Secondo film del Cineforum Grottaglie 2005
«Ho bisogno di riflettere... Devo guardarmi dentro... Io non so chi sono...», dice la protagonista alla fine del film e fa una scelta coraggiosa.
E' un film forte e tenero allo stesso tempo. La regista, Iciar Bollain, si chiede: «Perché una donna resta per dieci anni con un uomo che la picchia? Perché non se ne va? Ma non solo questo. Perché alcune donne insistono addirittura nel dire di essere ancora innamorate?». Il film è una risposta rigorosa a queste domande, senza cadere nella melassa da film per la tv. Più che la violenza diretta vissuta tra le pareti domestiche, se ne vedono gli effetti sulle cose e sulle persone. Il marito violento ricorre anche all'aiuto di uno psicologo, ma non riuscirà a liberarsi. La moglie vittima, con l'aiuto di parenti e amiche di lavoro, riuscirà a riscattarsi con una scelta coraggiosa.
Pilar è una donna che non sa più nulla di sé: è una persona che confonde paura e amore, ma che alla fine avrà uno scatto di lucidità che la riporterà ad essere se stessa. Il film è sì un'opera di denuncia, ma anche e principalmente una descrizione dei percorsi dell'amore di sé e dell'altro.
La città di Toledo offre, come sfondo, i suoi splendori artistici a questa storia d’amore e di paura.
Ti do i miei occhi ha vinto nel 2004 sette premi Goya: come Miglior Film, Regia, Sceneggiatura originale, Miglior attore, Migliore attrice, Miglior attrice non protagonista, Suono.
Trama
Pilar fugge di casa con il figlio Juan ed una valigia mezza vuota. Antonio senza di lei è perduto, per lui Pilar è il sole, la luce, l'unica donna della sua vita, ma per lei l'amore e la protezione di Antonio rappresentano il suo terrore più nero. Una storia d'amore, di paura e di potere, in cui la passione è più forte di ogni sofferenza.
Titolo: Ti do i miei occhi (Te doy mis ojos)
Regia: Iciar Bollain
Sceneggiatura: Iciar Bollain, Alicia Luna
Fotografia: Carles Gusi
Interpreti: Laia Marull, Luis Tosar, Candela Peña, Rosa María Sardá, Kiti Manver, Sergi Calleja, Nicolás Fernández Luna, Elisabet Gelabert, Dave Mooney, Chus Gutiérrez, Elena Irureta, Roberto Álamo, Javier Batanero, Aitor Merino, Leire Ucha
Nazionalità: Spagna, 2003
Durata: 1h. 46'
16 gennaio 2005
14 gennaio 2005
Il Sole 24 Ore cambia strada
Il Sole 24 Ore cambia strada. Dalla posizione fiancheggiatrice del governo della presidenza D'Amato alla posizione critica ed autonoma della presidenza Montezemolo.
Il nuovo direttore Ferruccio De Bortoli l'ha detto chiaro nel suo primo editoriale dell'11 gennaio 2005. «Siamo per un bipolarismo compiuto - ha scritto -, ma ciò non vuol dire che anche i media debbano necessariamente arruolarsi con uno dei due schieramenti. Rispettiamo chi fa questa scelta, ma non è la nostra. Le opinioni saranno chiare, le posizioni nette, ma il Sole sarà un tavolo in cui tutte le idee si confronteranno in un clima di reciproca legittimazione».
Tutto l'opposto in pratica di quello che fanno altri media e altri giornali, proni a Berlusconi.
De Bortoli vuole puntare sulla qualità dell'informazione. «Qualità tanto più necessaria in un periodo storico nel quale spesso prevale un'idea servile e ancillare dei media e trionfa il conflitto d'interessi (ce n'è uno grande ma non è l'unico)». Berlusconi addio!
Ma c'è ancora di più. «Il Sole promuove una società aperta e democratica con un miglior senso della legalità (oggi in caduta)».
E ce n'è anche per le ultime scelte governative nelle dirigenze degli istituti di garanzia. «L'Italia è povera di istituzioni di garanzia. Non esprime una cultura politica diffusa che ne apprezzi l'importanza, come dimostrano le ultime scelte per l'Antitrust. Senza il rispetto per il ruolo dell'informazione e per l'indipendenza delle autorità di garanzia, una democrazia è pura finzione».
Perfetta descrizione del regime berlusconiano. Ma nonostante Berlusconi l'Italia ha le forze, le capacità, gli uomini per andare avanti. «Per fortuna c'è un'altra Italia, quella dell'impresa e del lavoro, che si batte ogni giorno sui mercati globali, supplendo a un sistema Paese assente; coniuga coraggio e fantasia, rischio e passione. Questa Italia interpreta un nuovo spirito italiano che vorremmo più forte, visibile e considerato».
De Bortoli ed il suo Sole 24 Ore, lo abbiamo capito, faranno la loro parte. A noi tocca fare la nostra.
Il nuovo direttore Ferruccio De Bortoli l'ha detto chiaro nel suo primo editoriale dell'11 gennaio 2005. «Siamo per un bipolarismo compiuto - ha scritto -, ma ciò non vuol dire che anche i media debbano necessariamente arruolarsi con uno dei due schieramenti. Rispettiamo chi fa questa scelta, ma non è la nostra. Le opinioni saranno chiare, le posizioni nette, ma il Sole sarà un tavolo in cui tutte le idee si confronteranno in un clima di reciproca legittimazione».
Tutto l'opposto in pratica di quello che fanno altri media e altri giornali, proni a Berlusconi.
De Bortoli vuole puntare sulla qualità dell'informazione. «Qualità tanto più necessaria in un periodo storico nel quale spesso prevale un'idea servile e ancillare dei media e trionfa il conflitto d'interessi (ce n'è uno grande ma non è l'unico)». Berlusconi addio!
Ma c'è ancora di più. «Il Sole promuove una società aperta e democratica con un miglior senso della legalità (oggi in caduta)».
E ce n'è anche per le ultime scelte governative nelle dirigenze degli istituti di garanzia. «L'Italia è povera di istituzioni di garanzia. Non esprime una cultura politica diffusa che ne apprezzi l'importanza, come dimostrano le ultime scelte per l'Antitrust. Senza il rispetto per il ruolo dell'informazione e per l'indipendenza delle autorità di garanzia, una democrazia è pura finzione».
