E' tragico dover scegliere tra il posto di lavoro e la salute. Gli
operai dell'Ilva di Taranto, come i briganti del decennio postunitario,
vogliono morire in piedi lavorando e non di fame. Ma uno Stato che si
rispetti, se esistesse, dovrebbe creare le condizioni per far continuare
a lavorare gli operai dell'Ilva senza farli morire di cancro o di fame.
Ma forse chiedere questo a favore del Sud è chiedere troppo. Anche di
questo dovrebbe occuparsi l'auspicata Macroregione Meridionale.
27 luglio 2012
22 luglio 2012
Macroregione e Province
La
tanto strombazzata e contrastata richiesta di soppressione delle
Province, che comunque muove ormai un primo passo con l'accorpamento
delle più piccole, fa riflettere e discutere sulla struttura degli
enti locali.
Al
Sud prende sempre più corpo la proposta della costituzione di una
macroregione che dovrebbe abbracciare l'intero territorio dello
storico ex Regno delle Due Sicilie e comprendere quindi Abruzzo,
Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, più
parte dell'odierno Lazio meridionale ed orientale.
La
nascita di un'unica grande Regione meridionale servirebbe a riparare
i danni che tutto il Sud ha subito dal 1860 ad oggi. Durante i 151
anni dell'Unità d'Italia al Sud è stato tolto quello che aveva
anziché essere dato il dovuto. Le casse delle Banche meridionali
sono state svuotate, con l'emigrazione sono state tolte braccia e
intelligenze, il Sud è diventato consumatore di prodotti del nord
con relativo trasferimento di risorse finanziarie.
La
Macroregione sarebbe una risposta all'abbandono del Sud, operato
della nordica Italia unita. Una regione di circa 20milioni di
abitanti farebbe sentire il suo peso.
E'
scontato che tante sarebbero le resistenze alla nascita di questa
unica macroregione. Scomparendo le attuali esistenti regioni, si
perderebbero poteri, clientele, assessorati, consiglieri, apparati.
Ma tantissimi sarebbero i vantaggi di una gestione unitaria di tutto
il Sud.
Diminuirebbero
drasticamente le spese amministrative e gestionali. Automaticamente i
cittadini usufruirebbero di una considerevole riduzione delle tasse.
Le
attuali Regioni potrebbero diventare le Province di questa
Macroregione. Così da 35 province si passerebbe a 8. E comunque i
servizi fondamentali verrebbero distribuiti su tutto il territorio.
I
Comuni in base alla vicinanza territoriale e alle affinità storiche
e sociali potrebbero scegliere la provincia cui appartenere.
Rocco
Biondi
21 luglio 2012
Biblioteca civica a Brindisi
Lodevole e meritevole è
l'iniziativa della "Gazzetta del Mezzogiorno" di promuovere
la costituzione di una biblioteca civica a Brindisi, che comunque già
vanta la presenza della biblioteca arcivescovile "De Leo" e
della biblioteca provinciale.
I libri sono amici per
sempre, anche quando purtroppo la maggioranza di noi li ignora.
Son convinto però che
sarebbe cosa buona ed auspicabile che nascesse una biblioteca civica
in ogni Comune. Ma dovrebbe essere scontato che si dovrebbe
contemporaneamente lavorare per inculcare in tutti l'amore per i
libri e il desiderio di leggere. Altrimenti le biblioteche sarebbero
destinate a rimanere depositi di carta inutilizzata. Ma i libri li si
ama se si conoscono. E allora bisogna aprire le biblioteche e far
conoscere i libri, a tutti.
Le amministrazioni
pubbliche locali a loro volta dovrebbero destinare risorse
finanziarie, spazi e personale per rendere fruibili le biblioteche.
Altrimenti, come purtroppo avviene, sarebbero risorse sprecate e
locali chiusi aggrediti dalla polvere.
