30 marzo 2008

La giusta distanza, film di Carlo Mazzacurati

Decimo film del Cineforum Grottaglie 2008

Del film l’elemento che più mi ha colpito alla prima visione è stato la musica, avvincente e coinvolgente.
Affascinante anche la fotografia.
Citazioni di Olmi e Fellini.
Solo trasgredendo alla regola della "giusta distanza" è possibile approdare alla giustizia contro i giudizi scontati.

Trama
In un lembo remoto d'Italia alle foci del Po, c'è un piccolo paese: poche case isolate che una gru sembra avere incongruamente deposto in quel paesaggio piatto e desolato. Su questo scenario evanescente si disegna l'incontro tra Hassan e Mara. Lui è un meccanico tunisino, che con anni di onesto e duro lavoro si è conquistato stima e rispetto, lei una giovane maestra, che una supplenza ha portato lì, in attesa di partire per il Brasile con un progetto di cooperazione. Giovanni, diciottenne aspirante giornalista, passa molto tempo ad aggiustare una vecchia motocicletta nell'officina di Hassan ed è qualcosa di più che un testimone della storia che nasce tra loro. Una storia che comincia sotto il segno dell'inquietudine, con Hassan che la notte spia Mara nella casa isolata in cui ha preso alloggio, e lei che dopo averlo scacciato intreccia con lui una relazione. Ma Hassan non è l'unico a essere attratto da Mara. Anche Giovanni, infatti, a suo modo la spia: grazie alla sua abilità con i computer penetra nella posta elettronica di Mara e legge i messaggi che lei scrive e riceve. E di fronte alla svolta tragica e inaspettata che la vicenda assume, anche Giovanni volterà le spalle ad Hassan. Ma la vita è più contorta e dolorosa di quello che appare...

Crediti
Regia: Carlo Mazzacurati,
Sceneggiatura: Carlo Mazzacurati, Doriana Leondeff, Marco Pettenello, Claudio Piersanti
Fotografia: Luca Bigazzi
Musiche: Tin Hat
Genere: drammatico
Paese: Italia
Produzione: Fandango; in collaborazione con Rai Cinema
Formato di proiezione: 35mm, coloreDurata: 106'
Anno di produzione: 2007
Data di uscita: 20 Ottobre 2007

Interpreti
Giovanni Capovilla (Giovanni), Ahmed Hafiene (Hassan), Valentina Lodovini (Mara), Giuseppe Battiston (Amos), Roberto Abbiati (Bolla), Natalino Balasso (Franco), Stefano Scandaletto (Guido), Mirko Artuso (Frusta), Fabrizio Bentivoglio (Bencivenga), Mirian Rocco (Eva), Fadila Belkleba (Jamila), Dario Cantarelli (Tiresia), Rafaella Cabia Fiorin (Zia Giacinta), Silvio Comis (Padre di Giovanni), Nicoletta Maragno (Pubblico Ministero), Ivano Marescotti (Avvocato)

Note
- FILM REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DEL MIBAC.
- PREMIO 'L.A.R.A.' (LIBERA ASSOCIAZIONE RAPPRESENTANZA DI ARTISTI) A GIUSEPPE BATTISTON COME MIGLIOR INTERPRETE ITALIANO ALLA II^ EDIZIONE DI 'CINEMA. FESTA INTERNAZIONALE DI ROMA' (2007).
- CANDIDATO AL DAVID DI DONATELLO 2008 PER: MIGLIOR FILM, REGIA, SCENEGGIATURA, ATTRICE PROTAGONISTA, ATTORE NON PROTAGONISTA (AHMED HAFIENE), FOTOGRAFIA, MONTAGGIO, FONICO DI PRESA DIRETTA E DAVID GIOVANI.

