Le
memorie di guerra di Ermenegildo Novelli furono pubblicate sul quotidiano
locale “La Patria del Friuli” di Udine negli anni 1910, 1911, 1912, con il
titolo Cinquant’anni dopo – Le memorie
del nonno, dedicate “al carissimo nipotino Mario Castagnoli”. Le puntate
furono ventiquattro, quanti sono i capitoli del libro; l’editore scrive però di
possedere manoscritti incompleti fino alla 28.ma puntata. Se la morte non
avesse colto l’autore nel novembre 1912 molto probabilmente i ricordi sarebbero
continuati.
Novelli nel 1859 si era arruolato come
volontario nel 39° reggimento di fanteria della brigata “Bologna”. Fece la
campagna delle Marche nel 1860. Nel 1861 con la sua brigata fu in Abruzzo per
la repressione del brigantaggio.
Gli avvenimenti briganteschi
sostanzialmente rimangono ai margini della narrazione. L’editore, nella sua
premessa al libro, scrive che il Novelli ha reso con freschezza e immediatezza
quelli che erano il clima e l’atmosfera di allora, e sottolinea tre elementi
che ritiene estremamente interessanti: il patriottismo dei volontari, il feroce
anticlericalismo, il problema del Meridione con la sua secolare miseria. Si
mette in risalto quello che l’editore chiama senso antisociale e antistatale
delle masse popolari meridionali, che vedevano nell’esercito dei veri e propri
conquistatori stranieri e nello stato un nemico da combattere.
Ma, continua l’editore, «è triste notare
che lo stesso autore, pur avendo una visione aperta e colta del problema
unitario, considera quasi involontariamente la popolazione come nemico da
domare e il territorio come un terreno di conquista». E questo, diciamo noi, è
frutto della mentalità che veniva inculcata a tutti quelli che venivano mandati
nel Sud.
Da questo diario poi si rileva quale somma
di problemi abbia comportato l’unità d’Italia dal 1860 ad oggi.
Alla “liberazione” delle Marche sono
dedicati i primi cinque capitoli. Per conoscere lo stile del Novelli riporto
alcuni passi di essi. «Verso i primi di luglio 1860 la Brigata Bologna, di cui
avevo l’onore di far parte, si trasferì da Alessandria a Torino». «Poi
ripartimmo prima per Arezzo, indi per il confine pontificio, accampandoci alla
sera presso Montecchio. La guerra era dichiarata e noi felici cantavamo gli
inni patriottici per farli sentire anche al di là». «Poco tempo dopo,
intraprendemmo quella tremenda campagna contro i briganti, in confronto alla
quale quella che ti ho narrato fu una festa da ballo…».
Il Novelli comanda un plotone di
avanguardia composto di 40 bersaglieri. Il lavoro, di giorno e di notte,
consisteva nel valicare monti, esplorare grotte, perlustrare boschi, andando a
caccia di briganti; «e quando trovavamo il nemico, lo conciavamo per le feste».
Quest’ultima frase significa fucilazione senza processo.
La brigata ebbe una grande mobilità. Stette
a Loreto, a Macerata, a S. Genesio, ad Amandola, a Montegallo, ad Arquata, ad
Acquasanta, ad Ascoli Piceno, a Teramo, a Pagliaroli, a Isernia, a Venafro, a
Napoli, a Nola, a Volturara Irpina, a Solofra, ad Avellino, a Forino, a S.
Angelo dei Lombardi, a Bisaccia. Ed infine la brigata tornò a Genova.
In tutti questi spostamenti, scrive
Novelli, «la gioventù ci alleggeriva le fatiche, la speranza di liberare il
nostro Paese da nemici interni ed esterni ci sorreggeva e ci sorresse».
Nell’Ascolano, la banda di briganti più
attiva e più numerosa (forse un migliaio, scrive Novelli, di sbandati borbonici
e pontifici, renitenti) era quella comandata da Piccioni.
In altre provincie, Caruso, Ninco Nanco,
Crocco-Donchello (sic), La Gala Giona e Cipriano ed altri scellerati, «alla
testa ognuno di centinaia di malviventi, tenevano la campagna, incendiando,
saccheggiando, ammazzando pastori innocenti, sgozzando intere greggi pel solo
piacere di vederne il sangue».
Vengono descritti i fatti avvenuti a
Mozzano prima e a Isernia poi, dove vi furono rappresaglie in seguito all’uccisione
di ufficiali e soldati piemontesi. Talvolta però si andava ad inseguire
briganti inventati dai manutengoli (anche Sindaci), per portare lontano i
soldati dai luoghi dove i briganti volevano davvero colpire.
Si citano i legittimisti stranieri che
lottarono per Francesco II: Langlois, De Trazegnies, Lagrange, Tristany,
Zimmermann, Borges. Di quest’ultimo si narrano le vicende avvenute durante il
percorso dalla Calabria all’Abruzzo, dove a Tagliacozzo fu fucilato l’8
dicembre 1861, desumendole dal libro di Alessandro Bianco di Saint-Jorioz.
Concludendo possiamo dire che il libro è
quasi uno specchio di quello che si faceva credere ai soldati piemontesi, che
venivano mandati al Sud a combattere i briganti, fosse l’ex Regno delle Due
Sicilie. Laggiù, scrive il Novelli, mancava tutto quello che occorre alla
civiltà.
Rocco Biondi