Porto come esempio quello
che succede a Villa Castelli (Brindisi), dove negli anni ho
contribuito a far nascere una biblioteca comunale ed una biblioteca
scolastica. Ambedue hanno avuto brevissima vita e sono ora chiuse. I
libri però vi sono, ma ne viene ignorata la loro esistenza.
Si parla tanto di "rete"
che dovrebbe unire e far funzionare tutte queste biblioteche. Ma
purtroppo quasi sempre sono solo promesse "elettorali", che
vengono totalmente ignorate a elezioni effettuate.
Esistono poi tantissime
biblioteche private, fornitissime e il più delle volte
specializzate, che potrebbero entrare a far parte di questa
fantomatica rete. Io per esempio posseggo una ricca biblioteca
"generale", con una specializzazione in libri sul
brigantaggio politico e sociale, di cui tanto si parla in questi
ultimi tempi.
Ma questi sono discorsi di
pazzi e sognatori.
Rocco Biondi
19 luglio 2012
A Mezzogiorno viene fame, romanzo di Italo Interesse
L'Autore lo puntualizza
subito in testa alla sua nota introduttiva: "A Mezzogiorno viene
fame" non è ispirato da revanscismo borbonico. E poco più
avanti afferma che l'opera, che narra della rivolta dei briganti
ovvero dei cafoni armati, s'inserisce nel risvegliato interesse per
il tema dell'Unità d'Italia. Ma la nota si chiude con l'inquietante
domanda: «E
se i cafoni dell'era globale diventassero briganti?...».
Noi leggendo il romanzo lo
abbiamo spogliato dalle paure dell'autore di sembrare filoborbonico e
antiunitario. Abbiamo percepito il profondo desiderio delle
popolazioni meridionali di ribellarsi ad una invasione subita e ad
una annessione non voluta. Abbiamo letto nelle riga del romanzo lo
svilupparsi di un'altra storia, ignorata dai cantori dell'unità
d'Italia che sarebbe nata nel 1860. La storia di un popolo che se non
stava bene sotto i Borbone, stette peggio sotto i Savoia. «Libertà
e giustizia 'sta pizza. Il pane più caro, la fatica peggio pagata.
Meglio Re Francesco»,
dice Michele (Miché).
La trama narrativa si
sviluppa in sei parti, tre dal lato degli uomini e tre dal lato delle
donne. Gli uomini hanno in comune l'essere di Carovigno, paese del
brindisino, e l'aver partecipato da briganti all'invasione del loro
paese avvenuta il 21 novembre 1862. Per qualche ora Carovigno fu
restituita al governo borbonico in esilio.
Ognuna delle tre donne,
che danno voce ai personaggi femminili, è legata ad uno dei tre
protagonisti maschili.
I sei narrano gli stessi
fatti, ma da angolature e con interpretazioni differenti e personali.
Caratteristica stilistica
del romanzo è l'uso dell'italiano sporcato dall'idioma locale. Il
terzo racconto, quello di Domenico (Mincù) intitolato "La Terra
e la Merica", con l'assenza di punteggiatura, in qualche modo
vorrebbe riecheggiare la scrittura dell'Ulisse di Joyce.
Il titolo proviene dal
brano del romanzo che recita: «il
lavoro è poco e mezzogiorno fa presto ad arrivare e a mezzogiorno
viene fame».
Ma al titolo del libro può essere dato un significato più generale,
nel senso che il Mezzogiorno è affamato di verità storica, di
riscatto, di rivalutazione.
Nei primi anni della
cosiddetta unità d'Italia «potenti,
guardie e galantuomini erano rimasti al comando e i popolani in
cattura, con la differenza che il pane costava di più, la giornata
ai cafoni rendeva meno della miseria di ieri e i signori avevano
alzato la cresta. ...Ma certi che non volevano restare sotto dissero
no, lasciarono la zappa e pigliarono il fucile».
E vissero due anni a testa alta, divenendo briganti.
