E' ben strana l'Italia. Viene condannato l'avvocato Mills che è stato corrotto dal capo della maggioranza Berlusconi, si dimette il capo dell'opposizione Veltroni. In questo modo vengono percepiti all'estero i fatti avvenuti in Italia nei giorni scorsi. Lo ha scritto Alexander Stille su la Repubblica.
Berlusconi aveva dato al suo avvocato inglese David Mills 600mila dollari per farlo mentire davanti ai giudici non dicendo la verità sui conti esteri della Fininvest. Di questo si era autoaccusato lo stesso Mills. Berlusconi viene iscritto tra gli indagati per corruzione in atti giudiziari. Le legge Alfano, approvata con tempestività, salva Berlusconi dal processo. La sentenza di primo grado condanna Mills, rimasto unico imputato, a 4 anni e mezzo di carcere per corruzione in atti giudiziari.
In qualsiasi altra parte del mondo civile, Berlusconi sarebbe stato chiamato a dimettersi da presidente del consiglio. Ma non in Italia.
La morale civile è stata cancellata dalla coscienza degli italiani. Berlusconi ha contribuito pesantemente a cancellare la morale nell'opinione pubblica. La maggioranza degli italiani è diventata amorale. Anche stampa e televisione ne sono rimaste condizionate. I giornalisti tacciono o scientemente sottovalutano notizie sgradevoli per Berlusconi.
Ovviamente la coincidenza della dimissioni di Veltroni da segretario del Partito Democratico con la condanna di Mills è puramente casuale. Veltroni non ha più retto alle guerre interne del Pd. Il progetto da lui avviato si è dimostrato velleitario nei fatti. Io, come tanti altri appartenenti ai Democratici di Sinistra, non ho mai aderito a quel progetto. Ho sempre pensato che Veltroni abbia sbagliato a lasciare la carica di Sindaco di Roma per diventare segretario del Pd.
Ma tornando a Mills e Berlusconi, io non mi rassegno al degrado delle coscienze degli italiani. Sono sicuro che ci si ravvederà. Berlusconi non è eterno. Spero che scompaia dalla scena politica italiana quanto prima. Nell'interesse di tutti.
24 febbraio 2009
19 febbraio 2009
Inchiesta Massari sul Brigantaggio, a cura di Tommaso Pedio
Il libro, come scrive nell’introduzione Tommaso Pedio, ripresenta un contributo documentario sulla società italiana negli anni immediatamente successivi all’Unità. Sono raccolte le lettere scritte da Aurelio Saffi alla moglie in occasione del viaggio fatto nel 1863 nelle province meridionali dalla commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio, alcuni articoli pubblicati nello stesso anno da Saffi, uno scritto dell’avvocato Pietro Rosano indirizzato ai componenti della Commissione d’inchiesta, la relazione della Commissione d’inchiesta letta dal deputato Giuseppe Massari alla Camera dei Deputati a Torino nella seduta segreta del 3 maggio 1863, l’altra relazione letta dal deputato Stefano Castagnola nella seduta segreta del 4 maggio 1863, una replica alla relazione Massari pubblicata su “La Civiltà Cattolica” dei Gesuiti sempre nel 1863.
La Commissione d’inchiesta sul Brigantaggio meridionale fu nominata dalla Camera il 22 dicembre 1862, su richiesta dell’allora Governo di Destra, per smentire le conclusioni cui era pervenuta una precedente Commissione che era stata nominata il 28 novembre dello stesso anno. La relazione di quest’ultima Commissione era stata elaborata e letta in seduta segreta dal deputato lombardo Antonio Mosca. In essa si sosteneva che il brigantaggio dell’Italia meridionale era una vera e propria rivolta dei ceti subalterni contro la borghesia terriera che aveva accettato l’annessione al Piemonte perché convinta che il nuovo regime le avrebbe lasciato le terre arbitrariamente usurpate. La miseria quindi aveva spinto i contadini alla rivolta e all’odio contro i ricchi galantuomini. Per superare questi contrasti bisognava avere il coraggio di togliere la terra agli usurpatori e distribuirla ai contadini che ne avevano diritto.
Questa conclusione non poteva essere gradita all’allora classe dirigente. I deputati meridionali, moderati o democratici, fautori o oppositori del Governo, erano essi stessi usurpatori delle terre demaniali. Il Governo, quindi, non poteva mettersi contro la borghesia meridionale.
