Non bisognava essere grandi profeti per prevedere che la nomina di una incompetente a Ministro dell’Istruzione avrebbe arrecato gravi danni alla Scuola italiana. Che ci azzecca una laureata in Giurisprudenza, che credo tra l’altro non abbia mai esercitato, a capo dell'Istruzione, Università e Ricerca? La Gelmini non ha mai insegnato niente. Maestri, professori e ricercatori potrebbero legittimamente prenderla a pernacchie. E’ la sua presenza in quel posto che abbassa il livello culturale della Scuola italiana.
Le uniche cose per le quali verrà ricordata sono l’obbligo per gli alunni di indossare il grembiule (meglio se nero abbinato ad un fèz), il 5 in condotta per i bulli (che verranno quindi automaticamente bocciati, e l’anno successivo prenderanno 3, per finire poi con un braccialetto elettronico), l’insulto di ignoranti ai professori del sud (bisognosi quindi di un corso di formazione accelerato). Non sarebbe più auspicabile e necessario invece un corso di formazione prima di diventare ministri e presidenti dei ministri?
Un deputato calabrese l’ha definita «il ministro più ignorante che abbiamo avuto negli ultimi 60 anni». Mi fido del suo giudizio.
Francesco Merlo su la Repubblica del 25 agosto 2008 ha scritto: «Non esiste una maniera raffinata di mostrare il dito medio, ma Mariastella Gelmini ci ha provato definendo i professori meridionali “dequalificati”, cioè ignoranti». Anche se Merlo ce lo sconsiglia, noi del sud, che lavoriamo nella scuola, il dito medio lo orientiamo contro la ministra, essendo (forse) l’unico linguaggio che da quella parte vien capito.
Io non presto eccessiva attenzione a quanto dice la Chiesa sulla politica e sui politici italiani. Ma quello che stavolta chiede il Servizio Informazione Religiosa (Sir) lo sottoscrivo pienamente: «Smettiamola di gettare fango sulla scuola del Sud o del Nord, sui professori fannulloni o quant’altro. Fa solo male, alla scuola e al Paese». Con buona pace non solo della Gelmini, ma anche di Brunetta.
Un professore del sud, dopo aver messo in rilievo le carenze di mezzi e strutture della scuole del sud, osserva e chiede: «Qui per ottenere il minimo dei risultati, in alcuni casi, devi fare dei veri e propri miracoli. Ci sarebbe da premiarli gli insegnanti del Sud non certo da denigrarli». Ed invece il governo Berlusconi programma nuovi tagli nei finanziamenti alle scuole.
Se poi si aggiunge che gli alti dirigenti regionali e provinciali della scuola vengono individuati per appartenenze e meriti politici, allora si capisce meglio il livello di degrado della scuola italiana. Nella mia Regione Puglia è in atto il cambio di tutti i dirigenti provinciali (ex Provveditori), a suo tempo nominati dal governo di centrosinistra, sostituiti ora da fiduciari del centrodestra. Senza contare poi che gli alti dirigenti difendono, a priori e a prescindere, la casta dei dirigenti inferiori (presidi), contro i professori e gli altri operatori della scuola.
E queste cose la ministra Gelmini le avalla. Tutto il sistema è marcio. Meno male che vi sono i professori del sud (anche nel profondo nord) che cercano con il loro lavoro di tenere alto il decoro della scuola italiana.
29 agosto 2008
21 agosto 2008
Il brigantaggio meridionale, Cronaca inedita dell’Unità d’Italia a cura di Aldo De Jaco
Il libro pubblicato dagli Editori Riuniti ha avuto parecchie edizioni (e ristampe). La prima è del 1969 (prima ristampa del 1976), la seconda del 1979 è un’edizione fuori commercio riservata agli abbonati a l’Unità per l’anno 1980, la terza è del 2005. Le tre edizioni conservano sempre la stessa foliazione. Vi è un ricco corredo di illustrazioni fuori testo; nelle prime due edizioni le foto in b/n e i disegni a colori intercalano in vari punti le pagine, nella terza le illustrazioni tutte in b/n sono poste insieme in fondo al volume.
