Dopo oltre tre mesi di lavoro quotidiano, oggi 25 settembre 2006 si parte con la settimana di studi sul brigantaggio meridionale.
Oltre me, hanno fatto parte del comitato organizzatore del convegno lo scrittore e giornalista "Rai" Raffaele Nigro, l'appassionato lettore di tutto ciò che viene pubblicato sul brigantaggio e responsabile dell'associazione "Democrazia e partecipazione" Vito Nigro, il profondo studioso del brigantaggio meridionale Valentino Romano, il giornalista della "Gazzetta del Mezzogiorno" Angelo Sconosciuto.
Si cercherà di dare una risposta alla domanda: "Chi erano i Briganti?". Valentino Romano inquadrerà il fenomeno del brigantaggio nella più generale storia del Sud, Ulderico Nisticò parlerà del brigantaggio in Calabria, Rosario Quaranta affronterà il tema del brigantaggio preunitario nel Salento, Mario Guagnano presenterà il brigantaggio in Puglia, Rocco Biondi (io) effettuerà un viaggio sul brigantaggio nei siti internet, Dino Levante presenterà i libri che sono stati pubblicati nel tempo sul fenomeno del brigantaggio, Valentino Romano ancora mostrerà la vita quotidiana dei briganti e delle brigantesse con particolare attenzione ai loro cibi, Vincenzo Labanca scrittore di fortunati romanzi sul brigantaggio illustrerà cosa vi è di storico e cosa vi può essere di inventato quando si parla di briganti, Maria Santina Faggiano Semeraro presenterà i risultati di una ricerca fatta dai ragazzi di una scuola media dal titolo "L'altro volto brigantaggio", Alessandro Romano esaminerà le cause che hanno portato al brigantaggio, Raffaele Nigro presenterà in prima nazionale il suo ultimo libro "Giustiziateli sul campo" che affronta il fenomeno del brigantaggio nella letteratura e nell'arte in genere.
Un programma molto nutrito, come si vede. Inoltre nelle varie giornate saranno effettuati degli eventi sul tema brigantaggio.
In epigrafe al programma ho poste le seguenti tre frasi tratte dal romanzo di Raffele Nigro "I fuochi del Basento", che possono costituire una buona introduzione al convegno: 1) Io ora non combatto per rubare e per farmi ricco, ma per l'emancipazione dei contadini, per affrancarli dalle servitù, dalle decime, dai terraggi; 2) Nessuno ricorda mai gli sconfitti. Ma ogni tanto si affaccia un Giannone, un Cuoco e fa giustizia. Cent'anni dopo i fatti, magari. 3) L'idea di uno Stato in cui fossero i contadini a governare non morì.
Sito internet sul convegno: http://www.settimanadeibriganti.it/
25 settembre 2006
23 settembre 2006
I libri mancano
Pare che leggere libri sia un investimento economico. Lo documenta una ricerca dell'Associazione Italiana Editori, presentata il 21 settembre 2006 a Roma nell'ambito de "Gli Stati generali dell'Editoria", manifestazione che ha visto insieme editori e amministratori pubblici, intellettuali e industriali.
Il quadro che emerge dalla ricerca è desolante, nel 2005 più della metà degli italiani (57,7%) non ha preso in mano neanche un libro, mentre il 42,3% ne ha letto solo uno, solamente il 5,7% degli italiani ha letto almeno un libro al mese.
Gli italiani, mediamente, spendono in un anno per i libri, compresi quelli scolastici, quanto destinano per una cena in trattoria. E cioè 64 euro contro i 209 dei norvegesi.
Il pil (la ricchezza nazionale) cresce con l'aumento della lettura. Le percentuali di ricchezza regionali lo dimostrano. La Lombardia, che contribuisce al Pil nazionale per il 18,9% ha il 20% di lettori, mentre la mia Puglia con il 4,7% del Pil ha il 4,6% di lettori.
Gli investimenti in acquisto di libri negli ultimi tre anni sono calati del 16,9%.
112 comuni con più di 20mila abitanti non hanno nemmeno una libreria.
Al sud e nelle isole appena il 5% dei comuni possiede almeno una libreria.
Le risorse annue destinate dalle biblioteche pubbliche per l'acquisto di nuovi libri di lettura si aggirano solo intorno ai 2 euro pro capite.
Le biblioteche scolastiche sono quasi del tutto assenti e meno di un istituto su quattro ha una collocazione dei libri a scaffale aperto.
Solo il 13,6% degli studenti e addirittura il 2% dei docenti frequenta le biblioteche scolastiche esistenti.
Si conferma basso anche l'investimento annuo delle scuole per i libri: 3,31 euro per studente, ovvero un cappuccino e una brioche al bar.
Purtroppo, quindi, la scuola non incoraggia alla lettura, contraddicendo così ad uno dei suoi obiettivi primari.
La lettura significa formazione continua e permanente.
Bisogna riuscire a portare alla lettura lo sterminato pubblico televisivo, formato per il 90 per cento da non lettori assoluti o lettori deboli.
La scuola dovrebbe stare in prima fila in questa missione. Ma chi forma i formatori? C'è bisogno di missionari del libro e della lettura. Io mi ritengo uno di questi. Ma si può fare sempre di più.
Lo Stato dovrebbe incentivare la lettura. In Francia a questo scopo lo Stato spende dodici milioni di euro l'anno, la Spagna otto, l'Italia zero.
Il quadro che emerge dalla ricerca è desolante, nel 2005 più della metà degli italiani (57,7%) non ha preso in mano neanche un libro, mentre il 42,3% ne ha letto solo uno, solamente il 5,7% degli italiani ha letto almeno un libro al mese.
Gli italiani, mediamente, spendono in un anno per i libri, compresi quelli scolastici, quanto destinano per una cena in trattoria. E cioè 64 euro contro i 209 dei norvegesi.
Il pil (la ricchezza nazionale) cresce con l'aumento della lettura. Le percentuali di ricchezza regionali lo dimostrano. La Lombardia, che contribuisce al Pil nazionale per il 18,9% ha il 20% di lettori, mentre la mia Puglia con il 4,7% del Pil ha il 4,6% di lettori.
Gli investimenti in acquisto di libri negli ultimi tre anni sono calati del 16,9%.
112 comuni con più di 20mila abitanti non hanno nemmeno una libreria.
Al sud e nelle isole appena il 5% dei comuni possiede almeno una libreria.
Le risorse annue destinate dalle biblioteche pubbliche per l'acquisto di nuovi libri di lettura si aggirano solo intorno ai 2 euro pro capite.
Le biblioteche scolastiche sono quasi del tutto assenti e meno di un istituto su quattro ha una collocazione dei libri a scaffale aperto.
Solo il 13,6% degli studenti e addirittura il 2% dei docenti frequenta le biblioteche scolastiche esistenti.
Si conferma basso anche l'investimento annuo delle scuole per i libri: 3,31 euro per studente, ovvero un cappuccino e una brioche al bar.
Purtroppo, quindi, la scuola non incoraggia alla lettura, contraddicendo così ad uno dei suoi obiettivi primari.
La lettura significa formazione continua e permanente.
Bisogna riuscire a portare alla lettura lo sterminato pubblico televisivo, formato per il 90 per cento da non lettori assoluti o lettori deboli.
La scuola dovrebbe stare in prima fila in questa missione. Ma chi forma i formatori? C'è bisogno di missionari del libro e della lettura. Io mi ritengo uno di questi. Ma si può fare sempre di più.
Lo Stato dovrebbe incentivare la lettura. In Francia a questo scopo lo Stato spende dodici milioni di euro l'anno, la Spagna otto, l'Italia zero.
21 settembre 2006
Vespa con poca dignità
«Se la Rai non mi fa fare quello che voglio io, me ne vado». E' la minaccia del Vespa incazzato.
«Se riducono da quattro a tre le puntate settimanali di Porta a porta, mi cerco un altro posto».
E poi si vanta di essere un moderato, mai sanzionato né rimproverato, che ha ottenuto sempre ottimi risultati. Si è dimenticato di essere stato, regnando Berlusconi, il suo servo prono, che zittiva chiunque si avventurasse di criticare il suo signore Berlusconi.
A meno che ora non si riprometta di cambiare padrone. Senza pudore. Detronizzato Berlusca, vuol passare armi e bagagli al servizio Prodi.
Lui si ritiene un uomo per tutte le stagioni. Non capisce perché lo si vuol punire. Lui è sempre al soldo del vincitore. Chi vince ha sempre ragione.
Lui si pone e propone come notaio di qualunque patto con gli italiani, purché rimanga sempre in televisione.
Lui non ha idea politica alcuna, Prodi vale quanto Berlusconi. Quel che conta sono i milioni dei contratti che riesce a strappare ai dirigenti della televisione.
La piaggeria nei confronti dell'ultimo signore è la sua professione. Sinistra e destra, sopra e sotto, sono la stessa cosa.
Di uno come lui forse non ci si può indignare. Di uno come lui ci dovremmo solo vergognare. Di uno come lui non sappiamo che fare.
Se veramente se ne andasse dalla televisione pubblica, non lo rimpiangeremmo per niente. Lui pensa solo a farsi gli affari suoi, come Berlusconi.
Noi pensiamo che la vita debba essere vissuta con più dignità.
«Se riducono da quattro a tre le puntate settimanali di Porta a porta, mi cerco un altro posto».
E poi si vanta di essere un moderato, mai sanzionato né rimproverato, che ha ottenuto sempre ottimi risultati. Si è dimenticato di essere stato, regnando Berlusconi, il suo servo prono, che zittiva chiunque si avventurasse di criticare il suo signore Berlusconi.
A meno che ora non si riprometta di cambiare padrone. Senza pudore. Detronizzato Berlusca, vuol passare armi e bagagli al servizio Prodi.
Lui si ritiene un uomo per tutte le stagioni. Non capisce perché lo si vuol punire. Lui è sempre al soldo del vincitore. Chi vince ha sempre ragione.
Lui si pone e propone come notaio di qualunque patto con gli italiani, purché rimanga sempre in televisione.
Lui non ha idea politica alcuna, Prodi vale quanto Berlusconi. Quel che conta sono i milioni dei contratti che riesce a strappare ai dirigenti della televisione.
La piaggeria nei confronti dell'ultimo signore è la sua professione. Sinistra e destra, sopra e sotto, sono la stessa cosa.
Di uno come lui forse non ci si può indignare. Di uno come lui ci dovremmo solo vergognare. Di uno come lui non sappiamo che fare.
Se veramente se ne andasse dalla televisione pubblica, non lo rimpiangeremmo per niente. Lui pensa solo a farsi gli affari suoi, come Berlusconi.
Noi pensiamo che la vita debba essere vissuta con più dignità.
20 settembre 2006
Il bordello Università
Fabio Mussi non ha peli sulla lingua: «Entrando nell'Università italiana ho trovato un discreto bordello», dove discreto significa tanto, grande. Ma sarà vero? Bisognerebbe chiederlo ai professori e agli studenti. Ma forse Mussi intendeva bordello non in senso stretto, ma in senso lato.