29 marzo 2008

No al bipartitismo, intervista a Raniero La Valle

Stiamo vivendo un colpo di mano. E’ in atto il tentativo di passaggio dal bipolarismo al bipartitismo. I premi di maggioranza stanno affossando il democratico regime parlamentare. I reali risultati delle elezioni possono essere sovvertiti.
Dentro questo modello le minoranze sono escluse istituzionalmente. Si va verso l’omologazione, i due partiti contrapposti tendono a somigliarsi, le due parti insistono sulla stessa area elettorale.
Vengono escluse quelle che impropriamente vengono chiamate le ali estreme, che quasi sempre non hanno niente di estremo o di radicale, ma avanzano semplicemente idee e proposte, modelli e ideali che non sono esattamente quelli omologati dal sistema di potere che si vuole imporre.
La democrazia viene così amputata. La società diventa impolitica, perché non si possono avanzare proposte alternative e linee politiche diverse da quelle previste dallo stesso meccanismo istituzionale.
Per gli altri partiti, diversi dai due maggiori, che si presentano alle elezioni, il meccanismo elettorale non lascia che degli scampoli di rappresentanza parlamentare.
Ed allora che bisogna fare nelle prossime elezioni? Chi votare? La questione principale - visto che andremo a votare sotto ricatto - è evitare che le elezioni le vinca Berlusconi. Il primo problema è evitare di cadere in questa fossa. Purtroppo in questa fase non è funzionale alla democrazia la rappresentanza parlamentare dei piccoli gruppi, ma quella del partito in grado di evitare, con un voto in più, che Berlusconi prenda tutto il potere. Se Berlusconi non vincesse le elezioni, o si andasse al pareggio, allora si riaprirebbe tutta la partita, dal momento che anche dentro al Partito Democratico non c’è affatto pieno consenso per l’irrigidimento nelle forme bipartitiche.
Solo così si può sperare che non passi la riforma di tipo presidenzialistico e antiparlamentare, che prevede la soppressione del Senato, la drastica riduzione dei parlamentari, il divieto di costituzione in Parlamento di partiti non passati per la cruna dello sbarramento elettorale.
Bisognerà impegnarsi per il ritorno ad un sistema proporzionale autentico.
Questa è una mia personale sintesi di un intervista a Raniero La Valle, pubblicata sul n. 22 di Adista Documenti. Per uno come me, di formazione comunista e che non ha aderito al Partito Democratico, è dura riconoscersi ed accettare quello che sostiene il cattolico Raniero La Valle. Ma non vedo alternative.