Quando il libro uscì vi erano ancora pochi studi su «quella angosciosa tragedia che fu la guerra del brigantaggio». Franco Molfese aveva pubblicato presso Feltrinelli nel 1964 la Storia del brigantaggio dopo l’Unità, ma si trattava «essenzialmente di una documentatissima storia diplomatico-militare dell’azione del governo “piemontese”», restava ancora impreciso il vero volto del brigante e della rete dei manutengoli, dei reazionari e degli sbandati che lo sostenevano; come nascoste restavano le ragioni umane che spingevano tanti uomini e tante donne a quello «sfascio».
Tuttavia, scrive De Jaco, il libro del Molfese è l’unico valido contributo di quegli anni alla storia del brigantaggio cioè di un periodo in cui - come scrisse Gramsci nel ’20 - «lo Stato italiano ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale e le isole crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di briganti».
De Jaco mette insieme una raccolta di scritti «di opposta origine», nel tentativo di formare un mosaico veritiero sul tragico periodo del brigantaggio di massa nel Mezzogiorno. Tre sono i filoni principali seguiti per i testi raccolti: scritti o verbali di interrogatori di briganti, testimonianze di ufficiali e soldati piemontesi, reportage di parte borbonica; con l’aggiunta anche di notizie giornalistiche dell’epoca e relazioni ufficiali. Su di uno stesso argomento si hanno voci di diversa parte, nel tentativo - almeno così spera De Jaco - di permettere al lettore di farsi un quadro degli avvenimenti il più possibile vicino alla verità.
Con una prima sezione di testi si cerca di dare risposta alla domanda: Chi sono i briganti?. Quelli che non hanno un cappotto, masnadieri trasformati in eroi, soldati dell’indipendenza nazionale, che hanno energia, ardimento ed intelligenza.
Nella raccolta assumono particolare rilievo tre momenti della guerra del brigantaggio: la marcia di Carmine Crocco e del suo esercito di briganti su Melfi nell’aprile 1861, la reazione di Gioia del Colle capitanata dal sergente brigante Pasquale Romano nel luglio 1861, la distruzione ad opera dei piemontesi di Casalduni e Pontelandolfo nell’agosto 1861.
Altra parte della raccolta è dedicata a particolari scontri tra briganti ed esercito piemontese, a come morirono i briganti Schiavone, Coppa, Ninco Nanco, Chiavone, Borjés ed altri.
Ma quanti furono i “briganti” uccisi? Oscar de Poli nel 1864 (?) scrive: «Diecimila napoletani sono stati fucilati o son caduti nelle file del brigantaggio». Nel giornale La campana di San Martino del 4 novembre 1863 si legge: «Sono state fucilate o scannate 18.000 persone». E quanti furono i morti dell’esercito piemontese nella guerra del brigantaggio? Nella relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio si legge che dal 1861 al 1863 i morti furono «in tutto 21 ufficiali e 286 soldati, ossia 307 uccisi». Sproporzione immensa.
L’ultima parte della raccolta riguarda i giudizi dei contemporanei sugli avvenimenti del brigantaggio meridionale postunitario.
Il deputato Francesco Proto, Duca di Maddaloni, nella seduta parlamentare del 20 novembre 1861, diceva: «I delitti perpetrati in questa guerra civile ci farebbe arrossire della umana spoglia che vestiamo. Gente della nostra patria vien passata per le armi senza neppur forma di giudizio statutario, sulla semplice delazione di un nemico, pel semplice sospetto di aver nutrito e dato asilo ad un insorto».
Nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio del 1863 si legge: «Nelle provincie dove lo stato economico, la condizione sociale dei campagnoli sono assai infelici il brigantaggio si diffonde rapidamente, si rinnova di continuo, ha una vita tenacissima».
L’onorevole Miceli, nella seduta parlamentare del 31 luglio 1863, affermava: «Nessuno di voi negherà che, quando si sorpassano i limiti della repressione con eccessi inescusabili, anziché raggiungere lo scopo, ce ne dilunghiamo; anziché distruggere il brigantaggio lo rendiamo perenne e sempre più feroce. La repressione ha ecceduto i confini che la giustizia e la prudenza dovevano rendere insormontabili».
Pasquale Villari, nelle sue Lettere meridionali, nel marzo 1875, scriveva: «Il brigantaggio è il male più grave che possiamo osservare nelle nostre campagne. Esso è certo, come è ben noto, la conseguenza di una questione agraria e sociale, che travaglia quasi tutte le provincie meridionali».