Ma questa non è una novità, forse l'Università è un bordello da quando è nata. Mussi vuol farla diventare un convento.
Si è dato tempo un anno per farlo, e se non ci riesce ha detto che se ne va. Io penso che fra un anno si sarà dimenticato di aver fatta questa affermazione.
Vuol riformare le modalità di reclutamento, vuol istituire un'agenzia di valutazione per i docenti, vuol contrattualizzare il rapporto di lavoro dei docenti universitari (basta con i baroni, docenti a termine e non a vita), vuol fermare i cervelli in fuga pagando di più i ricercatori. Si vede che Mussi non vive nell'Università.
In un convegno di Confindustria ha promesso che nella finanziaria farà stanziare un miliardo e mezzo per tre voci: Università, ricerca ed incentivi alle imprese. Ci riuscirà? Io ne dubito molto.
Tutti i nuovi ministri dell'università, appena insediati, hanno più o meno promesse questa cose. Ma le cose vanno sempre a peggiorare.
Con la Moratti si è toccato il fondo. Si è allora costretti a salire.
Sarà mai possibile entrare a far parte del corpo docenti, senza essere stati mandati da qualcuno? Forse è proprio strutturalmente impossibile.
Ricordo che quando, molti anni fa, mi laureai a Roma con centodieci e lode, ritenni ingenuamente di poter chiedere alla titolare di poter fare l'assistente presso la sua cattedra, quella mi guardò meravigliata. Da dove venivo, chi mi mandava? Mi aveva seguito per quattro anni e mi conosceva quasi come le sue tasche. Ma quando le chiesi di fare l'assistente mi rinnegò e spergiurò di non conoscermi, senza aspettare che il gallo cantasse nemmeno una volta.
Allora erano i tempi in cui si potevano fare gli esami anche solo suonando il piffero. Tanto per quello che valevano, andava bene anche così. Ma io avevo studiato. Ma non contava niente lo stesso. Non mi mandava nessuno.
Pare che ancora oggi il mondo non sia cambiato, né accenni a cambiare.
Ma questa non è una novità, forse l'Università è un bordello da quando è nata. Mussi vuol farla diventare un convento.
Si è dato tempo un anno per farlo, e se non ci riesce ha detto che se ne va. Io penso che fra un anno si sarà dimenticato di aver fatta questa affermazione.
Vuol riformare le modalità di reclutamento, vuol istituire un'agenzia di valutazione per i docenti, vuol contrattualizzare il rapporto di lavoro dei docenti universitari (basta con i baroni, docenti a termine e non a vita), vuol fermare i cervelli in fuga pagando di più i ricercatori. Si vede che Mussi non vive nell'Università.
In un convegno di Confindustria ha promesso che nella finanziaria farà stanziare un miliardo e mezzo per tre voci: Università, ricerca ed incentivi alle imprese. Ci riuscirà? Io ne dubito molto.
Tutti i nuovi ministri dell'università, appena insediati, hanno più o meno promesse questa cose. Ma le cose vanno sempre a peggiorare.
Con la Moratti si è toccato il fondo. Si è allora costretti a salire.
Sarà mai possibile entrare a far parte del corpo docenti, senza essere stati mandati da qualcuno? Forse è proprio strutturalmente impossibile.
Ricordo che quando, molti anni fa, mi laureai a Roma con centodieci e lode, ritenni ingenuamente di poter chiedere alla titolare di poter fare l'assistente presso la sua cattedra, quella mi guardò meravigliata. Da dove venivo, chi mi mandava? Mi aveva seguito per quattro anni e mi conosceva quasi come le sue tasche. Ma quando le chiesi di fare l'assistente mi rinnegò e spergiurò di non conoscermi, senza aspettare che il gallo cantasse nemmeno una volta.
Allora erano i tempi in cui si potevano fare gli esami anche solo suonando il piffero. Tanto per quello che valevano, andava bene anche così. Ma io avevo studiato. Ma non contava niente lo stesso. Non mi mandava nessuno.
Pare che ancora oggi il mondo non sia cambiato, né accenni a cambiare.
19 settembre 2006
Il Papa cacciatore
Non ho capito di che religione sia quel tal Shujaat Ali, che ha disegnato le vignette contro Bendetto XVI, trasmesse sulla televisione araba al Jazeera. Sarà per caso musulmano? Una cosa è certa, se quelle vignette avessero avuto come soggetto Maometto o simboli legati all’Islam sarebbe successo il finimondo. Le vignette danesi insegnano.
Il papa Benedetto XVI viene raffigurato armato di fucile, intento ad ammazzare le colombe di pace che Giovanni Paolo II lancia da San Pietro.
Diventa chiaro allora che gli islamici estremisti cercano occasioni per attaccare le altre religioni. E questa non è una cosa buona.
Ma per fortuna anche fra gli islamici ci sono i moderati democratici. A sorpresa uno di questi si è dimostrato essere il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, che ha dichiarato: «Musulmani, cristiani ed ebrei e tutti coloro che credono nelle religioni, se sono veramente seguaci della religione, devono essere fautori della pace, della fratellanza e della tranquillità». Ben detto, da sottoscrivere pienamente.
Karol Wojtyla non avrebbe commesso la "gaffe" a cui è incorso il suo successore. Il professore Ratzinger ha prevalso sul teologo, il teorico ha prevalso sul predicatore, lo scienziato sul pontefice.
Ma l'odio contro il Papa occidentale viene ogni giorno fomentato. Nelle librerie di Istambul è in testa alle classifiche di vendite, e da molto prima che scoppiasse il caso della lezione di Ratisbona, un giallo intitolato Papaya Suikast, Attentato al Papa, sottotitolo: «Chi ucciderà Benedetto XVI a Istanbul?»
In ogni parte del mondo si ha bisogno di tolleranza, di equilibrio, di pace. Ed è quello che vogliamo noi. E per fortuna siamo in tanti.
La strada da fare è tanta. E dopo l'ultimo scivolone di papa Ratzinger più in salita.
Sulla stampa mondiale si è levato un coro di critiche contro il professor Ratzinger, che purtroppo è anche Papa. Il Times si è chiesto se Benedetto XVI «si rendesse conto di quale sarebbe stato l'effetto delle sue parole». Forse no.
17 settembre 2006
Uccio Biondi: pittore dell'anima
Venerdì 15 settembre 2006 sono stato all'inaugurazione della mostra personale antologica dell'artista Uccio Biondi.
Con Uccio ho lavorato assieme per alcuni anni. Lo conosco quindi abbastanza bene e mi onora della sua amicizia, poco frequentata ma intensa. Di contro io nutro una profonda stima di lui.
Artista affermato in Italia e all'estero. Molti importanti critici hanno scritto di lui.
La sua più che trentennale attività artistica per la prima volta viene mostrata in un percorso antologico che raccoglie alcune delle sue più significative opere che vanno dal 1973 al 2006. Cornice eccezionale dell'evento sono i saloni dell'imponente castello normanno svevo di Mesagne in provincia di Brindisi.
Viene offerta al visitatore la produzione/testimonianza della vita di un artista che affascina e ti prende.
Uccio Biondi mi piace definirlo un pittore dell'anima, da quella materica figurativa a quella astratta informale. I suoi quadri mostrano l'anima sofferente ma dignitosa dei contadini del sud, l'anima dei corpi femminili che si donano alla visione, l'anima dei colori che da soli comunicano gli stati d'animo dell'artista, l'anima che si legge sui volti dei ritratti delle 55 ragazze che ci accolgono quasi tutte con un sorriso.
L'opera di Uccio Biondi si snoda, per fasi successive, dal realismo politico, al realismo esistenziale, all'informale, alla ritrattistica.
«Biondi, da terra mia a monne terranee», si intitolano la mostra ed il catalogo, dove "terra mia" è la terra arida ed avara del sud e "monne terranee" sono le donne delle terre del mediterraneo.
Donato Valli scriveva, di Uccio Biondi primo periodo, che dipingeva in dialetto, accostandolo al suo concittadino Pietro Gatti grande poeta in vernacolo. Biondi ha illustrato i libri di poesia di Gatti. Ora Biondi dipinge, quasi correttamente, in una lingua internazionale che tutti capiscono.
Ma Uccio Biondi non è ancora pago di quello che ha fatto. Ci stupirà ancora.
http://www.ucciobiondi.it/
[Nella foto - Uccio Biondi: Smack!]
Con Uccio ho lavorato assieme per alcuni anni. Lo conosco quindi abbastanza bene e mi onora della sua amicizia, poco frequentata ma intensa. Di contro io nutro una profonda stima di lui.
Artista affermato in Italia e all'estero. Molti importanti critici hanno scritto di lui.
La sua più che trentennale attività artistica per la prima volta viene mostrata in un percorso antologico che raccoglie alcune delle sue più significative opere che vanno dal 1973 al 2006. Cornice eccezionale dell'evento sono i saloni dell'imponente castello normanno svevo di Mesagne in provincia di Brindisi.
Viene offerta al visitatore la produzione/testimonianza della vita di un artista che affascina e ti prende.
Uccio Biondi mi piace definirlo un pittore dell'anima, da quella materica figurativa a quella astratta informale. I suoi quadri mostrano l'anima sofferente ma dignitosa dei contadini del sud, l'anima dei corpi femminili che si donano alla visione, l'anima dei colori che da soli comunicano gli stati d'animo dell'artista, l'anima che si legge sui volti dei ritratti delle 55 ragazze che ci accolgono quasi tutte con un sorriso.
L'opera di Uccio Biondi si snoda, per fasi successive, dal realismo politico, al realismo esistenziale, all'informale, alla ritrattistica.
«Biondi, da terra mia a monne terranee», si intitolano la mostra ed il catalogo, dove "terra mia" è la terra arida ed avara del sud e "monne terranee" sono le donne delle terre del mediterraneo.
Donato Valli scriveva, di Uccio Biondi primo periodo, che dipingeva in dialetto, accostandolo al suo concittadino Pietro Gatti grande poeta in vernacolo. Biondi ha illustrato i libri di poesia di Gatti. Ora Biondi dipinge, quasi correttamente, in una lingua internazionale che tutti capiscono.
Ma Uccio Biondi non è ancora pago di quello che ha fatto. Ci stupirà ancora.
http://www.ucciobiondi.it/
[Nella foto - Uccio Biondi: Smack!]
16 settembre 2006
Il Papa può dire cazzate?
A considerare le reazioni del mondo islamico alle parole pronunciate da Benedetto XVI all'università di Ratisbona su Islam e guerra santa, pare proprio che papa Ratzinger una cazzata l'abbia detta o almeno l'abbia fatta.
Nel discorso tenuto martedì scorso in Germania, il Papa ha citato l'imperatore bizantino Manuele II Paleologo, vissuto nel 14esimo secolo, che disse: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava".