24 marzo 2008

Controstoria dell’Unità d’Italia, di Gigi Di Fiore

Nell’ultima di copertina del libro è riportata la seguente frase di Giuseppe Garibaldi: «Quando i posteri esamineranno gli atti del governo e del Parlamento italiano durante il risorgimento, vi troveranno cose da cloaca». E per evitare equivoci trascrivo due sinonimi di cloaca, trovati sul Vocabolario della lingua italiana della Treccani: fogna, chiavica. E se l’ha detto Garibaldi, che di quei fatti fu attore, c’è da crederci.
Gigi Di Fiore, storico non allineato, cerca di fare chiarezza sulle «invenzioni, abbellimenti e superficiali spiegazioni» presenti nei libri di storia ufficiali, con cui si raccontano i fatti che accaddero nei ventidue anni che vanno dall’esplosione rivoluzionaria del 1848 alla breccia di Porta Pia del 1870.
Cerca di dare risposte soddisfacenti alle domande: come è possibile che un manipolo di mille garibaldini abbia sconfitto un esercito di 50.000 borbonici?, con quali poteri, più o meno occulti, e con quali mafie dovettero allearsi Garibaldi e Cavour?, perché ci vollero cannoni e fucili per domare la ribellione contadina dei briganti del Sud?, perché dall’esercito piemontese vennero invasi il Regno delle Due Sicilie prima e lo Stato pontificio poi senza alcuna dichiarazione di guerra?, come furono possibili i risultati, più che bulgari, a favore dell’annessione al regno sabaudo-piemontese nei plebisciti tenutisi nei ducati di Toscana, di Parma-Piacenza-Guastalla, di Modena, nell’intero territorio del Regno delle Due Sicilie, nel Veneto, nello Stato pontificio?.
La spedizione di Garibaldi contro il Regno delle Due Sicilie non fu certamente segreta, popolare, spontanea, ma si trattò di un’azione ben organizzata, finanziata e pianificata nei dettagli, con l’avallo del governo piemontese.
I molti soldi utilizzati per la buona riuscita della spedizione provenivano da molte fonti: finanziamenti inglesi, sottoscrizioni private, fondi della Società nazionale, denaro delle logge massoniche. Tutti avevano il loro interesse a liberare la Sicilia ed il Sud dai Borbone.
I volontari garibaldini, imbarcati a Genova sulle navi Piemonte e Lombardo, furono inizialmente 1089, suddivisi in otto compagnie. Tre giorni dopo l’indisturbato sbarco, avvenuto a Marsala l’11 maggio 1860, i volontari erano già diventati 15.000 (quindicimila). In Sicilia i baroni e la mafia non erano stati a guardare. A guardare invece erano rimasti, senza colpo sparare, generali e comandanti dell’esercito borbonico, già ben oliati e corrotti.
Anche in Calabria e Puglia si sparò pochissimo. Per le camicie rosse l’andata verso Napoli fu in pratica una passeggiata. Anche qui determinante fu l’intervento della camorra, che divenne Stato.
I conquistatori piemontesi non fecero nulla per farsi ben volere dal popolo del Sud, anzi con le loro leggi inasprirono la già triste condizione meridionale. Naturale fu quindi la rivolta contadina, che diede vita alla sanguinosa guerra civile del brigantaggio. Guerra civile che fece tanti morti pari a quelli delle tre guerre d’indipendenza messe insieme. I contadini del Sud difendevano i loro naturali diritti.
Nel 1861 le campagne meridionali divennero un vulcano in ebollizione, con la presenza di 39 bande armate brigantesche in Abruzzo, 42 al confine con lo Stato pontificio, 15 nel Molise e nel Sannio, 47 tra l’Irpinia e la provincia di Salerno, 47 in Basilicata, 34 in Puglia, 33 in Calabria, 6 in provincia di Napoli, come elencate nella Storia del Brigantaggio di Franco Molfese. Questo proliferare di bande armate non avrebbe potuto esistere se non vi fosse stato l’appoggio incondizionato delle popolazioni civili.
Ogni banda aveva il suo capo. Fra questi i più famosi furono: Carmine Crocco in Basilicata, che riuscì a raggruppare fino a mille uomini; Luigi Alonzi detto «Chiavone», che operava alla frontiera pontificia presso Sora, con 430 uomini organizzati con rigore militare; Pasquale Domenico Romano di Gioia del Colle, in Puglia, detto «il sergente Romano», che sperava di federare tutte le bande in rivolta in Puglia e Basilicata. Fra i briganti vi erano anche parecchie donne, che combattevano alla pari degli uomini.
La repressione da parte dei piemontesi fu spietata, fu dichiarato lo stato d’assedio del Sud, le fucilazioni sommarie divennero la regola, vi furono arresti senza prove e fucilazioni senza processi, furono bruciati e rasi al suolo interi paesi per rappresaglia, le donne venivano stuprate «non prima di aver loro strappato gli orecchini».
Ci vollero cinque anni, uno stato d’assedio, ventiquattro mesi di leggi speciali, per avere ragione della rivolta del Sud Italia.
Nemmeno la Chiesa romana fu risparmiata, furono soppressi gli ordini religiosi, furono acquisiti dallo Stato i loro beni. Tantissimi ecclesiastici furono mandati in esilio lontano dalle loro sedi, e fra essi molti vescovi. Nei soli primi mesi del regno d’Italia, erano stati processati e confinati ben sessantanove vescovi, tra cui due cardinali: Sisto Riario Sforza a Napoli e Filippo De Angelis a Fermo. Vennero aboliti i seminari diocesani e fu introdotto l’obbligo del servizio militare per i seminaristi.
Il 20 settembre 1870 l’esercito piemontese entra a Roma, Papa Pio IX si rifugia nel Vaticano. Il potere temporale dei Papi viene smantellato. L’unità d’Italia è fatta.
Si conclude il periodo storico del Risorgimento italiano, che ha lasciato il Paese Italia spaccato in due: «Nord e Sud, cattolici e liberali, democratici e destra, contadini e latifondisti». Spaccatura con cui «ancora oggi, nel bene e nel male, dobbiamo fare i conti».
Concordo con l’idea portante del libro di Gigi Di Fiore e che cioè la sacralità del Risorgimento non è più intoccabile; bisogna lasciare spazio a vedute culturali più ampie. «Non ci può essere futuro per un Paese che non sa riconoscere i suoi errori, che non sa fare autocritica anche su entusiasmanti pagine della sua storia come quelle risorgimentali. Rileggerne i passaggi negativi oggi non può che cementare il nostro sentimento nazionale», scrive Di Fiore.
Rocco Biondi

