Il titolo Signora Ava non deriva da una protagonista del romanzo, né da un
personaggio comprimario, ma da un canto popolare del Mezzogiorno, posto da
Jovine ad epigrafe, che suona così: «O tiempo da Gnora ava / nu viecchio
imperatore / a morte condannava / chi faceva a’mmore». Tale epigrafe, posta
nella edizione del Tumminelli del 1942, scompare nell’edizione di Donzelli del
2010; edizione quest’ultima che è fedelmente esemplata su quella prefata e
annotata nel 1967 da Dina Bertoni, la moglie di Jovine, nella collana «Letture
per la Scuola Media» dell’Einaudi. Tale soppressione fa mancare il significato
del titolo del romanzo. L’edizione di Donzelli ha la prefazione di Goffredo
Fofi e la postfazione di Francesco D’Episcopo.
Il romanzo è la ricostruzione storica della
provincia molisana negli anni della spedizione garibaldina nel Mezzogiorno e
dell’annessione al Regno d’Italia, osservata con gli occhi del mondo contadino,
con giudizio negativo sul Risorgimento. Jovene proveniva dall’ambiente
contadino.
Signora
Ava parla di cafoni ed è scritto dalla parte dei cafoni, scrive Fofi nella
prefazione.
Il romanzo si divide in due parti. Nella
prima viene rappresentata la vita del paese Guardialfiera, dove è nato Jovine.
Si narra della famiglia borghese dei de Risio: don Beniamino, il “Signor Zio”,
un vecchio canonico, grasso e goloso; don Giovannino, il colonnello, ha vissuto
l’epoca napoleonica e dirige la scuola del paese; don Eutichio, che è anche
capo della polizia, dà a prestito ai contadini la semenza del grano da
seminare; monsignor de Risio, al quale il prete don Matteo Tridone rivolge una
supplica per fargli avere i soldi che gli spettano; Antonietta, figlia di don
Eutichio, amerà Pietro e poi lo seguirà nella sua vita da brigante.
Nella seconda parte viene narrata la vita
dei briganti e delle loro donne, nell’anno 1860. Protagonisti sono il prete don
Matteo Tridone e Pietro Veleno. Il primo riuscirà a riscattare la vita di
povero prete incerto, consegnandosi ai soldati. Il secondo si trasformerà da
servo dei de Risio in brigante. Ambedue, insieme ad Antonietta figlia dei
padroni, entreranno nella grande Storia.
Goffredo Fofi, nella introduzione, scrive
che gli piace molto di più Signora Ava
de Il Gattopardo di Tomasi di
Lampedusa. Ambedue gli autori ritengono che tutto deve cambiare affinché nulla
cambi; ma la differenza è che Tommasi è un erede dei Gattopardi e Jovine dei
Cafoni.
Jovine si ispira a De Martino, a Carlo Levi,
a Verga. La sua scrittura ricercata e la sua cultura richiamano la terra (in
senso di terreno), da cui proviene.
Francesco Jovine, Signora Ava, Donzelli, Roma 2010, pp.
XIV-224