Rocco Biondi
Il Brigantaggio meridionale, Cronaca inedita dell’Unità d’Italia, a cura di Aldo De Jaco, Editori Riuniti, Roma 1969 (ristampa del 1976), pp. 352
Quando il libro uscì vi erano ancora pochi studi su «quella angosciosa tragedia che fu la guerra del brigantaggio». Franco Molfese aveva pubblicato presso Feltrinelli nel 1964 la Storia del brigantaggio dopo l’Unità, ma si trattava «essenzialmente di una documentatissima storia diplomatico-militare dell’azione del governo “piemontese”», restava ancora impreciso il vero volto del brigante e della rete dei manutengoli, dei reazionari e degli sbandati che lo sostenevano; come nascoste restavano le ragioni umane che spingevano tanti uomini e tante donne a quello «sfascio».
Tuttavia, scrive De Jaco, il libro del Molfese è l’unico valido contributo di quegli anni alla storia del brigantaggio cioè di un periodo in cui - come scrisse Gramsci nel ’20 - «lo Stato italiano ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale e le isole crocifiggendo, squartando, seppellendo vivi i contadini poveri che gli scrittori salariati tentarono infamare col marchio di briganti».
De Jaco mette insieme una raccolta di scritti «di opposta origine», nel tentativo di formare un mosaico veritiero sul tragico periodo del brigantaggio di massa nel Mezzogiorno. Tre sono i filoni principali seguiti per i testi raccolti: scritti o verbali di interrogatori di briganti, testimonianze di ufficiali e soldati piemontesi, reportage di parte borbonica; con l’aggiunta anche di notizie giornalistiche dell’epoca e relazioni ufficiali. Su di uno stesso argomento si hanno voci di diversa parte, nel tentativo - almeno così spera De Jaco - di permettere al lettore di farsi un quadro degli avvenimenti il più possibile vicino alla verità.
Con una prima sezione di testi si cerca di dare risposta alla domanda: Chi sono i briganti?. Quelli che non hanno un cappotto, masnadieri trasformati in eroi, soldati dell’indipendenza nazionale, che hanno energia, ardimento ed intelligenza.
Nella raccolta assumono particolare rilievo tre momenti della guerra del brigantaggio: la marcia di Carmine Crocco e del suo esercito di briganti su Melfi nell’aprile 1861, la reazione di Gioia del Colle capitanata dal sergente brigante Pasquale Romano nel luglio 1861, la distruzione ad opera dei piemontesi di Casalduni e Pontelandolfo nell’agosto 1861.
Altra parte della raccolta è dedicata a particolari scontri tra briganti ed esercito piemontese, a come morirono i briganti Schiavone, Coppa, Ninco Nanco, Chiavone, Borjés ed altri.
Ma quanti furono i “briganti” uccisi? Oscar de Poli nel 1864 (?) scrive: «Diecimila napoletani sono stati fucilati o son caduti nelle file del brigantaggio». Nel giornale La campana di San Martino del 4 novembre 1863 si legge: «Sono state fucilate o scannate 18.000 persone». E quanti furono i morti dell’esercito piemontese nella guerra del brigantaggio? Nella relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio si legge che dal 1861 al 1863 i morti furono «in tutto 21 ufficiali e 286 soldati, ossia 307 uccisi». Sproporzione immensa.
L’ultima parte della raccolta riguarda i giudizi dei contemporanei sugli avvenimenti del brigantaggio meridionale postunitario.
Il deputato Francesco Proto, Duca di Maddaloni, nella seduta parlamentare del 20 novembre 1861, diceva: «I delitti perpetrati in questa guerra civile ci farebbe arrossire della umana spoglia che vestiamo. Gente della nostra patria vien passata per le armi senza neppur forma di giudizio statutario, sulla semplice delazione di un nemico, pel semplice sospetto di aver nutrito e dato asilo ad un insorto».
Nella relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio del 1863 si legge: «Nelle provincie dove lo stato economico, la condizione sociale dei campagnoli sono assai infelici il brigantaggio si diffonde rapidamente, si rinnova di continuo, ha una vita tenacissima».
L’onorevole Miceli, nella seduta parlamentare del 31 luglio 1863, affermava: «Nessuno di voi negherà che, quando si sorpassano i limiti della repressione con eccessi inescusabili, anziché raggiungere lo scopo, ce ne dilunghiamo; anziché distruggere il brigantaggio lo rendiamo perenne e sempre più feroce. La repressione ha ecceduto i confini che la giustizia e la prudenza dovevano rendere insormontabili».