I musulmani hanno reagito con rabbia a questa citazione e hanno chiesto le scuse del papa, per dissipare l'impressione che anch'egli partecipi alla campagna contro l'Islam.
Dal Vaticano si sono subito affrettati a dire che il papa è stato frainteso, non voleva dire quello che ha detto. Ma se il papa voleva semplicemente dire che non vi può mai essere una motivazione religiosa della violenza, io concordo pienamente con lui. Ha perfettamente ragione il gesuita Samir Khalil Samire quando afferma: «Chiunque sia, cristiano o musulmano, se segue la violenza, va contro la ragione e contro Dio, che è la fonte della ragione».
Ma comunque quella citazione papa Ratzinger poteva risparmiarsela. In un momento storico difficile e sull'orlo di una crisi di nervi, in cui viviamo, bisogna soppesare bene le parole, specialmente se uno è papa. Andare a pescare una frase di sette secoli fa, fa sospettare che la si fa propria. Abbiamo bisogno di pompieri e non di fuochisti. Non bisogna dare corda ai gruppi del radicalismo islamico.
La chiesa cattolica dovrebbe affrontare questi argomenti con un po' di dovuto pudore; non dimentichi le crociate, che furono una violenza istituzionalizzata, fatta benedire da Dio.
Ricerchiamo le cose che ci uniscono, per superare quelle che ci dividono.
Il versetto 99 della decina sura (capitolo) del Corano dice: «Se volesse il Signore, tutti quelli che sono sulla terra crederebbero. Ma tu non puoi prendere la gente per il collo perché credano!». Ho trascritto il versetto dal Corano tradotto dal cattolico Federico Peirone per la Mondadori. L'ebreo Moni Ovadia, con terminologia più moderna, l'ha tradotto: «Se Allah avesse voluto fare di tutti gli uomini dei credenti, lo avrebbe fatto. Chi sei tu dunque per imporre con la forza ad un uomo di credere a suo dispetto?». Non posseggo la traduzione di un islamico, ma credo che non sarebbe diversa nella sostanza.
Nel discorso tenuto martedì scorso in Germania, il Papa ha citato l'imperatore bizantino Manuele II Paleologo, vissuto nel 14esimo secolo, che disse: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava".
I musulmani hanno reagito con rabbia a questa citazione e hanno chiesto le scuse del papa, per dissipare l'impressione che anch'egli partecipi alla campagna contro l'Islam.
Dal Vaticano si sono subito affrettati a dire che il papa è stato frainteso, non voleva dire quello che ha detto. Ma se il papa voleva semplicemente dire che non vi può mai essere una motivazione religiosa della violenza, io concordo pienamente con lui. Ha perfettamente ragione il gesuita Samir Khalil Samire quando afferma: «Chiunque sia, cristiano o musulmano, se segue la violenza, va contro la ragione e contro Dio, che è la fonte della ragione».
Ma comunque quella citazione papa Ratzinger poteva risparmiarsela. In un momento storico difficile e sull'orlo di una crisi di nervi, in cui viviamo, bisogna soppesare bene le parole, specialmente se uno è papa. Andare a pescare una frase di sette secoli fa, fa sospettare che la si fa propria. Abbiamo bisogno di pompieri e non di fuochisti. Non bisogna dare corda ai gruppi del radicalismo islamico.
La chiesa cattolica dovrebbe affrontare questi argomenti con un po' di dovuto pudore; non dimentichi le crociate, che furono una violenza istituzionalizzata, fatta benedire da Dio.
Ricerchiamo le cose che ci uniscono, per superare quelle che ci dividono.
Il versetto 99 della decina sura (capitolo) del Corano dice: «Se volesse il Signore, tutti quelli che sono sulla terra crederebbero. Ma tu non puoi prendere la gente per il collo perché credano!». Ho trascritto il versetto dal Corano tradotto dal cattolico Federico Peirone per la Mondadori. L'ebreo Moni Ovadia, con terminologia più moderna, l'ha tradotto: «Se Allah avesse voluto fare di tutti gli uomini dei credenti, lo avrebbe fatto. Chi sei tu dunque per imporre con la forza ad un uomo di credere a suo dispetto?». Non posseggo la traduzione di un islamico, ma credo che non sarebbe diversa nella sostanza.
15 settembre 2006
Professori: missionari o impiegati?
Sembrano finiti i bei tempi antichi quando i professori svolgevano il loro lavoro come se fosse una missione, la missione dell'insegnamento. L'aspetto burocratico sta prendendo il sopravvento. Assistiamo all'impiegatizzazione dei docenti. E gli alunni continuano, sempre più, a disamorarsi della scuola.
I professori non sono più un punto di riferimento per i loro studenti. Vivono la la loro professione con alienazione. E i ragazzi apprendono a prescindere dalla scuola, da soli. Il problema è su cosa apprendono. Le nuove tecnologie forse creano degli analfabeti.
La Moratti aveva contribuito all'affossamento dell'insegnamento. Ora che lei non c'é più bisogna riprendere il gusto dell'essere a scuola, sia per i docenti che per gli studenti. Bisogna ritornare a pensare e a credere che la formazione è essenziale alla competizione sociale e allo sviluppo del paese. Bisogna ricollegare la scuola ai bisogni della società.
Una volta si diceva che la scuola deve insegnare il metodo per affrontare e risolvere i problemi reali della società. La scuola quindi non deve solo insegnate a leggere e a far di conto, ma anche a pensare.
Si dice che i professori sono sottopagati e quindi non sono pungolati a formare se stessi per poi formare gli altri. E forse è vero. I docenti per essere veramente tali, devono aggiornarsi continuamente. L'insegnamento non è un mestiere che lo si impara una volta per sempre.
Bisogna ridare all'università il rigore di una volta. Negli ultimi anni le lauree triennali hanno trasformato le università in licei superiori. Si fa quello che non si è fatto nelle scuole superiori.
Forse oggi per la scuola vale quello che Bartali diceva del ciclismo: «L'è tutto sbagliato. L'è tutto da rifare».
Questo allarme è stato lanciato, in un'intervista, dal presidente del Censis, Giuseppe De Rita, che da più di trent'anni studia i problemi della scuola.
I professori non sono più un punto di riferimento per i loro studenti. Vivono la la loro professione con alienazione. E i ragazzi apprendono a prescindere dalla scuola, da soli. Il problema è su cosa apprendono. Le nuove tecnologie forse creano degli analfabeti.
La Moratti aveva contribuito all'affossamento dell'insegnamento. Ora che lei non c'é più bisogna riprendere il gusto dell'essere a scuola, sia per i docenti che per gli studenti. Bisogna ritornare a pensare e a credere che la formazione è essenziale alla competizione sociale e allo sviluppo del paese. Bisogna ricollegare la scuola ai bisogni della società.
Una volta si diceva che la scuola deve insegnare il metodo per affrontare e risolvere i problemi reali della società. La scuola quindi non deve solo insegnate a leggere e a far di conto, ma anche a pensare.
Si dice che i professori sono sottopagati e quindi non sono pungolati a formare se stessi per poi formare gli altri. E forse è vero. I docenti per essere veramente tali, devono aggiornarsi continuamente. L'insegnamento non è un mestiere che lo si impara una volta per sempre.
Bisogna ridare all'università il rigore di una volta. Negli ultimi anni le lauree triennali hanno trasformato le università in licei superiori. Si fa quello che non si è fatto nelle scuole superiori.
Forse oggi per la scuola vale quello che Bartali diceva del ciclismo: «L'è tutto sbagliato. L'è tutto da rifare».
Questo allarme è stato lanciato, in un'intervista, dal presidente del Censis, Giuseppe De Rita, che da più di trent'anni studia i problemi della scuola.
14 settembre 2006
Viva la Rai
Era ora che si cominciasse a mettere mani a smantellare l'occupazione Rai da parte della compagnia Berlusconi. Viva Riotta, viva la Rai. Erano passati quattro mesi dalle elezioni che avevano mandato a casa Berlusconi, ma continuava a manovrare la Rai. Gli epurati da Berlusconi ancora non tornano in televisione. Oggi finalmente ha ricominciato Santoro. Ma aspettiamo Biagi, Luttazzi e tutti gli altri; a meno che l'esilio non gli abbia fatto invecchiare molto.
La destra grida alla lottizzazione. Buffoni, e che avete fatto in tutti questi cinque anni che siete stati al potere. O a lottizzare siete abilitati solo voi?
Sarà dura liberarsi dal veleno inculcato da berlusconi nelle istituzioni. Lo avevano già fatto gli scudocrociati democristiani. Ma con un po' più di pudore. E poi non erano padroni di una seconda televisione privata.
Ha ragione D'Alema quando dice che siamo stati troppo buoni, a non cacciarli subito a casa, tutti i berluscones.
Berlusconi ha già in mano il 50% dell'informazione con le sue televisioni e i suoi giornali. L'altro 50% tocca tutta a noi. Altrimenti se il pubblico lo si divide a metà, lui ha il 75% e noi solo il 25%.
Forse le anime buone diranno che questa è pura farneticazione. Ma ricordatevi che Berlusconi ci ha già chiamati una volta coglioni. Non ce lo facciamo dire un'altra volta ancora.
Non vogliamo più panini nei telegiornali. Lui si mangi i suoi hamburger a Mediaset, noi ci mangiamo le nostre pagnotte nella Rai.
Quando lui si prenderà Curzi o Santoro a dirigere il suo telegiornale, noi ci prenderemo Ferrara. E solo allora saremo pari.
Ma qualcuno mi dirà che sto confondendo il pubblico con il privato. Ed io rispondo che loro confondono il privato con il pubblico.
Berlusconi è la più grande contraddizione. A lui magnate dell'informazione gli consentiamo di diventare pure capo dell'amministrazione (capo del governo).
E' il più grande conflitto d'interessi. Si fa le leggi che interessano a lui solamente.
Dicono che Gianni Riotta abbia tutte le carte in regola per ridarci un Tg1 informato e completo. Speriamo che non gli succeda quello che successe a Gad Lerner, che pure lui aveva le carte in regola.
Dicono pure che Riotta sia stato trotzkista. Ma vedrete che ora diventerà riformista.
Dicono pure che Riotta sia interista. E questo non glielo perdono.
La destra grida alla lottizzazione. Buffoni, e che avete fatto in tutti questi cinque anni che siete stati al potere. O a lottizzare siete abilitati solo voi?
Sarà dura liberarsi dal veleno inculcato da berlusconi nelle istituzioni. Lo avevano già fatto gli scudocrociati democristiani. Ma con un po' più di pudore. E poi non erano padroni di una seconda televisione privata.
Ha ragione D'Alema quando dice che siamo stati troppo buoni, a non cacciarli subito a casa, tutti i berluscones.
Berlusconi ha già in mano il 50% dell'informazione con le sue televisioni e i suoi giornali. L'altro 50% tocca tutta a noi. Altrimenti se il pubblico lo si divide a metà, lui ha il 75% e noi solo il 25%.