Perfetta descrizione del regime berlusconiano. Ma nonostante Berlusconi l'Italia ha le forze, le capacità, gli uomini per andare avanti. «Per fortuna c'è un'altra Italia, quella dell'impresa e del lavoro, che si batte ogni giorno sui mercati globali, supplendo a un sistema Paese assente; coniuga coraggio e fantasia, rischio e passione. Questa Italia interpreta un nuovo spirito italiano che vorremmo più forte, visibile e considerato».
De Bortoli ed il suo Sole 24 Ore, lo abbiamo capito, faranno la loro parte. A noi tocca fare la nostra.
13 gennaio 2005
Vauro: Masotti devi morire
Io non so chi sia Giovanni Masotti. Non vedo quasi mai la televisione. Pare che sia il vicedirettore di RaiDue e che conduca un programma che si chiama «Punto e a capo».
Il vignettista satirico Vauro gli ha dedicato alcune vignette, che hanno suscitato la sua ira. Ed il Masotti si è addirittura rivolto all'Ordine dei giornalisti per far richiamare Vauro. Ridicolo e paradossale che per una vignetta, per me innocente, si chieda un ammonimento.
Più strampalata ancora la motivazione del Masotti che definisce quella di Vauro un'iniziativa di stampo «brigatista». A quanto pare quel giornalista usa parole in libertà, senza sapere cosa dice.
Ma Vauro non perde il suo spirito caustico. Si presenta alla convocazione del presidente dell'Ordine dei giornalisti, Bruno Tucci, vestito da frate, con in mano una palla con sopra disegnato un teschio. «Ho speso 80 euro di noleggio: se vinco il ricorso me li faccio restituire dall'Ordine - dice -. Tucci all'inizio non mi ha riconosciuto e mi ha chiesto "lei chi è?". "Sono fratello Vauro dell'ordine dei giornalisti", ho risposto. D'altronde c'è l'ordine dei cistercensi, cui risale il memento mori... Dopodiché si è comportato come se fossi in giacca e cravatta. Io lo chiamavo padre superiore, forse ne era gratificato. Io sono un umile frate, l'obbedienza è dovuta, quindi d'ora in poi la mia dichiarazione è che visto che non posso ricordare a Masotti che deve morire, o se ne scorda e campa in eterno, buon per lui, o se lo dovrà ricordare da solo, si facesse un nodo al fazzoletto».
E Vauro per spiegare meglio il perché della sua satira contro Masotti dice: «E' l'emblema della vanità: conduce una trasmissione in prime time, e nessuno sa chi è, essendo un personaggio insignificante, ma dotato di grande vanità, la vanità servile, ed essendo il memento mori un monito contro la vanità terrena, mi sembrava l'obiettivo giusto. Ma era un atto umanitario, per ricordargli che tutti dobbiamo morire e che quindi in questo lasso di tempo ci risparmiasse la montagna di cretinate che dice sullo schermo».
Roberto Cotroneo in un articolo su l'Unità di ieri 12 gennaio 2005 ci ricorda come andò l'esame di Vauro per diventare giornalista. Quando Vauro fece l'esame da giornalista, nel giugno del 1987, stessa sessione di Giuliano Ferrara, il presidente della commissione esaminatrice, un magistrato, gli chiese quali mai fossero i limiti della satira. E lui rispose: «I limiti della satira? La satira per definizione non può avere dei limiti». E il presidente, incalzando: «Ma lei non si pone un problema etico...». E Vauro: «Io? Io faccio vignette, io sono un vignettista satirico».
Erano tempi migliori, le sue risposte furono giudicate idonee e convincenti, e passò l'esame da giornalista. Ma oggi mala tempora currunt!
Il vignettista satirico Vauro gli ha dedicato alcune vignette, che hanno suscitato la sua ira. Ed il Masotti si è addirittura rivolto all'Ordine dei giornalisti per far richiamare Vauro. Ridicolo e paradossale che per una vignetta, per me innocente, si chieda un ammonimento.
Più strampalata ancora la motivazione del Masotti che definisce quella di Vauro un'iniziativa di stampo «brigatista». A quanto pare quel giornalista usa parole in libertà, senza sapere cosa dice.
Ma Vauro non perde il suo spirito caustico. Si presenta alla convocazione del presidente dell'Ordine dei giornalisti, Bruno Tucci, vestito da frate, con in mano una palla con sopra disegnato un teschio. «Ho speso 80 euro di noleggio: se vinco il ricorso me li faccio restituire dall'Ordine - dice -. Tucci all'inizio non mi ha riconosciuto e mi ha chiesto "lei chi è?". "Sono fratello Vauro dell'ordine dei giornalisti", ho risposto. D'altronde c'è l'ordine dei cistercensi, cui risale il memento mori... Dopodiché si è comportato come se fossi in giacca e cravatta. Io lo chiamavo padre superiore, forse ne era gratificato. Io sono un umile frate, l'obbedienza è dovuta, quindi d'ora in poi la mia dichiarazione è che visto che non posso ricordare a Masotti che deve morire, o se ne scorda e campa in eterno, buon per lui, o se lo dovrà ricordare da solo, si facesse un nodo al fazzoletto».
E Vauro per spiegare meglio il perché della sua satira contro Masotti dice: «E' l'emblema della vanità: conduce una trasmissione in prime time, e nessuno sa chi è, essendo un personaggio insignificante, ma dotato di grande vanità, la vanità servile, ed essendo il memento mori un monito contro la vanità terrena, mi sembrava l'obiettivo giusto. Ma era un atto umanitario, per ricordargli che tutti dobbiamo morire e che quindi in questo lasso di tempo ci risparmiasse la montagna di cretinate che dice sullo schermo».
Roberto Cotroneo in un articolo su l'Unità di ieri 12 gennaio 2005 ci ricorda come andò l'esame di Vauro per diventare giornalista. Quando Vauro fece l'esame da giornalista, nel giugno del 1987, stessa sessione di Giuliano Ferrara, il presidente della commissione esaminatrice, un magistrato, gli chiese quali mai fossero i limiti della satira. E lui rispose: «I limiti della satira? La satira per definizione non può avere dei limiti». E il presidente, incalzando: «Ma lei non si pone un problema etico...». E Vauro: «Io? Io faccio vignette, io sono un vignettista satirico».