Italo Interesse non dà un
significato positivo al termine brigante. Loro non erano briganti, ma
patrioti; non erano briganti, ma soldati. Noi riteniamo invece che il
termine brigante equivale a patriota, insorgente, partigiano. I
briganti volevano liberare dall'ingiustizia. Non rubavano, ma
toglievano ai ricchi che stavano coi piemontesi per fare la
rivoluzione. Difendevano la loro terra e la loro famiglia.
Nel romanzo il brigante
buono e il più grande di tutti è «Pasquale
Domenico Romano da Gioia del Colle, detto il Sergente, un capo banda
così potente che pure Crocco, il re dei briganti di Basilicata, gli
portava rispetto».
Con lui niente bravate, dispetti e guapperia, ma guerra, guerra vera,
guerra santa. «Il
Romano era un eroe che dove passava si trascinava dietro come Cristo
giovani da guidare contro l'usurpatore piemontese».
Altri capi briganti, che
comunque riconoscevano il comando supremo del Sergente Romano, si
muovono nel romanzo: Giuseppe Nicola La Veneziana (Figlio del Re),
Giuseppe Valente (Nenna Nenna), Cosimo Mazzeo (Pizzichicchio),
Antonio Locaso
(Caprariello), Francesco Monaco.
Ma la guerra fu persa dai
briganti. E di quella sconfitta ne subiamo ancora le conseguenze.
Rocco Biondi
Italo Interesse, A
mezzogiorno viene fame, Secop
Edizioni, Corato 2011, pp. 318, € 15,00
13 luglio 2012
Unica e grande Regione meridionale
L'annunciata soppressione
delle province di Lecce, Brindisi e Taranto (per unificarle in una)
ridà fiato a chi propone la creazione della Regione Salento, che
dovrebbe abbracciare i territori delle suddette tre province,
staccandosi da Bari e Foggia. Con il loro progetto vogliono
ulteriormente frazionare l'Italia, passando dalle attuali venti a
trenta Regioni. Aumenterebbero così burocrazie, quadri e organici,
con grande e improduttivo dispendio di risorse, alla faccia della
pluriproclamata revisione della spesa pubblica.
Così facendo, nei fatti
il Sud, dividendo anziché unire, vuol continuare a contare sempre
meno. Da centocinquantanni ad oggi il Nord ha ignorato e sfruttato le
Regioni del Sud. Separati noi meridionali abbiamo poca o nessuna
forza. Frazionarci ancora peggiora la situazione.
Per noi una buona e
vincente proposta potrebbe essere la nascita di una sola e grande
Regione meridionale, che dovrebbe accorpare le attuali Regioni del
Mezzogiorno: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria,
Sicilia, più gran parte dell'odierno Lazio meridionale e il Cicolano
(l'area orientale dell'attuale provincia di Rieti), per ricostituire
il territorio del vecchio e storico Regno delle Due Sicilie.
Riaccorpare l'intero territorio del Regno non è sogno nostalgico del
bel tempo che fu. Ma è risposta all'abbandono di tutto il Sud,
operato della nordica Italia unita. Una regione di circa 20milioni di
abitanti (il 35% di tutta l'Italia) farebbe sentire il suo peso.
Pasquale Calvario, di
recente scomparso, meridionalista che è stato consigliere regionale
in Puglia nelle prime tre legislature e che ha contribuito in modo
determinante alla formulazione dello statuto regionale, ha sostenuto
che la Costituente repubblicana ha calato dall'alto l'attuale
frammentazione regionale, che non aveva nessuna radice storica e
sociale sul territorio. Le risorse dello stato e della comunità
europea vennero automaticamente dissipate. Le popolazioni non si
accorsero nemmeno dell'esistenza delle regioni, non ne ebbero alcun
utile, anzi furono costrette a fuggire dalla loro avara terra
emigrando. L'aver calato dall'alto sul Mezzogiorno uno spropositato
numero di Regioni fa sospettare, scrive Calvario, che si sia voluto
applicare il precetto del «divide
et impera».
Per riparare il mal fatto
si pone come problema preliminare ad ogni altro l'esigenza del
riaccorpamento di tutte le Regioni del Sud.