Pasquale Villari, nelle sue Lettere meridionali, nel marzo 1875, scriveva: «Il brigantaggio è il male più grave che possiamo osservare nelle nostre campagne. Esso è certo, come è ben noto, la conseguenza di una questione agraria e sociale, che travaglia quasi tutte le provincie meridionali».
Rocco Biondi
Il Brigantaggio meridionale, Cronaca inedita dell’Unità d’Italia, a cura di Aldo De Jaco, Editori Riuniti, Roma 1969 (ristampa del 1976), pp. 352
15 agosto 2008
Moana Pozzi: amata sempre
Il mito di Moana si accresce sempre più. Sky ha deciso di realizzare una fiction in due puntate, con la regia di Marco Ponti, che andrà in onda nell'autunno 2009. Intanto ha aperto un web casting, dove sono già arrivati circa cinquemila video autopromozionali. Studentesse sexy e casalinghe irrequiete ci provano. Per partecipare basta inviare un filmato di un minuto, al limite girato anche con un telefonino.
Ecco lo strillo di Sky Life: «Cerchiamo la nuova Moana, e potresti essere proprio tu. Moana Pozzi, la più grande diva italiana del cinema porno, scomparsa nel 1994, rivivrà in una fiction prodotta da SKY Cinema e Polivideo, e diretta da Marco Ponti. Sei maggiorenne? Gioca con noi. Non c'è bisogno di essere attrici professioniste o modelle, né di presentarsi con un video professionale. Usa la web cam, il tuo cellulare o la videocamera, gira un simpatico video per presentarti e raccontarci perché pensi di essere adatta al ruolo».
Basta registrarsi, caricare il file, ed il gioco è fatto. I video più belli verranno scelti dalla redazione e presentati sul canale SKY Vivo. Successivamente si potrebbe essere contattati e fare il provino tradizionale. «E’ solo un gioco, ma Moana stessa ci ha insegnato che la vita è davvero imprevedibile, e che non si può mai sapere».
Ma perché tanto interesse per Moana? Perché Moana vive in ciascuno di noi. Tutti, più o meno consciamente, vorremmo essere Moana e incontrare Moana. Sky fa solo da levatrice, fa venir fuori la Moana che è in noi.
Loredana Fatone, 25enne di Pescara, dice: «La misteriosa fine di Moana? Per me non è neanche morta: è all'estero, vive con una nuova identità. Per l'erotismo sarei disposta a far vedere il mio seno (ho una quinta: più di Moana) e poi al mare vado già in perizoma».
Maria Grazia Pelusi, 27enne, foggiana, sostiene: «Moana era colta e pornostar, si spogliava ma era donna pensante. Trasversale, apprezzata anche dall'intellighenzia di sinistra. Gli amici insistevano sulla mia presunta somiglianza con l'attrice. Sono nata il 27 aprile come lei e pure alla stessa ora».
Caterina Arena, estetista di Lecco, 35enne, racconta: «Passeggiando a Bellagio, i ragazzi mi fischiavano dietro chiamandomi Moana: le somigliavo. Mai visti i suoi film hard. L'idea di svestirmi? A chi non piace essere guardata?».
Anche Nicola Donghi, un uomo di 25enne, grafico bergamasco, ha mandato un provino, affermando: «Perché io assomiglio a Moana più di quelle che vedo nei video. Farò crescere i capelli, mi truccherò, farò rivivere alla grande Moana, l'icona del porno italiano».
Ormai tutti parlano di Moana. Anche i giornali di carta rilanciano l’iniziativa di Sky.
Moana Pozzi Casting
Tutte vogliono diventare Moana - Aspiranti attrici per la fiction di Sky
Cercasi Moana Pozzi per la fiction Sky
Miei precedenti post su Moana
Ecco lo strillo di Sky Life: «Cerchiamo la nuova Moana, e potresti essere proprio tu. Moana Pozzi, la più grande diva italiana del cinema porno, scomparsa nel 1994, rivivrà in una fiction prodotta da SKY Cinema e Polivideo, e diretta da Marco Ponti. Sei maggiorenne? Gioca con noi. Non c'è bisogno di essere attrici professioniste o modelle, né di presentarsi con un video professionale. Usa la web cam, il tuo cellulare o la videocamera, gira un simpatico video per presentarti e raccontarci perché pensi di essere adatta al ruolo».