Gli obiettivi della seconda Commissione sul brigantaggio erano già stati fissati quindi prima della sua nascita e prima del viaggio nell’Italia meridionale. La Commissione era nella sostanza filogovernativa. Entrarono a far parte della Commissione nove deputati appartenenti ai diversi gruppi parlamentari, dall’estrema sinistra all’estrema destra. Il viaggio della Commissione nel Meridione durò circa un mese nel febbraio/marzo 1863. Fu ascoltata soltanto la voce dei galantuomini filogovernativi, non furono ascoltati i briganti sfuggiti alla fucilazione presenti nelle carceri, non furono ascoltate le vedove e le madri dei briganti, non furono ascoltati i cosiddetti manutengoli fiancheggiatori dei briganti, non fu ascoltato il popolo del sud.
Il Massari con la sua relazione si industriò a non irritare né i moderati, né i democratici, né il Governo, né l’opposizione. Pur riconoscendo lo stato di profonda miseria in cui vivevano i braccianti e i contadini, si guardò bene dal porre fra le cause del brigantaggio l’egoismo e le prepotenze dei galantuomini, ridusse il tutto, a suo dire, al malgoverno degli spodestati Borbone e all’ignoranza, fanatismo e superstizione religiosa degli abitanti nelle campagne meridionali. Il brigantaggio venne declassato a volgare delinquenza comune, fomentata ed orchestrata dai sostenitori dei Borboni reazionari e retrivi, i quali ricevevano da Francesco II ordini e disposizioni e dalla Curia Romana uomini e denaro al fine di restaurare a Napoli l’antico regime.
La lunga relazione Massari è divisa in sei capitoli, che illustrano le cause ed il carattere del brigantaggio, la responsabilità del potere centrale, la religione politica, la carenza e disorganizzazione nella lotta contro il brigantaggio, nuovi sistemi da adottare, progetto di legge speciale sul brigantaggio. Gli assunti dei titoli sono vaghi e potrebbero portare indifferentemente a conclusioni opposte. Il Massari arriva alla conclusione che è questione completamente oziosa sforzarsi di capire se il brigantaggio possa avere carattere sociale, essendo evidente che esso viene adoperato e sfruttato dai filoborbonici per fini prettamente politici.
In tutta la relazione viene apertamente fuori l’odio e la supponenza dei piemontesi e dei filopiemontesi contro gli abitanti del sud che lottano per la loro sopravvivenza morale e fisica. Ecco come sono definiti i meridionali, briganti o no: “misero ceto, orde di masnadieri, infame banda, assassini, ladri, saccheggiatori, crudele flagello, contadiname, tristi, superstiziosissimi, predoni, volgari e miserabili scellerati, orde brigantesche, uomini lordi di sangue e macchiati dei più atroci delitti, facinorosi, malfattori, avventurieri e ribaldi di ogni risma, malviventi, abbietti, codardi, cannibali, belve selvagge, rotti ad ogni lascivia e turpitudine, pronti ad ogni delitto, bevitori di sangue, mangiatori di carni umane, sbandati, sanguinarie comitive, vera immondizia di plebe, volgari delinquenti, renitenti, disertori, masnadieri campestri, sciagurati”. Così venivano descritti i nostri padri meridionali dal Massari.
Un’affermazione della relazione giustifica la feroce ed inumana repressione perpetrata in quegli anni dai piemontesi contro l’intero popolo meridionale: «Il brigantaggio è una vera guerra, anzi è la peggior sorta di guerra che possa immaginarsi; è la lotta tra la barbarie e la civiltà», dove ovviamente i barbari erano i meridionali ed i civili i piemontesi. Quelle parole riecheggiamo ancora oggi a giustificazione delle barbare ed inumane guerre dei popoli ricchi contro i popoli poveri.
La relazione Massari si chiude con il progetto di una legge sul brigantaggio di ventinove articoli, proposta a maggioranza dalla Commissione d’inchiesta. In realtà poi la legge che viene approvata con procedura d’urgenza dal Senato nella seduta del 6 agosto contiene solo nove articoli. E’ la famigerata legge Pica, pubblicata il 15 agosto 1863. Viene assegnata ai Tribunali Militari la competenza per i reati di brigantaggio, si sancisce la fucilazione per chi oppone resistenza a mano armata, la condanna ai lavori forzati a vita per chi aiuta i briganti con notizie e viveri, il domicilio coatto per gli oziosi, i vagabondi, i sospetti, i manutengoli ed i camorristi.
