare l'affitto e dover tornare dai miei, di non trovare un vero lavoro dopo la laurea, della crisi mondiale e dell'aumento delle bollette. Campo a testa china e tiro avanti sperando che domani sia migliore. Ma se mi dicono che domani non c'è più, l'hanno tagliato nella finanziaria, allora basta. Non mi spaventa più Berlusconi che dice di voler mandare la polizia. Non mi spaventa nulla, sono stufo. E finalmente, respiro». Ed allora avanti con le proteste e le occupazioni.
Non tutti vogliono vendersi l’anima e la dignità. Pochi sono figli di papà. Molti non li manda nessuno.
Ricordo che, quando moltissimi anni fa mi laureai, chiesi ad un professore-giornalista di darmi una mano per farmi entrare nel suo giornale, mi rispose che lui non aveva nessun potere. Avrebbe potuto aiutarmi, una volta dentro, solo se qualche altro mi avesse fatto entrare. Ma non mi mandava nessuno e rimasi fuori.
Qualche anno prima ero andato addirittura a parlare con Rossellini, allora direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, per chiedergli di aiutarmi ad entrare al Centro. Ricordo che mi guardò sorpreso. Forse, nell’al di là, sta ancora aspettando che qualcuno che conta mi presenti.
Riuscii invece ad iscrivermi ad un corso di giornalismo e cinematografia presso la Pro Deo di Padre Morlion. Ero uno dei pochissimi italiani iscritti, fra altri 250, quasi tutti stranieri. Correva l’anno accademico 1969/70. Erano gli anni della contestazione. Occupammo la Pro Deo per tre mesi. Auspicavamo l’arrivo della polizia. Ma Padre Morlion non la chiamò. L’occupazione si esaurì naturalmente. Gli ultimi ad abbandonare fummo io ed un ragazzo cileno.
Amarcord. Oggi i tempi sono cambiati. E forse peggiorati. Se non sei nessuno, rimani nessuno. Se non ti manda qualcuno, non vai da nessuna parte. Ma si sopravvive comunque. Meglio avere la schiena dritta e non arrendersi. Coraggio!
18 ottobre 2008
Il federalismo bossiano è una scorreggia
Mutuando una battuta del senatur padano Bossi contro Gianfranco Miglio (padre del federalismo alla polenta con gli osèi), potremmo dire che il contenuto del disegno di legge sul federalismo fiscale, sfornato dal consiglio dei ministri del 3 ottobre 2008, è una scorreggia nello spazio.
Il vero federalismo è quello che propugna l’unione di più stati nazionali per raggiungere più facilmente fini comuni. Il disegno di legge italiano invece vuole in pratica smembrare lo stato unitario in regioni autonome, che spendono nei propri confini le entrate fiscali, senza farle confluire al centro.
Eugenio Scalfari ha scritto che quel disegno di legge è soltanto una scatola vuota, che è già costata un bel po’ di soldi agli italiani. La berlusconiana abolizione dell’Ici era una totale sciocchezza populista, che sarebbe caduta sulle spalle di noi contribuenti, come è avvenuto e continuerà ad avvenire. Alla fine del processo, se non viene bloccato prima, avremo un’Italia a doppia velocità: il nord continuerà ad arricchirsi ed il sud diventerà sempre più povero. «Se c’era un momento - scrive Scalfari - in cui sarebbe stato insensato parlare di federalismo fiscale, quel momento è esattamente l’autunno del 2008 cioè i giorni e i mesi che stiamo vivendo».
Paolo Ferrero ha detto che il federalismo fiscale è una storica fregatura, che gli italiani pagheranno a lungo. Forse per sempre, dico io.
Quello che Bossi vuole fare oggi, sarebbe stato bene farlo nel 1860. Quando il sud dei re Borbone era molto più ricco del nord dei Savoia e degli altri stati e staterelli italiani messi assieme. Allora i piemontesi rubarono tutte le ricchezze del sud e se le portarono al nord. Con l’odierno federalismo il nord vuole perpetuare quel ladrocinio.
Negli anni in cui fu fatta l’unità d’Italia, si fronteggiavano due posizioni contrapposte: quella degli unitari, che sostenevano l’esigenza che l’Italia diventasse «una sola repubblica indivisibile» e quella dei federalisti, che ritenevano più opportuno dar vita agli «Stati liberi federati d’Italia».
Il maggiore esponente degli “unitari” fu Mazzini, che sostenne l’esigenza di un’Italia «unita, indipendente, libera e repubblicana». Sul fronte dei “federalisti” si schierarono, da una parte, Gioberti, con il suo progetto di “neoguelfismo”, che immaginava di mettere alla testa di una confederazione degli Stati italiani il Papa Pio IX, e dall’altra parte Balbo, Torelli, Durando, che propugnavano un federalismo nazionale moderato, di cui la monarchia avrebbe costituito l’elemento aggregante e unificatore.
Vinsero, purtroppo potremmo dire con il senno dipoi, gli unitari. Se avessero vinto i federalisti non avremmo avuta la guerra civile, che insanguinò l’Italia per un decennio (1860-1870), e che vide contrapposti gli italiani del sud, appellati spregiativamente “briganti”, e gli italiani del nord, esportatori di civiltà con le armi e con la forza bruta della legge Pica.
Massimo teorico del federalismo fu Carlo Cattaneo, che nel 1860 scriveva: «Io non ho sperato mai nella nuda unità: per me la sola possibil forma d’unità tra liberi popoli è un patto federale». Bisogna contrapporre - diceva ancora Cattaneo - la federazione alla fusione e mostrare che un patto fra popoli è la sola via che può avviarli alla concordia e all’unità: «ogni fusione conduce al divorzio e all’odio». Il sistema federale nasce “dal basso”, non può essere imposto.
Ed ancora Cattaneo, nel luglio del 1860, replicando a Crispi, diceva: «La mia formula è Stati Uniti, se volete Regni Uniti. Per essere amici bisogna che ognuno resti padrone in casa sua». Ed andava ancora oltre: «Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d’Europa».
Le idee sul federalismo del Cattaneo sono d’altra tempra, rispetto alle scorregge di Bossi.
Il vero federalismo è quello che propugna l’unione di più stati nazionali per raggiungere più facilmente fini comuni. Il disegno di legge italiano invece vuole in pratica smembrare lo stato unitario in regioni autonome, che spendono nei propri confini le entrate fiscali, senza farle confluire al centro.
Eugenio Scalfari ha scritto che quel disegno di legge è soltanto una scatola vuota, che è già costata un bel po’ di soldi agli italiani. La berlusconiana abolizione dell’Ici era una totale sciocchezza populista, che sarebbe caduta sulle spalle di noi contribuenti, come è avvenuto e continuerà ad avvenire. Alla fine del processo, se non viene bloccato prima, avremo un’Italia a doppia velocità: il nord continuerà ad arricchirsi ed il sud diventerà sempre più povero. «Se c’era un momento - scrive Scalfari - in cui sarebbe stato insensato parlare di federalismo fiscale, quel momento è esattamente l’autunno del 2008 cioè i giorni e i mesi che stiamo vivendo».
Paolo Ferrero ha detto che il federalismo fiscale è una storica fregatura, che gli italiani pagheranno a lungo. Forse per sempre, dico io.
Quello che Bossi vuole fare oggi, sarebbe stato bene farlo nel 1860. Quando il sud dei re Borbone era molto più ricco del nord dei Savoia e degli altri stati e staterelli italiani messi assieme. Allora i piemontesi rubarono tutte le ricchezze del sud e se le portarono al nord. Con l’odierno federalismo il nord vuole perpetuare quel ladrocinio.
Negli anni in cui fu fatta l’unità d’Italia, si fronteggiavano due posizioni contrapposte: quella degli unitari, che sostenevano l’esigenza che l’Italia diventasse «una sola repubblica indivisibile» e quella dei federalisti, che ritenevano più opportuno dar vita agli «Stati liberi federati d’Italia».
Il maggiore esponente degli “unitari” fu Mazzini, che sostenne l’esigenza di un’Italia «unita, indipendente, libera e repubblicana». Sul fronte dei “federalisti” si schierarono, da una parte, Gioberti, con il suo progetto di “neoguelfismo”, che immaginava di mettere alla testa di una confederazione degli Stati italiani il Papa Pio IX, e dall’altra parte Balbo, Torelli, Durando, che propugnavano un federalismo nazionale moderato, di cui la monarchia avrebbe costituito l’elemento aggregante e unificatore.
Vinsero, purtroppo potremmo dire con il senno dipoi, gli unitari. Se avessero vinto i federalisti non avremmo avuta la guerra civile, che insanguinò l’Italia per un decennio (1860-1870), e che vide contrapposti gli italiani del sud, appellati spregiativamente “briganti”, e gli italiani del nord, esportatori di civiltà con le armi e con la forza bruta della legge Pica.
Massimo teorico del federalismo fu Carlo Cattaneo, che nel 1860 scriveva: «Io non ho sperato mai nella nuda unità: per me la sola possibil forma d’unità tra liberi popoli è un patto federale». Bisogna contrapporre - diceva ancora Cattaneo - la federazione alla fusione e mostrare che un patto fra popoli è la sola via che può avviarli alla concordia e all’unità: «ogni fusione conduce al divorzio e all’odio». Il sistema federale nasce “dal basso”, non può essere imposto.
Ed ancora Cattaneo, nel luglio del 1860, replicando a Crispi, diceva: «La mia formula è Stati Uniti, se volete Regni Uniti. Per essere amici bisogna che ognuno resti padrone in casa sua». Ed andava ancora oltre: «Avremo pace vera, quando avremo gli Stati Uniti d’Europa».
Le idee sul federalismo del Cattaneo sono d’altra tempra, rispetto alle scorregge di Bossi.
20 settembre 2008
3a Settimana di studi sul brigantaggio meridionale
Ho inviato a giornali e televisioni il seguente comunicato stampa sulla "3^ Settimana di studi sul brigantaggio meridionale", che è stata organizzata dall'Associazione "Settimana dei Briganti - l'altra storia", che presiedo. Si inizia giovedì 25 settembre 2008. Invito, chi può, a partecipare.
A Villa Castelli (Br), dal 25 settembre al 1° ottobre 2008, nella sala consiliare del Comune, con inizio ogni giorno alle ore 19,00, si terrà la “3a Settimana di studi sul brigantaggio meridionale”, organizzata dall’Associazione “Settimana dei Briganti – l’altra storia”, presieduta da Rocco Biondi.
Gli studi sul brigantaggio meridionale, che sono sempre esistiti, in questi ultimi tempi hanno preso nuovo vigore. I fatti che portarono all'Unità d'Italia vengono sempre più studiati anche dalla parte dei vinti.I Briganti non vengono più liquidati come comuni delinquenti, grassatori, che hanno infestato terre e masserie del sud. Vengono rivalutati all'interno di un più generale movimento politico che voleva salvaguardare gli elementi positivi dell'essere meridionali.
Variegati sono gli approcci al fenomeno del brigantaggio, preunitario e postunitario, che partono dall'estrema sinistra ed arrivano all'estrema destra. Tutti però hanno come comune denominatore il meridionalismo.
Il brigantaggio ha suscitato l'interesse di cinema, stampa, televisione. E' un fenomeno di grande presa nell'immaginario collettivo.
Forniamo una rapida sintesi dei fondamentali temi che verranno trattati.
I Musei sul brigantaggio
Il Prof. Vincenzo Padiglione, dell’Università La Sapienza di Roma, illustrerà la funzione che svolgono i Musei e presenterà il “Museo del Brigantaggio” di Itri (Latina), patria di Fra’ Diavolo; il Museo è stato allestito ed è diretto dallo stesso Prof. Padiglione.
