Il
libro è un romanzo d’amore il cui titolo fa pensare ad un saggio sul
brigantaggio. I fatti dei briganti, che sono sullo sfondo, sono in realtà l’occasione
per la romanzesca storia d’amore. L’autore è un ufficiale dell’esercito
piemontese mandato a combattere i briganti nel 1862 da Dogliani, paese in
provincia di Cuneo in Piemonte, a Campobasso, capoluogo del Molise, per
accompagnare seicento soldati provenienti dal disciolto esercito borbonico e
che avevano accettato di passare nell’esercito savoiardo. Comandava la
compagnia il capitano Crema.
Fra questi soldati “sbandati” vi era il
caporale Michele Squillace, nato a Castropignano nel Molise in provincia di
Campobasso nel 1830, in una famiglia benestante; il paese conta ora circa mille
abitanti, nel 1860 ne aveva il triplo. Il padre di Michele, l’avvocato Maurizio
Squillace, aveva come acerrimo nemico il duca del luogo. Di Costanza, figlia
del duca, si innamora Michele, corrisposto. Costanza però viene promessa sposa
al rampollo della ricchissima famiglia Lo-Giudice, che aveva avuto origini molto
modeste.
Nel frattempo i piemontesi, con il De Witt,
giunsero a Pontelandolfo, paese in provincia di Benevento, che era stato,
nell’anno precedente, incendiato e sterminato dai piemontesi, come rappresaglia
all’uccisione da parte dei briganti di quaranta soldati; il castigo, scrive De
Witt, fu tremendo ma fu più tremenda la colpa, dimostrando così di essere totalmente
dalla parte dei piemontesi.
Nel libro si parla anche del comportamento
del piemontese capitano Crema, che era «meno cortese di un capobrigante» scrive
De Witt. Per mancanza di caserme, la compagnia dei militari piemontesi fu
accasermata nella chiesa parrocchiale di Colletorto, paese molisano. Il Crema
profanò la pisside con le ostie consacrate, spargendole per terra. La risposta
a questa profanazione fu una sollevazione popolare contro i piemontesi. Solo
l’intervento di conciliazione del parroco evitò che tutti i piemontesi
venissero massacrati. Il capitano Crema fu allontanato da Colletorto, ed il
parroco Aliprandi fu trasferito alla parrocchia di Castropignano, dove ebbe a
godersi una più lucrosa prebenda.
Intanto Costanza sposa il giovane Lo-Giudice,
ma ama sempre Michele, con il quale scambia alcune lettere d’amore.
De Witt narra anche l’attentato fallito del
1856 di Agesilao Milano al re borbone Ferdinando II. Dopo l’esecuzione capitale
di Agesilao Milano, Michele Squillace viene accusato di complicità, ma un
intervento della duchessa Costanza lo salva.
Nel libro si parla ancora del capitano
Crema e così lo descrive De Witt: «Tutto sommato è un fatto che Crema era un
prepotente, ma un ameno prepotente, che colle sue sortite serio-umoristiche dal
tragico cadeva spesso nel ridicolo». Il famoso proclama di Crema, affisso sui
muri di Campobasso, diceva che sarebbe stato fucilato «chiunque tratterà o
alloggerà briganti, chiunque darà segno di tollerare o favorire il più piccolo
tentativo di reazione, chiunque verrà incontrato per le vie interne o per la
campagna con provvigioni alimentari superiori ai propri bisogni o con munizioni
da fuoco per ingiustificato uso, chiunque avendo notizie dei movimenti delle
bande non sarà sollecito di avvisarne il sottoscritto».
Ampio spazio viene dato nel libro al capo
brigante molisano Nunzio di Paolo, che comandava una banda di una novantina di
briganti, parte a piedi e parte a cavallo, e che esercitava ricatti e
requisizioni di viveri e di contanti. Di altri briganti parla De Witt, tra i
quali Crocco, Caruso, Ninco-Nanco, Cavalcante, Fuoco, Tamburini, Morgante,
Cascione, Luca Pastore, Angiolo Maria del Sambro; parla a lungo anche della
brigantessa Filomena.
Michele Squillace, per vendicarsi di suo
fratello Leone che dopo la morte del padre voleva impossessarsi di tutta la
proprietà e per stare vicino alla sua amata Costanza, lasciò l’esercito e
divenne il “brigante nero” (aveva sulla faccia una pezzuola di seta nera nella
quale erano stati praticati dei buchi per gli occhi, il naso e la bocca);
faceva tantissime opere di bene a tutti quelli che ne avevano bisogno; venne
ucciso a fucilate dai soldati piemontesi come un brigante qualunque. Costanza,
dopo la morte del suo amato, si ammalò, rifiutò tutti i rimedi della scienza
medica e morì.
Rocco Biondi
Angiolo De Witt, Storia politico-militare del brigantaggio nelle provincie meridionali d’Italia, Forni Editore, Sala Bolognese 1984, pp. 399
Angiolo De Witt, Storia politico-militare del brigantaggio nelle provincie meridionali d’Italia, Forni Editore, Sala Bolognese 1984, pp. 399