Basta registrarsi, caricare il file, ed il gioco è fatto. I video più belli verranno scelti dalla redazione e presentati sul canale SKY Vivo. Successivamente si potrebbe essere contattati e fare il provino tradizionale. «E’ solo un gioco, ma Moana stessa ci ha insegnato che la vita è davvero imprevedibile, e che non si può mai sapere».
Ma perché tanto interesse per Moana? Perché Moana vive in ciascuno di noi. Tutti, più o meno consciamente, vorremmo essere Moana e incontrare Moana. Sky fa solo da levatrice, fa venir fuori la Moana che è in noi.
Loredana Fatone, 25enne di Pescara, dice: «La misteriosa fine di Moana? Per me non è neanche morta: è all'estero, vive con una nuova identità. Per l'erotismo sarei disposta a far vedere il mio seno (ho una quinta: più di Moana) e poi al mare vado già in perizoma».
Maria Grazia Pelusi, 27enne, foggiana, sostiene: «Moana era colta e pornostar, si spogliava ma era donna pensante. Trasversale, apprezzata anche dall'intellighenzia di sinistra. Gli amici insistevano sulla mia presunta somiglianza con l'attrice. Sono nata il 27 aprile come lei e pure alla stessa ora».
Caterina Arena, estetista di Lecco, 35enne, racconta: «Passeggiando a Bellagio, i ragazzi mi fischiavano dietro chiamandomi Moana: le somigliavo. Mai visti i suoi film hard. L'idea di svestirmi? A chi non piace essere guardata?».
Anche Nicola Donghi, un uomo di 25enne, grafico bergamasco, ha mandato un provino, affermando: «Perché io assomiglio a Moana più di quelle che vedo nei video. Farò crescere i capelli, mi truccherò, farò rivivere alla grande Moana, l'icona del porno italiano».
Ormai tutti parlano di Moana. Anche i giornali di carta rilanciano l’iniziativa di Sky.
Moana Pozzi Casting
Tutte vogliono diventare Moana - Aspiranti attrici per la fiction di Sky
Cercasi Moana Pozzi per la fiction Sky
Miei precedenti post su Moana
10 agosto 2008
Giochi di guerra
Mentre Putin, in camicia e cravatta, partecipava all’inaugurazione dei giochi olimpici in Cina, le truppe militari russe invadevano e bombardavano la Georgia. Dai giochi di pace ai giochi di guerra. Dimitri Medvedev, successore voluto ed imposto da Putin alla presidenza della Russia, dichiarava che l’operazione militare era necessaria per «costringere la parte georgiana alla pace». Strano concetto: si fa la guerra per imporre la pace. Richiama alla mente quello che Bush diceva per giustificare l’invasione dell’Iraq: per esportare la civiltà americana si era costretti ad usare le armi.
Bush per giustificare la guerra in Iraq si era inventate le inesistenti armi di distruzione di massa a disposizione di Saddam Hussein. Putin per giustificare l’attacco dichiara che in Georgia ed Ossezia è in atto un fantomatico genocidio. I potenti mentono senza temere che qualcuno possa smentirli. La verità se la costruiscono loro.
In Iraq la guerra ancora continua, vedremo quanto durerà in Georgia.
L’industria bellica americana continua a fare affari costruendo ed usando le armi in Iraq. La Russia non accetta che le possa sfuggire il controllo delle vie del petrolio. Apparentemente la posta in gioco è l’irrilevante Ossezia, nei fatti non si vuole che la Georgia, cerniera tra l’Occidente e l’Oriente, entri nell’orbita occidentale; la Russia perderebbe il controllo della sede di transito dei grandi oleodotti che fanno arrivare il petrolio alla Mesopotamia ed al Mediterraneo.
Le grandi nazioni occidentali invitano Putin a fermare le armi. Il piccolissimo Berlusconi, per non contraddire l’amico Putin, se ne va in vacanza in Sardegna.
Bush per giustificare la guerra in Iraq si era inventate le inesistenti armi di distruzione di massa a disposizione di Saddam Hussein. Putin per giustificare l’attacco dichiara che in Georgia ed Ossezia è in atto un fantomatico genocidio. I potenti mentono senza temere che qualcuno possa smentirli. La verità se la costruiscono loro.