Erano tempi migliori, le sue risposte furono giudicate idonee e convincenti, e passò l'esame da giornalista. Ma oggi mala tempora currunt!
12 gennaio 2005
Pillole da "L'antitaliano" di Giorgio Bocca
Il denaro al potere ha creato una nuova forma di sovversione: la demolizione strisciante dello Stato di diritto, dello Stato sociale, dello Stato etico.
Non diciamo che questa nuova destra berlusconiana è fascista, è qualcosa di peggio, il fascismo attaccava lo Stato liberale per ricostruirlo più forte e autoritario, il berlusconismo lo disgrega per avere mano libera nel saccheggio e nell'uso delle istituzioni.
Il leader del partito del denaro, il Cavaliere, non ha mai nascosto la sua profonda insofferenza per lo Stato e per la separazione dei poteri.
Il Cavaliere non nasconde le sue pulsioni anarcoidi, il suo profondo amore per il denaro padrone.
Sono scomparse, per dire, la decenza, la vergogna dei ladri, il silenzio sui delitti, la ricerca della stima altrui.
Nella società borghese il bancarottiere si sparava o si nascondeva. Oggi va alla prima della Scala, si fa intervistare, compare in televisione con lo stesso sorriso del capo del governo: sono più furbo, più bravo, più ricco di voi minchioni.
E scompare anche il senso del ridicolo, per scoprire la promozione sistematica dei peggiori, dei buffoni.
L'espresso, 6 gennaio 2005
Non diciamo che questa nuova destra berlusconiana è fascista, è qualcosa di peggio, il fascismo attaccava lo Stato liberale per ricostruirlo più forte e autoritario, il berlusconismo lo disgrega per avere mano libera nel saccheggio e nell'uso delle istituzioni.
Il leader del partito del denaro, il Cavaliere, non ha mai nascosto la sua profonda insofferenza per lo Stato e per la separazione dei poteri.
Il Cavaliere non nasconde le sue pulsioni anarcoidi, il suo profondo amore per il denaro padrone.
Sono scomparse, per dire, la decenza, la vergogna dei ladri, il silenzio sui delitti, la ricerca della stima altrui.
Nella società borghese il bancarottiere si sparava o si nascondeva. Oggi va alla prima della Scala, si fa intervistare, compare in televisione con lo stesso sorriso del capo del governo: sono più furbo, più bravo, più ricco di voi minchioni.
E scompare anche il senso del ridicolo, per scoprire la promozione sistematica dei peggiori, dei buffoni.
L'espresso, 6 gennaio 2005
11 gennaio 2005
S.S. (Sua Santità) Berlusca I
Nell'anno 2013 il vecchio papa ha convenuto che era arrivato il tempo di passare la mano. Finalmente era stato individuato un degno successore. La ricerca non era stata facile. Poteva quindi fare il nome del cardinale in pectore che nel futuro conclave sarebbe stato eletto papa.
Quel nome non ha suscitato nessuna sorpresa. L'innominato, fino a quel momento, padrone unico di tutte le televisioni e di tutti i giornali del mondo aveva creato in tutti la convinzione che lui fosse l'atteso da sempre, l'unto del signore.
Nessuno ebbe nulla da dire contro questa scelta. Giornali e tv fecero a gara nel tesserne le lodi. Solo uno sostenne che quella era una scelta sbagliata, il presidente della repubblica Dalema, che si intestardiva a dire di essere super partes.
Sette anni prima il designato unico da tutti i partiti, Berlusca, aveva rinunciato alla carica di presidente della repubblica a favore di Dalema, perchè disse a lui spettava una carica più grande. Aveva persino perdonato Dalema che aveva dichiarato: «Un Berlusconi che pretende il Quirinale dopo aver seminato per anni veleno nel Paese, rappresenta un pericolo per le istituzioni». Il Berlusca era diventato magnanimo, se uno gli dava uno schiaffo lui porgeva l'altra guancia.
Aveva anche perdonato un fotografo che inavvertitamente lo aveva colpito alla testa con un treppiedi.
Faceva anche molti miracoli. Il più grande fu di aver abbassato le tasse agli italiani e di averle completamente eliminate per lui.
Faceva anche tante elemosine a giudici e avvocati, che gli erano riconoscenti. Si era anche fatte fare dal parlamento tante leggi a suo fare, per alleggerire il lavoro dei giudici ed evitare loro tanti stress nervosi.
Arrivava prima e più di tutti a promettere mare e monti.
Dopo la sua morte sarà certamente fatto santo.
Quel nome non ha suscitato nessuna sorpresa. L'innominato, fino a quel momento, padrone unico di tutte le televisioni e di tutti i giornali del mondo aveva creato in tutti la convinzione che lui fosse l'atteso da sempre, l'unto del signore.
Nessuno ebbe nulla da dire contro questa scelta. Giornali e tv fecero a gara nel tesserne le lodi. Solo uno sostenne che quella era una scelta sbagliata, il presidente della repubblica Dalema, che si intestardiva a dire di essere super partes.
Sette anni prima il designato unico da tutti i partiti, Berlusca, aveva rinunciato alla carica di presidente della repubblica a favore di Dalema, perchè disse a lui spettava una carica più grande. Aveva persino perdonato Dalema che aveva dichiarato: «Un Berlusconi che pretende il Quirinale dopo aver seminato per anni veleno nel Paese, rappresenta un pericolo per le istituzioni». Il Berlusca era diventato magnanimo, se uno gli dava uno schiaffo lui porgeva l'altra guancia.
Aveva anche perdonato un fotografo che inavvertitamente lo aveva colpito alla testa con un treppiedi.
Faceva anche molti miracoli. Il più grande fu di aver abbassato le tasse agli italiani e di averle completamente eliminate per lui.
Faceva anche tante elemosine a giudici e avvocati, che gli erano riconoscenti. Si era anche fatte fare dal parlamento tante leggi a suo fare, per alleggerire il lavoro dei giudici ed evitare loro tanti stress nervosi.
Arrivava prima e più di tutti a promettere mare e monti.