Forse le anime buone diranno che questa è pura farneticazione. Ma ricordatevi che Berlusconi ci ha già chiamati una volta coglioni. Non ce lo facciamo dire un'altra volta ancora.
Non vogliamo più panini nei telegiornali. Lui si mangi i suoi hamburger a Mediaset, noi ci mangiamo le nostre pagnotte nella Rai.
Quando lui si prenderà Curzi o Santoro a dirigere il suo telegiornale, noi ci prenderemo Ferrara. E solo allora saremo pari.
Ma qualcuno mi dirà che sto confondendo il pubblico con il privato. Ed io rispondo che loro confondono il privato con il pubblico.
Berlusconi è la più grande contraddizione. A lui magnate dell'informazione gli consentiamo di diventare pure capo dell'amministrazione (capo del governo).
E' il più grande conflitto d'interessi. Si fa le leggi che interessano a lui solamente.
Dicono che Gianni Riotta abbia tutte le carte in regola per ridarci un Tg1 informato e completo. Speriamo che non gli succeda quello che successe a Gad Lerner, che pure lui aveva le carte in regola.
Dicono pure che Riotta sia stato trotzkista. Ma vedrete che ora diventerà riformista.
Dicono pure che Riotta sia interista. E questo non glielo perdono.
13 settembre 2006
I fuochi del Basento - Libro
Avevo comprato il libro I fuochi del Basento di Raffaele Nigro nel 1989, due anni dopo l'uscita da Camunia editrice; ma ero arrivato, nella lettura, solo fin verso la metà. L'organizzazione, che sto curando, di una "Settimana di studi sul Brigantaggio meridionale" è stata l'occasione per riprenderlo e portare questa volta a termine la lettura. Raffaele Nigro fa parte del Comitato organizzatore de "La Settimana dei Briganti".
Il libro I fuochi del Basento ottenne nel 1987 il premio Super Campiello ed il Premio Napoli narrativa.
Scrittura dura da masticare, specialmente nella prima parte.
I fatti narrati nel libro sono un misto di cronaca e di immaginazione, come la Storia del resto.
Dal libro ho tratto tre frasi, che ho posto come epigrafe alla settimana di studi sul brigantaggio. Sintetizzano, a mio parere, lo spirito del libro di Raffaele Nigro e l'anima più o meno nascosta dei briganti "buoni". Eccole: «Io ora non combatto per rubare e per farmi ricco, ma per l'emancipazione dei contadini, per affrancarli dalle servitù, dalle decime, dai terraggi»; «Nessuno ricorda mai gli sconfitti. Ma ogni tanto si affaccia un Giannone, un Cuoco e fa giustizia. Cent'anni dopo i fatti, magari»; «L'idea di uno Stato in cui fossero i contadini a governare non morì».
La vita dei briganti era piena di fatica e di batticuore: «Si getta erba bagnata e terriccio sui tizzoni dove si sono arrostite due patate, un passero, se va bene una gallina, e si fugge verso il cuore degli intrichi, tra le canne e gli acquitrini, a cavallo chi ne ha uno, a piedi gli altri, con la tromba i comandi, le schioppettate nelle orecchie, la morte dietro la nuca».
Nel libro si vive anche il sesso puro dei contadini. Ma Angelo Michele aveva solo attenzione per l'imboccatura della camicia di Teresa Addolorata, i suoi occhi erano unghie: «E se verrai nella pagliera ti farò vedere il bastoncino del re. Il re comanda e tutti ubbidiscono, e si fa piccolo e grande a seconda della richiesta». Un bastone magico!
«Nella strada polverosa passò una squadra di mietitori. Scalzi e laceri come sono i braccianti della Puglia». Questa cosa me la raccontava anche mio padre.
Il dotto don Tommaso Bindi al figlio del brigante Francesco Nigro così ricordava il padre: «Ma questo può dirti tutto: non sapeva leggere, eppure aveva accumulato nelle grotte di Monticchio più libri di questa biblioteca; uno così, non è un uomo che fa meraviglia?».
Ne I fuochi del Basento i morti continuano a vivere sulla terra e fanno da guida ai vivi. «Benvenuto in queste case. Io sono Pietropaolo, tuo fratello, morto in tenera età e comandato dall'angelo a seguirvi, tutti di casa, nel bene e nel male. Sii qui dentro il padrone e il servo e non temere i nemici».
Ma i morti si fanno compagnia anche tra loro. La sera che don Tommaso Maria fu seppellito, Francesco Nigro lo aspettò al cancello del cimitero. Erano visibilmente commossi e sorpresi, entrambi. «Eccellenza, vi aspettavo». «Dove si va?» chiese don Tommaso Maria. «Eccellenza, per qualunque strada» spiegò Francesco, «perché qui ogni posto è buono».
Il libro I fuochi del Basento ottenne nel 1987 il premio Super Campiello ed il Premio Napoli narrativa.
Scrittura dura da masticare, specialmente nella prima parte.
I fatti narrati nel libro sono un misto di cronaca e di immaginazione, come la Storia del resto.
Dal libro ho tratto tre frasi, che ho posto come epigrafe alla settimana di studi sul brigantaggio. Sintetizzano, a mio parere, lo spirito del libro di Raffaele Nigro e l'anima più o meno nascosta dei briganti "buoni". Eccole: «Io ora non combatto per rubare e per farmi ricco, ma per l'emancipazione dei contadini, per affrancarli dalle servitù, dalle decime, dai terraggi»; «Nessuno ricorda mai gli sconfitti. Ma ogni tanto si affaccia un Giannone, un Cuoco e fa giustizia. Cent'anni dopo i fatti, magari»; «L'idea di uno Stato in cui fossero i contadini a governare non morì».
La vita dei briganti era piena di fatica e di batticuore: «Si getta erba bagnata e terriccio sui tizzoni dove si sono arrostite due patate, un passero, se va bene una gallina, e si fugge verso il cuore degli intrichi, tra le canne e gli acquitrini, a cavallo chi ne ha uno, a piedi gli altri, con la tromba i comandi, le schioppettate nelle orecchie, la morte dietro la nuca».
Nel libro si vive anche il sesso puro dei contadini. Ma Angelo Michele aveva solo attenzione per l'imboccatura della camicia di Teresa Addolorata, i suoi occhi erano unghie: «E se verrai nella pagliera ti farò vedere il bastoncino del re. Il re comanda e tutti ubbidiscono, e si fa piccolo e grande a seconda della richiesta». Un bastone magico!
«Nella strada polverosa passò una squadra di mietitori. Scalzi e laceri come sono i braccianti della Puglia». Questa cosa me la raccontava anche mio padre.
Il dotto don Tommaso Bindi al figlio del brigante Francesco Nigro così ricordava il padre: «Ma questo può dirti tutto: non sapeva leggere, eppure aveva accumulato nelle grotte di Monticchio più libri di questa biblioteca; uno così, non è un uomo che fa meraviglia?».
Ne I fuochi del Basento i morti continuano a vivere sulla terra e fanno da guida ai vivi. «Benvenuto in queste case. Io sono Pietropaolo, tuo fratello, morto in tenera età e comandato dall'angelo a seguirvi, tutti di casa, nel bene e nel male. Sii qui dentro il padrone e il servo e non temere i nemici».
Ma i morti si fanno compagnia anche tra loro. La sera che don Tommaso Maria fu seppellito, Francesco Nigro lo aspettò al cancello del cimitero. Erano visibilmente commossi e sorpresi, entrambi. «Eccellenza, vi aspettavo». «Dove si va?» chiese don Tommaso Maria. «Eccellenza, per qualunque strada» spiegò Francesco, «perché qui ogni posto è buono».
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11 settembre 2006
E se Bin Laden non fosse mai esistito?
Se Bin Laden fosse già morto? Se Bin Laden fosse un'invenzione di Bush, per giustificare la guerra in Iraq? Se Bin Laden si trovasse sotto la protezione degli americani?
Se le Torri gemelle non ci fossero mai state? Se l'abbattimento delle due Torri fosse un'invenzione cinematografica?
Se l'uomo non fosse veramente mai andato sulla luna? E lo sbarco fosse stato un montaggio televisivo?
Se l'olocausto degli ebrei non ci fosse mai stato? Se fosse un'invenzione di alcuni storici, per incastrare Hitler?
La guerra in Iraq è stata imbastita da Bush, costruita su due menzogne colossali: 1) Il possesso di armi di distruzioni di massa da parte di Saddam Hussein, 2) Il legame tra Saddam e Bin Laden. In un rapporto i servizi di intelligence americani hanno affermato: «Saddam Hussein non solo rifiutò di aiutare Bin Laden, ma si attivò immediatamente per bloccare infiltrazioni di Al Qaeda in Iraq».
Il senatore democratico John Rockfeller ha affermato: «Sembra paradossale ma ormai sono convinto che l'America e il mondo sarebbero più sicuri se Saddam fosse rimasto al suo posto».
La commissione Servizi del Senato americano, presieduta da Rockfeller, ha pubblicato il rapporto definitivo sulla mancanza di collegamenti fra l'Iraq e gli attacchi dell'11 settembre.
E se i Servizi americani sapessero dell'imminente attacco alle torri gemelle e non avessero fatto niente per impedirlo?
Michel Chertoff, capo della sicurezza nazionale americana, ha fatto sapere che vi sarà un nuovo attentato terroristico di grandi dimensioni: «La questione non è se accadrà, ma quando». Bella sicurezza!
Ma Bin Laden esiste? Fonti dell'antiterrorismo americano affermano: «Il commando speciale che ha il compito di catturare o uccidere il capo di Al Qaeda non riceve un indizio credibile da oltre due anni. Nessuna indicazione dalla vasta rete di intelligence, non una soffiata dagli informatori, tacciono i sofisticati sistemi di intercettazione elettronica e i satelliti spia. Non abbiamo più una pista». Ma Bin Laden viene veramente cercato?
Fra cinquant'anni vi saranno degli storici che negheranno che vi sono stati dei morti al ground zero. Come oggi negano che vi sia stato l'olacausto degli ebrei.
Ma i morti veri dell'una e dell'altra tragedia restano, nessuno li farà resuscitare.
La storia è menzogna o mentono gli storici?
Se le Torri gemelle non ci fossero mai state? Se l'abbattimento delle due Torri fosse un'invenzione cinematografica?
Se l'uomo non fosse veramente mai andato sulla luna? E lo sbarco fosse stato un montaggio televisivo?
Se l'olocausto degli ebrei non ci fosse mai stato? Se fosse un'invenzione di alcuni storici, per incastrare Hitler?
La guerra in Iraq è stata imbastita da Bush, costruita su due menzogne colossali: 1) Il possesso di armi di distruzioni di massa da parte di Saddam Hussein, 2) Il legame tra Saddam e Bin Laden. In un rapporto i servizi di intelligence americani hanno affermato: «Saddam Hussein non solo rifiutò di aiutare Bin Laden, ma si attivò immediatamente per bloccare infiltrazioni di Al Qaeda in Iraq».
