Serafina
Ciminelli, brigantessa postunitaria davvero esistita, e Giulia Siepelunga,
studentessa universitaria di Bologna, sono le protagoniste del romanzo, il secondo
della trilogia sul Brigantaggio di Vincenzo Labanca. Giulia, preparando la tesi
di laurea sul brigantaggio, scende in Lucania nel 1885 per visitare i luoghi in
cui i Briganti agirono. Incontra Serafina, che le racconta la sua triste
storia, nel carcere femminile di Potenza, dove ha trascorso venti anni di
carcere.
Altro personaggio del romanzo è Matteo, un
giovane lucano studente universitario, che nel 1978 si trasferisce all’Università
di Bologna nel tentativo di superare l’esame di Entomologia per finalmente
conseguire la laurea in Agraria. Con sua grande sorpresa gli viene affittata,
ad un prezzo irrisorio, una villa di tre piani appena ristrutturata, dotata di
tutti i confort e comodità. Nessuno andava ad abitare lì dentro perché si
diceva che fosse abitata da due streghe, che nelle notti di plenilunio
comparivano nel palazzo illuminato a giorno. Erano le anime di Giulia e
Serafina, che chiedevano che la loro storia venisse portata alla luce. E Matteo
si infilò nella cappa del camino, tirò fuori il manoscritto e lo lesse.
Labanca, col suo romanzo storico, pur
inventando parecchio, ha voluto ricreare la storia dei briganti raccontandola
dalla parte dei vinti, contro i piemontesi vincitori. La spedizione dei Mille,
Garibaldi, la legge Pica, l’avventura del Generale spagnolo José Borges,
Serafina Ciminelli, Antonio Franco, Carmine Crocco, Fiore Ciminelli,
Ninco-Nanco, Egidione e tanti altri, vengono narrati sotto una nuova luce. La
memoria del passato deve essere sempre viva se vogliamo avere un futuro
migliore.
L’invenzione di una storia costituisce un
pretesto per dire cose nuove, per narrare l’altra faccia della Storia, fatta
scrivere dall’inventata Giulia Siepelunga che costituisce l’alter ego di
Vincenzo Labanca.
Serafina, nel romanzo, nasce il 5 febbraio
1840 dal barone Prospero Ciminelli. A sedici anni s’innamorò di Antonio Franco,
che “era uno di quei cafoni che si affaccendavano nei campi e che mio padre
considerava di sua proprietà”.
Il padre di Serafina voleva farla sposare
con Nicola Grimaldi, che poi divenne Sindaco e Capitano della Guardia Nazionale.
Ma vista l’insistenza, per non far diventare contadina la figlia fece diventare
galantuomo Antonio, facendolo arruolare nell’esercito borbonico. Ma dopo la
resa di Gaeta da parte di Francesco II, Antonio fu arrestato dai piemontesi e
trattenuto per un anno in carcere. Ritornato al suo paese, si vendicò di
Grimaldi bruciandolo vivo, e si diede alla macchia divenendo brigante. Anche
Serafina e suo fratello Fiore divennero briganti, al seguito di Antonio.
I briganti furono accusati di tutto:
massacri, furti, violenze carnali, incendi, mutilazioni, ruberie; ma la
stragrande maggioranza delle volte non era vero: la lista dei delitti veniva
allungata di tutti i reati rimasti senza colpevole. In realtà i briganti
combattevano per la loro libertà e per quella del popolo cui appartenevano. I
briganti, diceva Serafina, ci sono sempre stati e sempre ci saranno, ogni volta
che a comandare ci saranno dei tiranni. Il Brigante è il figlio del popolo
oppresso, è la bandiera della Libertà, è l’illusione della Giustizia. I
briganti ci sono ancora. Sono ancora vivi.
Alla fine di dicembre 1865 Antonio Franco,
dopo la sentenza, fu fucilato. Fiore Ciminelli, perché minorenne, fu condannato
a dieci anni di lavori forzati. A Serafina Ciminelli, perché donna, furono
inflitti venti anni di reclusione.
Giulia nel 1888 andò a trovare lo scrittore
Emilio Salgari e gli disse: “Io ti ho capito. I pirati di cui scrivi nei tuoi
libri sono i Briganti e Sandokan in realtà si chiama Carmine Crocco, e
Tremal-Naik è Ninco-Nanco”. “Complimenti Giulia, disse Salgari. Hai capito
tutto; ma ancora oggi quei personaggi non possono essere chiamati con il loro
vero nome, per non finire in manicomio”.
Serafina, che era stata dichiarata morta in
carcere, andò, sotto il nome di Giulia Siepalunga, in America in cerca di suo
figlio avuto da Antonio Franco. Giulia, finita in manicomio, fu fatta liberare
da un capitano, amico del padre; e alla fine del suo racconto scrive: “Non so
se in futuro le cose cambieranno per quei popoli oppressi e martoriati da una
conquista mascherata da unificazione”.
Rocco Biondi
Rocco Biondi
Vincenzo Labanca, Le Memorie di una Brigantessa, Zaccara Editore, Lagonegro (PZ) 2003, pp. 334