La Prof.ssa Fulvia Caruso, dell’Università di Arezzo, illustrerà il Museo di Cellere (Viterbo), patria del brigante Domenico Tiburzi, da lei diretto.
Il brigantaggio nei Paesi del Mediterraneo
Il tema verrà affrontato dallo scrittore e giornalista Rai Raffaele Nigro, che relazionerà sui suoi studi sul brigantaggio ed il banditismo nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Le brigantesse nell’Italia postunitariaVerrà presentata la ricerca sul tema effettuata dal Laboratorio Antropologico dell’Università di Salerno. Interverranno i professori che hanno coordinato la ricerca: Domenico Scafoglio, Simona De Luna, Anna Maria Musilli.
Brigantaggio e sistemi repressivi nel MezzogiornoA trattare questo tema sarà Francesco Gaudioso, professore dell’Università di Lecce. Sarà esaminato il periodo che va dal dominio dei francesi nel Regno di Napoli fino all’invasione del Mezzogiorno da parte dei piemontesi.
Fra’ Diavolo
A parlare del brigante di Itri Michele Pezza sarà Alfredo Saccoccio, uno dei più profondi conoscitori della fortuna di Fra’ Diavolo nella storia, nella letteratura, nell’arte.
Don Ciro AnnicchiaricoRosario Quaranta presenterà le ultime scoperte bibliografiche (riviste, volumi inglesi e nordamericani) sul brigante “papa Ciro”.
Questione agraria e brigantaggio
Gennaro Incarnato, professore dell’Università di Salerno, tratterà il tema della questione della terra, delle illusioni del progresso e del mito del brigante.
Studi e libri recenti sul brigantaggioA parlare di libri e studi sul brigantaggio saranno Erminio de Biase, Gaetano Marabello, Maurizio Nocera, Valentino Romano, Pasquale Di Prospero, Rocco Biondi. Gli autori che saranno presentati saranno Ludwig Richard Zimmerman, Chiara Curione, Antonio Vismara, Gianni Custodero, Vincenzo Labanca, Iuri Lombardi. Ulderico Nisticò parlerà di Nicola Misasi, prolifico e fortunato studioso del brigantaggio calabrese.
Il brigantaggio negli strumenti di comunicazione di massa
Il dirigente scolastico Giuseppe D’Elia presenterà un fotoromanzo ed un DVD sul Sergente Romano, realizzato dai ragazzi di una scuola elementare di Noci (Bari).
Costantino Conte infine presenterà un documentario su Carmine Crocco dei registi Antonio Esposto e Massimo Lunardelli, prodotto da Niccolò Bruna per la “Colombre film”.
Gli studi sul brigantaggio meridionale, che sono sempre esistiti, in questi ultimi tempi hanno preso nuovo vigore. I fatti che portarono all'Unità d'Italia vengono sempre più studiati anche dalla parte dei vinti.I Briganti non vengono più liquidati come comuni delinquenti, grassatori, che hanno infestato terre e masserie del sud. Vengono rivalutati all'interno di un più generale movimento politico che voleva salvaguardare gli elementi positivi dell'essere meridionali.
Variegati sono gli approcci al fenomeno del brigantaggio, preunitario e postunitario, che partono dall'estrema sinistra ed arrivano all'estrema destra. Tutti però hanno come comune denominatore il meridionalismo.
Il brigantaggio ha suscitato l'interesse di cinema, stampa, televisione. E' un fenomeno di grande presa nell'immaginario collettivo.
Forniamo una rapida sintesi dei fondamentali temi che verranno trattati.
I Musei sul brigantaggio
Il Prof. Vincenzo Padiglione, dell’Università La Sapienza di Roma, illustrerà la funzione che svolgono i Musei e presenterà il “Museo del Brigantaggio” di Itri (Latina), patria di Fra’ Diavolo; il Museo è stato allestito ed è diretto dallo stesso Prof. Padiglione.
La Prof.ssa Fulvia Caruso, dell’Università di Arezzo, illustrerà il Museo di Cellere (Viterbo), patria del brigante Domenico Tiburzi, da lei diretto.
Il brigantaggio nei Paesi del Mediterraneo
Il tema verrà affrontato dallo scrittore e giornalista Rai Raffaele Nigro, che relazionerà sui suoi studi sul brigantaggio ed il banditismo nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Le brigantesse nell’Italia postunitariaVerrà presentata la ricerca sul tema effettuata dal Laboratorio Antropologico dell’Università di Salerno. Interverranno i professori che hanno coordinato la ricerca: Domenico Scafoglio, Simona De Luna, Anna Maria Musilli.
Brigantaggio e sistemi repressivi nel MezzogiornoA trattare questo tema sarà Francesco Gaudioso, professore dell’Università di Lecce. Sarà esaminato il periodo che va dal dominio dei francesi nel Regno di Napoli fino all’invasione del Mezzogiorno da parte dei piemontesi.
Fra’ Diavolo
A parlare del brigante di Itri Michele Pezza sarà Alfredo Saccoccio, uno dei più profondi conoscitori della fortuna di Fra’ Diavolo nella storia, nella letteratura, nell’arte.
Don Ciro AnnicchiaricoRosario Quaranta presenterà le ultime scoperte bibliografiche (riviste, volumi inglesi e nordamericani) sul brigante “papa Ciro”.
Questione agraria e brigantaggio
Gennaro Incarnato, professore dell’Università di Salerno, tratterà il tema della questione della terra, delle illusioni del progresso e del mito del brigante.
Studi e libri recenti sul brigantaggioA parlare di libri e studi sul brigantaggio saranno Erminio de Biase, Gaetano Marabello, Maurizio Nocera, Valentino Romano, Pasquale Di Prospero, Rocco Biondi. Gli autori che saranno presentati saranno Ludwig Richard Zimmerman, Chiara Curione, Antonio Vismara, Gianni Custodero, Vincenzo Labanca, Iuri Lombardi. Ulderico Nisticò parlerà di Nicola Misasi, prolifico e fortunato studioso del brigantaggio calabrese.
Il brigantaggio negli strumenti di comunicazione di massa
Il dirigente scolastico Giuseppe D’Elia presenterà un fotoromanzo ed un DVD sul Sergente Romano, realizzato dai ragazzi di una scuola elementare di Noci (Bari).
Costantino Conte infine presenterà un documentario su Carmine Crocco dei registi Antonio Esposto e Massimo Lunardelli, prodotto da Niccolò Bruna per la “Colombre film”.
29 agosto 2008
La presenza della Gelmini abbassa il livello culturale
Non bisognava essere grandi profeti per prevedere che la nomina di una incompetente a Ministro dell’Istruzione avrebbe arrecato gravi danni alla Scuola italiana. Che ci azzecca una laureata in Giurisprudenza, che credo tra l’altro non abbia mai esercitato, a capo dell'Istruzione, Università e Ricerca? La Gelmini non ha mai insegnato niente. Maestri, professori e ricercatori potrebbero legittimamente prenderla a pernacchie. E’ la sua presenza in quel posto che abbassa il livello culturale della Scuola italiana.
Le uniche cose per le quali verrà ricordata sono l’obbligo per gli alunni di indossare il grembiule (meglio se nero abbinato ad un fèz), il 5 in condotta per i bulli (che verranno quindi automaticamente bocciati, e l’anno successivo prenderanno 3, per finire poi con un braccialetto elettronico), l’insulto di ignoranti ai professori del sud (bisognosi quindi di un corso di formazione accelerato). Non sarebbe più auspicabile e necessario invece un corso di formazione prima di diventare ministri e presidenti dei ministri?
Un deputato calabrese l’ha definita «il ministro più ignorante che abbiamo avuto negli ultimi 60 anni». Mi fido del suo giudizio.
Francesco Merlo su la Repubblica del 25 agosto 2008 ha scritto: «Non esiste una maniera raffinata di mostrare il dito medio, ma Mariastella Gelmini ci ha provato definendo i professori meridionali “dequalificati”, cioè ignoranti». Anche se Merlo ce lo sconsiglia, noi del sud, che lavoriamo nella scuola, il dito medio lo orientiamo contro la ministra, essendo (forse) l’unico linguaggio che da quella parte vien capito.
Io non presto eccessiva attenzione a quanto dice la Chiesa sulla politica e sui politici italiani. Ma quello che stavolta chiede il Servizio Informazione Religiosa (Sir) lo sottoscrivo pienamente: «Smettiamola di gettare fango sulla scuola del Sud o del Nord, sui professori fannulloni o quant’altro. Fa solo male, alla scuola e al Paese». Con buona pace non solo della Gelmini, ma anche di Brunetta.
Un professore del sud, dopo aver messo in rilievo le carenze di mezzi e strutture della scuole del sud, osserva e chiede: «Qui per ottenere il minimo dei risultati, in alcuni casi, devi fare dei veri e propri miracoli. Ci sarebbe da premiarli gli insegnanti del Sud non certo da denigrarli». Ed invece il governo Berlusconi programma nuovi tagli nei finanziamenti alle scuole.
Se poi si aggiunge che gli alti dirigenti regionali e provinciali della scuola vengono individuati per appartenenze e meriti politici, allora si capisce meglio il livello di degrado della scuola italiana. Nella mia Regione Puglia è in atto il cambio di tutti i dirigenti provinciali (ex Provveditori), a suo tempo nominati dal governo di centrosinistra, sostituiti ora da fiduciari del centrodestra. Senza contare poi che gli alti dirigenti difendono, a priori e a prescindere, la casta dei dirigenti inferiori (presidi), contro i professori e gli altri operatori della scuola.
E queste cose la ministra Gelmini le avalla. Tutto il sistema è marcio. Meno male che vi sono i professori del sud (anche nel profondo nord) che cercano con il loro lavoro di tenere alto il decoro della scuola italiana.
Le uniche cose per le quali verrà ricordata sono l’obbligo per gli alunni di indossare il grembiule (meglio se nero abbinato ad un fèz), il 5 in condotta per i bulli (che verranno quindi automaticamente bocciati, e l’anno successivo prenderanno 3, per finire poi con un braccialetto elettronico), l’insulto di ignoranti ai professori del sud (bisognosi quindi di un corso di formazione accelerato). Non sarebbe più auspicabile e necessario invece un corso di formazione prima di diventare ministri e presidenti dei ministri?
Un deputato calabrese l’ha definita «il ministro più ignorante che abbiamo avuto negli ultimi 60 anni». Mi fido del suo giudizio.
Francesco Merlo su la Repubblica del 25 agosto 2008 ha scritto: «Non esiste una maniera raffinata di mostrare il dito medio, ma Mariastella Gelmini ci ha provato definendo i professori meridionali “dequalificati”, cioè ignoranti». Anche se Merlo ce lo sconsiglia, noi del sud, che lavoriamo nella scuola, il dito medio lo orientiamo contro la ministra, essendo (forse) l’unico linguaggio che da quella parte vien capito.
Io non presto eccessiva attenzione a quanto dice la Chiesa sulla politica e sui politici italiani. Ma quello che stavolta chiede il Servizio Informazione Religiosa (Sir) lo sottoscrivo pienamente: «Smettiamola di gettare fango sulla scuola del Sud o del Nord, sui professori fannulloni o quant’altro. Fa solo male, alla scuola e al Paese». Con buona pace non solo della Gelmini, ma anche di Brunetta.
Un professore del sud, dopo aver messo in rilievo le carenze di mezzi e strutture della scuole del sud, osserva e chiede: «Qui per ottenere il minimo dei risultati, in alcuni casi, devi fare dei veri e propri miracoli. Ci sarebbe da premiarli gli insegnanti del Sud non certo da denigrarli». Ed invece il governo Berlusconi programma nuovi tagli nei finanziamenti alle scuole.