Gigi Di Fiore, Controstoria dell’Unità d’Italia - Fatti e misfatti del Risorgimento, Rizzoli, Milano 2008, pp. 464, € 19,50

22 marzo 2008

Papa oscurantista e contro le donne

Libertà per il Papa è ritenere che le donne che abortiscono, anche nel pieno rispetto di una legge statale, sono assassine; libertà per me è dire che il Papa e la Chiesa sono contro le donne.
Libertà per il Papa è rinunciare a tenere un discorso nell’Università La Sapienza di Roma, perché vi è qualcuno che non la pensa come lui; libertà per me è ritenere inopportuno l’invito rivolto al Papa dal rettore dell’Università di Roma a tenere una lectio magistralis in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico.
Libertà per il Papa è ritenere che lui sia infallibile; libertà per me è pensare che il Papa sia oscurantista e contro il progresso scientifico.
Libertà per il Papa è voler intervenire negli affari politici italiani; libertà per me è accettare integralmente la petizione delle donne con la quale si chiede che ad integrazione della legge 194 venga eliminata l'obiezione di coscienza per chi lavora nelle strutture pubbliche sanitarie, che venga resa immediatamente disponibile in tutta Italia la pillola abortiva (RU 486), che venga reso semplice e veloce l'accesso alla pillola del giorno dopo, che venga introdotto l'insegnamento dell'educazione sessuale fin dalle elementari.
Libertà per il Papa è continuare la sua crociata “in difesa della vita”, con la conseguente proposta di moratoria dell'aborto e di ingiunzione a rianimare i feti ultraprematuri anche contro la volontà della madre (malgrado la quasi certezza di menomazioni gravissime); libertà per me è riconoscere pienamente l'autodeterminazione delle donne a dire la prima e l’ultima parola sul loro corpo e sulle loro gravidanze.
Libertà per il Papa è invitare a votare nelle prossime elezioni chi si ispira ai principi e alla morale cristiani; libertà per me è invitare a non votare i sepolcri imbiancati che a parole dicono di essere con il Papa ma nei fatti sono pluridivorziati, peccatori impenitenti e atei devoti.

16 marzo 2008

L’aria salata, film di Alessandro Angelini

Nono film del Cineforum Grottaglie 2008

Film in concorso alla prima Festa del Cinema di Roma del 2006, alla quale partecipai. Ma non riuscii a vederlo. Ne vidi altri venticinque. Le cronache dicono che in quel festival il film ebbe dieci minuti di applausi e che l’attore Giorgio Colangeli fu premiato come migliore interprete maschile.
La visione del film mi ha lasciato alquanto perplesso. Non sono riuscito a riscontrare nel film particolari meriti dal punto di vista del linguaggio cinematografico. Ma anche chi va al cinema semplicemente per vedere una storia, non credo che ne esca soddisfatto. Il film ha tutta l’acerbità di un’opera prima, senza miracoli.

Trama
Fabio è un giovane educatore che lavora con passione e dedizione in un carcere nel percorso di reinserimento dei detenuti nella società. A volte è costretto a scontrarsi con quanti si aspettano da lui facilitazioni per ottenere permessi premio o l'agognata semilibertà. Fabio, però, non fa sconti e non deroga ai suoi principi anche se questo gli costa molto più di quanto sia disposto ad ammettere. Un giorno, un detenuto condannato per omicidio, che gli è stato mandato da un collega, si siede a colloquio con lui. E' Sparti, uomo dal carattere difficile, che il carcere ha contribuito ad indurire ulteriormente. L'incontro inaspettato con quest'uomo, costringe Fabio a fare i conti con i fantasmi di un passato familiare rimosso, e a scontrarsi con la sorella Cristina che non vuole riaprire vecchie ferite che mettano a repentaglio la tranquillità della loro vita attuale.