Dopo la sua morte sarà certamente fatto santo.
8 gennaio 2005
Binario unico - Uomo morto
«Ho visto l'apocalisse. Sotto il treno c'era un ragazzo, tagliato a metà. Nel fosso vicino due o tre morti. E altri poco dopo. C'era, nel fosso, una ragazza, extracomunitaria, esile, con la testa scuoiata, ma viva, tremante, e davanti a lei un cadavere. Ho strappato delle tende dal treno, ho coperto lei per scaldarla, ho coperto il morto perché non lo vedesse più. E poi altri morti, corpi straziati dentro il treno. E in cima alla carrozza impennata un signore, incastrato a metà nel finestrino, gemeva…».
Non è un passo di un romanzo horror, è il racconto di uno dei primi soccorritori accorso sul luogo del disastro verificatosi ieri, per lo scontro tra due treni, sulla tratta internazionale Verona-Bologna a binario unico.
Sono accorsi in tanti sul luogo del disastro, tra i quali anche il ministro Lunardi, che ha subito dichiarato: «Le ferrovie italiane sono tra le più sicure d'Europa». Michele De Rosa, segretario regionale per l'Emilia Romagna della Filt-Cgil, ha invece dichiarato: «Una linea da terzo mondo». Chi ha ragione dei due? Viste le menzogne infinite che dicono quelli della compagnia Berlusconi, do più credito al secondo.
Stanno chiedendo e stanno promettendo il raddoppio della linea Bologna-Verona dalla fine della guerra del '15-'18. Risale infatti al 1918 il primo progetto. Anche a Mussolini avevano fatto credere che quella linea fosse a doppio binario. Ma ancora oggi i due terzi di quella linea sono a binario unico. E' ovvio che la responsabilità è di tutti i governi, di tutti i colori, che si sono succeduti. Ma oggi si esagera, vogliono fare le grandi opere e non riescono a fare nemmeno quelle piccole. Vogliono fare l'opera ciclopica e faraonica del ponte sullo stretto di Messina e non riescono a raddoppiare la linea ferroviaria Bologna-Verona.
Pare che nell'ultima legge di bilancio abbiano previsto il raddoppio per il biennio 2007-2008, quando ormai, speriamo, Berlusconi sarà morto e sepolto politicamente. Per intanto tagliano sui macchinisti ed hanno cominciato ad introdurre il guidatore unico. Il secondo macchinista è sostituito con l'"uomo morto" (una sirena che suona ogni 55 secondi a cui il macchinista deve rispondere con i piedi per dimostrare di stare sveglio). Questo sistema, che si vuol gabellare come nuovo, risale all'anteguerra nell'epoca fascista.
Due anni di tagli sulle ferrovie, l'ultimo per diminuire le tasse. Ma mentre le tasse calano per finta, la sicurezza diminuisce per davvero.
Non è un passo di un romanzo horror, è il racconto di uno dei primi soccorritori accorso sul luogo del disastro verificatosi ieri, per lo scontro tra due treni, sulla tratta internazionale Verona-Bologna a binario unico.
Sono accorsi in tanti sul luogo del disastro, tra i quali anche il ministro Lunardi, che ha subito dichiarato: «Le ferrovie italiane sono tra le più sicure d'Europa». Michele De Rosa, segretario regionale per l'Emilia Romagna della Filt-Cgil, ha invece dichiarato: «Una linea da terzo mondo». Chi ha ragione dei due? Viste le menzogne infinite che dicono quelli della compagnia Berlusconi, do più credito al secondo.
Stanno chiedendo e stanno promettendo il raddoppio della linea Bologna-Verona dalla fine della guerra del '15-'18. Risale infatti al 1918 il primo progetto. Anche a Mussolini avevano fatto credere che quella linea fosse a doppio binario. Ma ancora oggi i due terzi di quella linea sono a binario unico. E' ovvio che la responsabilità è di tutti i governi, di tutti i colori, che si sono succeduti. Ma oggi si esagera, vogliono fare le grandi opere e non riescono a fare nemmeno quelle piccole. Vogliono fare l'opera ciclopica e faraonica del ponte sullo stretto di Messina e non riescono a raddoppiare la linea ferroviaria Bologna-Verona.
Pare che nell'ultima legge di bilancio abbiano previsto il raddoppio per il biennio 2007-2008, quando ormai, speriamo, Berlusconi sarà morto e sepolto politicamente. Per intanto tagliano sui macchinisti ed hanno cominciato ad introdurre il guidatore unico. Il secondo macchinista è sostituito con l'"uomo morto" (una sirena che suona ogni 55 secondi a cui il macchinista deve rispondere con i piedi per dimostrare di stare sveglio). Questo sistema, che si vuol gabellare come nuovo, risale all'anteguerra nell'epoca fascista.
Due anni di tagli sulle ferrovie, l'ultimo per diminuire le tasse. Ma mentre le tasse calano per finta, la sicurezza diminuisce per davvero.
6 gennaio 2005
Museo del cavalletto
Noi non vogliamo dimenticare
Un sms per il cavalletto
Inviando un sms al numero 3x4=12 messo a disposizione da tutti i gestori della telefonia mobile e digitando il messaggio cavalletto
si dona 1 euro
I fondi raccolti saranno destinati alla istituzione di un museo dove verrà conservato, sotto vetro antiproiettili, a futura memoria, lo storico cavalletto che il 31 dicembre 2004 colpì il Cavaliere E' possibile inviare anche più di un messaggio
Tutti gli amministratori possono inserire liberamente questo annuncio nei loro siti e blog
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La farsa continua. Nonostante il Cavalier Berlusca abbia elargito il suo perdono a chi lo colpì con un cavalletto, i suoi palafrenieri non smettono di guidare la canea.
Ha ragione il poeta senatore Luzi quando si domanda: ma questi signori non hanno niente di più utile da fare e di meglio a cui pensare? Forse no, per tutti loro pensa e fa solo Berlusconi.
La preda questa volta è Carlo Fucci (nella foto), segretario dell'Associazione nazionale magistrati, reo di «aver ricevuto come mille altri, non richiesto, sulla sua utenza privata, il messaggio in argomento». Non si sa se lo abbia rinviato. Un sms scherzoso che invitava i destinatari a devolvere 10 centesimi per ricomprare il cavalletto al mantovano Dal Bosco. Il quale ora potrà stare tranquillo, il Cavaliere gliene comprerà tre d'oro.