Se poi si aggiunge che gli alti dirigenti regionali e provinciali della scuola vengono individuati per appartenenze e meriti politici, allora si capisce meglio il livello di degrado della scuola italiana. Nella mia Regione Puglia è in atto il cambio di tutti i dirigenti provinciali (ex Provveditori), a suo tempo nominati dal governo di centrosinistra, sostituiti ora da fiduciari del centrodestra. Senza contare poi che gli alti dirigenti difendono, a priori e a prescindere, la casta dei dirigenti inferiori (presidi), contro i professori e gli altri operatori della scuola.
E queste cose la ministra Gelmini le avalla. Tutto il sistema è marcio. Meno male che vi sono i professori del sud (anche nel profondo nord) che cercano con il loro lavoro di tenere alto il decoro della scuola italiana.
21 agosto 2008
Il brigantaggio meridionale, Cronaca inedita dell’Unità d’Italia a cura di Aldo De Jaco
Il libro pubblicato dagli Editori Riuniti ha avuto parecchie edizioni (e ristampe). La prima è del 1969 (prima ristampa del 1976), la seconda del 1979 è un’edizione fuori commercio riservata agli abbonati a l’Unità per l’anno 1980, la terza è del 2005. Le tre edizioni conservano sempre la stessa foliazione. Vi è un ricco corredo di illustrazioni fuori testo; nelle prime due edizioni le foto in b/n e i disegni a colori intercalano in vari punti le pagine, nella terza le illustrazioni tutte in b/n sono poste insieme in fondo al volume.
Quando il libro uscì vi erano ancora pochi studi su «quella angosciosa tragedia che fu la guerra del brigantaggio». Franco Molfese aveva pubblicato presso Feltrinelli nel 1964 la Storia del brigantaggio dopo l’Unità, ma si trattava «essenzialmente di una documentatissima storia diplomatico-militare dell’azione del governo “piemontese”», restava ancora impreciso il vero volto del brigante e della rete dei manutengoli, dei reazionari e degli sbandati che lo sostenevano; come nascoste restavano le ragioni umane che spingevano tanti uomini e tante donne a quello «sfascio».
Tuttavia, scrive De Jaco, il libro del Molfese è l’unico valido contributo di quegli anni alla storia del brigantaggio cioè di un periodo in cui - come scrisse Gramsci nel ’20 - «lo Stato italiano ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale e le isole crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di briganti».
De Jaco mette insieme una raccolta di scritti «di opposta origine», nel tentativo di formare un mosaico veritiero sul tragico periodo del brigantaggio di massa nel Mezzogiorno. Tre sono i filoni principali seguiti per i testi raccolti: scritti o verbali di interrogatori di briganti, testimonianze di ufficiali e soldati piemontesi, reportage di parte borbonica; con l’aggiunta anche di notizie giornalistiche dell’epoca e relazioni ufficiali. Su di uno stesso argomento si hanno voci di diversa parte, nel tentativo - almeno così spera De Jaco - di permettere al lettore di farsi un quadro degli avvenimenti il più possibile vicino alla verità.
Con una prima sezione di testi si cerca di dare risposta alla domanda: Chi sono i briganti?. Quelli che non hanno un cappotto, masnadieri trasformati in eroi, soldati dell’indipendenza nazionale, che hanno energia, ardimento ed intelligenza.
Nella raccolta assumono particolare rilievo tre momenti della guerra del brigantaggio: la marcia di Carmine Crocco e del suo esercito di briganti su Melfi nell’aprile 1861, la reazione di Gioia del Colle capitanata dal sergente brigante Pasquale Romano nel luglio 1861, la distruzione ad opera dei piemontesi di Casalduni e Pontelandolfo nell’agosto 1861.
Altra parte della raccolta è dedicata a particolari scontri tra briganti ed esercito piemontese, a come morirono i briganti Schiavone, Coppa, Ninco Nanco, Chiavone, Borjés ed altri.
Ma quanti furono i “briganti” uccisi? Oscar de Poli nel 1864 (?) scrive: «Diecimila napoletani sono stati fucilati o son caduti nelle file del brigantaggio». Nel giornale La campana di San Martino del 4 novembre 1863 si legge: «Sono state fucilate o scannate 18.000 persone». E quanti furono i morti dell’esercito piemontese nella guerra del brigantaggio? Nella relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio si legge che dal 1861 al 1863 i morti furono «in tutto 21 ufficiali e 286 soldati, ossia 307 uccisi». Sproporzione immensa.
L’ultima parte della raccolta riguarda i giudizi dei contemporanei sugli avvenimenti del brigantaggio meridionale postunitario.
Il deputato Francesco Proto, Duca di Maddaloni, nella seduta parlamentare del 20 novembre 1861, diceva: «I delitti perpetrati in questa guerra civile ci farebbe arrossire della umana spoglia che vestiamo. Gente della nostra patria vien passata per le armi senza neppur forma di giudizio statutario, sulla semplice delazione di un nemico, pel semplice sospetto di aver nutrito e dato asilo ad un insorto».
Nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio del 1863 si legge: «Nelle provincie dove lo stato economico, la condizione sociale dei campagnoli sono assai infelici il brigantaggio si diffonde rapidamente, si rinnova di continuo, ha una vita tenacissima».
L’onorevole Miceli, nella seduta parlamentare del 31 luglio 1863, affermava: «Nessuno di voi negherà che, quando si sorpassano i limiti della repressione con eccessi inescusabili, anziché raggiungere lo scopo, ce ne dilunghiamo; anziché distruggere il brigantaggio lo rendiamo perenne e sempre più feroce. La repressione ha ecceduto i confini che la giustizia e la prudenza dovevano rendere insormontabili».
Pasquale Villari, nelle sue Lettere meridionali, nel marzo 1875, scriveva: «Il brigantaggio è il male più grave che possiamo osservare nelle nostre campagne. Esso è certo, come è ben noto, la conseguenza di una questione agraria e sociale, che travaglia quasi tutte le provincie meridionali».
Rocco Biondi
Il Brigantaggio meridionale, Cronaca inedita dell’Unità d’Italia, a cura di Aldo De Jaco, Editori Riuniti, Roma 1969 (ristampa del 1976), pp. 352
Quando il libro uscì vi erano ancora pochi studi su «quella angosciosa tragedia che fu la guerra del brigantaggio». Franco Molfese aveva pubblicato presso Feltrinelli nel 1964 la Storia del brigantaggio dopo l’Unità, ma si trattava «essenzialmente di una documentatissima storia diplomatico-militare dell’azione del governo “piemontese”», restava ancora impreciso il vero volto del brigante e della rete dei manutengoli, dei reazionari e degli sbandati che lo sostenevano; come nascoste restavano le ragioni umane che spingevano tanti uomini e tante donne a quello «sfascio».
Tuttavia, scrive De Jaco, il libro del Molfese è l’unico valido contributo di quegli anni alla storia del brigantaggio cioè di un periodo in cui - come scrisse Gramsci nel ’20 - «lo Stato italiano ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale e le isole crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di briganti».
De Jaco mette insieme una raccolta di scritti «di opposta origine», nel tentativo di formare un mosaico veritiero sul tragico periodo del brigantaggio di massa nel Mezzogiorno. Tre sono i filoni principali seguiti per i testi raccolti: scritti o verbali di interrogatori di briganti, testimonianze di ufficiali e soldati piemontesi, reportage di parte borbonica; con l’aggiunta anche di notizie giornalistiche dell’epoca e relazioni ufficiali. Su di uno stesso argomento si hanno voci di diversa parte, nel tentativo - almeno così spera De Jaco - di permettere al lettore di farsi un quadro degli avvenimenti il più possibile vicino alla verità.
Con una prima sezione di testi si cerca di dare risposta alla domanda: Chi sono i briganti?. Quelli che non hanno un cappotto, masnadieri trasformati in eroi, soldati dell’indipendenza nazionale, che hanno energia, ardimento ed intelligenza.
Nella raccolta assumono particolare rilievo tre momenti della guerra del brigantaggio: la marcia di Carmine Crocco e del suo esercito di briganti su Melfi nell’aprile 1861, la reazione di Gioia del Colle capitanata dal sergente brigante Pasquale Romano nel luglio 1861, la distruzione ad opera dei piemontesi di Casalduni e Pontelandolfo nell’agosto 1861.
Altra parte della raccolta è dedicata a particolari scontri tra briganti ed esercito piemontese, a come morirono i briganti Schiavone, Coppa, Ninco Nanco, Chiavone, Borjés ed altri.
Ma quanti furono i “briganti” uccisi? Oscar de Poli nel 1864 (?) scrive: «Diecimila napoletani sono stati fucilati o son caduti nelle file del brigantaggio». Nel giornale La campana di San Martino del 4 novembre 1863 si legge: «Sono state fucilate o scannate 18.000 persone». E quanti furono i morti dell’esercito piemontese nella guerra del brigantaggio? Nella relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio si legge che dal 1861 al 1863 i morti furono «in tutto 21 ufficiali e 286 soldati, ossia 307 uccisi». Sproporzione immensa.
L’ultima parte della raccolta riguarda i giudizi dei contemporanei sugli avvenimenti del brigantaggio meridionale postunitario.
Il deputato Francesco Proto, Duca di Maddaloni, nella seduta parlamentare del 20 novembre 1861, diceva: «I delitti perpetrati in questa guerra civile ci farebbe arrossire della umana spoglia che vestiamo. Gente della nostra patria vien passata per le armi senza neppur forma di giudizio statutario, sulla semplice delazione di un nemico, pel semplice sospetto di aver nutrito e dato asilo ad un insorto».
Nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio del 1863 si legge: «Nelle provincie dove lo stato economico, la condizione sociale dei campagnoli sono assai infelici il brigantaggio si diffonde rapidamente, si rinnova di continuo, ha una vita tenacissima».
L’onorevole Miceli, nella seduta parlamentare del 31 luglio 1863, affermava: «Nessuno di voi negherà che, quando si sorpassano i limiti della repressione con eccessi inescusabili, anziché raggiungere lo scopo, ce ne dilunghiamo; anziché distruggere il brigantaggio lo rendiamo perenne e sempre più feroce. La repressione ha ecceduto i confini che la giustizia e la prudenza dovevano rendere insormontabili».
Pasquale Villari, nelle sue Lettere meridionali, nel marzo 1875, scriveva: «Il brigantaggio è il male più grave che possiamo osservare nelle nostre campagne. Esso è certo, come è ben noto, la conseguenza di una questione agraria e sociale, che travaglia quasi tutte le provincie meridionali».
Rocco Biondi
Il Brigantaggio meridionale, Cronaca inedita dell’Unità d’Italia, a cura di Aldo De Jaco, Editori Riuniti, Roma 1969 (ristampa del 1976), pp. 352
15 agosto 2008
Moana Pozzi: amata sempre
Il mito di Moana si accresce sempre più. Sky ha deciso di realizzare una fiction in due puntate, con la regia di Marco Ponti, che andrà in onda nell'autunno 2009. Intanto ha aperto un web casting, dove sono già arrivati circa cinquemila video autopromozionali. Studentesse sexy e casalinghe irrequiete ci provano. Per partecipare basta inviare un filmato di un minuto, al limite girato anche con un telefonino.
Ecco lo strillo di Sky Life: «Cerchiamo la nuova Moana, e potresti essere proprio tu. Moana Pozzi, la più grande diva italiana del cinema porno, scomparsa nel 1994, rivivrà in una fiction prodotta da SKY Cinema e Polivideo, e diretta da Marco Ponti. Sei maggiorenne? Gioca con noi. Non c'è bisogno di essere attrici professioniste o modelle, né di presentarsi con un video professionale. Usa la web cam, il tuo cellulare o la videocamera, gira un simpatico video per presentarti e raccontarci perché pensi di essere adatta al ruolo».