E' scontato che tante
saranno le resistenze alla nascita di questa unica macroregione.
Scomparendo le attuali esistenti regioni, si perderebbero poteri,
clientele, assessorati, consiglieri, apparati. La Sicilia perderebbe
la sua "specialità". Ma tantissimi sarebbero i vantaggi di
una gestione unitaria di tutto il Sud. A cominciare da una risposta
più forte al contropotere criminale.
Una simile macroregione
del Sud potrebbe ancora avere interesse a rimanere nell'Italia unita,
perché cambierebbero i rapporti di forza. Il Sud non sarebbe più il
fanalino di coda dell'economia italiana, ma potrebbe diventarne il
propulsore. Si potrebbe così arrivare ad una vera unità. E questo
non sarebbe da considerarsi una debolezza. Non dimenticando però
che, non ottenendo risultati positivi, a fronte di mali estremi si
potrebbe ricorrere ad estremi rimedi. In linea di principio quindi
non si escludono scissione, indipendenza e autonomia.
Saremmo - scrive Pino
Aprile nel suo “Terroni” - l'ultimo paese dell'Europa unita. Ma,
da soli, avremmo la possibilità di trasformare i nostri ritardi in
occasione di sviluppo. Non dovendo più “far media” con il
reddito del Nord, diverremmo immediatamente il paese europeo ad avere
maggiore diritto agli incentivi economici per lo sviluppo; con un
impagabile vantaggio aggiuntivo: che i soldi dell'Europa per il Sud,
resterebbero al Sud.
Rocco Biondi
8 luglio 2012
Il pensiero meridiano, di Franco Cassano
Ho intrapreso la lettura
de "Il pensiero meridiano" di Franco Cassano nella speranza
di trovare degli elementi di supporto alla costruzione di un
Mezzogiorno d'Italia autonomo e indipendente dal nord. La speranza
non è andata delusa. Consapevole che l'ambito nel quale si muove
Cassano è precipuamente filosofico, ho cercato di applicare i suoi
concetti ad un campo pratico di creazione di una base su cui poter
convergere da parte dei tanti movimenti meridionali che sono nati e
continuano a nascere nel Sud d'Italia.
Tante sono le idee e le
proposte, talvolta contrapposte, che vengono avanzate da questi
movimenti, in genere piccoli e isolati, quasi da disperare di poter
raggiungere l'obiettivo comune di valorizzazione del Mezzogiorno. Le
idee di Cassano potrebbero accomunare e portare su una strada unica o
comunque su strade parallele.
Il libro originario fu
pubblicato nel 1996 e conteneva dei saggi, elaborati nei due anni
precedenti, aventi come tratto comune il tentativo di fondare un
pensiero meridiano. Ad una nuova edizione del 2005 l'autore
aggiungeva una prefazione nella quale venivano esplicitati ed
evidenziati i fili conduttori dell'intera trama teorica del libro.
Il pensiero del
Mezzogiorno, elaborato da Cassano, comprende quattro fondamentali
caratteristiche fra di loro connesse: autonomia, lentezza,
mediterraneo, misura. Sono le dimensioni sulle quali può essere
costruita l'azione per l'auspicata valorizzazione del Sud.
La rivendicazione
dell'autonomia è il passaggio fondamentale per restituire al sud
l'antica dignità di soggetto. Bisogna interrompere la lunga sequenza
in cui il Sud è stato pensato come oggetto da altri. Il sud ha in sé
la sua completezza, non deve essere considerato come un non-ancora
nord. Il sud - scrive Cassano - non costituisce uno stadio imperfetto
e incompiuto dello sviluppo, ma un altro sguardo, che mira a
custodire un'autonomia rispetto al mondo sviluppato. Non bisogna
pensare il sud alla luce della modernità ma al contrario pensare la
modernità alla luce del sud. Bisogna fissare criteri di giudizio
diversi da quelli oggi in vigore, bisogna pensare un'altra classe
dirigente, un'altra valutazione della povertà e della ricchezza.