Dati tecnici
Regia: Alessandro Angelini
Anno: 2006
Distribuzione: 01 Distribution
Uscita: 05-01-2007
Costumi: Daniela Ciancio
Fotografia: Arnaldo Catinari
Montaggio: Massimo Fiocchi
Musiche: Luca Tozzi
Prodotto da: Donatella Botti
Sceneggiatura: Angelo Carbone, Alessandro Angelini
Scenografia: Alessandro Marrazzo
Soggetto: Angelo Carbone, Alessandro Angelini
Trucco: Gino Tamagnini
Nazione: Italia
Durata: 1h e 27'
Genere: Drammatico

Attori
Giorgio Pasotti (Fabio), Giorgio Colangeli (Sparti), Michela Cescon (Cristina), Sergio Solli (Lodi), Paolo De Vita (Umberto Sparti), Paolo Pierobon (Brunetti), Simone Colombari (Padre Emma), Bruno Santini (Medico del carcere), Emanuel Bevilacqua (Saverio), Sauro Artini (Gallozzi), Federico Del Monaco (Luca, il figlio di Saverio), Maria Caterina Frani (Moglie di Saverio), Katy Louise Saunders (Emma)

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15 marzo 2008

Maddalena di Enzo Lauretta, pièce teatrale sul sacerdozio femminile

Venerdì 14 marzo 2008 ho assistito alla prima nazionale dello spettacolo teatrale Maddalena dello scrittore siciliano Enzo Lauretta, al teatro Monticello dei Padri Gesuiti di Grottaglie. Due atti, un intermezzo, un epilogo. Dramma tratto dall’omonimo romanzo dello stesso Lauretta, pubblicato da Rizzoli nel 1991.
Maddalena sin da bambina insegue un suo sogno forse impossibile: diventare prete. Rinuncia all’amore terreno per seguire il suo fratello gemello diventato prete. E quando quest’ultimo getta la tonaca alle ortiche per amore di una donna, lei lo vuole sostituire nelle attività parrocchiali e anche nel dire messa. Qualche parrocchiano ed anche un prete non trovano scandalosa questa volontà, ma non il vescovo del luogo che si straccia le vesti all’idea sacrilega. Ma Maddalena non demorde e prosegue sulla strada della sua lucida follia: veste i paramenti sacri, alza l’ostia al cielo e pronuncia il fatidico “questo è il mio corpo” di Cristo.
Tema scottante e sempre attuale quello del sacerdozio femminile, rivendicato dall’altra metà del cielo ed al quale sembra aderire lo scrittore Lauretta. Ma la strada è lunga e la meta molto lontana, anche per le sognatrici.
Messinscena accattivante sotto l’abile regia di Alfredo Traversa. Scenografia essenziale di Michele Lisco, con la funzionale trovata dei pannelli scorrevoli ad apertura centrale, oltre i quali vengono rappresentati flash back del passato. Musiche dal vivo in scena ad opera di Claudio De Vittorio, che s’accompagna con la fisarmonica e con la chitarra. Tutti molto bravi gli attori, non so se professionisti, ma certamente da professionisti: Rosaria Maesano (Donna), Angelo Bommino (Giovanni), Annamaria Caliandro (Maddalena) [nella foto], Romano Argese (Fausto), Tano Chiari (Don Leopoldo), Pino Rossini (Vescovo), Massimo Zaccaria (Cantacunti).
Una curiosità: nell’immagine, riprodotta sul manifesto dello spettacolo, Maddalena alza l’ostia con la mano sinistra. Significa qualcosa?
Si prevede ed auguro allo spettacolo lunga vita. Per muovere le acque all’interno della Chiesa.