Ad aizzare i cani questa volta è stato Sergio Cola, capogruppo di An in Commissione Giustizia alla Camera. Ha chiesto un «immediato intervento del Presidente della Repubblica, nella sua qualità di presidente del Csm» e una urgente indagine del ministro della giustizia Castelli «al fine di iniziative disciplinari». Quest'ultimo ha sguinzagliato il capo degli ispettori per stanare la preda.
La forzista Isabella Bertolini ha sollecitato il procuratore generale della Cassazione ad avviare azioni disciplinari. La leghista Lussana ha chiesto le dimissioni di Fucci e l'allontanamento dall'Italia. Altri hanno chiesto la radiazione, l'inquisizione, la punizione. Nessuno ha ancora chiesto l'intervento del papa per far condannare Fucci all'inferno.
La preda cacciata ha detto: «Durante queste ore surreali mi è venuta la curiosità di conoscere chi ha ideato e messo in circolazione per primo quel messaggino. E poi mi sono chiesto cosa c'entro io?».
Edmondo Bruti Liberati, presidente dell'Anm, taglia corto: «Il pensiero del collega Carlo Fucci, è stato espresso nettamente e univocamente in una sua dichiarazione pubblica del 2 gennaio, nella quale vi era una severa stigmatizzazione della aggressione subita dal presidente del consiglio».
E non finisce qui.
5 gennaio 2005
Luzzi e non Luzi
La madre dei cretini è sempre incinta. E al posto del termine "cretini" potete metterne qualunque altro più vi aggrada. Un tal Tommaso Luzzi di An, pare vice presidente del Consiglio regionale del Lazio, ha tenuto a precisare: «Io non ho nessuna parentela con il poeta. Il mio cognome si scrive con due zeta e non come quello del senatore a vita. Appartengo alla larga schiera di italiani che si vantano di non leggere le sue poesie e di non condividere le sue deliranti affermazioni». Bravo il cretino.
Sarebbe come se io dicessi: «Attenzione! Io mi chiamo Biondi, con la i dopo la b, e non Bondi, come il pallore (con la r) gonfiato che ha fatto il grande salto da sindaco comunista del suo paese a coordinatore di Forza Italia. A lui gli manca qualcosa rispetto a me». Come se fosse un grande merito avere una i in più nel cognome. Ed invece per qualcuno è un grande merito avere due z invece di una. Che volete questa è la cultura di chi non legge poesie. Lui e qualche altro non si è accorto che siamo nel giorno del grande perdono. Oppure avendo studiato a lungo per sparare qualche cazzata ad effetto non ha potuto farne a meno. O forse conoscendo molto bene il Berlusca ha capito che, come al solito, lui stava spudoratamente mentendo quando diceva alla madre del Dal Bosco: «Signora stia tranquilla. Non farò nessuna querela, nessuna denuncia, per me la vicenda è chiusa». E sì, se io fossi Dal Bosco non starei per niente tranquillo. Da un giorno all'altro mi potrei vedere con una bella querela in testa, preparata da Previti e Ghedina. Poi il Berlusca direbbe che quando lui parlava di perdono i suoi avvocati non l'avevano preso sul serio. Attento Berlusconi, accettando le scuse potresti accreditare l'ipotesi che anche i comunisti sono buoni. Povero Dal Bosco a nulla gli sarebbe valso andare a piedi a Canossa (a Roma da Berlusconi); a nulla gli sarebbe valso essersi «pentito di aver messo in cattiva luce gli uomini della scorta del premier». A proposito, qualcuno dovrebbe dire a quel nuvolo spropositato di facce sempre ingrugnite che bisogna salvaguardare non solo gli attributi anteriori del premier ma anche il foro di dietro.
Sarebbe come se io dicessi: «Attenzione! Io mi chiamo Biondi, con la i dopo la b, e non Bondi, come il pallore (con la r) gonfiato che ha fatto il grande salto da sindaco comunista del suo paese a coordinatore di Forza Italia. A lui gli manca qualcosa rispetto a me». Come se fosse un grande merito avere una i in più nel cognome. Ed invece per qualcuno è un grande merito avere due z invece di una. Che volete questa è la cultura di chi non legge poesie. Lui e qualche altro non si è accorto che siamo nel giorno del grande perdono. Oppure avendo studiato a lungo per sparare qualche cazzata ad effetto non ha potuto farne a meno. O forse conoscendo molto bene il Berlusca ha capito che, come al solito, lui stava spudoratamente mentendo quando diceva alla madre del Dal Bosco: «Signora stia tranquilla. Non farò nessuna querela, nessuna denuncia, per me la vicenda è chiusa». E sì, se io fossi Dal Bosco non starei per niente tranquillo. Da un giorno all'altro mi potrei vedere con una bella querela in testa, preparata da Previti e Ghedina. Poi il Berlusca direbbe che quando lui parlava di perdono i suoi avvocati non l'avevano preso sul serio. Attento Berlusconi, accettando le scuse potresti accreditare l'ipotesi che anche i comunisti sono buoni. Povero Dal Bosco a nulla gli sarebbe valso andare a piedi a Canossa (a Roma da Berlusconi); a nulla gli sarebbe valso essersi «pentito di aver messo in cattiva luce gli uomini della scorta del premier». A proposito, qualcuno dovrebbe dire a quel nuvolo spropositato di facce sempre ingrugnite che bisogna salvaguardare non solo gli attributi anteriori del premier ma anche il foro di dietro.
4 gennaio 2005
Blogghisti in galera
Blogghisti che attentate e che attentiamo alla onorabilità e al prestigio del Berlusca cominciamo a preparare pigiama dentifricio e spazzolino, ché potremmo ritrovarci in galera. Il deputato buontempone (o altro che rima con ...one) di An Gennaro Coronella presenterà quando riapre la Camera una proposta di legge per punire con l’ergastolo chi attenta alla vita del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il testo prevede che l'attentato alla vita del capo del Governo sia punito con l'ergastolo, l'offesa alla libertà del presidente del consiglio con la reclusione da cinque a quindici anni, l'offesa al suo prestigio con la reclusione da uno a cinque anni. Ce la caveremmo quindi con una vacanza di massimo cinque anni. Speriamo che ci diano un computer ed un collegamento ad Internet, per poter scrivere peani e madrigali in onore del Berlusca. Solo così potremmo vederci abbreviata la pena.