La relazione del deputato Castagnola, attraverso la lettura dei verbali di alcuni processi che venivano celebrati in quegli anni, mira a dimostrare che complici ed istigatori del brigantaggio sono Francesco II ed i comitati borbonici residenti a Roma, insieme al governo pontificio. Si parla tra l’altro della congiura di Frisa, del processo Bishop, dei processi contro la banda Pilone, contro il parroco Mancinelli, contro la principessa Barberini-Sciarra, contro monsignor Frapolla vescovo di Foggia, contro la banda del sergente Romano.
A chiusura del libro viene riportato un appassionato intervento della “Civiltà Cattolica”, con il quale si smonta l’intero apparato accusatorio della relazione Massari. Da altra fonte sappiamo che l’intervento è costituito da due articoli pubblicati sulla “Civiltà Cattolica” il 5 ottobre 1863 ed il 7 novembre 1863, a firma del gesuita padre Carlo Piccirillo.
Si sostiene che la causa principale del Brigantaggio sia politica e che esso non sia altro che la difesa della propria indipendenza. L’odio alla bandiera piemontese, la fedeltà a Francesco II che li aveva capitanati a Capua e a Gaeta, il disappunto nel vedere la propria patria caduta in mano ad uno Stato straniero, porta i Briganti ad affrontare una vita piena di stenti, di fatiche, di privazioni, di rischi, fino al sacrificio della propria vita, come per moltissimi avvenne.
La differenza tra i piemontesi ed il popolo meridionale, che ha nei cosiddetti briganti la propria mano armata, è che i primi sono venuti al Sud per rapinare un bene non loro, mentre il secondo vuol recuperare quel bene. Così scrive la “Civiltà Cattolica”: «Il ladro che m’entra in casa, e in parte sostenuto dalla violenza delle proprie armi, in parte aiutato dal tradimento de’ miei servitori, me ne caccia spietatamente, e vi asside padrone in luogo mio, qual diritto potrà invocare in favore suo se quindi a poco, rifatto animo e messomi in forze, io vengo ad assalirlo nella mal occupata casa, e cacciarlo dal non suo nido?»
I vinti riprendono cuore, conclude l’articolo della “Civiltà Cattolica”, ed aspettano d’ora in ora un’occasione favorevole per rinfrancarsi. Sono stati gli errori e le prepotenze dei vincitori piemontesi a generare il Brigantaggio, sono quegli errori e quelle prepotenze che faranno aumentare sempre più gli oppositori, fino al trionfo.
Sappiamo ora che la storia andò diversamente, ma i nostri padri Briganti meritano rispetto. Speriamo che prima o poi la Storia dia loro ragione.
Rocco Biondi
Tommaso Pedio, Inchiesta Massari sul Brigantaggio, Relazioni Massari-Castagnola, Lettere e scritti di Aurelio Saffi, Osservazioni di Pietro Rosano, Critica della “Civiltà Cattolica”, Lacaita Editore, Manduria 1998, pp. 372
La Commissione d’inchiesta sul Brigantaggio meridionale fu nominata dalla Camera il 22 dicembre 1862, su richiesta dell’allora Governo di Destra, per smentire le conclusioni cui era pervenuta una precedente Commissione che era stata nominata il 28 novembre dello stesso anno. La relazione di quest’ultima Commissione era stata elaborata e letta in seduta segreta dal deputato lombardo Antonio Mosca. In essa si sosteneva che il brigantaggio dell’Italia meridionale era una vera e propria rivolta dei ceti subalterni contro la borghesia terriera che aveva accettato l’annessione al Piemonte perché convinta che il nuovo regime le avrebbe lasciato le terre arbitrariamente usurpate. La miseria quindi aveva spinto i contadini alla rivolta e all’odio contro i ricchi galantuomini. Per superare questi contrasti bisognava avere il coraggio di togliere la terra agli usurpatori e distribuirla ai contadini che ne avevano diritto.