Basta registrarsi, caricare il file, ed il gioco è fatto. I video più belli verranno scelti dalla redazione e presentati sul canale SKY Vivo. Successivamente si potrebbe essere contattati e fare il provino tradizionale. «E’ solo un gioco, ma Moana stessa ci ha insegnato che la vita è davvero imprevedibile, e che non si può mai sapere».
Ma perché tanto interesse per Moana? Perché Moana vive in ciascuno di noi. Tutti, più o meno consciamente, vorremmo essere Moana e incontrare Moana. Sky fa solo da levatrice, fa venir fuori la Moana che è in noi.
Loredana Fatone, 25enne di Pescara, dice: «La misteriosa fine di Moana? Per me non è neanche morta: è all'estero, vive con una nuova identità. Per l'erotismo sarei disposta a far vedere il mio seno (ho una quinta: più di Moana) e poi al mare vado già in perizoma».
Maria Grazia Pelusi, 27enne, foggiana, sostiene: «Moana era colta e pornostar, si spogliava ma era donna pensante. Trasversale, apprezzata anche dall'intellighenzia di sinistra. Gli amici insistevano sulla mia presunta somiglianza con l'attrice. Sono nata il 27 aprile come lei e pure alla stessa ora».
Caterina Arena, estetista di Lecco, 35enne, racconta: «Passeggiando a Bellagio, i ragazzi mi fischiavano dietro chiamandomi Moana: le somigliavo. Mai visti i suoi film hard. L'idea di svestirmi? A chi non piace essere guardata?».
Anche Nicola Donghi, un uomo di 25enne, grafico bergamasco, ha mandato un provino, affermando: «Perché io assomiglio a Moana più di quelle che vedo nei video. Farò crescere i capelli, mi truccherò, farò rivivere alla grande Moana, l'icona del porno italiano».
Ormai tutti parlano di Moana. Anche i giornali di carta rilanciano l’iniziativa di Sky.
Moana Pozzi Casting
Tutte vogliono diventare Moana - Aspiranti attrici per la fiction di Sky
Cercasi Moana Pozzi per la fiction Sky
Miei precedenti post su Moana
Ecco lo strillo di Sky Life: «Cerchiamo la nuova Moana, e potresti essere proprio tu. Moana Pozzi, la più grande diva italiana del cinema porno, scomparsa nel 1994, rivivrà in una fiction prodotta da SKY Cinema e Polivideo, e diretta da Marco Ponti. Sei maggiorenne? Gioca con noi. Non c'è bisogno di essere attrici professioniste o modelle, né di presentarsi con un video professionale. Usa la web cam, il tuo cellulare o la videocamera, gira un simpatico video per presentarti e raccontarci perché pensi di essere adatta al ruolo».
Basta registrarsi, caricare il file, ed il gioco è fatto. I video più belli verranno scelti dalla redazione e presentati sul canale SKY Vivo. Successivamente si potrebbe essere contattati e fare il provino tradizionale. «E’ solo un gioco, ma Moana stessa ci ha insegnato che la vita è davvero imprevedibile, e che non si può mai sapere».
Ma perché tanto interesse per Moana? Perché Moana vive in ciascuno di noi. Tutti, più o meno consciamente, vorremmo essere Moana e incontrare Moana. Sky fa solo da levatrice, fa venir fuori la Moana che è in noi.
Loredana Fatone, 25enne di Pescara, dice: «La misteriosa fine di Moana? Per me non è neanche morta: è all'estero, vive con una nuova identità. Per l'erotismo sarei disposta a far vedere il mio seno (ho una quinta: più di Moana) e poi al mare vado già in perizoma».
Maria Grazia Pelusi, 27enne, foggiana, sostiene: «Moana era colta e pornostar, si spogliava ma era donna pensante. Trasversale, apprezzata anche dall'intellighenzia di sinistra. Gli amici insistevano sulla mia presunta somiglianza con l'attrice. Sono nata il 27 aprile come lei e pure alla stessa ora».
Caterina Arena, estetista di Lecco, 35enne, racconta: «Passeggiando a Bellagio, i ragazzi mi fischiavano dietro chiamandomi Moana: le somigliavo. Mai visti i suoi film hard. L'idea di svestirmi? A chi non piace essere guardata?».
Anche Nicola Donghi, un uomo di 25enne, grafico bergamasco, ha mandato un provino, affermando: «Perché io assomiglio a Moana più di quelle che vedo nei video. Farò crescere i capelli, mi truccherò, farò rivivere alla grande Moana, l'icona del porno italiano».
Ormai tutti parlano di Moana. Anche i giornali di carta rilanciano l’iniziativa di Sky.
Moana Pozzi Casting
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Cercasi Moana Pozzi per la fiction Sky
Miei precedenti post su Moana
10 agosto 2008
Giochi di guerra
Mentre Putin, in camicia e cravatta, partecipava all’inaugurazione dei giochi olimpici in Cina, le truppe militari russe invadevano e bombardavano la Georgia. Dai giochi di pace ai giochi di guerra. Dimitri Medvedev, successore voluto ed imposto da Putin alla presidenza della Russia, dichiarava che l’operazione militare era necessaria per «costringere la parte georgiana alla pace». Strano concetto: si fa la guerra per imporre la pace. Richiama alla mente quello che Bush diceva per giustificare l’invasione dell’Iraq: per esportare la civiltà americana si era costretti ad usare le armi.
Bush per giustificare la guerra in Iraq si era inventate le inesistenti armi di distruzione di massa a disposizione di Saddam Hussein. Putin per giustificare l’attacco dichiara che in Georgia ed Ossezia è in atto un fantomatico genocidio. I potenti mentono senza temere che qualcuno possa smentirli. La verità se la costruiscono loro.
In Iraq la guerra ancora continua, vedremo quanto durerà in Georgia.
L’industria bellica americana continua a fare affari costruendo ed usando le armi in Iraq. La Russia non accetta che le possa sfuggire il controllo delle vie del petrolio. Apparentemente la posta in gioco è l’irrilevante Ossezia, nei fatti non si vuole che la Georgia, cerniera tra l’Occidente e l’Oriente, entri nell’orbita occidentale; la Russia perderebbe il controllo della sede di transito dei grandi oleodotti che fanno arrivare il petrolio alla Mesopotamia ed al Mediterraneo.
Le grandi nazioni occidentali invitano Putin a fermare le armi. Il piccolissimo Berlusconi, per non contraddire l’amico Putin, se ne va in vacanza in Sardegna.
Bush per giustificare la guerra in Iraq si era inventate le inesistenti armi di distruzione di massa a disposizione di Saddam Hussein. Putin per giustificare l’attacco dichiara che in Georgia ed Ossezia è in atto un fantomatico genocidio. I potenti mentono senza temere che qualcuno possa smentirli. La verità se la costruiscono loro.
In Iraq la guerra ancora continua, vedremo quanto durerà in Georgia.
L’industria bellica americana continua a fare affari costruendo ed usando le armi in Iraq. La Russia non accetta che le possa sfuggire il controllo delle vie del petrolio. Apparentemente la posta in gioco è l’irrilevante Ossezia, nei fatti non si vuole che la Georgia, cerniera tra l’Occidente e l’Oriente, entri nell’orbita occidentale; la Russia perderebbe il controllo della sede di transito dei grandi oleodotti che fanno arrivare il petrolio alla Mesopotamia ed al Mediterraneo.
Le grandi nazioni occidentali invitano Putin a fermare le armi. Il piccolissimo Berlusconi, per non contraddire l’amico Putin, se ne va in vacanza in Sardegna.
6 agosto 2008
I leccaculi non sono fannulloni
Il decreto Brunetta è una cazzata. Fannullone non è chi non va a lavorare perché malato. Fannullone è chi va sul posto di lavoro e non fa niente. Questo tipo di fannullone è molto diffuso in tutta la pubblica amministrazione. A cominciare dalla Camera dei deputati e dal Senato della Rupubblica; e non parlo dei lavoratori dipendenti, ma dei senatori e deputati; qualcuno mi dovrebbe spiegare che lavoro fanno per meritarsi tutti quei soldi che prendono; è vergognoso vedere in televisione che mentre uno parla, ad ascoltarlo vi sono solo due o tre persone, spesso anche leggendo il giornale.
Fannullone è chi timbra il cartellino o il registro di presenza, fa un giro intorno al suo tavolo di lavoro e se ne esce a fare la spesa, a prendersi un caffè al bar (cosa che molte sentenze hanno giudicata legittima), a comprarsi il giornale, ad accompagnare il proprio figlio a scuola, a controllare gli operai che stanno ristrutturando una propria casa o stanno facendo lavori in un proprio fondo agricolo, e magari a farsi una scopatina con un/a collega di un altro ufficio più o meno vicino.
Responsabili di questi furti all’orario di lavoro sono i dirigenti, che chiudono uno o tutte e due gli occhi per non vedere, o peggio ancora non possono proprio vedere perché sono assenti pure loro. Di norma in questi casi, per evitare rischi, si ricorre allo stratagemma di firmare una richiesta di permesso breve, che poi viene strappata al rientro se non è successo niente. La durata dell’assenza può andare dai pochi minuti all’intero orario di servizio. Esiste anche la possibilità che a timbrare il cartellino o a firmare, in entrata ed in uscita, sia un collega compiacente, che a suo tempo verrà ricambiato. Ma queste cose Brunetta non le sa o non le vede.
Per poter svolgere queste attività extra lavoro in orario di lavoro è necessario che vi sia una qualche intesa tra dirigenti e lavoratori, più o meno palese, più o meno concordata. E qui entra in campo il leccaculismo, l’arte di adulare i capi per fregarli. Ai leccaculi è tutto concesso, le malefatte dei leccaculi non vengono mai viste, i leccaculi non verranno mai richiamati, i leccaculi ottengono o si prendono tutti i falsi permessi che vogliono, i leccaculi non hanno bisogno di mettersi in malattia per non stare sul posto di lavoro. I leccaculi risultano sempre presenti e verranno anche premiati. Guai per chi non si adatta a fare il leccaculo, non ha diritto a niente, deve giustificare tutto, deve recuperare anche un solo minuto di ritardo, non ottiene permessi, non può accompagnare la moglie o un figlio o un genitore in ospedale, non può andare a festeggiare un figlio che si laurea. Anche la malattia, vera o falsa che sia, deve sudarsela cara; è immediata la visita fiscale; i servizi segreti del capo sono spietati per incastrarlo. Ma queste cose Brunetta non le sa o non le vede.
Chi non è leccaculo, e non ottiene un permesso o ha esaurito i giorni di permesso, per poter fare qualcosa di indifferibile per se o per la sua famiglia deve mettersi in malattia. E con buona pace di Brunetta non può essere definito un fannullone.
Un tipo peggiore di fannullone è chi va sul posto di lavoro e col suo comportamento arreca danni agli altri. Di questa categoria fanno parte tanti dirigenti, che provano piacere sadico a massacrare i dipendenti. Questi capi sono la causa di una delle più gravi malattie dei nostri tempi: lo stress. Lo stress colpisce il 20% dei lavoratori europei ed il 27% dei lavoratori italiani. Secondo un statistica dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, in Francia si spendono 1 miliardo e 200 milioni di euro all’anno per gli incidenti e le malattie professionali legati allo stress. Mentre, sempre in Francia, secondo uno studio dell’Università della Borgogna, l’assenteismo costa solo 280 milioni di euro. [Fonte: la Repubblica 6 agosto 2008]. Se ci si allontanasse di più dal lavoro prima di essere colpiti dallo stress, prendendosi qualche giornata di malattia, anche solo come riposo, si farebbero risparmiare tantissimi soldi allo Stato e quindi a noi contribuenti. Ma queste cose Brunetta non le capisce.
