Il
libro, di ben 780 pagine, si divide in due parti, che sono la traduzione fatta
da Alberto Leoni di due opere di O’Clery. La prima intitolata in originale The History of the Italian Revolution. First
Periode. The Revolution of the Barricades (1796-1849), pubblicata a Londra
nel 1875; qui tradotta, per la prima volta in italiano, in La Rivoluzione delle barricate. La seconda The Making of Italy, pubblicata ancora a Londra nel 1892; qui
tradotta in La formazione del Regno
d’Italia.
P. K. O’Clery nacque nel 1849 in Irlanda.
Nel 1867 si arruolò a Roma negli Zuavi pontifici. All’inizio del 1870 si trova
in America nel Far West a caccia di bisonti, quando gli giunge notizia
dell’imminente invasione piemontese dello Stato pontificio ritorna a Roma e
combatte a Porta Pia in difesa del Papa. Rientra poi in Inghilterra dove inizia
una lunga battaglia parlamentare per l’autogoverno dell’Irlanda. Nel 1880 si
ritira dalla politica e si dedica alla professione legale e allo studio della
storia d’Italia. Muore nel 1913.
Mi sono avvicinato a quest’opera
principalmente per conoscere la posizione dell’autore, contemporaneo ai fatti,
sul brigantaggio postunitario. Scrive O’Clery che la storia del “brigantaggio”,
fino ai suoi tempi, non era ancora stata scritta, e forse mai lo potrà essere,
perché sia da parte borbonica che da parte piemontese si aveva interesse a
nascondere movimenti e fatti. I borbonici tenevano nascosti il numero e i piani
delle bande, e i rifornimenti di armi e materiali che loro fornivano. I
piemontesi celavano all’Europa i metodi sanguinari con i quali l’insurrezione
venne soffocata. Non c’è da meravigliarsi quindi, secondo O’Clery, che la
storia di questa guerra civile sia estremamente frammentaria.
Vengono citati i legittimisti stranieri
conte Theodule de Christen e il generale José Borges, che lottarono per il re
borbone Francesco II; oltre Edwin von Kalkreuth, Achille Caracciolo, il conte
de Coatandun.
Fra i briganti, contadini del Sud che
lottarono contro l’invasione piemontese, vengono descritte brevemente le
imprese di Luigi Alonzi detto Chiavone, Carmine Crocco detto Donatelli,
Nunziato Mecoli, Ferdinando Mittica.
Gli Abruzzi inizialmente, ma poi tutto il
Sud, divennero teatro di una guerra civile generalizzata, perché bande di
contadini avevano preso le armi per resistere all’invasione piemontese. La
repressione fu spietata. Fra tutti si distinse il generale piemontese Cialdini,
che costruì una sua lunga carriera di sangue e di massacri nelle province
napoletane. I tantissimi contadini, che egli fucilò in quegli anni, scrive
O’Clery, stavano lottando per il loro legittimo sovrano.
Interi villaggi vennero dati alle fiamme
dai piemontesi, bruciando case, fattorie, animali. Forse non si conoscerà mai,
scrive ancora O’Clery, quale scempio di vite e di proprietà sia stato operato
dalle “colonne volanti” italiane, impiegate nella guerra contro i briganti.
E questo sistema di violenze, massacri e
spargimento di sangue col quale il governo piemontese represse la reazione non
fu denunciato soltanto dai borbonici. Anche fra i liberali del Parlamento di
Torino vi furono uomini onesti e leali, che lo denunciò pubblicamente.
Le fonti che O’Clery usa nei suoi due libri
sono sempre quelle ufficiali, oppure di parte garibaldina o italianistica. Ma
la scelta, dopo l’esame della documentazione, è semplice: da una parte sta il
diritto, dall’altra la violenza; di qua il bene di tutto il popolo, di là la
volontà di potenza di una ristretta classe politica; di qua l’amore per la
verità, di là quello per la menzogna. E vengono scelti il diritto, il popolo, l’amore
per la verità. Per lui «la falsità non diventa verità perché viene asserita da
uno statista o da un re, e il furto non cessa di essere disonesto e
disonorevole quando il bottino è un intero regno».
Nel primo libro sostanzialmente si fa un
excursus e si difende il potere temporale della Chiesa; dalle origini fino alla
proposta di una Confederazione degli Stati italiani, presieduta dal Papa. Nel
secondo libro si narra diffusamente la formazione del Regno d’Italia, da Cavour
fino alla presa di Roma da parte piemontese del 1870. Nell’ultimo capitolo si
descrive la diffusa delusione seguita alla cosiddetta unità d’Italia, e dopo aver
sintetizzato la crisi cronica nei settori del fisco, dell’agricoltura, dell’edilizia,
delle banche, si auspica ancora la nascita di un’Italia federale.
Il libro si chiude con una ricca
bibliografia recente (fino al 2000, anno di pubblicazione) e con un indice dei
tanti nomi presenti.
Rocco Biondi
Patrick Keyes O’Clery, La Rivoluzione italiana. Come fu fatta
l’unità della nazione, Ares Edizioni, Milano 2000, pp. 780