Il
romanzo ha la forma di diario, narrato generalmente in terza persona; inizia
dalla prima data del 20 gennaio 1861 e termina con la cento decima, successiva
al 30 agosto 1868, giorno di morte di Michelina. È composto da quattro parti,
che comprendono le quattro stagioni dell’anno: primavera, estate, autunno,
inverno, che non rispettano però il ciclo stagionale, ma le stagioni della vita
della brigantessa Michelina Di Cesare.
Monica Mazzitelli, leggiamo nella quarta di
copertina, ricostruisce la storia epica e vera di una donna memorabile, in un
romanzo incalzante, modernissimo, a tratti sanguinoso e lurido, femminista e
anarchico, potente e scritto “con le lacrime in tasca”.
Tutti i fatti narrati sono documentati in
Archivi di Stato: Campobasso, Caserta, Frosinone, Isernia, L’Aquila, Napoli,
Roma. Nel romanzo sono riportati in corsivo trascrizioni originali di
telegrammi, verbali, circolari, comunicazioni segrete.
L’autrice fa parlare i protagonisti del romanzo,
briganti e piemontesi, con la voce dialettale dei loro luoghi natali
Non si parla però della sola brigantessa
Michelina, ma del brigantaggio in Terra di Lavoro (oggi provincia di Caserta) e
zone vicine. Le vicende di Francesco Guerra, Domenico Fuoco, Antonio Pace e
altri briganti e brigantesse vengono inserite nel racconto.
Nel romanzo entrano, con i loro nomi e con
le loro facce, amici dell’autrice; come Vincenzo Di Brango e Valentino Romano,
diventato marchese il primo e parroco di Colleberardi il secondo; peccato che
quest’ultimo nel romanzo finisce col collaborare con i piemontesi.
Michelina era nata a Caspoli (frazione di
Mignano Monte Lungo in Provincia di Caserta) il 28 ottobre 1841. Il parroco Don
Gino le aveva insegnato a leggere, e lei leggeva spesso il suo unico libro: il
romanzo “Ivanhoe”, che brucerà poi insieme alla casa nel fuoco appiccato dai
piemontesi; quel libro sarà sostituito da “I Reali di Francia”.
Nel 1861, quando non aveva ancora
vent’anni, sposa Rocco Tanca, che muore però l’anno successivo. Diviene prima
l’amante del capobrigante Francesco Guerra e poi sua moglie. Le dà un figlio e
una figlia e quando verrà uccisa dai piemontesi era incinta da cinque mesi.
Sono presenti nel romanzo scene di amori
omosessuali.
Il brigante Domenico Compagnone tradisce i
suoi amici e racconta ai piemontesi quello che sa su di loro. “Chissà se gli
faranno la foto, prima di fucilarlo. Se c’è il fotografo sì… Magari gliela
fanno da morto. Preferirebbe da vivo, col fucile ancora in mano. Scarico, ma
nella foto non si vedrebbe”.
Mimì, il fratello di Michelina, prima di
scappare e partire per l’America, una cosa doveva farla per lei. Strangola e
finisce con un pugnale Don Gennaro, che tradiva i briganti e faceva la spia
presso i piemontesi.
E alla fine Michelina aveva perso ogni
speranza. Ormai non erano che banditi di strada. Il popolo non c’era più con
loro.
La banda brigantesca alla quale Michelina
apparteneva fu tradita da suo cugino Giovanni. E una notte in cui pioveva a
dirotto e vi era un violentissimo temporale furono uccisi Francesco Guerra,
Michelina Di Cesare, Giacomo Ciccone.
L’ultima nota del romanzo, la 110, è virtualmente
scritta da Michelina Di Cesare in prima persona. “Non cercatemi nelle foto
scattate con il vestito paesano, con il fucile in mano e il revolver, io non
sono quella. Io sono quella della foto morta ammazzata… Nuda per tutti, uomini
e donne, bambini. Sono quella che non voleva una vita sottomessa. Sono quella
che non ha potuto crescere i suoi figli. Non abbiate pietà di me, la mia vita
l’ho scelta e l’ho vissuta, e sapevo pure come sarebbe finita. Andava bene
anche di morire, ma di morire libera”.
E noi non perdiamo la speranza.
Il libro merita di essere letto almeno due
volte, per capirlo bene ed entrare a fondo in quello che narra.
Rocco Biondi
Monica Mazzitelli, Di morire libera, {Santiago}, 2016, pp.
208, € 12