Seddio
chiude il suo saggio, intitolato “Briganti!”, dedicandolo ai tanti morti, sia
dell’una che dell’altra parte (sia i briganti del Sud che i piemontesi del
nord). E’ vero che i morti sono tutti uguali, ma per noi avrebbe fatto bene a
fare una scelta: o i briganti o i piemontesi. Anche se, leggendo il libro,
sembra che scelga i briganti.
Compito, dice Seddio, è quello di esporre i
fatti storici, al solo scopo di avere una conoscenza di quel periodo. Ognuno
poi, dando una propria valutazione, può arrivare anche a conclusioni opposte.
Ma l’autore scrive anche nel libro che, sulla
scorta dei documenti, è stato rilevato che alla fine ci furono quasi un milione
di morti, 54 paesi del Sud distrutti dai piemontesi perpetrando inenarrabili
violenze, superando così tutte le guerre risorgimentali messe insieme.
In questa affermazione, come in tante altre
del libro, sembra esserci una contraddittorietà; ma l’autore ne è cosciente,
riportando il pensiero contrapposto di diversi “storici”; ma lo ripeto sua
pecca è non aver fatto una scelta di campo.
Il brigantaggio fu la violenta risposta ad
una politica voluta dal governo rilevatasi del tutto sbagliata. E si tornerà a
rimarcare come quel fenomeno abbia avuto connotati omogenei e i briganti, pur
trovandosi in luoghi distanti, hanno agito seguendo una medesima tattica e
metodi di lotta assai simili, come se tutti fossero alle dipendenze di un unico
capo banda; questo scrive Seddio.
Con la complicità dei contadini e dei
pastori, i briganti trovarono rifugio nelle terre montuose, nelle fitte
boscaglie, negli anfratti, nelle caverne. E di questa “consorteria” fecero
parte attiva non solo uomini, ma anche donne audaci e coraggiose.
A tale situazione i governanti risposero
con una durissima repressione, impiegando nel Sud quasi 120.000 soldati.
Acuendo così la differenza tra nord e Sud, il quale ultimo considerò i briganti
come loro eroi buoni.
Da Gramsci il fenomeno del brigantaggio
venne considerato come lotta di classe e la guerra delle bande fu definita una
lotta armata dei contadini contro le classi dominanti. Ma l’opposizione armata
fu uno dei tanti aspetti della resistenza antiunitaria. Dopo il 1860 vi furono
forme più articolate che coinvolsero il parlamento, la magistratura, i suffragi
elettorali, la coscrizione obbligatoria, l’emigrazione, la stampa clandestina,
la questione demaniale, la cultura contadina, l’intromissione della Chiesa.
Il fenomeno si allargò a macchia d’olio in
tutte le regioni del Meridione. Briganti importanti furono Gaetano Manzo,
Michele Caruso, Giuseppe Schiavone, Gaetano Tranchella, Luigi Alonzi, Pietro
Monaco, Antonio Trapasso, Ferdinando Mittica, Domenico Straface, Vincenzo
Macrini.
Nel libro si parla diffusamente del capo
brigante Carmine Crocco, che da umile bracciante divenne comandante di circa
duemila uomini. Era nato in Basilicata a Rionero in Vulture; per un episodio
banale la sua vita cambiò radicalmente: un cane levriero aveva ucciso un coniglio
di proprietà dei Crocco e Donato (fratello di Carmine) uccise il cane a
bastonate, il padrone del cane colpì violentemente con un frustino Donato. La
madre di Donato intervenne per difendere il figlio, ricevendo da don Vincenzo
calci nel ventre; in seguito a questo abortì e successivamente venne richiusa
in un manicomio. Carmine decise di vendicarsi. Fu arruolato nell’esercito
borbonico e prestò servizio prima a Palermo e poi a Gaeta. Uccise a coltellate
un signore che respinto aveva sfregiato il viso della sorella. Rinchiuso nel
carcere di Brindisi riuscì però ad evadere. Si arruolò con Garibaldi, sperando
di aver condonati i suoi reati. Ma così non fu. Ed allora si diede alla
macchia, difendendo il re borbonico. Occupò molti paesi. Incontrò il generale
spagnolo José Borges, che poi abbandonò. Quest’ultimo venne fucilato a
Tagliacozzo. Crocco, che pian piano venne indebolito, fuggì nello Stato
Pontificio. Ma fu arrestato. Ed infine, dopo varie peripezie, finì nell’isola
d’Elba, nel carcere di Portoferraio, dove morì il 18 giugno 1905.
Si parla anche di Giuseppe Nicola Summa
(detto Ninco-Nanco), di Nicola Napoletano (detto Caprariello), di Vincenzo
Mastronardi (detto Staccone), di Rocco Chirichigno (detto Cppolone).
Ma Seddio scrive anche di briganti
precedenti e successivi al periodo postunitario: Michele Arcangelo Pezza (Fra’
Diavolo), Stefano Pelloni (Passatore), Eustachio Chita (Chitarridd), Giuseppe
Musolino, Salvatore Giuliano, e di tanti altri (non solo del Sud Italia).
Fra le brigantesse vengono riportate, tra
le altre, Maria Capitanio, Filomena Pennacchio, Maria Giovanna Tito, Marianna
Oliviero (Ciccilla), Serafina Ciminelli, Michelina Di Cesare, Maria Maddalena
De Lellis (Padovella), Maria Brigida, Maria Luisa Ruscitti.
Fra le fortezze in cui vennero rinchiusi i detenuti
del Sud famosa è quella di Finestrelle, nel territorio piemontese.
Rocco Biondi
Rocco Biondi
Pietro Seddio, Briganti!, Editrice Montecovello, 2011, pp. 224