Il senatore democratico John Rockfeller ha affermato: «Sembra paradossale ma ormai sono convinto che l'America e il mondo sarebbero più sicuri se Saddam fosse rimasto al suo posto».
La commissione Servizi del Senato americano, presieduta da Rockfeller, ha pubblicato il rapporto definitivo sulla mancanza di collegamenti fra l'Iraq e gli attacchi dell'11 settembre.
E se i Servizi americani sapessero dell'imminente attacco alle torri gemelle e non avessero fatto niente per impedirlo?
Michel Chertoff, capo della sicurezza nazionale americana, ha fatto sapere che vi sarà un nuovo attentato terroristico di grandi dimensioni: «La questione non è se accadrà, ma quando». Bella sicurezza!
Ma Bin Laden esiste? Fonti dell'antiterrorismo americano affermano: «Il commando speciale che ha il compito di catturare o uccidere il capo di Al Qaeda non riceve un indizio credibile da oltre due anni. Nessuna indicazione dalla vasta rete di intelligence, non una soffiata dagli informatori, tacciono i sofisticati sistemi di intercettazione elettronica e i satelliti spia. Non abbiamo più una pista». Ma Bin Laden viene veramente cercato?
Fra cinquant'anni vi saranno degli storici che negheranno che vi sono stati dei morti al ground zero. Come oggi negano che vi sia stato l'olacausto degli ebrei.
Ma i morti veri dell'una e dell'altra tragedia restano, nessuno li farà resuscitare.
La storia è menzogna o mentono gli storici?
10 settembre 2006
E' finita la mostra del cinema di Venezia
Lo confesso, un po' mi è mancata la 63^ Mostra del cinema di Venezia. Ho rimpianto un po' le file dello scorso anno per entrare nelle sale. Non mi sarebbe dispiaciuto vedere, come lo scorso anno, quaranta film in dieci giorni.
Per non soffrire molto non ho voluto leggere sui giornali o vedere in tv nulla sulla Mostra. Ho fatto finta che non esistesse.
Ma ora è finita. Ed allora mi appunto i titoli di tutti i film premiati, per tentare di vederli nelle sale, quelli che arriveranno.
Non potendo entrare nel merito dei film, faccio qualche considerazione su qualcosa che ho letto sui giornali di oggi, a mostra finita.
r.b. (sono le mie iniziali, ma purtroppo non sono io) ha scritto che i premi assegnati quest'anno «sono segnali di una voglia di cinema impegnato, che parli di malesseri contemporanei, del disagio dei molti piuttosto che dell'opulenza dei pochi». La giuria ha dimostrato apprezzabile coraggio.
Un premio fuori ordinanza è stato assegnato dall'U.A.A.R. (Unione atei e agnostici razionalisti, che ha nel comitato promotore anche Sergio Staino) per «un film che evidenzi i valori del laicismo». La giuria ha assegnato il globo d'oro al film Azul oscuro, casi negro (Blu scuro, quasi nero) del regista spagnolo Daniel Sanchez Arevalo, con questa motivazione: «Mostra con realismo e umorismo come la vita, i sentimenti, i desideri siano troppo complessi per essere ingabbiati nell'asfittico modello della "famiglia naturale" cara alle religioni».
Nelle giornate veneziane del cinema è stato rilanciato il Festival di Beirut (Beirut International Film Festival) per un dialogo tra le culture e a sostegno della Cineteca libanese. La 7° edizione del Festival di Beirut avrà luogo dal 4 all'11 ottobre 2006, dopo un’interruzione di tre anni, nonostante la drammatica situazione della città e del Libano. Colette Naufal, dal 1997 Direttore del Beirut International Film Festival, e fondatrice della Beirut Film Foundation nel 2003, ha annunciato che «componenti della comunità internazionale del cinema si stanno accordando per firmare una dichiarazione di solidarietà verso la prossima edizione del Beirut International Film Festival. La dichiarazione segnerà il lancio della campagna di pace MakeFilmsNotWar, che dopo Venezia continuerà a promuovere il dialogo nel mondo e il rispetto dei diritti umani, invece dell’odio, dell’oppressione e della guerra».
Ed ora dal 13 ottobre comincia la Festa del cinema di Roma. Quasi una sfida a Venezia.
Veltroni ha detto che il suo sarà un festival cittadino con una giuria composta da gente comune che va al cinema ed avrà un approccio più popolare contro la tradizionale appariscente mondanità di Venezia.
Per non soffrire molto non ho voluto leggere sui giornali o vedere in tv nulla sulla Mostra. Ho fatto finta che non esistesse.
Ma ora è finita. Ed allora mi appunto i titoli di tutti i film premiati, per tentare di vederli nelle sale, quelli che arriveranno.
Non potendo entrare nel merito dei film, faccio qualche considerazione su qualcosa che ho letto sui giornali di oggi, a mostra finita.
r.b. (sono le mie iniziali, ma purtroppo non sono io) ha scritto che i premi assegnati quest'anno «sono segnali di una voglia di cinema impegnato, che parli di malesseri contemporanei, del disagio dei molti piuttosto che dell'opulenza dei pochi». La giuria ha dimostrato apprezzabile coraggio.
Un premio fuori ordinanza è stato assegnato dall'U.A.A.R. (Unione atei e agnostici razionalisti, che ha nel comitato promotore anche Sergio Staino) per «un film che evidenzi i valori del laicismo». La giuria ha assegnato il globo d'oro al film Azul oscuro, casi negro (Blu scuro, quasi nero) del regista spagnolo Daniel Sanchez Arevalo, con questa motivazione: «Mostra con realismo e umorismo come la vita, i sentimenti, i desideri siano troppo complessi per essere ingabbiati nell'asfittico modello della "famiglia naturale" cara alle religioni».
Nelle giornate veneziane del cinema è stato rilanciato il Festival di Beirut (Beirut International Film Festival) per un dialogo tra le culture e a sostegno della Cineteca libanese. La 7° edizione del Festival di Beirut avrà luogo dal 4 all'11 ottobre 2006, dopo un’interruzione di tre anni, nonostante la drammatica situazione della città e del Libano. Colette Naufal, dal 1997 Direttore del Beirut International Film Festival, e fondatrice della Beirut Film Foundation nel 2003, ha annunciato che «componenti della comunità internazionale del cinema si stanno accordando per firmare una dichiarazione di solidarietà verso la prossima edizione del Beirut International Film Festival. La dichiarazione segnerà il lancio della campagna di pace MakeFilmsNotWar, che dopo Venezia continuerà a promuovere il dialogo nel mondo e il rispetto dei diritti umani, invece dell’odio, dell’oppressione e della guerra».
Ed ora dal 13 ottobre comincia la Festa del cinema di Roma. Quasi una sfida a Venezia.
Veltroni ha detto che il suo sarà un festival cittadino con una giuria composta da gente comune che va al cinema ed avrà un approccio più popolare contro la tradizionale appariscente mondanità di Venezia.
9 settembre 2006
Moana Pozzi pensiero 10°: la morte
Sul muro di fronte al Blue Moon di Roma, uno dei locali dove si esibiscono le pornostar, c'era una scritta: «MOANA E' VIVA». Gli imbianchini, anni dopo la sua scomparsa, non avevano osato toccarla. A tutti noi piace credere che Moana sia ancora viva. Fuggita chissà dove. Alcuni testimoniano e giurano di averla vista ancora viva, dopo il 15 settembre 1994, data ufficializzata per la sua morte.
La morte. E' un'ossessione, l'idea di un coma mi terrorizza. Non tenterei mai il suicidio, neppure per un grande amore.
La vecchiaia non ha nulla di poetico: la temo, come temo la morte. E allora non ci penso: continuerò a recitare fino a quando la bellezza me lo permetterà. Poi farò qualcos'altro.
Penso alla vecchiaia con orrore e non riesco a trovarci nessun aspetto piacevole o costruttivo. Le uniche cose che mi fa venire in mente sono il decadimento fisico e la morte.
L'Aids? E chi non la teme? Ma non temo meno un incidente stradale, una rapina a mano armata, un ictus, un infarto. un cancro.
Non mi sento una peccatrice per quello che faccio, anche se riconosco che una volta, quando stavo per morire in un incidente, ho pensato a Dio. Ma forse è stata l'educazione cattolica che ho ricevuto.
Vorrei morire soffrendo il meno possibile. Come cristiana, dico che non ho paura, ma la morte è un passaggio troppo sconvolgente per non fare paura.
La vera infelicità? La vita che finisce.
Credo nella vita dopo la morte e immagino il Paradiso come un posto in campagna con tanti alberi, pieno di tutto quello che abbiamo amato sulla terra.
Morire non mi fa paura, temo solo la sofferenza fisica. Quando succederà desidero essere cremata, non voglio il funerale, lapidi e fotografie. Le mie ceneri dovranno essere sparse nel mare.
Vorrei sognare l'eternità, deve essere molto bello.
[Marco Giusti, Moana, Mondadori, 2005, pp. 190, € 15,00]
Miei precedenti post su Moana
Moana Pozzi
Via Moana Pozzi - Cronache dal congresso radicale
Satira dissacrante
Moana Pozzi pornostar e spia
Moana tutta la verità - Libro
Moana Pozzi pensiero 1°: Chi sono
Moana Pozzi pensiero 2°: la giovinezza
Moana Pozzi pensiero 3°: la filosofia (collezionare vip)
Moana Pozzi pensiero 4°: educazione e sesso
Moana Pozzi pensiero 5°: sesso e pornografia
Moana Pozzi pensiero 6°: la solitudine
Moana Pozzi pensiero 7°: il corpo
Moana Pozzi pensiero 8°: la casa e i vestiti
Moana Pozzi pensiero 9°: il cinema
La morte. E' un'ossessione, l'idea di un coma mi terrorizza. Non tenterei mai il suicidio, neppure per un grande amore.
La vecchiaia non ha nulla di poetico: la temo, come temo la morte. E allora non ci penso: continuerò a recitare fino a quando la bellezza me lo permetterà. Poi farò qualcos'altro.
Penso alla vecchiaia con orrore e non riesco a trovarci nessun aspetto piacevole o costruttivo. Le uniche cose che mi fa venire in mente sono il decadimento fisico e la morte.
L'Aids? E chi non la teme? Ma non temo meno un incidente stradale, una rapina a mano armata, un ictus, un infarto. un cancro.
Non mi sento una peccatrice per quello che faccio, anche se riconosco che una volta, quando stavo per morire in un incidente, ho pensato a Dio. Ma forse è stata l'educazione cattolica che ho ricevuto.
Vorrei morire soffrendo il meno possibile. Come cristiana, dico che non ho paura, ma la morte è un passaggio troppo sconvolgente per non fare paura.
La vera infelicità? La vita che finisce.