9 marzo 2008

Centochiodi, film di Ermanno Olmi

Ottavo film del Cineforum Grottaglie 2008

Il cinema di Ermanno Olmi non mi ha mai entusiasmato. Tanto meno lo fa questo film. Uno come me che ha posto come motto nel suo ex libris la scritta “Liber amicus fidissimus” (il libro è un amico fedelissimo) non può che rimanere molto perplesso sul messaggio che Olmi ha voluto lanciare con questo suo ultimo (a suo dire) film. Dire, come fa Olmi, che un caffè bevuto con un amico vale di più di tutti i libri del mondo, è una cosa molto banale e senza senso. E’ di un manicheismo assai puerile. Io continuerò a bere con piacere il caffè con gli amici, ma mi terrò cari i molti miei libri. Umberto Eco parla di una corrispondenza di amorosi sensi tra il libro e chi lo possiede. I libri non sono mai invadenti, parlano solo se li interroghi, non ti chiedono mai niente, se si ha bisogno di consigli sanno darti quello giusto, se si è tristi riescono a risollevarti, se si è affranti ti leniscono il dolore, si lasciano trasportare ovunque per farti compagnia, anche quando sei lontano sai che puoi fare sempre affidamento su di loro.
Il filosofo Jean-Luc Nancy, nel volumetto dal titolo Del libro e della libreria – Il commercio delle idee, ha scritto: «La santità del libro, in generale, consiste nel fatto che il libro, allo stesso tempo, si pone e si impone ogni volta come un’entità data, compiuta, integrale e non modificabile, pur aprendosi liberamente alla lettura che non la finirà mai di aprirlo più ampiamente o più profondamente, di dargli mille sensi o mille segreti, di riscriverlo alla fine in mille modi. La fecondità del volume si sviluppa in una gravidanza interminabile».
Altro da quello che Olmi scrive nell’epigrafe che apre il film: «Ma pur necessari, i libri non parlano da soli».
Riconosco invece alla fotografia del film un grande merito.
Condivido anche due battute del film: «le religioni non hanno mai salvato il mondo» e «nel giorno del giudizio sarà Dio a dover rendere conto della sofferenza degli uomini».
Sento vicino al mio modo di sentire la risposta data da Olmi alla domanda «Che cosa significa raccontare Cristo?», anche se noto qualche contraddizione con quanto detto con il film: «Il Cristo Uomo, uno come noi, che possiamo ancora incontrare in un qualsiasi giorno della nostra esistenza: in qualsiasi tempo e luogo. Il Cristo delle strade, non l'idolo degli altari e degli incensi. E neppure quello dei libri, quando libri e altari diventano comoda formalità, ipocrita convenienza o addirittura pretesto di sopraffazione. Parole dure, esagerate? Eppure giungono da ogni parte grida di guerra e di dolore quasi fossero un tributo da pagare a un Dio assurdo di distruzione, che semina odio fra gli uomini. Dov'è il Dio di pace?».

Trama
Coinvolto in una difficile indagine, un giovane professore dell'università di Bologna, decide di mollare tutto e cambiare completamente vita. Si trasferirà in un casolare abbandonato sulle rive del Po e qui instaurerà una serie di rapporti d'amicizia e amorosi con la comunità del posto.

Note tecniche
Regia: Ermanno Olmi
Cast: Raz Degan, Luna Bendandi
Nazione: Italia
Anno: 2005
Genere: Drammatico
Durata: 90'
Produzione: Cinema11undici, Rai Cinema
Data di uscita: 30 Marzo 2007

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8 marzo 2008

In guerra per Padre Pio, esumazione

E’ ben strana la storia della guerra legale tra i frati cappuccini (e per essi l’arcivescovo Domenico D’Ambrosio) e l’avvocato torinese Francesco Traversi (presidente dell'Associazione "Pro Padre Pio, l'uomo della Sofferenza").
Nella notte di domenica 2 marzo, alle ore 23,19, i frati hanno tirato fuori dalle tre casse di metallo, legno e zinco il corpo di Padre Pio. Era abbastanza ben conservato. Sono cominciati i trattamenti, che dureranno un mese, per conservare il corpo.
L’avvocato Traversi ha denunciato il vescovo D’Ambrosio “per il compimento di azioni sacrileghe sul Corpo Santo di Padre Pio”. Il vescovo è stato iscritto nel registro degli indagati.
Intanto già 120.000 persone hanno prenotata la visita al corpo del santo. Un vero affare per San Giovanni Rotondo, paesone del foggiano, che vive solo di turismo religioso. Un’occasione d’oro per gli albergatori della zona che in realtà non se la passano poi tanto bene, scriveva Lorenzo Salvia sul Corriere della Sera.
Con il Giubileo, l’altro paese che vive sullo “sfruttamento” di Padre Pio, Pietrelcina nel beneventano, paese di 29 mila abitanti dove nacque Francesco Forgione (è il nome al secolo di San Pio), ha fatto il passo più lungo della gamba: gli alberghi erano 15, ma con i fondi speciali per il 2000 sono diventati 140. Nuovi, puliti, carini. E quasi sempre vuoti.
L’esumazione doveva servire per attirare nuovi pellegrini.
A me in realtà frega poco di tutta questa storia. Ma se dovessi schierarmi con uno dei due contendenti, mi schiererei con il Traversi, che accusa i frati di simonia e mercimonio. Con buonafede e buonapace di chi ci crede veramente.

