14 settembre 2011

Insorgenti e Briganti tra le Murge e il Salento, del Gruppo Umanesimo della Pietra


L'annuario “Riflessioni-Umanesimo della Pietra” ha pubblicato, nel corso dei suoi trentatré anni di uscita, vari articoli sul brigantaggio in Puglia. Ora, in occasione del settimo centenario della fondazione della città di Martina Franca (luogo di pubblicazione della rivista) e del centocinquantesimo anniversario dell'unità nazionale, il Gruppo Umanesimo della Pietra ha deciso di raccogliere in un unico volume tutti i saggi pubblicati sul tema del brigantaggio nell'annuario “Riflessioni” dal 1978 al 2010. Sono quindici pezzi di vari autori.
La motivazione della scelta è stata esplicitata dal direttore della rivista Domenico Blasi, che nella presentazione scrive che i collaboratori del Gruppo Umanesimo della Pietra hanno ritenuto «che per noi meridionali rivendicare l'orgoglio d'essere italiani e, quindi, la nostra identità culturale poteva risiedere nel proporre e nello stimolare una riflessione collettiva su quella che è un'autentica risorsa della nostra terra: il brigantaggio, fenomeno sociale variamente interpretato dall'imperante revisionismo storico».
Rivivono le vicende di uomini e donne meridionali, uccisi, torturati, imprigionati da una politica “nazionale” che continuava a relegarli ai margini di una società, solo a parole liberale e più giusta. Scrive ancora Blasi: «Quel loro andare solitario lungo i tratturi o per i sentieri dei boschi racconta le pene e le umiliazioni subite dalle misere genti del Sud, poveri braccianti e sfruttati in genere, la cui riabilitazione storica e morale è nel passato che è dentro di noi e che, anche se non l'abbiamo vissuto direttamente, vive nella storia delle nostre città e delle nostre campagne, incisa sulle pietre che conosciamo».
Non sempre e non tutti gli articoli danno però una valutazione benevola dell'operato dei nostri padri briganti. Spesso gli autori si lasciano prendere la mano dal modo in cui vengono presentati i fatti nei documenti che hanno per le mani e spesso acriticamente ripetono valutazioni che appartengono agli estensori dei verbali e non ai briganti interrogati, che di volta in volta vengono definiti truci e osceni, minuta e abietta accozzaglia di terroni, masnadieri, folli, malavitosi, malfattori, criminali, sozzi, manigoldi, malviventi, figuri, delinquenti, e le brigantesse vengono appellate drude. Spesso agli autori sfugge (o dimenticano) quello che uno di loro sottolinea e cioè che, nella verbalizzazione, le dichiarazioni dei briganti, quasi sempre analfabeti che sottoscrivevano con una croce, vengono manipolate ad usum delphini.
E' comunque altamente significativa questa operazione del Gruppo Umanesimo della Pietra e si inserisce a pieno titolo nel processo in atto di rivalutazione del brigantaggio meridionale, che Mario Guagnano, prefatore del numero speciale della rivista e autore di otto degli articoli raccolti, definisce «complessa realtà sociale, finora malcelata nei bui sotterranei della Storia, dai quali oggi emerge prepotente come espressione dell'identità culturale delle genti meridionali», aggiungendo che l'impiego contro i briganti di centoventimila uomini dell'esercito del neonato Stato italiano fu il riconoscimento implicito dell'importanza politica e militare dell'insorgenza postunitaria, in netto contrasto con la propaganda ufficiale, che all'opinione pubblica interna ed estera dipingeva il fenomeno come episodico e delinquenziale.
I fatti di brigantaggio, raccolti e narrati nella miscellanea, riguardano principalmente episodi avvenuti nell'alto Salento e specificatamente a Noci, a Martina Franca, a Gioia del Colle, nelle Murge, nella Terra delle Gravine. Protagonista principale di quasi tutti i saggi raccolti è il brigante ex sergente borbonico Pasquale Domenico Romano. Ma fanno la loro comparsa anche i briganti preunitari Gaetano Meomartino detto Vardarelli e il prete Ciro Annicchiarico; fra i postunitari Carmine Crocco Donatelli, Cosimo Mazzeo Pizzichicchio, Antonio Locaso il Capraro, Vito Rocco Chirichigno Coppolone; fra le brigantesse Arcangela Cotugno.