Credo nella vita dopo la morte e immagino il Paradiso come un posto in campagna con tanti alberi, pieno di tutto quello che abbiamo amato sulla terra.
Morire non mi fa paura, temo solo la sofferenza fisica. Quando succederà desidero essere cremata, non voglio il funerale, lapidi e fotografie. Le mie ceneri dovranno essere sparse nel mare.
Vorrei sognare l'eternità, deve essere molto bello.
[Marco Giusti, Moana, Mondadori, 2005, pp. 190, € 15,00]
Miei precedenti post su Moana
Moana Pozzi
Via Moana Pozzi - Cronache dal congresso radicale
Satira dissacrante
Moana Pozzi pornostar e spia
Moana tutta la verità - Libro
Moana Pozzi pensiero 1°: Chi sono
Moana Pozzi pensiero 2°: la giovinezza
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Moana Pozzi pensiero 4°: educazione e sesso
Moana Pozzi pensiero 5°: sesso e pornografia
Moana Pozzi pensiero 6°: la solitudine
Moana Pozzi pensiero 7°: il corpo
Moana Pozzi pensiero 8°: la casa e i vestiti
Moana Pozzi pensiero 9°: il cinema
8 settembre 2006
Rai: siamo troppo buoni
Sarà divertente sentire in televisione Michele Santoro chiedere a Berlusconi: «Signor Berlusconi, perché cinque anni fa mi hai chiuso in una stanza buia e triste, insieme a Biagi e Luttazzi, ed hai buttato via la chiave?».
Questa è la domanda che Santoro vorrebbe fare a Berlusconi, nella prima puntata del suo nuovo programma Anno Zero. Santoro infatti ha detto che nonostante tutto lo inviterà. Vorrebbe così consumare a freddo la sua vendetta. Ma io penso che Berlusconi non accetterà. Non è fesso fino a questo punto. Ma non si mai. Talvolta ha la faccia peggio del culo. Staremo a vedere.
Cose turche (per modo di dire, non si offendano i turchi veri) stanno avvenendo in questi giorni alla Rai. Nel consiglio di amministrazione vi è ancora una maggioranza di destra. In pratica comanda ancora Berlusconi, che sta imponendo di resistere, di non cambiare niente. Deve far passare la sua guerra contro la politica del governo Prodi, contro la finanziaria, contro l'ipotetica legge sul conflitto d'interessi.
Ma perché in Rai deve ancora comandare Berlusconi? Quando al governo stava lui ha cacciato tutti quelli che non la pensavano come lui. Secondo lui, era un suo diritto. Ora che al governo non sta più lui, noi vogliamo essere democratici. Ma io credo che essere troppo buoni significa essere fessi.
Ed i suoi scherani in Rai non perdono l'arroganza. Clemente Mimun (ma è un nome d'arte?) dichiara spocchiosamente: «La mia faziosità è stata irrilevante se paragonata a quella del tg3». E nessuno gli sputa in faccia. Siamo troppo buoni. E si permette di insultare, con la forza che gli proviene dall'avere alle spalle il padrone: «E chi stabilisce cosa è la qualità? Furio Colombo, o il mago Otelma?».
Di persone simili non ne abbiamo bisogno. Cacciamole tutte. Per ripristinare la democrazia. Via veline e velinari dalla Rai (veline in senso giornalistico).
E non mi venite a dire che quando ragiono così, ragiono come Berlusconi. Anche la democrazia ha i suoi limiti invalicabili.
Questa è la domanda che Santoro vorrebbe fare a Berlusconi, nella prima puntata del suo nuovo programma Anno Zero. Santoro infatti ha detto che nonostante tutto lo inviterà. Vorrebbe così consumare a freddo la sua vendetta. Ma io penso che Berlusconi non accetterà. Non è fesso fino a questo punto. Ma non si mai. Talvolta ha la faccia peggio del culo. Staremo a vedere.
Cose turche (per modo di dire, non si offendano i turchi veri) stanno avvenendo in questi giorni alla Rai. Nel consiglio di amministrazione vi è ancora una maggioranza di destra. In pratica comanda ancora Berlusconi, che sta imponendo di resistere, di non cambiare niente. Deve far passare la sua guerra contro la politica del governo Prodi, contro la finanziaria, contro l'ipotetica legge sul conflitto d'interessi.
Ma perché in Rai deve ancora comandare Berlusconi? Quando al governo stava lui ha cacciato tutti quelli che non la pensavano come lui. Secondo lui, era un suo diritto. Ora che al governo non sta più lui, noi vogliamo essere democratici. Ma io credo che essere troppo buoni significa essere fessi.
Ed i suoi scherani in Rai non perdono l'arroganza. Clemente Mimun (ma è un nome d'arte?) dichiara spocchiosamente: «La mia faziosità è stata irrilevante se paragonata a quella del tg3». E nessuno gli sputa in faccia. Siamo troppo buoni. E si permette di insultare, con la forza che gli proviene dall'avere alle spalle il padrone: «E chi stabilisce cosa è la qualità? Furio Colombo, o il mago Otelma?».
Di persone simili non ne abbiamo bisogno. Cacciamole tutte. Per ripristinare la democrazia. Via veline e velinari dalla Rai (veline in senso giornalistico).
E non mi venite a dire che quando ragiono così, ragiono come Berlusconi. Anche la democrazia ha i suoi limiti invalicabili.
7 settembre 2006
Follini verso il centrosinistra
La stalla è aperta: i buoi scappano.
Il cavaliere/bovaro sta ormai perdendo il controllo della situazione. Dalla Casa delle libertà (non ho mai capito cosa significhi questa espressione) qualcuno comincia ad andare verso la libertà.
Pier Ferdinando Casini, ieri alla festa de l'Unità di Pesaro, ha detto: «Non accetto l'idea che il centrodestra viva e muoia con Berlusconi. Se tra cinque anni ci ripresentiamo con Berlusconi è sicuro che perdiamo». Berlusconi addio.
Marco Follini, il più recalcitrante di tutti e da molto tempo, continua a sparare cannonate contro gli altri appartenenti a quella che era la sua coalizione: «Io credo che dietro l'afonia della casa delle libertà ci sia un fatto nudo e crudo: che la casa delle libertà non esiste più. Una coalizione che comincia con Alessandra Mussolini e finisce con Bruno Tabacci è stata un'anomalia che solo la forte leadership di Berlusconi ha consentito di realizzare. Non so se oggi quella leadership esiste ancora. Di certo quella anomalia non può esistere più». Berlusconi addio.
In una lettera al Corriere della Sera Follini scrive che il bipolarismo avrebbe avuto bisogno di una declinazione più rigorosa, come avviene appunto negli altri paesi europei. Noi l'abbiamo ridotto a un caravanserraglio, anzi a due [centrodestra e centrosinistra]. È ovvio che il caravanserraglio che ha vinto governa (non proprio splendidamente), e quello che ha perso un po' si dispera e un po' sta zitto. Ma per ritrovare la parola occorre cambiare strada. C'è bisogno di opposizione? Certo. Ma c'è anche bisogno di un po' di opposizione a questa casa delle libertà ormai diroccata. Berlusconi addio.
Mentra Casini per impallinare Berlusconi aveva scelto la festa dei Ds a Pesaro, Follini sparava i suoi pallettoni dalla festa della Margherita a Caorle. «Anch'io non voglio morire berlusconiano - ha detto - Credo che esista un grande spazio al centro per non morire né berlusconiani né socialdemocratici. Ma per coltivare quello spazio occorre saper vivere di vita propria». Berlusconi addio.
«Se l'Udc dichiarerà la fine della Casa delle libertà, sarò con l'Udc; se l'Udc resterà nella Cdl, potrà farlo anche senza di me», ha sparato con chiarezza Follini. Casini addio.
E' un'altra tappa di avvicinamento di Follini al centrosinistra? Io credo di sì, anche se lui lo nega. Credo che sia abbastanza intelligente per non credere veramente che sia possibile in Italia ricostruire il grande centro. La democraziacristiana è morta e sepolta per sempre.
Il cavaliere/bovaro sta ormai perdendo il controllo della situazione. Dalla Casa delle libertà (non ho mai capito cosa significhi questa espressione) qualcuno comincia ad andare verso la libertà.
Pier Ferdinando Casini, ieri alla festa de l'Unità di Pesaro, ha detto: «Non accetto l'idea che il centrodestra viva e muoia con Berlusconi. Se tra cinque anni ci ripresentiamo con Berlusconi è sicuro che perdiamo». Berlusconi addio.
Marco Follini, il più recalcitrante di tutti e da molto tempo, continua a sparare cannonate contro gli altri appartenenti a quella che era la sua coalizione: «Io credo che dietro l'afonia della casa delle libertà ci sia un fatto nudo e crudo: che la casa delle libertà non esiste più. Una coalizione che comincia con Alessandra Mussolini e finisce con Bruno Tabacci è stata un'anomalia che solo la forte leadership di Berlusconi ha consentito di realizzare. Non so se oggi quella leadership esiste ancora. Di certo quella anomalia non può esistere più». Berlusconi addio.
In una lettera al Corriere della Sera Follini scrive che il bipolarismo avrebbe avuto bisogno di una declinazione più rigorosa, come avviene appunto negli altri paesi europei. Noi l'abbiamo ridotto a un caravanserraglio, anzi a due [centrodestra e centrosinistra]. È ovvio che il caravanserraglio che ha vinto governa (non proprio splendidamente), e quello che ha perso un po' si dispera e un po' sta zitto. Ma per ritrovare la parola occorre cambiare strada. C'è bisogno di opposizione? Certo. Ma c'è anche bisogno di un po' di opposizione a questa casa delle libertà ormai diroccata. Berlusconi addio.
Mentra Casini per impallinare Berlusconi aveva scelto la festa dei Ds a Pesaro, Follini sparava i suoi pallettoni dalla festa della Margherita a Caorle. «Anch'io non voglio morire berlusconiano - ha detto - Credo che esista un grande spazio al centro per non morire né berlusconiani né socialdemocratici. Ma per coltivare quello spazio occorre saper vivere di vita propria». Berlusconi addio.
«Se l'Udc dichiarerà la fine della Casa delle libertà, sarò con l'Udc; se l'Udc resterà nella Cdl, potrà farlo anche senza di me», ha sparato con chiarezza Follini. Casini addio.
E' un'altra tappa di avvicinamento di Follini al centrosinistra? Io credo di sì, anche se lui lo nega. Credo che sia abbastanza intelligente per non credere veramente che sia possibile in Italia ricostruire il grande centro. La democraziacristiana è morta e sepolta per sempre.
6 settembre 2006
Berlusconi ha perso la voce
Dopo la terza buca che riceve, si spera che Rutelli si rassegni. Berlusconi non vuol proprio parlare con lui. Ma questa terza volta non è tanto chiaro chi è il gatto e chi è il topo.
E' certo però che Berlusconi da quando ha perso il potere ha perso pure la voce. E' caduto in depressione. E per uscirne si è ritirato in Sardegna, come Napoleone a Sant'Elena, a meditare una ormai improbabile rivincita.