Fannullone è chi timbra il cartellino o il registro di presenza, fa un giro intorno al suo tavolo di lavoro e se ne esce a fare la spesa, a prendersi un caffè al bar (cosa che molte sentenze hanno giudicata legittima), a comprarsi il giornale, ad accompagnare il proprio figlio a scuola, a controllare gli operai che stanno ristrutturando una propria casa o stanno facendo lavori in un proprio fondo agricolo, e magari a farsi una scopatina con un/a collega di un altro ufficio più o meno vicino.
Responsabili di questi furti all’orario di lavoro sono i dirigenti, che chiudono uno o tutte e due gli occhi per non vedere, o peggio ancora non possono proprio vedere perché sono assenti pure loro. Di norma in questi casi, per evitare rischi, si ricorre allo stratagemma di firmare una richiesta di permesso breve, che poi viene strappata al rientro se non è successo niente. La durata dell’assenza può andare dai pochi minuti all’intero orario di servizio. Esiste anche la possibilità che a timbrare il cartellino o a firmare, in entrata ed in uscita, sia un collega compiacente, che a suo tempo verrà ricambiato. Ma queste cose Brunetta non le sa o non le vede.
Per poter svolgere queste attività extra lavoro in orario di lavoro è necessario che vi sia una qualche intesa tra dirigenti e lavoratori, più o meno palese, più o meno concordata. E qui entra in campo il leccaculismo, l’arte di adulare i capi per fregarli. Ai leccaculi è tutto concesso, le malefatte dei leccaculi non vengono mai viste, i leccaculi non verranno mai richiamati, i leccaculi ottengono o si prendono tutti i falsi permessi che vogliono, i leccaculi non hanno bisogno di mettersi in malattia per non stare sul posto di lavoro. I leccaculi risultano sempre presenti e verranno anche premiati. Guai per chi non si adatta a fare il leccaculo, non ha diritto a niente, deve giustificare tutto, deve recuperare anche un solo minuto di ritardo, non ottiene permessi, non può accompagnare la moglie o un figlio o un genitore in ospedale, non può andare a festeggiare un figlio che si laurea. Anche la malattia, vera o falsa che sia, deve sudarsela cara; è immediata la visita fiscale; i servizi segreti del capo sono spietati per incastrarlo. Ma queste cose Brunetta non le sa o non le vede.
Chi non è leccaculo, e non ottiene un permesso o ha esaurito i giorni di permesso, per poter fare qualcosa di indifferibile per se o per la sua famiglia deve mettersi in malattia. E con buona pace di Brunetta non può essere definito un fannullone.
Un tipo peggiore di fannullone è chi va sul posto di lavoro e col suo comportamento arreca danni agli altri. Di questa categoria fanno parte tanti dirigenti, che provano piacere sadico a massacrare i dipendenti. Questi capi sono la causa di una delle più gravi malattie dei nostri tempi: lo stress. Lo stress colpisce il 20% dei lavoratori europei ed il 27% dei lavoratori italiani. Secondo un statistica dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, in Francia si spendono 1 miliardo e 200 milioni di euro all’anno per gli incidenti e le malattie professionali legati allo stress. Mentre, sempre in Francia, secondo uno studio dell’Università della Borgogna, l’assenteismo costa solo 280 milioni di euro. [Fonte: la Repubblica 6 agosto 2008]. Se ci si allontanasse di più dal lavoro prima di essere colpiti dallo stress, prendendosi qualche giornata di malattia, anche solo come riposo, si farebbero risparmiare tantissimi soldi allo Stato e quindi a noi contribuenti. Ma queste cose Brunetta non le capisce.
27 luglio 2008
Immunità a delinquere
Berlusconi Silvio: non più imputabile. Per sua legge non può essere processato e condannato. Si è fatto proclamare sovrano senza limiti. L’assioma «la legge è uguale per tutti» vale per gli altri e non per lui. Lui è superiore alla legge, lui è fuori legge.
Il giornale americano Financial Times continua a ricordarci: «Come in passato, l’attenzione di Berlusconi è concentrata su se stesso e non sull’Italia. La legge va ben al di là delle protezioni concesse negli altri paesi».
In nessun altro paese civile il presidente del consiglio ha l’immunità per delinquere. Ma forse l’Italia con Berlusconi sta uscendo fuori dal novero dei paesi civili. I succubi e megafoni di Berlusconi giurano e spergiurano che in tanti altri paesi vi è l’immunità per i presidenti del consiglio. Mentono spudoratamente, sapendo di mentire. Ma non se ne vergognano. Per loro non è vero quello che è vero, ma è vero quello che Berlusconi vuole che lo sia. La verità viene creata ed inventata dal nulla.
Ma consoliamoci con quello che Filippo Ceccarelli scriveva su la Repubblica del 23 luglio: «Nessun lodo ha mai protetto i sovrani dalla caduta quando i tempi del potere si esauriscono; e i fedeli di oggi sono destinati a diventare i mercenari e magari anche i traditori del domani». Speriamo che quel tempo arrivi presto.
Il direttore de l’Unità Antonio Padellaro, senza tanti peli sulla lingua, scrive al presidente della Repubblica dicendo che tantissimi italiani nutrono un fortissimo disagio perché lui ha convalidato la norma sull’immunità delle quattro più alte cariche dello Stato, per consentire a uno solo, Berlusconi, di non essere più sottoposto ai dettami della giustizia.
Di Pietro annuncia una raccolta di firme per far indire un referendum che abroghi questa legge vergogna e proclama: «È immorale che quattro persone possano commettere ogni tipo di crimine e non possano essere processate».
Io sottoscriverò per questo referendum, pur rimanendo scettico sull’esito finale. Gli italiani ormai si son venduta l’anima ed hanno persa la coscienza.
Viviamo in tempi bui.
Il giornale americano Financial Times continua a ricordarci: «Come in passato, l’attenzione di Berlusconi è concentrata su se stesso e non sull’Italia. La legge va ben al di là delle protezioni concesse negli altri paesi».
In nessun altro paese civile il presidente del consiglio ha l’immunità per delinquere. Ma forse l’Italia con Berlusconi sta uscendo fuori dal novero dei paesi civili. I succubi e megafoni di Berlusconi giurano e spergiurano che in tanti altri paesi vi è l’immunità per i presidenti del consiglio. Mentono spudoratamente, sapendo di mentire. Ma non se ne vergognano. Per loro non è vero quello che è vero, ma è vero quello che Berlusconi vuole che lo sia. La verità viene creata ed inventata dal nulla.
Ma consoliamoci con quello che Filippo Ceccarelli scriveva su la Repubblica del 23 luglio: «Nessun lodo ha mai protetto i sovrani dalla caduta quando i tempi del potere si esauriscono; e i fedeli di oggi sono destinati a diventare i mercenari e magari anche i traditori del domani». Speriamo che quel tempo arrivi presto.
Il direttore de l’Unità Antonio Padellaro, senza tanti peli sulla lingua, scrive al presidente della Repubblica dicendo che tantissimi italiani nutrono un fortissimo disagio perché lui ha convalidato la norma sull’immunità delle quattro più alte cariche dello Stato, per consentire a uno solo, Berlusconi, di non essere più sottoposto ai dettami della giustizia.
Di Pietro annuncia una raccolta di firme per far indire un referendum che abroghi questa legge vergogna e proclama: «È immorale che quattro persone possano commettere ogni tipo di crimine e non possano essere processate».
Io sottoscriverò per questo referendum, pur rimanendo scettico sull’esito finale. Gli italiani ormai si son venduta l’anima ed hanno persa la coscienza.
Viviamo in tempi bui.
18 luglio 2008
Altezza di Brunetta: fannullone sarà lui
Le idee di Brunetta sono grandi quanto è alto lui.
Ho fatto una ricerca in internet per cercare di sapere quanto è alto Brunetta. Non ci ho cavato un ragno dal buco. Ma pare che non debba superare il metro e trenta (m. 1,30). Solo qualche socio del Popolo in libertà gli accredita un metro e cinquanta. Io sono certamente più alto di lui.
Ho cercato di sapere quant’è l’altezza media degli italiani. Anche qui senza successo. Ma io credo di essere nella media.
Brunetta nella sua lotta donchisciottesca contro quelli che chiama fannulloni e furbacchioni sta scoprendo l’acqua calda. Tutte le norme che lui dice di voler far applicare esistevano già prima di lui. La sua trovata propagandistica è buona solamente per gli allocchi di italiani che credono ancora in babbo Natale (Berlusconi). Sono tanti (gli allocchi) e sono contenti di essere presi per fessi.
Per quanto mi riguarda e per gli italiani che ancora ragionano con la propria testa Brunetta potrebbe aver una qualche credibilità solo se cominciasse a ridurre gli stipendi ai deputati e senatori assenteisti che vengono pagati per non fare niente. Sapete chi è il più assenteista di tutti? Un tal Berlusconi Silvio, che alla Camera dei deputati ha accumulato il 98,5% delle assenza; presente solo 70 volte contro 4.623 assenze. Berlusconi comanda da solo e non vota, a votare e a schiacciare i bottoni ci manda i suoi pecoroni.
Al Senato la palma delle assenze spetta invece ad un certo Dell’utri Marcello, anche lui di Forza Italia, con il 41,1%. (Fonte Sole 24Ore)
Fra i lavoratori la percentuale più alta di assenza per malattia è solo del 15,8% e riguarda, guarda caso, i lavoratori della Presidenza del Consiglio. (Fonte la Repubblica)
Brunetta dice che con le sue misure minacciate ha già ottenuti buoni risultati: il numero delle assenze sarebbe diminuito del 20%. Ma non ci dice se per caso i lavoratori anziché fare due assenze di un giorno ciascuna non ne facciano una sola di dieci giorni consecutivi. I medici, rischiare per rischiare, anziché un giorno solo di malattia ne danno minimo tre o per stare più sicuri sette.
Questi interventi sono millantati come forieri di grandi risparmi per le casse dello Stato. Il segretario nazionale della Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale dice invece: «E’ uno spreco. Prevedere il controllo anche per un solo giorno di malattia aumenterà il lavoro dei medici fiscali e il loro costo».
Un altro dubbio che mi viene riguarda la capacità che hanno i medici fiscali nel valutare l’esistenza e la gravità della malattia. Se un medico di famiglia, convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, dichiara che un suo assistito ha bisogno di tre giorni di riposo perché colpito da diarrea fulminante, il medico fiscale che deve fare? Deve controllare la qualità delle feci nel cesso? Io ritengo che i medici fiscali non servano a niente. Nella totalità dei casi confermano il periodo di malattia. Se invece i medici fiscali servono solamente per controllare se i malati stanno in casa, allora mandiamo i carabinieri. Anche perché le nuove fasce orarie di reperibilità in casa dei malati (8,00 – 13,00; 14,00 – 20,00), volute da Brunetta, sono da arresti domiciliari. Anche se poi alcune malattie consiglierebbero, anzi impongono, di stare fuori in giro o al mare.
Chi controlla poi l’orario di servizio dei dirigenti? La mia dirigente arriva sul posto di lavoro non prima delle ore 11,00; il normale orario di lavoro decorre invece dalle 7,45 alle 13,45.
I sindacati (nei quali io ancora credo) sono molto scettici sulle misure Brunetta e chiedono piuttosto risorse per il rinnovo dei contratti. Quelle misure colpiranno le retribuzioni in modo pesante ed iniquo (riduzione del 25-30% sullo stipendio giornaliero), soprattutto tra le forze di polizia che hanno una struttura retributiva con elevate variabilità accessorie.