In Iraq la guerra ancora continua, vedremo quanto durerà in Georgia.
L’industria bellica americana continua a fare affari costruendo ed usando le armi in Iraq. La Russia non accetta che le possa sfuggire il controllo delle vie del petrolio. Apparentemente la posta in gioco è l’irrilevante Ossezia, nei fatti non si vuole che la Georgia, cerniera tra l’Occidente e l’Oriente, entri nell’orbita occidentale; la Russia perderebbe il controllo della sede di transito dei grandi oleodotti che fanno arrivare il petrolio alla Mesopotamia ed al Mediterraneo.
Le grandi nazioni occidentali invitano Putin a fermare le armi. Il piccolissimo Berlusconi, per non contraddire l’amico Putin, se ne va in vacanza in Sardegna.
6 agosto 2008
I leccaculi non sono fannulloni
Il decreto Brunetta è una cazzata. Fannullone non è chi non va a lavorare perché malato. Fannullone è chi va sul posto di lavoro e non fa niente. Questo tipo di fannullone è molto diffuso in tutta la pubblica amministrazione. A cominciare dalla Camera dei deputati e dal Senato della Rupubblica; e non parlo dei lavoratori dipendenti, ma dei senatori e deputati; qualcuno mi dovrebbe spiegare che lavoro fanno per meritarsi tutti quei soldi che prendono; è vergognoso vedere in televisione che mentre uno parla, ad ascoltarlo vi sono solo due o tre persone, spesso anche leggendo il giornale.
Fannullone è chi timbra il cartellino o il registro di presenza, fa un giro intorno al suo tavolo di lavoro e se ne esce a fare la spesa, a prendersi un caffè al bar (cosa che molte sentenze hanno giudicata legittima), a comprarsi il giornale, ad accompagnare il proprio figlio a scuola, a controllare gli operai che stanno ristrutturando una propria casa o stanno facendo lavori in un proprio fondo agricolo, e magari a farsi una scopatina con un/a collega di un altro ufficio più o meno vicino.
Responsabili di questi furti all’orario di lavoro sono i dirigenti, che chiudono uno o tutte e due gli occhi per non vedere, o peggio ancora non possono proprio vedere perché sono assenti pure loro. Di norma in questi casi, per evitare rischi, si ricorre allo stratagemma di firmare una richiesta di permesso breve, che poi viene strappata al rientro se non è successo niente. La durata dell’assenza può andare dai pochi minuti all’intero orario di servizio. Esiste anche la possibilità che a timbrare il cartellino o a firmare, in entrata ed in uscita, sia un collega compiacente, che a suo tempo verrà ricambiato. Ma queste cose Brunetta non le sa o non le vede.
Per poter svolgere queste attività extra lavoro in orario di lavoro è necessario che vi sia una qualche intesa tra dirigenti e lavoratori, più o meno palese, più o meno concordata. E qui entra in campo il leccaculismo, l’arte di adulare i capi per fregarli. Ai leccaculi è tutto concesso, le malefatte dei leccaculi non vengono mai viste, i leccaculi non verranno mai richiamati, i leccaculi ottengono o si prendono tutti i falsi permessi che vogliono, i leccaculi non hanno bisogno di mettersi in malattia per non stare sul posto di lavoro. I leccaculi risultano sempre presenti e verranno anche premiati. Guai per chi non si adatta a fare il leccaculo, non ha diritto a niente, deve giustificare tutto, deve recuperare anche un solo minuto di ritardo, non ottiene permessi, non può accompagnare la moglie o un figlio o un genitore in ospedale, non può andare a festeggiare un figlio che si laurea. Anche la malattia, vera o falsa che sia, deve sudarsela cara; è immediata la visita fiscale; i servizi segreti del capo sono spietati per incastrarlo. Ma queste cose Brunetta non le sa o non le vede.
Chi non è leccaculo, e non ottiene un permesso o ha esaurito i giorni di permesso, per poter fare qualcosa di indifferibile per se o per la sua famiglia deve mettersi in malattia. E con buona pace di Brunetta non può essere definito un fannullone.