Il parametro della
lentezza, con tempi e spazi propri, propone un modello culturale non
fondato sulla produzione e sul consumo illimitati. La tutela di
modelli culturali non-produttivistici sarà l'ancora di salvezza
dell'umanità nel futuro. Noi meridionali dobbiamo essere i custodi e
i propulsori di questa diversa concezione dell'economia. E non si
tratta di ritornare al passato, ma di arricchire il futuro.
Il Mediterraneo è il mare
contornato completamente da terre, che bagna le coste meridionali
dell'Europa, quelle occidentali dell'Asia Minore e quelle
settentrionali dell'Africa. Sua caratteristica rilevante è l'essere
confine, interfaccia, mediazione fra i popoli. Esso rappresenta
l'incrocio di terra e mare, l'una contro l'altro e insieme l'una con
l'altro, risolvendo il conflitto del tenere insieme la propria fede e
il rispetto di quella dell'altro. Al centro di questo mare si trova
in posizione strategica l'Italia Meridionale, il vecchio Regno delle
Due Sicilie. Questa ricchezza deve da noi meridionali essere
sfruttata.
Altra caratteristica del
pensiero meridiano è la misura, l'equilibrio che deve sottrarci alla
mitologia del progresso. Bisogna privilegiare i fattori che spingono
verso la coesistenza di diverse posizioni, rifuggendo da ogni tipo di
fondamentalismo sia religioso che economico. Questo parametro di
misura ed equilibrio dovrebbe regolare anche i comportamenti
reciproci fra i vari movimenti ed associazioni meridionali,
privilegiando ciò che unisce a ciò che separa.
Ai principi del pensiero
meridiano, elaborati da Cassano, possono proficuamente ispirarsi le
varie anime del meridionalismo moderno, quelle che approfondiscono
l'aspetto storico, quelle che auspicano l'autonomia del Sud, quelle
che puntano verso l'indipendentismo, quelle che seguono strade
mediane tipo una macroregione del Sud che riaccorpasse tutto il
territorio dell'ex Regno delle Due Sicilie.
Rocco Biondi
Franco Cassano, Il pensiero meridiano, Editori Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 142, € 9,00
Rocco Biondi
Franco Cassano, Il pensiero meridiano, Editori Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 142, € 9,00
2 luglio 2012
Quello che non dissi a Bocca. Per una sola Regione meridionale nella Repubblica Italiana, di Pasquale Calvario
Nei giorni scorsi all'età
di novantuno anni moriva l'avvocato Pasquale Calvario,
liberal-radicale, consigliere regionale in Puglia nelle prime tre
legislature. Meridionalista che auspicava la nascita di una sola e
grande Regione meridionale, che dovrebbe accorpare le attuali sei
Regioni del Mezzogiorno continentale: Abruzzo, Molise, Campania,
Puglia, Basilicata, Calabria.
Confesso che, pur dopo
un'attenta lettura, non ho capito il significato del titolo "Quel
che non dissi a Bocca" e chi sia l'intervistatore cui risponde
Calvario. Faccio anche notare che la scrittura di Calvario è
alquanto complessa con conseguente difficoltà nella lettura, cosa
questa che purtroppo rende poco appetibile il contenuto del libro.
Condivido la proposta per
la costituzione di una macroregione del Sud, cui aggiungerei anche la
Sicilia, gran parte dell'odierno Lazio meridionale e il Cicolano
(l'area orientale dell'attuale provincia di Rieti), per ricostituire
il territorio del vecchio Regno delle Due Sicilie.
Con la piemontesizzazione,
avvenuta nel 1860, si impiantò uno stato che il Sud non sentiva come
"suo"; la politica di potenza del vincitore, imposta
allora, protrae i suoi effetti negativi fino a noi; è stata sepolta
nell'oblio la storia di un'immensa e illustre realtà regionale,
corrispondente ad un grande regno.