Siamo alla solita carognata dei forti contro i deboli. Gli evasori fiscali, specialmente grandi, vengono premiati con condoni più o meno tombali. I poveri e deboli lavoratori dipendenti vengono mazziati. E poi, Brunetta non fa differenza fra lavoratori onesti e lavoratori lavativi, fra malati veri e malati immaginari. Vengono tutti fregati e puniti indistintamente.
Pecoroni del Popolo in libertà, uscite dal gregge. Ribellatevi.
Ho fatto una ricerca in internet per cercare di sapere quanto è alto Brunetta. Non ci ho cavato un ragno dal buco. Ma pare che non debba superare il metro e trenta (m. 1,30). Solo qualche socio del Popolo in libertà gli accredita un metro e cinquanta. Io sono certamente più alto di lui.
Ho cercato di sapere quant’è l’altezza media degli italiani. Anche qui senza successo. Ma io credo di essere nella media.
Brunetta nella sua lotta donchisciottesca contro quelli che chiama fannulloni e furbacchioni sta scoprendo l’acqua calda. Tutte le norme che lui dice di voler far applicare esistevano già prima di lui. La sua trovata propagandistica è buona solamente per gli allocchi di italiani che credono ancora in babbo Natale (Berlusconi). Sono tanti (gli allocchi) e sono contenti di essere presi per fessi.
Per quanto mi riguarda e per gli italiani che ancora ragionano con la propria testa Brunetta potrebbe aver una qualche credibilità solo se cominciasse a ridurre gli stipendi ai deputati e senatori assenteisti che vengono pagati per non fare niente. Sapete chi è il più assenteista di tutti? Un tal Berlusconi Silvio, che alla Camera dei deputati ha accumulato il 98,5% delle assenza; presente solo 70 volte contro 4.623 assenze. Berlusconi comanda da solo e non vota, a votare e a schiacciare i bottoni ci manda i suoi pecoroni.
Al Senato la palma delle assenze spetta invece ad un certo Dell’utri Marcello, anche lui di Forza Italia, con il 41,1%. (Fonte Sole 24Ore)
Fra i lavoratori la percentuale più alta di assenza per malattia è solo del 15,8% e riguarda, guarda caso, i lavoratori della Presidenza del Consiglio. (Fonte la Repubblica)
Brunetta dice che con le sue misure minacciate ha già ottenuti buoni risultati: il numero delle assenze sarebbe diminuito del 20%. Ma non ci dice se per caso i lavoratori anziché fare due assenze di un giorno ciascuna non ne facciano una sola di dieci giorni consecutivi. I medici, rischiare per rischiare, anziché un giorno solo di malattia ne danno minimo tre o per stare più sicuri sette.
Questi interventi sono millantati come forieri di grandi risparmi per le casse dello Stato. Il segretario nazionale della Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale dice invece: «E’ uno spreco. Prevedere il controllo anche per un solo giorno di malattia aumenterà il lavoro dei medici fiscali e il loro costo».
Un altro dubbio che mi viene riguarda la capacità che hanno i medici fiscali nel valutare l’esistenza e la gravità della malattia. Se un medico di famiglia, convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale, dichiara che un suo assistito ha bisogno di tre giorni di riposo perché colpito da diarrea fulminante, il medico fiscale che deve fare? Deve controllare la qualità delle feci nel cesso? Io ritengo che i medici fiscali non servano a niente. Nella totalità dei casi confermano il periodo di malattia. Se invece i medici fiscali servono solamente per controllare se i malati stanno in casa, allora mandiamo i carabinieri. Anche perché le nuove fasce orarie di reperibilità in casa dei malati (8,00 – 13,00; 14,00 – 20,00), volute da Brunetta, sono da arresti domiciliari. Anche se poi alcune malattie consiglierebbero, anzi impongono, di stare fuori in giro o al mare.
Chi controlla poi l’orario di servizio dei dirigenti? La mia dirigente arriva sul posto di lavoro non prima delle ore 11,00; il normale orario di lavoro decorre invece dalle 7,45 alle 13,45.
I sindacati (nei quali io ancora credo) sono molto scettici sulle misure Brunetta e chiedono piuttosto risorse per il rinnovo dei contratti. Quelle misure colpiranno le retribuzioni in modo pesante ed iniquo (riduzione del 25-30% sullo stipendio giornaliero), soprattutto tra le forze di polizia che hanno una struttura retributiva con elevate variabilità accessorie.
Siamo alla solita carognata dei forti contro i deboli. Gli evasori fiscali, specialmente grandi, vengono premiati con condoni più o meno tombali. I poveri e deboli lavoratori dipendenti vengono mazziati. E poi, Brunetta non fa differenza fra lavoratori onesti e lavoratori lavativi, fra malati veri e malati immaginari. Vengono tutti fregati e puniti indistintamente.
Pecoroni del Popolo in libertà, uscite dal gregge. Ribellatevi.
13 luglio 2008
La repubblica del cazzo
Prima del governo Berlusconi IV la repubblica del cazzo poteva essere considerata sinonimo della repubblica delle banane. I termini cazzo e banane venivano usati in senso figurato - ci suggerisce Wikipedia - per definire governi dove un leader forte concede vantaggi ad amici e sostenitori senza grande considerazione delle leggi e mettendo alla porta coloro i quali non li hanno votati. I termini venivano anche usati in toni satirici per identificare la Repubblica Italiana, a causa dell'incapacità del governo e delle istituzioni pubbliche nel risolvere i problemi dei cittadini.
Oggi però, sentite le intercettazioni telefoniche di Berlusconi IV e soci, il termine cazzo, nell’allocuzione repubblica del cazzo, è da intendersi in senso letterale come membro virile, pene. Titolo di merito degli e delle aspiranti per accedere a carriere e posti di comando è l’essersi prodigati direttamente o indirettamente, a favore dei detentori del potere, a farlo (il cazzo letterale) entrare in funzione.
In questo tipo di repubblica è normale, quando si vede una bella gnocca condurre un programma televisivo o fare il ministro, scoprirsi a chiedere: «Chissà a chi gliel’ha data per trovarsi in quel posto?».
Il trapasso dal senso figurato al senso letterale cominciava ad annunciarsi quando il Bossi preinfarto proclamava di averlo duro, dando vita alla teoria politica leghista del celodurismo.
La repubblica del cazzo letterale è quella che giustifica e consente alla comica Sabina Guzzanti di scrivere sulle pagine del Corriere della Sera: « Pari opportunità e Carfagna sono due concetti incompatibili come Previti e giustizia». A scanso di equivoci dichiaro subito di essere d’accordo con la Guzzanti.
Se non ci trovassimo nella repubblica del cazzo, in senso figurato e/o letterale, alla stessa Guzzanti non le sarebbe stata data occasione di dichiarare che è falso che non si possa criticare il presidente della Repubblica; si può e ci sono buone ragioni per farlo richiamando il parere dei cento costituzionalisti sul Lodo Alfano. Parimenti la Guzzanti mai avrebbe affermato che è falso che non si possa criticare e attaccare il Papa; si può e ci sono buone ragioni per farlo; non regge l’alibi che è super partes. «Super partes - ha scritto la Guzzanti al Corriere - non è uno che si schiera con tutte le sue forze su ogni tema, dalla scuola ai candidati alle elezioni, alla moda e alla cucina, con interventi spesso molto al di sotto delle parti, cosa su cui anche la Littizzetto, esimia collega, ha efficacemente ironizzato».
Sintomo che siamo in una repubblica del cazzo è il fatto che ci troviamo d’accordo con Di Pietro nel dichiarare che stiamo con la piazza e non con il potere, stiamo con Davide contro Golia. Siamo con le piazze perché nelle piazze c’è la politica vera, mentre nelle stanze del potere c’è la politica dello scandalo, la politica del cazzo.
Chiudo questo post dubitando fortemente che Vittorio Zambardino lo possa citare nel suo Netmonitor di la Repubblica.it.
Oggi però, sentite le intercettazioni telefoniche di Berlusconi IV e soci, il termine cazzo, nell’allocuzione repubblica del cazzo, è da intendersi in senso letterale come membro virile, pene. Titolo di merito degli e delle aspiranti per accedere a carriere e posti di comando è l’essersi prodigati direttamente o indirettamente, a favore dei detentori del potere, a farlo (il cazzo letterale) entrare in funzione.
In questo tipo di repubblica è normale, quando si vede una bella gnocca condurre un programma televisivo o fare il ministro, scoprirsi a chiedere: «Chissà a chi gliel’ha data per trovarsi in quel posto?».
Il trapasso dal senso figurato al senso letterale cominciava ad annunciarsi quando il Bossi preinfarto proclamava di averlo duro, dando vita alla teoria politica leghista del celodurismo.
La repubblica del cazzo letterale è quella che giustifica e consente alla comica Sabina Guzzanti di scrivere sulle pagine del Corriere della Sera: « Pari opportunità e Carfagna sono due concetti incompatibili come Previti e giustizia». A scanso di equivoci dichiaro subito di essere d’accordo con la Guzzanti.
Se non ci trovassimo nella repubblica del cazzo, in senso figurato e/o letterale, alla stessa Guzzanti non le sarebbe stata data occasione di dichiarare che è falso che non si possa criticare il presidente della Repubblica; si può e ci sono buone ragioni per farlo richiamando il parere dei cento costituzionalisti sul Lodo Alfano. Parimenti la Guzzanti mai avrebbe affermato che è falso che non si possa criticare e attaccare il Papa; si può e ci sono buone ragioni per farlo; non regge l’alibi che è super partes. «Super partes - ha scritto la Guzzanti al Corriere - non è uno che si schiera con tutte le sue forze su ogni tema, dalla scuola ai candidati alle elezioni, alla moda e alla cucina, con interventi spesso molto al di sotto delle parti, cosa su cui anche la Littizzetto, esimia collega, ha efficacemente ironizzato».
Sintomo che siamo in una repubblica del cazzo è il fatto che ci troviamo d’accordo con Di Pietro nel dichiarare che stiamo con la piazza e non con il potere, stiamo con Davide contro Golia. Siamo con le piazze perché nelle piazze c’è la politica vera, mentre nelle stanze del potere c’è la politica dello scandalo, la politica del cazzo.
Chiudo questo post dubitando fortemente che Vittorio Zambardino lo possa citare nel suo Netmonitor di la Repubblica.it.
11 luglio 2008
Stato società e briganti nel Risorgimento italiano, di Ottavio Rossani
Grande merito del libro di Rossani è l’essere riuscito a fare il punto degli studi più recenti sul fenomeno del brigantaggio meridionale postunitario, che dell’epoca risorgimentale mettono in evidenza anche le ragioni dei perdenti.
Il termine brigantaggio viene ormai assumendo una connotazione positiva. Continuano a squarciarsi sempre più i veli stesi dagli storici organici al potere ed al regime dei Savoia, tendenti a coprire ed a falsare i tragici avvenimenti degli anni immediatamente successivi all’invasione del Sud da parte dei piemontesi.
Erano possibili molti modi per fare l’Italia. Cavour e i suoi successori scelsero la strada della sospensione delle garanzie costituzionali per larga parte del territorio italiano e della repressione militare del dissenso.
L’atteggiamento repressivo contribuì ad inasprire i rapporti, a provocare la reazione di chi si sentiva ingiustamente perseguitato, andando ad ingrossare le bande dei cosiddetti briganti.
E’ ben lontana da noi l’ipotesi - scrive il Rossani - di rimettere in discussione l’unità del Paese e nemmeno intendiamo alimentare patetiche nostalgie borboniche o asburgiche o altro, come fanno alcuni polemisti. Si tratta invece di prendere atto di ciò che avvenne veramente e di rispettare coloro che si opposero non al processo di unificazione, ma ai soprusi e agli eccessi di militari e funzionari che ignoravano tutto del Sud ma si calavano nel Sud con il compito di “civilizzatori”, portando nei fatti arroganza, ignoranza, prepotenza e corruzione.