2 marzo 2008

La masseria delle allodole, film di Paolo e Vittorio Taviani

Settimo film del Cineforum Grottaglie 2008

Una pagina di storia, più che dimenticata mai scritta, rimossa e negata dalla nazione turca. Si tratta dell’olocausto degli Armeni perpetrato dai Turchi nel 1915. Un milione e mezzo di Armeni, uomini donne bambini, massacrati. La Turchia che sta per entrare nella Comunità europea non ha ancora chiarito questa tragica pagina della sua storia. Noi della vecchia Europa dovremmo chiederne conto. I fratelli Taviani con il loro bel film ci aiutano in quest’opera di chiarimento.

Trama
Turchia, 1915. In una cittadina vive la benestante famiglia armena degli Avakian. Nel giorno in cui vengono colpiti dal lutto per la morte del patriarca anche il generale Arkan, capo della guarnigione turca, è presente alle esequie. È il segno di un rapporto, se non di amicizia, di reciproco rispetto tra le due comunità. Ma i Giovani Turchi hanno già pronto un piano per creare la Grande Turchia in cui non ci sarà posto per i ricchi e ‘traditori' Armeni. Nessuna mediazione si rivela possibile. Dalla capitale partono per ogni dove gruppi di militari con l'ordine di uccidere sul posto i maschi (di qualunque età essi siano) e di deportare le donne e le bambine per poi massacrarle nei pressi di Aleppo. La famiglia Avakian viene smembrata e la giovane e vitale Nunik farà di tutto per salvaguardare la vita delle più piccole.

Recensione
Solo negli ultimi anni sta emergendo la consapevolezza dei tanti genocidi dimenticati del XX secolo.
Non solo il III Reich ha cercato di perseguire in modo criminale il progetto di una Germania dei tedeschi, ma anche l'élite politica e culturale dell'ex impero ottomano ha attuato una politica simile, nell'inseguimento del sogno di una "Grande Turchia". Tale denominazione nasconde la visione di una Turchia "imperiale", che secondo il nazionalismo laico avrebbe dovuto comprendere i territori da Istanbul fino al Sinkiang cinese, abbracciando tutte le popolazioni di etnia turco-mongola.
Sarebbe sbagliato collocare tale visione politica nel passato lontano; basti pensare che ancora nel luglio del 2005 il premier Erdogan in un viaggio in Mongolia inneggiava alla presunta fratellanza tra Turchia e Mongolia.
Il genocidio del popolo armeno (la cui semplice menzione oggi in Turchia può portare fino a tre anni di reclusione come atto antipatriottico) inizia il 24 luglio del 1915 e viene attuato dai Giovani Turchi, un movimento politico che dal 1908 era di fatto alla guida del paese. Le cifre dello sterminio sono ancora oggetto di controversia, ma una cifra attendibile sembra aggirarsi intorno al milione e mezzo di assassinati tra uomini, donne e bambini.
La masseria delle allodole dei fratelli Taviani, tratto dall'omonimo romanzo di Antonia Arslan, è il primo film che affronti direttamente e a viso aperto il genocidio. Ararat, di Atom Egoyan, che pure aveva richiami evidenti alla vicenda storica faceva un operazione molto raffinata, parlando dell'instabilità dei concetti di memoria storica e di passato, di vero e falso. Nella masseria abbiamo invece un approccio diretto, in cui vengono mostrate le fasi dell'eccidio ed il suo impatto sulla popolazione armena e turca. Non tutti i turchi sono presentati come perpetratori dello sterminio, ed anzi possiamo vedere diverse sfumature: il fanatico, il collaborazionista entusiasta, l'ufficiale che deve seguire gli ordini ed il dubbioso, incredulo di fronte a tanta violenza. La responsabilità del resto viene attribuita unicamente ai Giovani Turchi.
Per quanto riguarda il titolo, è evidente il richiamo al "Giardino dei Finzi Contini" (libro e film), sia il giardino che la masseria sono dei luoghi ideali, che portano in sé una fallace forma di sicurezza destinata ad essere spazzata via dalla violenza degli uomini, dai massacri degli uomini armeni e dalle "marce della morte" riservate alle donne. Anche se la pellicola dei Taviani a volte riflette di un impianto televisivo, questo piccolo difetto è controbilanciato dai molti pregi, tra cui un cast davvero europeo. Fra gli attori, tantissimi, va citata almeno Arsiné Kanjian (di origine armena), che aveva già recitato in Ararat. Quello che è davvero importante è che la "Masseria delle allodole" porterà al grande pubblico una conoscenza, quanto meno iniziale, di uno degli eventi più drammatici del novecento, un crimine in passato "rimosso" troppo spesso da considerazioni politiche ed ideologiche.
Mauro Corso in http://filmup.leonardo.it/lamasseriadelleallodole.htm