La successiva Costituente
repubblicana calò dall'alto l'attuale frammentazione regionale, che
non aveva nessuna radice storica e sociale sul territorio. I politici
del Sud l'accettarono passivamente, nella solo speranza di
assicurarsi un potere più o meno grande. A questo fine le masse
popolari furono usate strumentalmente e senza scrupolo. La disinvolta
frammentazione operata nel territorio, scrive Calvario, ha avuto
un'incidenza solo punitiva sugli abitanti di esso. Alla segmentata
popolazione era preclusa ogni possibilità di impegno operativo a
favore dei nuovi enti.
Le risorse dello stato e
della comunità europea, vale a dire di tutti noi, vennero
automaticamente dissipate. Le popolazioni non si accorsero nemmeno
dell'esistenza delle regioni, non ne ebbero alcun utile, furono
costrette a fuggire dalla loro avara terra emigrando.
A risentirne primariamente
della conquista piemontese fu la scuola del Sud, che non si preoccupò
di far scoprire alle nuove generazioni le proprie radici per trarne
la linfa che avrebbe alimentato il loro porsi nella storia.
Nell'unica grande Regione meridionale, dice Calvario, la scuola
dell'obbligo dovrà impegnarsi a riproporre la storia, non già nella
falsificazione e nei silenzi che una agiografica versione unitaria ha
imposto, oscurando e seppellendo la storia di Napoli.
L'aver calato dall'alto
sul Mezzogiorno uno spropositato numero di Regioni fa sospettare che
si sia voluto applicare il precetto del «divide
et impera».
E' infatti tanto innaturale quello che allora si compì, afferma
Calvario, che non si può desistere dal domandarsi se, per caso, non
si temette di risuscitare la ricostituzione del Regno di Napoli.
Fatto sta che, conclude
Calvario, per riparare il mal fatto si pone come problema preliminare
ad ogni altro l'esigenza del riaccorpamento di tutte le Regioni del
Sud.
E tantissimi sarebbero i
vantaggi. Oggi nel Sud continentale si contano ben sei regioni, che
moltiplicano per sei volte i quadri e gli organici per competenze
uniformi e che generano quindi grande e improduttivo dispendio.
L'accorpamento eliminerebbe la megalomania che si esprime
nell'alimentare ben sei baronie con conseguenti sei burocrazie senza
reali ed indispensabili compiti operativi.
La grande e unica Regione
meridionale dal Calvario è disegnata nell'ambito dell'unità della
Repubblica italiana, non viene coltivato sinora il proposito di una
scissione. «Tuttavia
nessuno si inganni - scrive Calvario - nel tenere, per debolezza,
l'aspirazione del Sud ad una vera unità, cioè a rinfrancarsi delle
delusioni patite. Nessuno dimentichi che la storia ci mette di fronte
all'alternativa che si esprime nel provvedersi di "estremi
rimedi", a fronte di "mali estremi"».
Non si escludono quindi la scissione e l'indipendenza.
Il libro, scritto venti
anni fa, illustra anche le modalità operative attraverso le quali
giungere all'attuazione della macroregione. Principi basilari ne sono
la sovranità popolare e l'etica democratica.
Chiudo questa mia rapida
sintesi sottoscrivendo un'affermazione che Calvario pone nella prima
pagina del suo libro: «I
partiti storici, nessuno escluso, non meritano che si riconfermi loro
il voto».
Della necessità e
dell'urgenza di una macroregione meridionale siamo ormai in tanti a
parlarne. Forse sono maturi i tempi per passare all'azione. Le tante
associazioni e i movimenti che operano nei territori dell'ex Regno
delle Due Sicilie potrebbero impegnarsi in tal senso. Per tutte ne
cito una: la "Confederazione duosiciliana", della quale è
coordinatore Michele Ladisa, che mi ha procurato il libro qui
recensito.
Rocco Biondi
Pasquale
Calvario, Quello che non dissi a Bocca. Per una sola Regione
meridionale nella Repubblica Italiana, Ladisa Editore, Bari 1993,
pp. 132
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