Il brigantaggio fu movimento di massa non organizzato che si oppose all’occupazione piemontese, fu lotta armata del popolo napoletano contro il Savoia invasore per il ritorno di Francesco II. Il brigantaggio fu un fatto politico e sociale, e non una semplice questione criminale come si volle far credere.
Quando le ultime roccaforti in cui si erano asserragliati i soldati borbonici, Gaeta, Messina e Civitella del Tronto, si arresero dopo lunga resistenza, le bande dei briganti proliferarono e la resistenza armata diventò più forte. Ufficiali legittimisti, provenienti da fuori Italia, tentarono un’organizzazione unitaria delle bande, con l’obiettivo di far sollevare tutto il Sud. La primavera 1861 fu il momento di maggiore incandescenza della rivolta.
Ma il “Comitato borbonico” che agiva da Roma era incapace di pianificare le azioni necessarie per sostenere quella guerriglia e farla diventare insurrezione popolare organizzata.
La repressione ad opera dell’esercito piemontese fu spietata. Su “La Civiltà Cattolica” dei Gesuiti furono pubblicati una serie di interventi in cui vennero enumerate le azioni di aggressione, inciviltà, rappresaglia, immotivata ferocia, perpetrate dall’esercito piemontese.
L’arresto e la fucilazione di Borjés e di Tristany posero praticamente fine alla tensione politica, anche se le bande di briganti continuarono ancora a lungo a fare imboscate e ad aggredire le truppe dei militari e delle guardie nazionali.
Quasi tutti i capibanda furono arrestati o fucilati.
Lo scioglimento del Governo in esilio, ad opera di Francesco II nel 1867, decretò la definitiva fine del Regno borbonico. Ma per il Sud la storia e la ribellione continuarono con la grande emorragia migratoria.
La questione del brigantaggio continua a rimanere uno dei nodi irrisolti della storia italiana. La repressione del brigantaggio fu la continuazione logica della campagna di occupazione militare e fu affidata all’esercito piemontese, con l’impiego massiccio di bersaglieri, carabinieri ed altri corpi militari; all’esercito si affiancarono anche i componenti di formazioni locali chiamate “Guardia nazionale”.
Il brigantaggio mise in crisi il neonato Stato unitario e per poco non riuscì a spezzarlo.
La carneficina degli “italiani” del Sud, ad opera dei piemontesi, fu immane. Risulta che - scrive Rossani - tra il 1861 e il 1872 ci furono 154.850 caduti in combattimento, 111.520 fucilati o morti in carcere, con un totale di perdite quindi tra briganti e complici di 266.370. Le perdite piemontesi furono invece di solo 23.013 unità.
Altri italiani del Sud furono internati nei “lager dei Savoia”. In totale circa 58.000 uomini, fatti prigionieri, furono deportati al Nord. Il più famigerato di questi campi di concentramento fu Fenestrelle, una vecchia fortezza nella Val Chisone a 2.893 metri di altitudine, in provincia di Torino. Da quella fortezza nessuno riuscì mai ad evadere. I morti venivano gettati, per motivi igienici, in un’enorme vasca di calce viva.
Libro assai utile sia per chi inizia ad interessarsi di brigantaggio che per approfondimenti.
Ottavio Rossani, Stato società e briganti nel Risorgimento italiano, Pianetalibro Editori, Possidente (PZ), 2003, pp. 174
Il termine brigantaggio viene ormai assumendo una connotazione positiva. Continuano a squarciarsi sempre più i veli stesi dagli storici organici al potere ed al regime dei Savoia, tendenti a coprire ed a falsare i tragici avvenimenti degli anni immediatamente successivi all’invasione del Sud da parte dei piemontesi.
Erano possibili molti modi per fare l’Italia. Cavour e i suoi successori scelsero la strada della sospensione delle garanzie costituzionali per larga parte del territorio italiano e della repressione militare del dissenso.
L’atteggiamento repressivo contribuì ad inasprire i rapporti, a provocare la reazione di chi si sentiva ingiustamente perseguitato, andando ad ingrossare le bande dei cosiddetti briganti.
E’ ben lontana da noi l’ipotesi - scrive il Rossani - di rimettere in discussione l’unità del Paese e nemmeno intendiamo alimentare patetiche nostalgie borboniche o asburgiche o altro, come fanno alcuni polemisti. Si tratta invece di prendere atto di ciò che avvenne veramente e di rispettare coloro che si opposero non al processo di unificazione, ma ai soprusi e agli eccessi di militari e funzionari che ignoravano tutto del Sud ma si calavano nel Sud con il compito di “civilizzatori”, portando nei fatti arroganza, ignoranza, prepotenza e corruzione.
Il brigantaggio fu movimento di massa non organizzato che si oppose all’occupazione piemontese, fu lotta armata del popolo napoletano contro il Savoia invasore per il ritorno di Francesco II. Il brigantaggio fu un fatto politico e sociale, e non una semplice questione criminale come si volle far credere.
Quando le ultime roccaforti in cui si erano asserragliati i soldati borbonici, Gaeta, Messina e Civitella del Tronto, si arresero dopo lunga resistenza, le bande dei briganti proliferarono e la resistenza armata diventò più forte. Ufficiali legittimisti, provenienti da fuori Italia, tentarono un’organizzazione unitaria delle bande, con l’obiettivo di far sollevare tutto il Sud. La primavera 1861 fu il momento di maggiore incandescenza della rivolta.
Ma il “Comitato borbonico” che agiva da Roma era incapace di pianificare le azioni necessarie per sostenere quella guerriglia e farla diventare insurrezione popolare organizzata.
La repressione ad opera dell’esercito piemontese fu spietata. Su “La Civiltà Cattolica” dei Gesuiti furono pubblicati una serie di interventi in cui vennero enumerate le azioni di aggressione, inciviltà, rappresaglia, immotivata ferocia, perpetrate dall’esercito piemontese.
L’arresto e la fucilazione di Borjés e di Tristany posero praticamente fine alla tensione politica, anche se le bande di briganti continuarono ancora a lungo a fare imboscate e ad aggredire le truppe dei militari e delle guardie nazionali.
Quasi tutti i capibanda furono arrestati o fucilati.
Lo scioglimento del Governo in esilio, ad opera di Francesco II nel 1867, decretò la definitiva fine del Regno borbonico. Ma per il Sud la storia e la ribellione continuarono con la grande emorragia migratoria.
La questione del brigantaggio continua a rimanere uno dei nodi irrisolti della storia italiana. La repressione del brigantaggio fu la continuazione logica della campagna di occupazione militare e fu affidata all’esercito piemontese, con l’impiego massiccio di bersaglieri, carabinieri ed altri corpi militari; all’esercito si affiancarono anche i componenti di formazioni locali chiamate “Guardia nazionale”.
Il brigantaggio mise in crisi il neonato Stato unitario e per poco non riuscì a spezzarlo.
La carneficina degli “italiani” del Sud, ad opera dei piemontesi, fu immane. Risulta che - scrive Rossani - tra il 1861 e il 1872 ci furono 154.850 caduti in combattimento, 111.520 fucilati o morti in carcere, con un totale di perdite quindi tra briganti e complici di 266.370. Le perdite piemontesi furono invece di solo 23.013 unità.
Altri italiani del Sud furono internati nei “lager dei Savoia”. In totale circa 58.000 uomini, fatti prigionieri, furono deportati al Nord. Il più famigerato di questi campi di concentramento fu Fenestrelle, una vecchia fortezza nella Val Chisone a 2.893 metri di altitudine, in provincia di Torino. Da quella fortezza nessuno riuscì mai ad evadere. I morti venivano gettati, per motivi igienici, in un’enorme vasca di calce viva.
Libro assai utile sia per chi inizia ad interessarsi di brigantaggio che per approfondimenti.
Ottavio Rossani, Stato società e briganti nel Risorgimento italiano, Pianetalibro Editori, Possidente (PZ), 2003, pp. 174
5 luglio 2008
Bocchini di Stato
Solo il dubbio che Mara Carfagna sia diventata ministro perché gliel’ha fatta vedere a Berlusconi dovrebbe giustificare la pubblicazione di tutte le intercettazioni su Berlusconi. I cittadini italiani devono sapere da chi sono governati e quali sono i meriti che vengono valutati. E’ questo il senso di quanto affermato dal dipietrista Massimo Donati: «Se Bill Clinton avesse fatto Monica Lewinsky ministro del suo governo, la vicenda sarebbe diventata di rilevanza politica oppure no?».
Vi ricordate quando nel gennaio del 2007 la moglie di Berlusconi Veronica Lario inviò una lettera aperta a la Repubblica invocando le scuse di suo marito per alcuni apprezzamenti rivolti a Mara Carfagna ed a Ayda Yespica? [nella foto].
«Se non fossi già sposato, la sposerei subito», aveva detto il Berlusca alla Carfagna. E ad Ayda Yespica: «Con te andrei ovunque». Non so dove sia andata a finire la Yespica, la Carfagna è diventata ministro. Se la carica è frutto di uno scambio, certamente alla Mara gli è andata proprio bene.
E gli italiani che dicono? Per il ministro Rotondi gli italiani apprezzano. Berlusconi la pensa, parla e si comporta come loro. Per la gran massa degli italiani Berlusconi è grande anche per questo. Tutti cornuti, felici e contenti. Ha ragione Curzio Maltese quando afferma che quello che interessa o non interessa agli italiani, da molti anni, lo decide direttamente Berlusconi, da dominus assoluto dell’informazione.
I giudici sono politizzati, militanti e delinquenti. I boss mafiosi, vedi Mangano, diventano eroi. Lo decide Berlusconi.
La verità la crea Berlusconi. Come sull’immunità per le alte cariche dello Stato. Berlusconi ed i suoi pappagalli ammaestrati ripetono fino alla noia, per convincere gli allocchi di italiani, che in tutti gli Stati democratici esiste questa immunità. La vera verità è totalmente diversa. Lo hanno voluto ricordare in un appello cento costituzionalisti italiani. L'immunità temporanea per reati comuni è prevista solo nelle Costituzioni greca, portoghese, israeliana e francese con riferimento però al solo Presidente della Repubblica, mentre analoga immunità non è prevista per il Presidente del Consiglio e per i Ministri in alcun ordinamento di democrazia parlamentare analogo al nostro, tanto meno nell'ordinamento spagnolo più volte evocato, ma sempre inesattamente.
Ma non serve a niente quello che dicono gli studiosi della Costituzione. La verità è quella che si inventa Berlusconi.
Sessantaquattromila italiani, compreso me, hanno firmato l’appello in difesa della Costituzione. Ma non contiamo e non siamo nulla rispetto alla grande massa dei rincoglioniti da Berlusconi.
Vi ricordate quando nel gennaio del 2007 la moglie di Berlusconi Veronica Lario inviò una lettera aperta a la Repubblica invocando le scuse di suo marito per alcuni apprezzamenti rivolti a Mara Carfagna ed a Ayda Yespica? [nella foto].
«Se non fossi già sposato, la sposerei subito», aveva detto il Berlusca alla Carfagna. E ad Ayda Yespica: «Con te andrei ovunque». Non so dove sia andata a finire la Yespica, la Carfagna è diventata ministro. Se la carica è frutto di uno scambio, certamente alla Mara gli è andata proprio bene.