Ed intanto si consola abbracciando veline, facendo eruttare vulcani finti, cantando con Apicella, mascherandosi da carnevale.
Il potere logora chi non ce l'ha, diceva quel vecchio volpone di Andreotti. Niente potere, niente parole.
«Il dibattito proprio no», diceva l'acerrimo nemico regista del Caimano, Nanni Moretti. Il rischio di buscarle è troppo grosso. Allora è meglio lasciare la sedia vuota. In certi casi ci si fa notare di più non essendoci che essendoci. Meglio meditare che essere sconfitto.
Ed allora è facile perdere la voce, diventare afoni. «Lo stress da fine del potere fa crollare il sistema immunitario», ha sentenziato Giuseppe Fioroni.
E poi la sfida fra capocomici, tra lui e Benigni, a due feste della sinistra, era persa in partenza. Non c'era partita. Tanto valeva inventarsi una tracheite.
Non ci si poteva fidare nemmeno delle ferree regole d'ingaggio che erano state pattuite con Rutelli.
E Mentana si è presa una pizzicata: «Guardate che la tracheite è un disturbo molto serio per un cantante».
Ma la migliore battuta l'ha fatta Antonio Socci su Libero, descrivendo Berlusconi sul «caviale del tramonto».
I ragazzi margheritini possono ammainare lo striscione: «Silvio, quando arrivano le ragazze?». Sarà per un'altra volta. Forse mai.
E' certo però che Berlusconi da quando ha perso il potere ha perso pure la voce. E' caduto in depressione. E per uscirne si è ritirato in Sardegna, come Napoleone a Sant'Elena, a meditare una ormai improbabile rivincita.
Ed intanto si consola abbracciando veline, facendo eruttare vulcani finti, cantando con Apicella, mascherandosi da carnevale.
Il potere logora chi non ce l'ha, diceva quel vecchio volpone di Andreotti. Niente potere, niente parole.
«Il dibattito proprio no», diceva l'acerrimo nemico regista del Caimano, Nanni Moretti. Il rischio di buscarle è troppo grosso. Allora è meglio lasciare la sedia vuota. In certi casi ci si fa notare di più non essendoci che essendoci. Meglio meditare che essere sconfitto.
Ed allora è facile perdere la voce, diventare afoni. «Lo stress da fine del potere fa crollare il sistema immunitario», ha sentenziato Giuseppe Fioroni.
E poi la sfida fra capocomici, tra lui e Benigni, a due feste della sinistra, era persa in partenza. Non c'era partita. Tanto valeva inventarsi una tracheite.
Non ci si poteva fidare nemmeno delle ferree regole d'ingaggio che erano state pattuite con Rutelli.
E Mentana si è presa una pizzicata: «Guardate che la tracheite è un disturbo molto serio per un cantante».
Ma la migliore battuta l'ha fatta Antonio Socci su Libero, descrivendo Berlusconi sul «caviale del tramonto».
I ragazzi margheritini possono ammainare lo striscione: «Silvio, quando arrivano le ragazze?». Sarà per un'altra volta. Forse mai.
5 settembre 2006
I comici: Benigni e Berlusconi
Questa sera avrei voluto trovarmi a Pesaro per partecipare allo spettacolo di Roberto Benigni, nell'ambito della Festa de l'Unità. Pare che Benigni abbia personalmente invitato Berlusconi a prendere parte allo spettacolo. Sarebbe stata la consacrazione di Berlusconi come comico. Avrebbero dato vita ad un duo eccezionale. Quasi uno Stanlio e Ollio dell'epoca odierna. Il duo Be.Be.
Benigni ha scelto di recitare il quinto canto dell'Inferno, quello di Paolo e Francesca. Benigni sarebbe stato Paolo e Berlusconi Francesca. Sarebbe stato comico e divertente sentire Berlusconi/Francesca recitare: «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria». E Benigni/Paolo a consolarlo.
Ma pare che Berlusconi abbia sbagliato festa e sia andato alla Festa della Margherita di Rutelli a Caorle. Si sarebbe accontentato di Apicella e avrebbe rappresentato la parte di se stesso. Ed il pubblico si sarebbe scompisciato dalle risate. Pochi intimi per Berlusconi contro i 30 mila di Benigni.
I margheritini non hanno apprezzato tanto. Non hanno gradito un comico sul viale del tramonto. E per farli consolare Rutelli darà al suo pubblico Bruno Vespa.
Ed intanto il consigliere Ferrara sta tentando di convincere re Berlusconi ad abbandonare le scene. Meglio cadere in piedi. Prima di diventare un teschio sbranato dal conte Ugolino.
Ma il confessore Baget Bozzo la pensa diversamente. «Non ci sono alternative alla sua leadership». Berlusconi è condannato a restare a guidare il suo popolo. «Solo Silvio può parlare al nostro popolo». Dopo di lui il diluvio.
Io invece, più modestamente, ma forse è solo un pio desiderio, credo che ormai Berlusconi sia finito. E cadde come corpo morto cade. Amen.
Benigni ha scelto di recitare il quinto canto dell'Inferno, quello di Paolo e Francesca. Benigni sarebbe stato Paolo e Berlusconi Francesca. Sarebbe stato comico e divertente sentire Berlusconi/Francesca recitare: «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria». E Benigni/Paolo a consolarlo.
Ma pare che Berlusconi abbia sbagliato festa e sia andato alla Festa della Margherita di Rutelli a Caorle. Si sarebbe accontentato di Apicella e avrebbe rappresentato la parte di se stesso. Ed il pubblico si sarebbe scompisciato dalle risate. Pochi intimi per Berlusconi contro i 30 mila di Benigni.
I margheritini non hanno apprezzato tanto. Non hanno gradito un comico sul viale del tramonto. E per farli consolare Rutelli darà al suo pubblico Bruno Vespa.
Ed intanto il consigliere Ferrara sta tentando di convincere re Berlusconi ad abbandonare le scene. Meglio cadere in piedi. Prima di diventare un teschio sbranato dal conte Ugolino.
Ma il confessore Baget Bozzo la pensa diversamente. «Non ci sono alternative alla sua leadership». Berlusconi è condannato a restare a guidare il suo popolo. «Solo Silvio può parlare al nostro popolo». Dopo di lui il diluvio.
Io invece, più modestamente, ma forse è solo un pio desiderio, credo che ormai Berlusconi sia finito. E cadde come corpo morto cade. Amen.
4 settembre 2006
Disarcioniamo il cavaliere
Non riesco a capire se quelli della mia aerea politica i quali dicono che la legge, da farsi, sul conflitto d'interessi non riguarda Silvio Berlusconi, siano degli smemorati cacasotto o dei melliflui furbastri. E chi dovrebbe riguardare: mia nonna in carriola?
Il conflitto d'interessi di Berlusconi è grande quanto l'Italia e forse di più.. Da solo possiede un partito, tre reti televisioni, grandi giornali, grandi case editrici. Si trova al quattordicesimo posto fra i più ricchi del mondo.
L'Italia è l'unico paese democratico del mondo che consente ad uno come lui di diventare presidente del consiglio.
Lui rappresenta, come dice Furio Colombo, il più vistoso simbolo al mondo di violazione delle regole democratiche attraverso l'esercizio continuato del più grande conflitto di interessi che si sia mai verificato in una democrazia.
Se il centrosinistra, che ho contribuito a far vincere con il mio voto, non fa subito una seria legge sul conflitto d'interesse "contro Berlusconi", non merita più la mia fiducia. Tutte le promesse fatte in campagna elettorale sarebbero chiacchiere.
Non riesco a capire cosa va cianciando Clemente Mastella quando dice che è intempestivo e sbagliatissimo affrontare ora il problema del conflitto di interessi. Cosa dobbiamo aspettare? Che lo prendiamo per altri cinque anni nel .... di dietro? Non ci sono bastati i cinque anni passati?
E' ora di dichiarare incandidabile chi possiede, direttamente o indirettamente, quasi tutti i mezzi di informazione in Italia. In nessun paese democratico si può essere monopolisti televisivi e stare al vertice del sistema politico, ha detto giustamente Francesco Pardi.
O dobbiamo mettere il cavaliere al posto del bambinello nel presepe della politica italiana, per farci apprezzare dal centrodestra nella speranza di niente , come ha scritto Padellaro?
E' ora di smetterla di continuare a temere il cavaliere. Disarcioniamolo.
Il conflitto d'interessi di Berlusconi è grande quanto l'Italia e forse di più.. Da solo possiede un partito, tre reti televisioni, grandi giornali, grandi case editrici. Si trova al quattordicesimo posto fra i più ricchi del mondo.
L'Italia è l'unico paese democratico del mondo che consente ad uno come lui di diventare presidente del consiglio.
Lui rappresenta, come dice Furio Colombo, il più vistoso simbolo al mondo di violazione delle regole democratiche attraverso l'esercizio continuato del più grande conflitto di interessi che si sia mai verificato in una democrazia.
Se il centrosinistra, che ho contribuito a far vincere con il mio voto, non fa subito una seria legge sul conflitto d'interesse "contro Berlusconi", non merita più la mia fiducia. Tutte le promesse fatte in campagna elettorale sarebbero chiacchiere.
Non riesco a capire cosa va cianciando Clemente Mastella quando dice che è intempestivo e sbagliatissimo affrontare ora il problema del conflitto di interessi. Cosa dobbiamo aspettare? Che lo prendiamo per altri cinque anni nel .... di dietro? Non ci sono bastati i cinque anni passati?
E' ora di dichiarare incandidabile chi possiede, direttamente o indirettamente, quasi tutti i mezzi di informazione in Italia. In nessun paese democratico si può essere monopolisti televisivi e stare al vertice del sistema politico, ha detto giustamente Francesco Pardi.
O dobbiamo mettere il cavaliere al posto del bambinello nel presepe della politica italiana, per farci apprezzare dal centrodestra nella speranza di niente , come ha scritto Padellaro?
E' ora di smetterla di continuare a temere il cavaliere. Disarcioniamolo.
3 settembre 2006
Moana Pozzi pensiero 9°: il cinema
Moana inizia la sua carriera di attrice cinematografica in piccoli ruoli di bionda provocante: Borotalco di Carlo Verdone, Dagobert di Dino Risi, Ginger e fred di Federico Fellini. Piccoli ruoli senza importanza.
Ma passa abbastanza presto al porno, nella scuderia di Riccardo Schicchi
Poi arrivano i film dei «siciliani», prodotti dalla Jolly Film di Palermo. Sono i siciliani che la portano a girare film in America, con Gerard Damiano.
In seguito arrivano le produzioni di Nicolino Matera, specialista di porno all'ingrosso. Decine di film senza trama che la vedono macchina di sesso senza senso.
3 giugno 1982: oggi ho fatto l'ennesimo provino. Se a venticinque anni non sono riuscita a diventare famosa, cambio lavoro.