Tanti sono i fatti che si potrebbero citare, ne ricordo solo alcuni. Francesco Semeraro in un suo articolo, pubblicato sul primo numero della rivista “Riflessioni” nel 1978, riporta un episodio (ricordato da molti, anche oggi, con i toni favolosi della storia dei briganti) avvenuto il 23 settembre 1922 in una masseria di Martina Franca; fu assaltata e saccheggiata la masseria San Paolo di don Ciccillo Basile; i briganti erano una quindicina, tra essi vi era anche una donna travestita da monaca; i briganti vollero che fosse imbandita la tavola e si fecero servire da donna Nina Lenti, moglie del proprietario; prima dell'alba lasciarono la masseria con il bottino di argenteria, gioielli e danaro. Il regime fascista scoprì e represse con durezza i responsabili dell'episodio. Il guardiano della masseria, di trentuno anni, accusato di aver segnalato la via libera ai briganti con la luce di una candela e di aver avvelenato il cane di guardia, morì in carcere, per le bastonate ricevute, ancor prima del processo. Questo episodio documenta che il brigantaggio non finì nel 1870. E' una interessante traccia da approfondire.
Vittorio De Michele presenta e pubblica per la prima volta gli Appunti sul brigantaggio del prete martinese Giuseppe Grassi, morto nel 1953. In sostanza il Grassi concorda con l'azione repressiva contro il brigantaggio messa in atto dal governo sabaudo, ma alla fine dei suoi appunti non può non ammettere quanto fu raccapricciante il metodo dei piemontesi nel fare giustizia dei briganti. Quando venivano uccisi nella guerriglia in mezzo ai boschi, i loro cadaveri venivano legati nudi sul dorso di un asino e portati in paese al ludibrio del popolo, per poi essere buttati in una fossa comune che faceva anche da mondezzaio. Se invece i briganti venivano catturati vivi, dopo un sommario processo che durava pochissimi minuti venivano fucilati in piazza e i cadaveri legati per tre giorni alle colonne della chiesa, per poi essere precipitati nella fossa comune. Era la sventurata sorte dei “murt'accìse”.
Nicola Bauer, un altro autore, osserva amaramente: «Tristi sono i tempi. La voce del diritto e della giustizia tace. I briganti, fatti prigionieri, sono subito fucilati, senza nemmeno un sommario processo».
Questo sonno della ragione degli invasori piemontesi faceva particolari vittime fra le loro stesse file. Un elevato numero di suicidi si registrava nei reparti impegnati nella repressione del brigantaggio, stimato in cinquanta-sessanta all'anno; non tutti riuscivano a reggere i massacri che erano costretti a fare.
Mario Guagnano (che riporta la precedente notizia dei suicidi) documenta una sonora sconfitta subita dall'esercito piemontese a Montecamplo, nei pressi di Castellaneta (Taranto). Il 29 gennaio 1864 i briganti, forti di centosessanta uomini a cavallo, ingaggiarono un combattimento con un battaglione di fanteria, che lasciò sul campo una cinquantina di soldati morti.
Gli altri autori degli articoli della miscellanea sono Pasquale Gentile, Angelo Martellotta, Domenico Greco, Angelo Pais.
L'impressione generale che si riceve, leggendo gli articoli della miscellanea, è che gli autori si muovano altalenando, senza scegliere un campo, tra le tesi dei liberali che vollero e portarono alla cosiddetta unità d'Italia e la difesa tentata dai briganti della loro terra e delle loro vite. La nostra scelta di campo è invece unica e chiara: siamo, senza se e senza ma, dalla parte dei briganti.
Rocco Biondi

Gruppo Umanesimo della Pietra, Insorgenti e Briganti tra le Murge e il Salento, Artebaria Edizioni, Martina Franca 2011, pp. 184

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