Questa conclusione non poteva essere gradita all’allora classe dirigente. I deputati meridionali, moderati o democratici, fautori o oppositori del Governo, erano essi stessi usurpatori delle terre demaniali. Il Governo, quindi, non poteva mettersi contro la borghesia meridionale.
Gli obiettivi della seconda Commissione sul brigantaggio erano già stati fissati quindi prima della sua nascita e prima del viaggio nell’Italia meridionale. La Commissione era nella sostanza filogovernativa. Entrarono a far parte della Commissione nove deputati appartenenti ai diversi gruppi parlamentari, dall’estrema sinistra all’estrema destra. Il viaggio della Commissione nel Meridione durò circa un mese nel febbraio/marzo 1863. Fu ascoltata soltanto la voce dei galantuomini filogovernativi, non furono ascoltati i briganti sfuggiti alla fucilazione presenti nelle carceri, non furono ascoltate le vedove e le madri dei briganti, non furono ascoltati i cosiddetti manutengoli fiancheggiatori dei briganti, non fu ascoltato il popolo del sud.
Il Massari con la sua relazione si industriò a non irritare né i moderati, né i democratici, né il Governo, né l’opposizione. Pur riconoscendo lo stato di profonda miseria in cui vivevano i braccianti e i contadini, si guardò bene dal porre fra le cause del brigantaggio l’egoismo e le prepotenze dei galantuomini, ridusse il tutto, a suo dire, al malgoverno degli spodestati Borbone e all’ignoranza, fanatismo e superstizione religiosa degli abitanti nelle campagne meridionali. Il brigantaggio venne declassato a volgare delinquenza comune, fomentata ed orchestrata dai sostenitori dei Borboni reazionari e retrivi, i quali ricevevano da Francesco II ordini e disposizioni e dalla Curia Romana uomini e denaro al fine di restaurare a Napoli l’antico regime.
La lunga relazione Massari è divisa in sei capitoli, che illustrano le cause ed il carattere del brigantaggio, la responsabilità del potere centrale, la religione politica, la carenza e disorganizzazione nella lotta contro il brigantaggio, nuovi sistemi da adottare, progetto di legge speciale sul brigantaggio. Gli assunti dei titoli sono vaghi e potrebbero portare indifferentemente a conclusioni opposte. Il Massari arriva alla conclusione che è questione completamente oziosa sforzarsi di capire se il brigantaggio possa avere carattere sociale, essendo evidente che esso viene adoperato e sfruttato dai filoborbonici per fini prettamente politici.
In tutta la relazione viene apertamente fuori l’odio e la supponenza dei piemontesi e dei filopiemontesi contro gli abitanti del sud che lottano per la loro sopravvivenza morale e fisica. Ecco come sono definiti i meridionali, briganti o no: “misero ceto, orde di masnadieri, infame banda, assassini, ladri, saccheggiatori, crudele flagello, contadiname, tristi, superstiziosissimi, predoni, volgari e miserabili scellerati, orde brigantesche, uomini lordi di sangue e macchiati dei più atroci delitti, facinorosi, malfattori, avventurieri e ribaldi di ogni risma, malviventi, abbietti, codardi, cannibali, belve selvagge, rotti ad ogni lascivia e turpitudine, pronti ad ogni delitto, bevitori di sangue, mangiatori di carni umane, sbandati, sanguinarie comitive, vera immondizia di plebe, volgari delinquenti, renitenti, disertori, masnadieri campestri, sciagurati”. Così venivano descritti i nostri padri meridionali dal Massari.
Un’affermazione della relazione giustifica la feroce ed inumana repressione perpetrata in quegli anni dai piemontesi contro l’intero popolo meridionale: «Il brigantaggio è una vera guerra, anzi è la peggior sorta di guerra che possa immaginarsi; è la lotta tra la barbarie e la civiltà», dove ovviamente i barbari erano i meridionali ed i civili i piemontesi. Quelle parole riecheggiamo ancora oggi a giustificazione delle barbare ed inumane guerre dei popoli ricchi contro i popoli poveri.