L'ispirazione al Coronella gli è venuta dopo l'innocente intervista al poeta senatore Mario Luzi, pubblicata su Il Messaggero di ieri 3 gennaio. Condivido appieno quello che ha detto Luzi, anzi è stato troppo buono.
Come è ormai prevedibile, quando si dice qualcosa contro Berlusconi, si è scatenata la solita canea di insulti ed aggressioni contro il malcapitato che si è permesso di disonorare l'unto del signore. Cito quello che ha detto il senatore forzista Schifani, che mi suscita un po' di simpatia per il cognome che si porta: «Questa gravissima intolleranza verbale ci deve far riflettere sull'opportunità di rivedere l'istituzione dei senatori a vita». E Landolfi An: «Se esistesse l'istituto della revoca della nomina a senatore a vita andrebbe senza indugio esercitato». Il sottosegretario Sacconi la dice tutta: «Luzi è un rimbambito».
La sinistra ovviamente, con qualche distinguo, ha difeso Luzi. Il battibecco è andato avanti per le lunghe e non tendeva a finire. Ma apprendiamo ora (come dicono i lettori delle previsioni del tempo alla radio) che il cavallettista Roberto Dal Bosco ha chiesto scuse con una lettera privata al Berlusca. Pare che il premier le abbia accettate. Qui finisce la sceneggiata. Vuoi vedere che Dal Bosco diventa un angelo azzurro, mercenario del Berlusca?
L'ispirazione al Coronella gli è venuta dopo l'innocente intervista al poeta senatore Mario Luzi, pubblicata su Il Messaggero di ieri 3 gennaio. Condivido appieno quello che ha detto Luzi, anzi è stato troppo buono.
Come è ormai prevedibile, quando si dice qualcosa contro Berlusconi, si è scatenata la solita canea di insulti ed aggressioni contro il malcapitato che si è permesso di disonorare l'unto del signore. Cito quello che ha detto il senatore forzista Schifani, che mi suscita un po' di simpatia per il cognome che si porta: «Questa gravissima intolleranza verbale ci deve far riflettere sull'opportunità di rivedere l'istituzione dei senatori a vita». E Landolfi An: «Se esistesse l'istituto della revoca della nomina a senatore a vita andrebbe senza indugio esercitato». Il sottosegretario Sacconi la dice tutta: «Luzi è un rimbambito».
La sinistra ovviamente, con qualche distinguo, ha difeso Luzi. Il battibecco è andato avanti per le lunghe e non tendeva a finire. Ma apprendiamo ora (come dicono i lettori delle previsioni del tempo alla radio) che il cavallettista Roberto Dal Bosco ha chiesto scuse con una lettera privata al Berlusca. Pare che il premier le abbia accettate. Qui finisce la sceneggiata. Vuoi vedere che Dal Bosco diventa un angelo azzurro, mercenario del Berlusca?
3 gennaio 2005
Pezzenteria italiana 2
Nel governo italiano fanno i fessi per non andare alla guerra. Ma il gioco è sfacciato. Fini aveva detto che gli aiuti dell'Italia per le popolazioni asiatiche colpite dal maremoto sarebbero stati di 70 milioni di euro. Non specificando che quelli erano i soldi raccolti nella società civile italiana. Il governo in realtà aveva stanziato la misera somma di 4,08 milioni di dollari.
D'altra parte la clamorosa divaricazione tra la politica dell'annuncio e la politica dei fatti concreti in fatto di aiuti non è una novità per l'Italia. È da quattro anni, ormai, che facciamo pessime figure di fronte al mondo. Nel G8 di Genova 2001 Berlusconi propose di finanziare la lotta all'Aids, che miete milioni di vittime soprattutto nell'Africa Subsahariana. L'Italia avrebbe versato 200 milioni di dollari ogni anno. In realtà ne ha versati 100 nell'anno 2002, 100 nell'anno 2003, zero nell'anno 2004 e la finanziaria prevede zero anche per l'anno 2005. Una promessa, come al solito, non mantenuta.
L'ultima finanziaria ha tagliato fondi per la cooperazione (250 milioni di euro promessi e che non andranno più alle Organizzazioni non governative); ha tagliato fondi persino per la ricostruzione dell'Afghanistan (47 milioni di euro) e dell'Iraq (30 milioni di euro).
Come risulta dai dati OCSE, l'organizzazione dei paesi sviluppati, con lo 0,17% del Pil, l'Italia è penultima tra i paesi ricchi in fatto di aiuti allo sviluppo. Solo gli Stati Uniti, con lo 0,12% le stanno dietro. Ma con l'ultima legge finanziaria la percentuale italiana scenderà allo 0,11% del prodotto interno lordo. Ultimi in assoluto, tra i paesi ricchi. Berlusconi a Barcellona nel 2002 aveva impegnato se stesso e il suo governo a portare la quota degli aiuti allo sviluppo allo 0,33% del Pil entro il 2006. Le solite sbruffonate. Nella comunità internazionale, oramai, tutti sanno che l'Italia è un paese che non rispetta gli impegni. E Berlusconi ride.
Asia, la mappa degli aiuti
PAESE CONTRIBUTO (in milioni di dollari)
Algeria 2,00
Arabia Saudita 10,00
Australia 46,00
Austria 2,72
Banca Mondiale 250,00
Banca per lo sviluppo asiatico
325,00 (prestiti)
Canada 33,00
Cina 60,42
Corea del Sud
5,00
Danimarca 54,88
Finlandia 3,40
Francia 56,18
Germania 27,21
Giappone 500,00
Gran Bretagna 96,00 (+ 100 mln da cittadini)
Irlanda 2,72
Italia 4,08
Kuwait 2,10
Libia 2,00
Norvegia 16,53
Nuova Zelanda 3,60
Olanda 34,00
Polonia 0,33
Portogallo 10,88
Qatar 25,00
Senegal 0,20
Singapore 3,10
Slovacchia 0,23
Slovenia 0,11
Spagna 68,00
Stati Uniti 350,00
Svezia 80,00
Svizzera 23,81
Taiwan 5,25
Turchia 1,25
UAE 2,00
Unione Africana 0,10
Unione Europea 44,70
Ungheria 0,27
Venezuela 2,00
Questa è la mappa degli aiuti pubblicata su la Repubblica on line di oggi 3 gennaio 2005. Se volete, confrontatela con quella del Corriere della Sera.