E gli italiani che dicono? Per il ministro Rotondi gli italiani apprezzano. Berlusconi la pensa, parla e si comporta come loro. Per la gran massa degli italiani Berlusconi è grande anche per questo. Tutti cornuti, felici e contenti. Ha ragione Curzio Maltese quando afferma che quello che interessa o non interessa agli italiani, da molti anni, lo decide direttamente Berlusconi, da dominus assoluto dell’informazione.
I giudici sono politizzati, militanti e delinquenti. I boss mafiosi, vedi Mangano, diventano eroi. Lo decide Berlusconi.
La verità la crea Berlusconi. Come sull’immunità per le alte cariche dello Stato. Berlusconi ed i suoi pappagalli ammaestrati ripetono fino alla noia, per convincere gli allocchi di italiani, che in tutti gli Stati democratici esiste questa immunità. La vera verità è totalmente diversa. Lo hanno voluto ricordare in un appello cento costituzionalisti italiani. L'immunità temporanea per reati comuni è prevista solo nelle Costituzioni greca, portoghese, israeliana e francese con riferimento però al solo Presidente della Repubblica, mentre analoga immunità non è prevista per il Presidente del Consiglio e per i Ministri in alcun ordinamento di democrazia parlamentare analogo al nostro, tanto meno nell'ordinamento spagnolo più volte evocato, ma sempre inesattamente.
Ma non serve a niente quello che dicono gli studiosi della Costituzione. La verità è quella che si inventa Berlusconi.
Sessantaquattromila italiani, compreso me, hanno firmato l’appello in difesa della Costituzione. Ma non contiamo e non siamo nulla rispetto alla grande massa dei rincoglioniti da Berlusconi.
2 luglio 2008
La Mussolini contro i rom: prendiamole le impronte
Alla prima prova d’esame i ministri "cattolici" del Governo del Cavaliere escono bocciati, senza appello. L’esame gli è stato fatto da Famiglia Cristiana n. 27, in edicola in questa settimana. Il settimanale cattolico dei Padri Paolini, che ha tre milioni e mezzo di lettori, è andato giù pesante contro il clan Berlusconi. E’ indecente la proposta razzista di Maroni di prendere le impronte digitali ai bambini rom.
Io che nei miei teneri anni sono stato formato in ambienti cattolici, dai quali però ora sono lontanissimo, plaudo incondizionatamente alla sonora bocciatura. Ma mi chiedo se servirà a qualcosa. Berlusconi ha un filo diretto con papa Ratzinger. Vi ricordate del caramelloso e plateale baciamani? Vi ricordate la immediata benevola risposta di Ratzinger al devoto Berlusca, che chiedeva di poter fare la comunione nonostante fosse divorziato?
Chi sono i cattolici ai quali si rivolge Famiglia Cristiana? Quelli che votano i partiti antiberlusconiani o quelli che venerano l’unto Berlusconi? Non so quanto questi ultimi si lascino impressionare dagli anatemi paolini.
E però ai devoti berlusconiani non è piaciuta per niente la scomunica in primo piano ed hanno reagito rabbiosamente. Il saltafossi Carlo Giovanardi, dopo aver respinto «con sdegno la delirante accusa di essere parte di un governo più o meno nazista», si chiede: «Questo settimanale che cos’ha ancora di cristiano?». La carneade ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini delira: «Da cattolica sento il dovere morale di occuparmi dei bambini rom proprio prendendo loro le impronte digitali».
Ma la più ineffabile è stata la nipote del duce Alessandra Mussolini [nella foto in versione estiva]. Di lei il pezzo incriminato di Famiglia Cristiana aveva scritto: «Non stupisce il silenzio della nuova presidente della Commissione per l’infanzia, Alessandra Mussolini, perché le schedature etniche e religiose fanno parte del Dna familiare e, finalmente, tornano a essere patrimonio di Governo». Apriti cielo. La camerata sbotta: «Evocare il mio dna dimostra scarso rispetto per le istituzioni». Dove l’istituzione sarebbe lei, in quanto occupa lo strapuntino della presidenza della fantomatica Commissione Infanzia. Vi ricordate i suoi insulti contro Berlusconi perché non gli veniva data una carica purchessia e per essere stata confinata in piccionaia? Una volta accontenta è allegramente prona davanti a Berlusconi.
Ma sentite ancora cosa scrive Famiglia Cristiana: «A sessant’anni dalle leggi razziali, l’Italia non ha ancora fatto i conti con le sue tragiche responsabilità. In particolare, quei conti non li ha fatti il Centrodestra al Governo, se un ministro propone il concetto di razza nell’ordinamento giuridico. Perché di questo si tratta».
E per finire il giornale cattolico conclude seriosamente che se le impronte digitali le si vogliono prendere, si cominci dai nostri figli; ancor meglio, dai parlamentari: i cittadini saprebbero chi lavora e chi marina, e anche chi fa il furbo, votando al posto di un altro. L’affossa "pianisti" sarebbe l’unico "lodo" gradito agli italiani.
Ma forse Famiglia Cristiana s’illude che quelli che votano per Berlusconi abbiano ancora una coscienza.
Io che nei miei teneri anni sono stato formato in ambienti cattolici, dai quali però ora sono lontanissimo, plaudo incondizionatamente alla sonora bocciatura. Ma mi chiedo se servirà a qualcosa. Berlusconi ha un filo diretto con papa Ratzinger. Vi ricordate del caramelloso e plateale baciamani? Vi ricordate la immediata benevola risposta di Ratzinger al devoto Berlusca, che chiedeva di poter fare la comunione nonostante fosse divorziato?
Chi sono i cattolici ai quali si rivolge Famiglia Cristiana? Quelli che votano i partiti antiberlusconiani o quelli che venerano l’unto Berlusconi? Non so quanto questi ultimi si lascino impressionare dagli anatemi paolini.
E però ai devoti berlusconiani non è piaciuta per niente la scomunica in primo piano ed hanno reagito rabbiosamente. Il saltafossi Carlo Giovanardi, dopo aver respinto «con sdegno la delirante accusa di essere parte di un governo più o meno nazista», si chiede: «Questo settimanale che cos’ha ancora di cristiano?». La carneade ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini delira: «Da cattolica sento il dovere morale di occuparmi dei bambini rom proprio prendendo loro le impronte digitali».
Ma la più ineffabile è stata la nipote del duce Alessandra Mussolini [nella foto in versione estiva]. Di lei il pezzo incriminato di Famiglia Cristiana aveva scritto: «Non stupisce il silenzio della nuova presidente della Commissione per l’infanzia, Alessandra Mussolini, perché le schedature etniche e religiose fanno parte del Dna familiare e, finalmente, tornano a essere patrimonio di Governo». Apriti cielo. La camerata sbotta: «Evocare il mio dna dimostra scarso rispetto per le istituzioni». Dove l’istituzione sarebbe lei, in quanto occupa lo strapuntino della presidenza della fantomatica Commissione Infanzia. Vi ricordate i suoi insulti contro Berlusconi perché non gli veniva data una carica purchessia e per essere stata confinata in piccionaia? Una volta accontenta è allegramente prona davanti a Berlusconi.
Ma sentite ancora cosa scrive Famiglia Cristiana: «A sessant’anni dalle leggi razziali, l’Italia non ha ancora fatto i conti con le sue tragiche responsabilità. In particolare, quei conti non li ha fatti il Centrodestra al Governo, se un ministro propone il concetto di razza nell’ordinamento giuridico. Perché di questo si tratta».
E per finire il giornale cattolico conclude seriosamente che se le impronte digitali le si vogliono prendere, si cominci dai nostri figli; ancor meglio, dai parlamentari: i cittadini saprebbero chi lavora e chi marina, e anche chi fa il furbo, votando al posto di un altro. L’affossa "pianisti" sarebbe l’unico "lodo" gradito agli italiani.
Ma forse Famiglia Cristiana s’illude che quelli che votano per Berlusconi abbiano ancora una coscienza.
28 giugno 2008
Per i presidenti pene raddoppiate - Il guaio è la gnocca
Sogno un governo che approvi un disegno di legge che preveda per le quattro cariche più alte dello Stato pene raddoppiate rispetto ai comuni mortali. Loro dovrebbero dare l’esempio nel comportarsi correttamente ed essere condannati più severamente se hanno sgarrato o sgarrano. E questo per sempre, a prescindere dal numero del loro mandato. Esattamente l’opposto da quello che prevedono le facce di bronzo di Berlusconi & Soci.
Gli eletti dal popolo se erano delinquenti, tali restano.
Con l’attuale legge elettorale poi il popolo non sceglie un bel niente, vota i delinquenti che gli vengono proposti; prendere o lasciare. Non solo. I presidenti della repubblica, del senato e della camera non vengono eletti dal popolo, ma dai sodali loro. Solo Berlusconi è il padreterno che si fa eleggere dal popolo, utilizzando le sue televisioni e la moral suasion che ne deriva.
Col lodo Alfano (chi era costui?) l’attuale maggioranza esegue il diktat del gran capo Berlusconi: «Fate una legge che mi salvi dai processi una volta per tutte». Alla faccia di quello che in altri tempi avevano affermato i Fini, i La Russa, i Gasparri, i Bossi contro l’immunità.
Non si può non concordare con Massimo Giannini quando scrive che siamo alla personalizzazione della norma giuridica, alla privatizzazione della cosa pubblica, a tentativi di ripiegare la vita nazionale su una biografia personale.
Quando leggevo l’Unità, diretta da Furio Colombo, mi capitava assai spesso che quello che io scrivevo contro Berlusconi su questo blog la sera prima, l’indomani me lo trovavo su quel giornale. Vi era un comune sentire.
Ora vi è un comune sentire con Di Pietro. Quello che io penso, lui lo dice. «Le intercettazioni che loro vogliono limitare ci fanno vedere un capo del governo che fa un lavoro più da magnaccia, impegnato a piazzare le veline che parlavano troppo», ha detto oggi Di Pietro. In altre parole «Abbiamo un capo del governo che fa il magnaccia».
E Libero, il giornale di Berlusconi, aveva ieri già preventivamente confermato a tutta pagina: «Il guaio è la gnocca».
Gli eletti dal popolo se erano delinquenti, tali restano.
Con l’attuale legge elettorale poi il popolo non sceglie un bel niente, vota i delinquenti che gli vengono proposti; prendere o lasciare. Non solo. I presidenti della repubblica, del senato e della camera non vengono eletti dal popolo, ma dai sodali loro. Solo Berlusconi è il padreterno che si fa eleggere dal popolo, utilizzando le sue televisioni e la moral suasion che ne deriva.
Col lodo Alfano (chi era costui?) l’attuale maggioranza esegue il diktat del gran capo Berlusconi: «Fate una legge che mi salvi dai processi una volta per tutte». Alla faccia di quello che in altri tempi avevano affermato i Fini, i La Russa, i Gasparri, i Bossi contro l’immunità.
Non si può non concordare con Massimo Giannini quando scrive che siamo alla personalizzazione della norma giuridica, alla privatizzazione della cosa pubblica, a tentativi di ripiegare la vita nazionale su una biografia personale.
Quando leggevo l’Unità, diretta da Furio Colombo, mi capitava assai spesso che quello che io scrivevo contro Berlusconi su questo blog la sera prima, l’indomani me lo trovavo su quel giornale. Vi era un comune sentire.
Ora vi è un comune sentire con Di Pietro. Quello che io penso, lui lo dice. «Le intercettazioni che loro vogliono limitare ci fanno vedere un capo del governo che fa un lavoro più da magnaccia, impegnato a piazzare le veline che parlavano troppo», ha detto oggi Di Pietro. In altre parole «Abbiamo un capo del governo che fa il magnaccia».
E Libero, il giornale di Berlusconi, aveva ieri già preventivamente confermato a tutta pagina: «Il guaio è la gnocca».
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