La relazione Massari si chiude con il progetto di una legge sul brigantaggio di ventinove articoli, proposta a maggioranza dalla Commissione d’inchiesta. In realtà poi la legge che viene approvata con procedura d’urgenza dal Senato nella seduta del 6 agosto contiene solo nove articoli. E’ la famigerata legge Pica, pubblicata il 15 agosto 1863. Viene assegnata ai Tribunali Militari la competenza per i reati di brigantaggio, si sancisce la fucilazione per chi oppone resistenza a mano armata, la condanna ai lavori forzati a vita per chi aiuta i briganti con notizie e viveri, il domicilio coatto per gli oziosi, i vagabondi, i sospetti, i manutengoli ed i camorristi.
La relazione del deputato Castagnola, attraverso la lettura dei verbali di alcuni processi che venivano celebrati in quegli anni, mira a dimostrare che complici ed istigatori del brigantaggio sono Francesco II ed i comitati borbonici residenti a Roma, insieme al governo pontificio. Si parla tra l’altro della congiura di Frisa, del processo Bishop, dei processi contro la banda Pilone, contro il parroco Mancinelli, contro la principessa Barberini-Sciarra, contro monsignor Frapolla vescovo di Foggia, contro la banda del sergente Romano.
A chiusura del libro viene riportato un appassionato intervento della “Civiltà Cattolica”, con il quale si smonta l’intero apparato accusatorio della relazione Massari. Da altra fonte sappiamo che l’intervento è costituito da due articoli pubblicati sulla “Civiltà Cattolica” il 5 ottobre 1863 ed il 7 novembre 1863, a firma del gesuita padre Carlo Piccirillo.
Si sostiene che la causa principale del Brigantaggio sia politica e che esso non sia altro che la difesa della propria indipendenza. L’odio alla bandiera piemontese, la fedeltà a Francesco II che li aveva capitanati a Capua e a Gaeta, il disappunto nel vedere la propria patria caduta in mano ad uno Stato straniero, porta i Briganti ad affrontare una vita piena di stenti, di fatiche, di privazioni, di rischi, fino al sacrificio della propria vita, come per moltissimi avvenne.
La differenza tra i piemontesi ed il popolo meridionale, che ha nei cosiddetti briganti la propria mano armata, è che i primi sono venuti al Sud per rapinare un bene non loro, mentre il secondo vuol recuperare quel bene. Così scrive la “Civiltà Cattolica”: «Il ladro che m’entra in casa, e in parte sostenuto dalla violenza delle proprie armi, in parte aiutato dal tradimento de’ miei servitori, me ne caccia spietatamente, e vi asside padrone in luogo mio, qual diritto potrà invocare in favore suo se quindi a poco, rifatto animo e messomi in forze, io vengo ad assalirlo nella mal occupata casa, e cacciarlo dal non suo nido?»
I vinti riprendono cuore, conclude l’articolo della “Civiltà Cattolica”, ed aspettano d’ora in ora un’occasione favorevole per rinfrancarsi. Sono stati gli errori e le prepotenze dei vincitori piemontesi a generare il Brigantaggio, sono quegli errori e quelle prepotenze che faranno aumentare sempre più gli oppositori, fino al trionfo.
Sappiamo ora che la storia andò diversamente, ma i nostri padri Briganti meritano rispetto. Speriamo che prima o poi la Storia dia loro ragione.
Rocco Biondi
Tommaso Pedio, Inchiesta Massari sul Brigantaggio, Relazioni Massari-Castagnola, Lettere e scritti di Aurelio Saffi, Osservazioni di Pietro Rosano, Critica della “Civiltà Cattolica”, Lacaita Editore, Manduria 1998, pp. 372
1 febbraio 2009
Pranzo di ferragosto, film di Gianni Di Gregorio
Terzo film del Cineforum Grottaglie 2009
I vecchi non sono da buttare. Anche se si cerca di scaricarli, almeno per qualche tempo, per riconquistare un po' di libertà. C'è chi li accoglie, anche se controvoglia. E loro, i vecchi, sono ancora capaci di sorprenderci con il loro attaccamento alla vita, con la loro capacità di fare amicizia, con la loro ricerca ancora di qualche piccolo piacere. Il protagonista Giovanni ha la capacità di accoglierle ed accudirle con amore. Le vecchie signore del pranzo di ferragosto sono tutte attrici non professioniste e la loro naturalezza permette al film di svolgersi in un'aura genuina e neorealista.