Note tecniche
Regia: Paolo e Vittorio Taviani
Soggetto: La masseria delle allodole(Antonia Arslan)
Sceneggiatura: Paolo e Vittorio Taviani
Produttore: Stefano Dammicco, Gianfranco Pierantoni
Distribuzione (Italia): 01 Distribution
Fotografia: Giuseppe Lanci
Montaggio: Roberto Perpignani
Effetti speciali: Enrico Pieracciani
Scenografia: Andrea Crisanti
Costumi: Lina Nerli Taviani
Paese: Italia/Bulgaria/Francia/Regno Unito, Spagna
Anno: 2007
Durata: 122'
Genere: drammatico

Interpreti e personaggi
Paz Vega: Nunik
Moritz Bleibtreu: Ferzan
Alessandro Preziosi: Egon
Ángela Molina: Ismene
Arsinée Khanjian: Armineh
Mohammed Bakri: Nazim
Tchéky Karyo: Aram

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1 marzo 2008

Falce e martello in mostra

Sul settimanale il venerdì, allegato a la Repubblica del 29 febbraio 2008, vi è un articolo di quattro pagine, a firma di Luca Lancise, presentato in sommario col titolo “Falce & martello: l’arte celebra il simbolo che la politica cancella”. Ho cercato di saperne di più in internet, ma ho trovato poco: una pagina in esserecomunisti.it ed un’altra in ondalibera.
Di che si tratta? Una galleria d’arte romana sta organizzando una mostra di “cento libere interpretazioni” di altrettanti artisti sullo storico simbolo del Partito Comunista. La galleria è la Horti-Lamiani Bettivò, che purtroppo non ha un suo sito internet.
Il progetto pare in avanzato stato di attuazione. Ma si è ancora in cerca di un appropriato spazio espositivo. Saranno esposte opere sul tema firmate da Andy Warhol, Jean-Michel Basquiat, Jannis Kounellis, Gianfranco Baruchello, Mario Schifano, Francesco Clemente, Massimiliano Fuksas, Tobia Ravà, Mimmo Paladino, Sergio Premoli, Giosetta Fioroni (nella foto), Daniele Arzenta, Bruno Ceccobelli, Gisella Pietrosanti, Alessandro Cannistrà, ecc.
Perché proprio ora una mostra del genere? Scrive Luca Lancise che non si tratta di una semplice retrospettiva grafica del simbolo/segno del socialismo e comunismo, ma di una vera e propria «interpretazione e riflessione artistica» in un momento in cui, nella ridefinizione dei soggetti politici italiani, la faccenda dei simboli e in particolare di quello dell’ex Pci, oscilla tra la revisione politica e culturale di sostanza e la tattica elettoralistica e formale.
A chi come me (e siamo tantissimi) si è formato all’ombra di quel simbolo fa un certo effetto vederlo scomparire dal panorama politico italiano.
Ognuno se ne fa una sua ragione di questa scomparsa. Bertinotti dice che il vecchio simbolo se lo porta «dentro il cuore, ma non sul nuovo simbolo, perché nel XXI secolo serve altro». Oliviero Diliberto pensa che oggi forse quegli attrezzi (la falce ed il martello) sarebbero un computer e una tastiera. Veltroni e D’Alema quel simbolo l’hanno rimosso completamente.
Ed allora forse a quel simbolo rimarremo aggrappati, insieme agli artisti, solo pochi sognatori.