D'altra parte la clamorosa divaricazione tra la politica dell'annuncio e la politica dei fatti concreti in fatto di aiuti non è una novità per l'Italia. È da quattro anni, ormai, che facciamo pessime figure di fronte al mondo. Nel G8 di Genova 2001 Berlusconi propose di finanziare la lotta all'Aids, che miete milioni di vittime soprattutto nell'Africa Subsahariana. L'Italia avrebbe versato 200 milioni di dollari ogni anno. In realtà ne ha versati 100 nell'anno 2002, 100 nell'anno 2003, zero nell'anno 2004 e la finanziaria prevede zero anche per l'anno 2005. Una promessa, come al solito, non mantenuta.
L'ultima finanziaria ha tagliato fondi per la cooperazione (250 milioni di euro promessi e che non andranno più alle Organizzazioni non governative); ha tagliato fondi persino per la ricostruzione dell'Afghanistan (47 milioni di euro) e dell'Iraq (30 milioni di euro).
Come risulta dai dati OCSE, l'organizzazione dei paesi sviluppati, con lo 0,17% del Pil, l'Italia è penultima tra i paesi ricchi in fatto di aiuti allo sviluppo. Solo gli Stati Uniti, con lo 0,12% le stanno dietro. Ma con l'ultima legge finanziaria la percentuale italiana scenderà allo 0,11% del prodotto interno lordo. Ultimi in assoluto, tra i paesi ricchi. Berlusconi a Barcellona nel 2002 aveva impegnato se stesso e il suo governo a portare la quota degli aiuti allo sviluppo allo 0,33% del Pil entro il 2006. Le solite sbruffonate. Nella comunità internazionale, oramai, tutti sanno che l'Italia è un paese che non rispetta gli impegni. E Berlusconi ride.
Asia, la mappa degli aiuti
PAESE CONTRIBUTO (in milioni di dollari)
Algeria 2,00
Arabia Saudita 10,00
Australia 46,00
Austria 2,72
Banca Mondiale 250,00
Banca per lo sviluppo asiatico
325,00 (prestiti)
Canada 33,00
Cina 60,42
Corea del Sud
5,00
Danimarca 54,88
Finlandia 3,40
Francia 56,18
Germania 27,21
Giappone 500,00
Gran Bretagna 96,00 (+ 100 mln da cittadini)
Irlanda 2,72
Italia 4,08
Kuwait 2,10
Libia 2,00
Norvegia 16,53
Nuova Zelanda 3,60
Olanda 34,00
Polonia 0,33
Portogallo 10,88
Qatar 25,00
Senegal 0,20
Singapore 3,10
Slovacchia 0,23
Slovenia 0,11
Spagna 68,00
Stati Uniti 350,00
Svezia 80,00
Svizzera 23,81
Taiwan 5,25
Turchia 1,25
UAE 2,00
Unione Africana 0,10
Unione Europea 44,70
Ungheria 0,27
Venezuela 2,00
Questa è la mappa degli aiuti pubblicata su la Repubblica on line di oggi 3 gennaio 2005. Se volete, confrontatela con quella del Corriere della Sera.
2 gennaio 2005
Pezzenteria italiana
Dicono che l'Italia sia tra le otto nazioni più ricche del mondo, o addirittura tra le prime cinque. Orbene, però l'Italia si piazza al primo posto per la pezzenteria mondiale, negli aiuti per le popolazioni colpite dal maremoto in Asia.
Stiamo parlando di aiuti governativi. Il Giappone ha promesso 500 milioni di dollari, gli Stati Uniti 350 milioni, la Svezia 80 milioni, la Cina 60 milioni, l'Australia 46 milioni.
Indovinate il governo italiano quanto ha promesso? Solo la ridicola somma di 4 (quattro) milioni di dollari. Dobbiamo sempre farci riconoscere.
Prima di essere insultato in qualche commento, riferisco la fonte di questa notizia: la Reppubblica on line di oggi 2 gennaio 2005; ecco il link http://www.repubblica.it/2005/a/sezioni/esteri/sri8/moltfondbush/moltfondbush.html.
E Berlusconi va cianciando di summit del G8 convocato dall'Italia per gli aiuti. E' ovvio che questo è solo frutto della paranoia del Berlusca. Ma lui ci prova sempre. Vuol far pagare solo gli altri; lui mai.
Ed intanto gli aiuti reali sono ancora scarsissimi. Nelle zone colpite dalla catastrofe si vede poco o nulla. L'Onu, per tentare di superare le solite disfunzioni causate dalle sovrapposizioni di competenze, chiede che la gestione degli aiuti venga affidata direttamente alle agenzie e alle Organizzazioni non governative (Ong) già operanti sul territorio; loro già conoscono il territorio e sono in grado di individuare subito i reali bisogni. Altro che la Croce Rosa di Scelli, promessa volontaria alla prossima campagna elettorale del Berlusca.
Ed ora una esortazione seria. In questa fase la priorità deve essere data alla raccolta dei fondi per acquistare direttamente nelle aree interessate dal disastro o nelle zone limitrofe le attrezzature e i materiali di prima necessità. Si scoraggia la raccolta di materiali: medicine, viveri, indumenti e roba simile; questo serve a svuotare i nostri armadi di cose inutili, poco incidono nel portare aiuto efficace e rapido alle popolazioni colpite.
Stiamo parlando di aiuti governativi. Il Giappone ha promesso 500 milioni di dollari, gli Stati Uniti 350 milioni, la Svezia 80 milioni, la Cina 60 milioni, l'Australia 46 milioni.
Indovinate il governo italiano quanto ha promesso? Solo la ridicola somma di 4 (quattro) milioni di dollari. Dobbiamo sempre farci riconoscere.