Non mi posso definire una vera attrice perché amo interpretare quasi esclusivamente me stessa e la decisione un po' pazza di diventare una pornodiva è nata dal preciso desiderio di fare qualcosa nello spettacolo di poco tradizionale e scioccante.
Appena arrivata a Roma, per guadagnare qualcosa risposi a delle inserzioni sul Messaggero: «Cercasi modella per pittore». Iniziai a posare nuda per aspiranti artisti e mi ritrovai nelle case di vecchi che volevano semplicemente fare i guardoni e negli studi di chi pensava di fare sul serio. Mi davano diecimila lire all'ora.
Poi mi iscrissi alla scuola di teatro Fersen a Roma, una scuola molto seria che ho frequentato per tre anni.
Dopo un anno di comparsate in varie commedie all'italiana e di innumerevoli provini mi proposero di girare un film porno e accettai con curiosità.
Fu facile e divertente, lavorai senza vergogna e senza preoccupazione, mi sembrava naturale fare delle scene di sesso «sul serio».
Feci l'amore con quattro uomini. Mi ricordo che uno di loro mi eccitava molto, si chiamava Marco e durante le pause della lavorazione mi scopava in un bagno appoggiata a un lavandino...
Il primo film hard che ho fatto invece è stato Valentina, ragazza in calore del 1981, poi mi sono affermata definitivamente con Fantastica Moana. Ho partecipato complessivamente a venticinque film tra porno e non.
Mi piacerebbe, come no, lavorare con Win Wenders o Pedro Almodòvar. Per arricchirmi e per crescere, ma non per redimermi. Non voglio cambiare. La vita che ho scelto è questa.
I miei genitori volevano fare di me una ragazza tanto per benino. Li avevo delusi.
L'hard mi diverte. Il porno per me non è una sofferenza. Tanto, se uno non mi piace, non ci lavoro.
Gli attori porno sono una massa di disperati. I film a luce rosse al novantanove per cento sono una realtà squallida.
Comunque, anche i film porno piacciono a tanta gente, gente importante.
In un film porno l'interprete deve metterci l'anima, solo così ne può scaturire un personaggio con un'anima.
Non considero la pornografia e le altre forme espressive incompatibili. Si possono fare film porno, film normali, televisione, teatro e altre cose.
Io mi vanto di non essere mai dovuta andare a letto con nessuno per avere una parte.
Mi piacerebbe fare i film seri, diventare famosa nel grande cinema. Io sono convinta che, prima o poi, arriverà anche per me l'occasione giusta.
[Marco Giusti, Moana, Mondadori, 2005, pp. 190, € 15,00]
Miei precedenti post su Moana
Moana Pozzi
Via Moana Pozzi - Cronache dal congresso radicale
Satira dissacrante
Moana Pozzi pornostar e spia
Moana tutta la verità - Libro
Moana Pozzi pensiero 1°: Chi sono
Moana Pozzi pensiero 2°: la giovinezza
Moana Pozzi pensiero 3°: la filosofia (collezionare vip)
Moana Pozzi pensiero 4°: educazione e sesso
Moana Pozzi pensiero 5°: sesso e pornografia
Moana Pozzi pensiero 6°: la solitudine
Moana Pozzi pensiero 7°: il corpo
Moana Pozzi pensiero 8°: la casa e i vestiti
Ma passa abbastanza presto al porno, nella scuderia di Riccardo Schicchi
Poi arrivano i film dei «siciliani», prodotti dalla Jolly Film di Palermo. Sono i siciliani che la portano a girare film in America, con Gerard Damiano.
In seguito arrivano le produzioni di Nicolino Matera, specialista di porno all'ingrosso. Decine di film senza trama che la vedono macchina di sesso senza senso.
3 giugno 1982: oggi ho fatto l'ennesimo provino. Se a venticinque anni non sono riuscita a diventare famosa, cambio lavoro.
Non mi posso definire una vera attrice perché amo interpretare quasi esclusivamente me stessa e la decisione un po' pazza di diventare una pornodiva è nata dal preciso desiderio di fare qualcosa nello spettacolo di poco tradizionale e scioccante.
Appena arrivata a Roma, per guadagnare qualcosa risposi a delle inserzioni sul Messaggero: «Cercasi modella per pittore». Iniziai a posare nuda per aspiranti artisti e mi ritrovai nelle case di vecchi che volevano semplicemente fare i guardoni e negli studi di chi pensava di fare sul serio. Mi davano diecimila lire all'ora.
Poi mi iscrissi alla scuola di teatro Fersen a Roma, una scuola molto seria che ho frequentato per tre anni.
Dopo un anno di comparsate in varie commedie all'italiana e di innumerevoli provini mi proposero di girare un film porno e accettai con curiosità.
Fu facile e divertente, lavorai senza vergogna e senza preoccupazione, mi sembrava naturale fare delle scene di sesso «sul serio».
Feci l'amore con quattro uomini. Mi ricordo che uno di loro mi eccitava molto, si chiamava Marco e durante le pause della lavorazione mi scopava in un bagno appoggiata a un lavandino...
Il primo film hard che ho fatto invece è stato Valentina, ragazza in calore del 1981, poi mi sono affermata definitivamente con Fantastica Moana. Ho partecipato complessivamente a venticinque film tra porno e non.
Mi piacerebbe, come no, lavorare con Win Wenders o Pedro Almodòvar. Per arricchirmi e per crescere, ma non per redimermi. Non voglio cambiare. La vita che ho scelto è questa.
I miei genitori volevano fare di me una ragazza tanto per benino. Li avevo delusi.
L'hard mi diverte. Il porno per me non è una sofferenza. Tanto, se uno non mi piace, non ci lavoro.
Gli attori porno sono una massa di disperati. I film a luce rosse al novantanove per cento sono una realtà squallida.
Comunque, anche i film porno piacciono a tanta gente, gente importante.
In un film porno l'interprete deve metterci l'anima, solo così ne può scaturire un personaggio con un'anima.
Non considero la pornografia e le altre forme espressive incompatibili. Si possono fare film porno, film normali, televisione, teatro e altre cose.
Io mi vanto di non essere mai dovuta andare a letto con nessuno per avere una parte.
Mi piacerebbe fare i film seri, diventare famosa nel grande cinema. Io sono convinta che, prima o poi, arriverà anche per me l'occasione giusta.
[Marco Giusti, Moana, Mondadori, 2005, pp. 190, € 15,00]
Miei precedenti post su Moana
Moana Pozzi
Via Moana Pozzi - Cronache dal congresso radicale
Satira dissacrante
Moana Pozzi pornostar e spia
Moana tutta la verità - Libro
Moana Pozzi pensiero 1°: Chi sono
Moana Pozzi pensiero 2°: la giovinezza
Moana Pozzi pensiero 3°: la filosofia (collezionare vip)
Moana Pozzi pensiero 4°: educazione e sesso
Moana Pozzi pensiero 5°: sesso e pornografia
Moana Pozzi pensiero 6°: la solitudine
Moana Pozzi pensiero 7°: il corpo
Moana Pozzi pensiero 8°: la casa e i vestiti
1 settembre 2006
Berlusconi! Chi era costui?
Sembrano passati anni luce da quando un certo Berlusconi Silvio era presidente del consiglio italiano. Eppure sono passati solo pochi mesi. E' passato sul palcoscenico mondiale come una comparsa. Le uniche cose che si ricordano di lui sono le corna fatte in una foto di gruppo e qualche pietosa barzelletta.
E' stato cancellato dallo scenario mondiale. Se qualcuno lo ricorda ancora, lo fa negativamente. Qualcuno ha scritto che dopo di lui chiunque avrebbe fatto bella figura. Ma pare che Prodi e D'Alema abbiano qualche merito in più del semplice venire dopo di lui.
Lo storico americano James Miller, autore di vari libri sull'Italia moderna, ha scritto che il governo Prodi è stato una piacevole sorpresa per il Dipartimento di stato americano, abituato all'obbedienza senza condizioni di Silvio Berlusconi. In Italia, gli americani con Berlusconi avevano un seguace, con Prodi ora hanno un alleato.
I giornali americani hanno riconosciuto che l'Italia, con Prodi e D'Alema, facendo un passo indietro dal giuramento di fedeltà di Berlusconi a Washington ha allineato e avvicinato gli interessi europei e americani.
I giornali mondiali che contano hanno preso atto che l'Italia è tornata in seria A nello scacchiere mondiale. E dentro Forza Italia (mai altro partito in Italia ha avuto un nome più folcloristico) sono scoppiati i mal di pancia. Le dichiarazioni dei portavoce del capo di quel partito hanno sempre dato fastidio, ora fanno solo pena.
All'Italia comincia ad essere riconosciuto il ruolo di potenza globale, una potenza cioè che non si muove solo per tutelare i propri interessi nazionali ma agisce, come nel caso del conflitto israelo-palestinese, soprattutto per la pace. Lo ha detto l'ex ambasciatore italiano alle Nazioni Unite, Francesco Paolo Fulci.
L'Italia sta proponendo e sperimentando, per affrontare e risolvere i problemi mondiali, la via del multilateralisno, contro l'unilateralismo della gestione Bush.
Berlusconi è stato meno di un carneade.
E' stato cancellato dallo scenario mondiale. Se qualcuno lo ricorda ancora, lo fa negativamente. Qualcuno ha scritto che dopo di lui chiunque avrebbe fatto bella figura. Ma pare che Prodi e D'Alema abbiano qualche merito in più del semplice venire dopo di lui.
Lo storico americano James Miller, autore di vari libri sull'Italia moderna, ha scritto che il governo Prodi è stato una piacevole sorpresa per il Dipartimento di stato americano, abituato all'obbedienza senza condizioni di Silvio Berlusconi. In Italia, gli americani con Berlusconi avevano un seguace, con Prodi ora hanno un alleato.
I giornali americani hanno riconosciuto che l'Italia, con Prodi e D'Alema, facendo un passo indietro dal giuramento di fedeltà di Berlusconi a Washington ha allineato e avvicinato gli interessi europei e americani.
I giornali mondiali che contano hanno preso atto che l'Italia è tornata in seria A nello scacchiere mondiale. E dentro Forza Italia (mai altro partito in Italia ha avuto un nome più folcloristico) sono scoppiati i mal di pancia. Le dichiarazioni dei portavoce del capo di quel partito hanno sempre dato fastidio, ora fanno solo pena.
All'Italia comincia ad essere riconosciuto il ruolo di potenza globale, una potenza cioè che non si muove solo per tutelare i propri interessi nazionali ma agisce, come nel caso del conflitto israelo-palestinese, soprattutto per la pace. Lo ha detto l'ex ambasciatore italiano alle Nazioni Unite, Francesco Paolo Fulci.
L'Italia sta proponendo e sperimentando, per affrontare e risolvere i problemi mondiali, la via del multilateralisno, contro l'unilateralismo della gestione Bush.
Berlusconi è stato meno di un carneade.
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