Trama
Gianni, un uomo di mezz’età, figlio unico di madre vedova, vive con sua madre in una vecchia casa nel centro di Roma. Tiranneggiato da lei, nobildonna decaduta, trascina le sue giornate fra le faccende domestiche e l’osteria. Il giorno prima di Ferragosto l’amministratore del condominio gli propone di tenere in casa la propria mamma per i due giorni di vacanza. In cambio gli scalerà i debiti accumulati in anni sulle spese condominiali. Gianni è costretto ad accettare. A tradimento, l’amministratore si presenta con due signore, perché porta anche la zia che non sa dove collocare. Gianni, travolto e annichilito dallo scontro fra i tre potenti caratteri, si adopera eroicamente per farle contente. Accusa un malore e chiama un amico medico che lo tranquillizza ma, implacabile, gli lascia la sua vecchia madre perché è di turno in ospedale. Gianni passa ventiquattr’ore d’ inferno. Quando arriva il sospirato momento del congedo però le signore cambiano le carte in tavola...
Regia: Gianni Di Gregorio
Paese: Italia Anno: 2008
Durata: 75'
Genere: commedia
Distribuzione: Fandango
Data di uscita: 05.09.2008
Interpreti e personaggi
Gianni Di Gregorio: Giovanni
Valeria De Franciscis: donna Valeria, madre di Giovanni
Alfonso Santagata: Luigi, l'amministratore di palazzo
Luigi Marchetti: Vichingo
Marina Cacciotti: madre di Luigi
Maria Calì: zia Maria
Marcello Ottolenghi: medico dottore
Grazia Cesarini Sforza: Grazia, madre del dottore
Petre Rosu: senza casa
Premi
Mostra del Cinema di Venezia 2008: Leone del futuro - Premio Venezia Opera Prima "Luigi De Laurentiis"
Pranzo di Ferragosto - Trailer e Video del Film
I vecchi non sono da buttare. Anche se si cerca di scaricarli, almeno per qualche tempo, per riconquistare un po' di libertà. C'è chi li accoglie, anche se controvoglia. E loro, i vecchi, sono ancora capaci di sorprenderci con il loro attaccamento alla vita, con la loro capacità di fare amicizia, con la loro ricerca ancora di qualche piccolo piacere. Il protagonista Giovanni ha la capacità di accoglierle ed accudirle con amore. Le vecchie signore del pranzo di ferragosto sono tutte attrici non professioniste e la loro naturalezza permette al film di svolgersi in un'aura genuina e neorealista.
Trama
Gianni, un uomo di mezz’età, figlio unico di madre vedova, vive con sua madre in una vecchia casa nel centro di Roma. Tiranneggiato da lei, nobildonna decaduta, trascina le sue giornate fra le faccende domestiche e l’osteria. Il giorno prima di Ferragosto l’amministratore del condominio gli propone di tenere in casa la propria mamma per i due giorni di vacanza. In cambio gli scalerà i debiti accumulati in anni sulle spese condominiali. Gianni è costretto ad accettare. A tradimento, l’amministratore si presenta con due signore, perché porta anche la zia che non sa dove collocare. Gianni, travolto e annichilito dallo scontro fra i tre potenti caratteri, si adopera eroicamente per farle contente. Accusa un malore e chiama un amico medico che lo tranquillizza ma, implacabile, gli lascia la sua vecchia madre perché è di turno in ospedale. Gianni passa ventiquattr’ore d’ inferno. Quando arriva il sospirato momento del congedo però le signore cambiano le carte in tavola...
Regia: Gianni Di Gregorio
Paese: Italia Anno: 2008
Durata: 75'
Genere: commedia
Distribuzione: Fandango
Data di uscita: 05.09.2008
Interpreti e personaggi
Gianni Di Gregorio: Giovanni
Valeria De Franciscis: donna Valeria, madre di Giovanni
Alfonso Santagata: Luigi, l'amministratore di palazzo
Luigi Marchetti: Vichingo
Marina Cacciotti: madre di Luigi
Maria Calì: zia Maria
Marcello Ottolenghi: medico dottore
Grazia Cesarini Sforza: Grazia, madre del dottore
Petre Rosu: senza casa
Premi
Mostra del Cinema di Venezia 2008: Leone del futuro - Premio Venezia Opera Prima "Luigi De Laurentiis"
Pranzo di Ferragosto - Trailer e Video del Film
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