Prima di essere insultato in qualche commento, riferisco la fonte di questa notizia: la Reppubblica on line di oggi 2 gennaio 2005; ecco il link http://www.repubblica.it/2005/a/sezioni/esteri/sri8/moltfondbush/moltfondbush.html.
E Berlusconi va cianciando di summit del G8 convocato dall'Italia per gli aiuti. E' ovvio che questo è solo frutto della paranoia del Berlusca. Ma lui ci prova sempre. Vuol far pagare solo gli altri; lui mai.
Ed intanto gli aiuti reali sono ancora scarsissimi. Nelle zone colpite dalla catastrofe si vede poco o nulla. L'Onu, per tentare di superare le solite disfunzioni causate dalle sovrapposizioni di competenze, chiede che la gestione degli aiuti venga affidata direttamente alle agenzie e alle Organizzazioni non governative (Ong) già operanti sul territorio; loro già conoscono il territorio e sono in grado di individuare subito i reali bisogni. Altro che la Croce Rosa di Scelli, promessa volontaria alla prossima campagna elettorale del Berlusca.
Ed ora una esortazione seria. In questa fase la priorità deve essere data alla raccolta dei fondi per acquistare direttamente nelle aree interessate dal disastro o nelle zone limitrofe le attrezzature e i materiali di prima necessità. Si scoraggia la raccolta di materiali: medicine, viveri, indumenti e roba simile; questo serve a svuotare i nostri armadi di cose inutili, poco incidono nel portare aiuto efficace e rapido alle popolazioni colpite.
1 gennaio 2005
Cavalletti contro il male
Il "corpo politico (?)" di Berlusconi è stato colpito da un treppiede. Ora abbiamo capito che un treppiede può servire anche ad altro, oltre a sorreggere una macchina fotografica.
Il Berlusca deve darsi una regolata. La deve smettere di demonizzare ed insultare tutti quelli che non la pensano come lui, bollandoli come il male. La deve smettere di istigare una campagna di odio contro quelli che lui chiama comunisti, che hanno invece salvato l'Italia dalla truce dittatura fascista consegnandola ad una delle più avanzate democrazie occidentali.
Lui, il Berlusca, non è nemmeno degno di lucidare le scarpe ai comunisti italiani che hanno contribuito, dalla loro fondazione, a ricostruire e fare grande l'Italia.
I lecchini del Berlusca, che si scandalizzano per un innocuo cavalletto lanciatogli sulla testa, si drizzino sulla schiena e gli ricordino queste cose. Non può continuare a dire impunemente stronzate e carognate. Gli ricordino che chi semina vento raccoglie tempesta.
Gli istigatori all'odio non sono i partiti di sinistra, non sono gli imprenditori che lamentano la caduta di competitività dell'Italia, non sono i pacifisti di tutte le estrazioni che riempiono le piazze contro tutte le guerre e contro tutti i padroni delle guerre, gli istigatori all'odio non sono i poveri lavoratori dipendenti che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese; i veri istigatori all'odio sono il Berlusca ed i tantissimi suoi accoliti che spingono gli italiani ad evadere le tasse, che spingono gli italiani a costruire abusivamente, che dicono e vogliono far credere agli italiani che i giudici sono tutti matti, che dicono che bisogna sparare sulle carrette del mare che trasportano poveri cristi come noi in cerca di un sogno di libertà e di benessere, che insultano gli italiani che non hanno i soldi per farsi un lifting.
Onorevoli e senatori della cosiddetta casa della libertà svegliatevi e bloccate quell'ometto che si crede l'unico, l'intoccabile, l'insostituibile, che si crede autorizzato dall'alto della sua ricchezza ad insultare tutti.
E' ora di dire basta. Abbiamo bisogno di serenità, di rispetto delle leggi, di rispetto delle opinioni degli altri, di tolleranza, di pace. Qualcuno lo faccia capire a Berlusconi, se questi sarà mai capace di capire. Altrimenti potrebbero arrivargli molti altri cavalletti sulla testa. Se li sarà voluti lui.
Il Berlusca deve darsi una regolata. La deve smettere di demonizzare ed insultare tutti quelli che non la pensano come lui, bollandoli come il male. La deve smettere di istigare una campagna di odio contro quelli che lui chiama comunisti, che hanno invece salvato l'Italia dalla truce dittatura fascista consegnandola ad una delle più avanzate democrazie occidentali.
Lui, il Berlusca, non è nemmeno degno di lucidare le scarpe ai comunisti italiani che hanno contribuito, dalla loro fondazione, a ricostruire e fare grande l'Italia.
I lecchini del Berlusca, che si scandalizzano per un innocuo cavalletto lanciatogli sulla testa, si drizzino sulla schiena e gli ricordino queste cose. Non può continuare a dire impunemente stronzate e carognate. Gli ricordino che chi semina vento raccoglie tempesta.
Gli istigatori all'odio non sono i partiti di sinistra, non sono gli imprenditori che lamentano la caduta di competitività dell'Italia, non sono i pacifisti di tutte le estrazioni che riempiono le piazze contro tutte le guerre e contro tutti i padroni delle guerre, gli istigatori all'odio non sono i poveri lavoratori dipendenti che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese; i veri istigatori all'odio sono il Berlusca ed i tantissimi suoi accoliti che spingono gli italiani ad evadere le tasse, che spingono gli italiani a costruire abusivamente, che dicono e vogliono far credere agli italiani che i giudici sono tutti matti, che dicono che bisogna sparare sulle carrette del mare che trasportano poveri cristi come noi in cerca di un sogno di libertà e di benessere, che insultano gli italiani che non hanno i soldi per farsi un lifting.
Onorevoli e senatori della cosiddetta casa della libertà svegliatevi e bloccate quell'ometto che si crede l'unico, l'intoccabile, l'insostituibile, che si crede autorizzato dall'alto della sua ricchezza ad insultare tutti.
E' ora di dire basta. Abbiamo bisogno di serenità, di rispetto delle leggi, di rispetto delle opinioni degli altri, di tolleranza, di pace. Qualcuno lo faccia capire a Berlusconi, se questi sarà mai capace di capire. Altrimenti potrebbero arrivargli molti altri cavalletti sulla testa. Se li sarà voluti lui.
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