Un tipo peggiore di fannullone è chi va sul posto di lavoro e col suo comportamento arreca danni agli altri. Di questa categoria fanno parte tanti dirigenti, che provano piacere sadico a massacrare i dipendenti. Questi capi sono la causa di una delle più gravi malattie dei nostri tempi: lo stress. Lo stress colpisce il 20% dei lavoratori europei ed il 27% dei lavoratori italiani. Secondo un statistica dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, in Francia si spendono 1 miliardo e 200 milioni di euro all’anno per gli incidenti e le malattie professionali legati allo stress. Mentre, sempre in Francia, secondo uno studio dell’Università della Borgogna, l’assenteismo costa solo 280 milioni di euro. [Fonte: la Repubblica 6 agosto 2008]. Se ci si allontanasse di più dal lavoro prima di essere colpiti dallo stress, prendendosi qualche giornata di malattia, anche solo come riposo, si farebbero risparmiare tantissimi soldi allo Stato e quindi a noi contribuenti. Ma queste cose Brunetta non le capisce.
Fannullone è chi timbra il cartellino o il registro di presenza, fa un giro intorno al suo tavolo di lavoro e se ne esce a fare la spesa, a prendersi un caffè al bar (cosa che molte sentenze hanno giudicata legittima), a comprarsi il giornale, ad accompagnare il proprio figlio a scuola, a controllare gli operai che stanno ristrutturando una propria casa o stanno facendo lavori in un proprio fondo agricolo, e magari a farsi una scopatina con un/a collega di un altro ufficio più o meno vicino.
Responsabili di questi furti all’orario di lavoro sono i dirigenti, che chiudono uno o tutte e due gli occhi per non vedere, o peggio ancora non possono proprio vedere perché sono assenti pure loro. Di norma in questi casi, per evitare rischi, si ricorre allo stratagemma di firmare una richiesta di permesso breve, che poi viene strappata al rientro se non è successo niente. La durata dell’assenza può andare dai pochi minuti all’intero orario di servizio. Esiste anche la possibilità che a timbrare il cartellino o a firmare, in entrata ed in uscita, sia un collega compiacente, che a suo tempo verrà ricambiato. Ma queste cose Brunetta non le sa o non le vede.
Per poter svolgere queste attività extra lavoro in orario di lavoro è necessario che vi sia una qualche intesa tra dirigenti e lavoratori, più o meno palese, più o meno concordata. E qui entra in campo il leccaculismo, l’arte di adulare i capi per fregarli. Ai leccaculi è tutto concesso, le malefatte dei leccaculi non vengono mai viste, i leccaculi non verranno mai richiamati, i leccaculi ottengono o si prendono tutti i falsi permessi che vogliono, i leccaculi non hanno bisogno di mettersi in malattia per non stare sul posto di lavoro. I leccaculi risultano sempre presenti e verranno anche premiati. Guai per chi non si adatta a fare il leccaculo, non ha diritto a niente, deve giustificare tutto, deve recuperare anche un solo minuto di ritardo, non ottiene permessi, non può accompagnare la moglie o un figlio o un genitore in ospedale, non può andare a festeggiare un figlio che si laurea. Anche la malattia, vera o falsa che sia, deve sudarsela cara; è immediata la visita fiscale; i servizi segreti del capo sono spietati per incastrarlo. Ma queste cose Brunetta non le sa o non le vede.
Chi non è leccaculo, e non ottiene un permesso o ha esaurito i giorni di permesso, per poter fare qualcosa di indifferibile per se o per la sua famiglia deve mettersi in malattia. E con buona pace di Brunetta non può essere definito un fannullone.
Un tipo peggiore di fannullone è chi va sul posto di lavoro e col suo comportamento arreca danni agli altri. Di questa categoria fanno parte tanti dirigenti, che provano piacere sadico a massacrare i dipendenti. Questi capi sono la causa di una delle più gravi malattie dei nostri tempi: lo stress. Lo stress colpisce il 20% dei lavoratori europei ed il 27% dei lavoratori italiani. Secondo un statistica dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, in Francia si spendono 1 miliardo e 200 milioni di euro all’anno per gli incidenti e le malattie professionali legati allo stress. Mentre, sempre in Francia, secondo uno studio dell’Università della Borgogna, l’assenteismo costa solo 280 milioni di euro. [Fonte: la Repubblica 6 agosto 2008]. Se ci si allontanasse di più dal lavoro prima di essere colpiti dallo stress, prendendosi qualche giornata di malattia, anche solo come riposo, si farebbero risparmiare tantissimi soldi allo Stato e quindi a noi contribuenti. Ma queste cose Brunetta non le capisce.
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