Il
romanzo ha una dedica, da parte dell’autrice, “a mia nonna Chiara che mi
raccontò questa storia”. Il libro si dipana, tra passato e presente, in due
storie: quella di un tredicenne di oggi, che fugge da una ricca nonna di Milano
per raggiungere la nonna del Sud, e quella che quest’ultima racconta al nipote
sul sergente Pasquale Romano, vissuto negli anni immediatamente successivi al
1860, quando i piemontesi invasero il Regno delle Due Sicilie. La Curione è una
discendente del Romano.
Il libro porta l’introduzione del professor
Daniele Giancane, che colloca il romanzo nel dibattito che riguarda la storia
risorgimentale, tra Garibaldi (con l’invasione piemontese del Sud) e la
reazione dei briganti. Questi ultimi furono dei delinquenti oppure furono degli
eroi, fedeli a un ideale di vita? La risposta, sia della Curione che di
Giancane, è che furono eroi. Napoli, prima del 1860, era un’autentica capitale
europea, aveva un ingente tesoro trafugato poi dai piemontesi, e non era quindi
arretrata.
Nessun ragazzo sano di mente, dice il
fuggiasco alla nonna del Sud, può vivere costretto come un burattino a fare
lezioni di ogni tipo: di tennis, di inglese, di francese, di equitazione, di
pianoforte, oltre la scuola. E i parenti del Sud ingaggiano una lotta, che
vincono, per avere l’affidamento del ragazzo.
Il sergente Romano era un brigante buono. Noi
anzi diamo del termine “brigante” una connotazione solo ed esclusivamente
positiva. I briganti sono stati insorgenti e partigiani che hanno lottato in
difesa della loro terra, delle loro famiglie, della loro dignità.
Il padre del sergente Romano faceva il
pastore e la madre era una contadina. All’età di diciotto anni si arruolò
nell’esercito borbonico e imparò a leggere e scrivere. Divenne sergente e
alfiere.
Il padre di Francesco, il ragazzo di oggi,
era un musicista e suonava la tromba. Dopo la morte della moglie divenne un
alcolizzato e viveva senza fissa dimora in un camper.
Altro personaggio del romanzo è il cane Ric,
incrocio tra un pastore tedesco e altra razza un po’ aggressiva; di
un’intelligenza fuori dal comune.
Vengono narrati i fatti della vita del
sergente Romano. L’amore per Laura. Come divenne Comandante Generale nel
Comitato di Gioia del Colle, suo paese natale. La formazione della sua banda
brigantesca, divisa in quattro compagnie, comandate rispettivamente da Nenna
Nenna, Pizzichicchio, Capraro e Coppolone. L’uccisione del sergente
Prisciantelli della guardia nazionale, da parte di alcuni briganti del Romano. L’assalto
a Gioia; il popolo che si schiera, armato di pugnali, forconi, mazze, sciabole,
schioppi e mannaie, dalla parte del Romano. Arruolamento nella banda Romano di
Carlo Antonio Castaldi, ex soldato piemontese. La disfatta presso la masseria
Monaci, vicino Noci. Il tentativo, fallito, di unirsi alla banda di Carmine
Crocco; a questo proposito si rileva che nel romanzo Crocco diventa anche Ninco
Nanco, unificando così i due personaggi. Lo scioglimento della comitiva. L’uccisione
del sergente Romano, per un tradimento, nel bosco Vallata, insieme ad altri
ventuno briganti. Il corpo martoriato del Romano fu esposto per tre giorni nel
paese; alcuni lo derisero, molti lo piansero.
Nacque la leggenda che il Romano non fosse
morto, fu ucciso invece un brigante che gli somigliava.
Il ragazzo di oggi, dopo aver acceso il
fuoco con rami secchi e paglia nella casa colonica dov’era vissuto il Romano,
racconta la storia del brigante a dei suoi amici. Il romanzo si chiude con la
seguente frase: «Stavo finendo di raccontare la sua storia, quando sulla parete
si è proiettata un’ombra, sembrava di un uomo con uno strano cappello, poi un
forte folata di vento ha fatto spegnere il fuoco».
Il romanzo è scritto con mano felice; si
legge tutto d’un fiato. Noi comunque crediamo che la parte con cui si schierò
il sergente Romano sia quella giusta.
Rocco Biondi
Chiara Curione, Un eroe dalla parte sbagliata, Besa Editrice, Nardò (Lecce) 2008,
pp. 128