«Basta
che s’è capito che avete tra le mani un libro strano. E che io sono strano». Così
scrive, nella nota finale, Marco Cardetta del suo romanzo sul Sergente Romano e
di sé autore. Nel libro si mette in risalto più la lingua in cui si scrive che
non il fatto storico a cui ci si richiama. All’autore «interessa parlare…
quattro o cinque italiani anche più, contemporaneamente…». Quello di Dante
Alighieri, di Matteo Bandello, di Giovanni Verga, di Pietro Aretino, di Antonio
Pizzuto, «e di quei tre quattro poeti che ancora devono nascere, assieme a
quello degli asini e degli analfabeti».
Il fatto storico, che va dal 7 giugno 1861
al 30 luglio 1861, riguarda principalmente l’assalto, operato dal Sergente
Romano e dalla sua banda il 28 luglio 1861, a Gioia del Colle, provincia di
Bari in Puglia. Per conoscere la storia della vita del Romano bisogna andare
altrove, ad altri libri. Era nato a Gioia del Colle nel 1833, per un decennio
aveva militato nell’esercito borbonico divenendo sergente e alfiere, ritornato
a Gioia dopo la smobilitazione dell’esercito napoletano fu nominato dal locale
comitato borbonico Comandante Generale delle squadre insorgenti di Gioia, nel
1862 ottiene il comando supremo delle bande brigantesche pugliesi, ottiene
varie vittorie e sconfitte contro l’esercito piemontese, viene ucciso in
combattimento dai piemontesi il 5 gennaio 1863.
Gli sbandati capitanati dal sergente Romano
hanno nomi grotteschi: Ciqquagna, Santoiemma, Chiaia, Trimonciello, Cinquecipponi, Baccalà, Bellacicco, Tempesta, Lattarulo, ecc. Fra i
capobriganti sono anche nominati Crocco e Chiavone.
Il libro ha bisogno di più letture per poter
entrare nei meandri della lingua. Si cerca di dare voce ai vinti, siano essi ex
soldati o contadini o popolane del Sud, utilizzando il loro modo di parlare da
semianalfabeti. Sostanzialmente si inventa una lingua quanto più vicina a
quella che si crede parlassero a quei tempi i protagonisti del romanzo.
Si narrano spesso episodi granguignoleschi,
mutuati dalla letteratura dei vincitori, i quali li inventavano per
giustificare il loro modo di agire crudele e macabro. A mo’ d’esempio riporto
un brano, che testimonia anche il modo di scrivere di Cardetta. «Caterina Colacicco,
moglie di Nicola Lillo, si menò in terra… Strappò un pezzo di pane
bruciacchiato di forno di legna, lo inzuppò nella pozza di sangue in terra e
poi in bocca, masticandolo – si gonfiavano le guance. E Margherita Giannico si
menò in terra, intinse le dita e rivolta agli altri gridò: “Meh, pure voi… pure
voi… menatevi. Ognuno nel regno nuovo ha da avere la parte sua!”».
Nel romanzo sono inseriti vari documenti storici
attinenti ai fatti narrati,
Il libro si apre con la riproduzione di un
manifesto che fu affisso per le strade di Gioia del Colle nell’aprile del 1861
e che diceva: «All’armi, all’armi !!! Abbasso la rovinosa leva dello
scomunicato ed empio Vittorio Emanuele. Viva i prodi volontari dell’eroe di
Gaeta Francesco Secondo, Re’ del Regno delle Due Sicilie. All’armi, all’armi
!!!». A questo documento ne seguono, inframmezzati nel testo, altri (ne riporto
i più importanti): nomina di Filippo Sette quale delegato del Comitato di Gioia
del Colle, due lettere d’incarico al delegato di Pubblica Sicurezza di Gioia
contro il comitato borbonico, lettera al delegato di Pubblica Sicurezza di
Castellana con mandato di cattura del sergente Romano, articolo con fatti di
sangue avvenuti a Gioia all’inizio di agosto 1861, atto di morte di Teodorico
Prisciantelli [ucciso dai briganti] dal registro delle anime della Chiesa
Matrice di Gioia, elenchi degli ammazzati sull’uno e sull’altro fronte tratti
dal registro delle anime della chiesa matrice di Gioia redatti in latinorum, interrogatori di briganti.
I fatti che si narrano riguardano
l’arruolamento dei briganti, i luoghi in cui essi operavano, l’uccisione da
parte di alcuni briganti del ventiduenne liberale Teodorico Prisciantelli, la
disapprovazione del sergente Romano, l’arresto da parte della Guardia Nazionale
di briganti e manutengoli, l’assalto il 28 luglio 1861 di Gioia del Colle da
parte della banda del sergente Romano, vittoria e sconfitta.
Questi alcuni fatti narrati, ma per
l’autore sono più importanti le “storture linguistiche” usate. Ne vien fuori
“la storia vera e sgangherata di un manipolo di sbandati… grotteschi, lirici
rivoltosi dalla parte sbagliata”. Pasquale Domenico Romano, ex sergente
dell’esercito borbonico, “per casualità, amore e vendetta”, finirà per essere
ricordato come uno dei più importanti protagonisti del banditismo
post-unitario.
Marco Cardetta con Sergente Romano ha vinto come esordiente il premio Vittorio Bodini-La luna dei Borboni.
Rocco Biondi
Marco Cardetta, Sergente Romano, LiberAria Editrice,
Bari 2016, pp. 174, € 12,00