Nell’avvertenza
iniziale Gelli scrive che «uno studio esauriente sul fenomeno che corre sotto
la denominazione generica di brigantaggio
meridionale non è stato ancora fatto. Chissà per quanto tempo rimarrà allo
stato di desiderio, perché difetta una documentazione coordinata ed unitaria,
capace di offrire una visione completa e cronologica degli avvenimenti. Questo
materiale è tutt’ora disseminato negli archivi dello Stato e quello in possesso
dei privati, custodito gelosamente, resta occultato, forse per timore di chissà
quali immaginarie responsabilità. Quest’ultimo deve essere cospicuo».
Successivamente al 1931, data di uscita del
libro, molto è stato scritto su quel fenomeno e per fortuna con spirito diverso
da quello di Gelli, che scrive del brigantaggio sfacciatamente dalla parte
piemontese.
Il libro è stato inserito nelle edizioni
Bemporad nella collana chiamata “La Storia romanzesca”, che porta come
sottotitolo “Nuovissima collezione di biografie, memorie e studi storico
aneddotici, riccamente illustrata e con copertina a colori”. Da ciò si deduce
la poca attendibilità dei fatti e del come essi sono narrati. Per tutti si
porta l’esempio di Carmine Crocco, del quale a pagina 216 Gelli scrive:
«Processato e condannato a morte, mediante la fucilazione, Carmine Donatello,
detto Crocco, celebre e temuto
capobanda di briganti, ladro ed assassino famosissimo, si dimostrò quale era
sempre stato, pauroso di morire, assolutamente alieno di conoscere il mistero
dell’‘al di là’! Piangeva come … un vitello! Questo esimio malfattore venne fucilato nel settembre del 1872, all’età di
42 anni». Invece, come si sa, Crocco morì in carcere il 18 giugno 1905 a Portoferraio,
nell’isola d’Elba, all’età di 75 anni. E poi il vero nome del brigante era
Carmine Crocco, come risulta dall’atto di nascita; Donatello o Donatelli era il
soprannome.
Un libro del genere non meriterebbe una
recensione, se molti di quelli che scrivono di brigantaggio non lo citassero.
Gelli sostiene che ha desunto gran parte
delle notizie dalle «carte documentarie, abbandonate dal generale Raffaele
Tristany Barrera, che fu magna pars
nella organizzazione del brigantaggio nell’Italia meridionale e capo di quella
dal 1861 al 1865».
Il libro si divide in due parti. La prima,
intitolata “Il banditismo”, parla del banditismo tosco-padano (Gasparoni,
Passatore, Tiburzi e altri), del banditismo corso, di Giuseppe Musolino, del
banditismo degli ultimi anni del milleottocento.
La seconda parte parla del brigantaggio
meridionale postunitario, con particolare attenzione ai capibanda principali
(Luigi Alonzi detto Chiavone,
Cipriano e Giona La Gala, Pilone, Mittica, Carmine Crocco, Ninco Nanco, Michele
Caruso e altri), ai legittimisti stranieri (Josè Borges, Raffaele Tristany), e ad
alcune bande brigantesche minori.
Il libro è arricchito da centotrentasei
illustrazioni, quasi tutte di briganti e dal formato di circa centimetri
quattro per cinque.
Rocco Biondi
Iacopo Gelli, Banditi briganti e brigantesse
nell’ottocento, Bemporad Editori, Firenze 1931, pp. 250