«La
guerra l’abbiamo perduta da parecchio. Dobbiamo continuare a lottà solo pe’
salvare l’onore e l’idea, perché i figli dei nostri figli sappiano che abbiamo
lottato prima di cedere». Dice il brigante alla sua donna, alla fine del
romanzo.
Pompeo Onesti introduce gradualmente e
magistralmente i vari personaggi del suo racconto. Briganti e brigantesse,
fiancheggiatori e fiancheggiatrici, nobili doppiogiochisti, lotte fra borghesi
per il potere, preti e vescovi filoborbonici, il plebiscito farsa e il
controplebiscito, comandanti e generali piemontesi, tragici fatti per amore e
per donne. Siamo nel decennio immediatamente successivo alla cosiddetta unità
d’Italia (1860 – 1870). Si diventava briganti per reagire alle ingiustizie,
facendosi giustizia da sé (non esistendo altre vie).
L’azione si svolge in Campania, nel
salernitano, fra i Monti Picentini.
Sullo sfondo c’è il capobrigante Carmine
Crocco, sempre atteso per riunire le molte bande di briganti. Viene descritta la
visione diversa che Crocco e Borges avevano sulla conduzione della guerra
contro i piemontesi, invasori del Regno delle Due Sicilie.
Antonino Luongo, il brigante del romanzo,
era un ex capraio che era diventato soldato dell’esercito borbonico, e combatté
a Gaeta a fianco del re Francesco II. Una volta sciolto quest’ultimo esercito,
fu chiamato a prestare servizio nell’esercito piemontese. Rifiutò e divenne
brigante prima e poi capobrigante
Il barone Castagna e l’avvocato Rocco erano
in lotta tra di loro per ottenere il potere nel loro paese. I due usavano ogni
mezzo per raggiungere lo scopo.
Grande spazio nel romanzo è tenuto dal
calzolaio Manocorta, amico d’infanzia della troppo giovane Giovannina
(ventenne), che era moglie dell’attempato barone Castagna e figlia di un
generale, liberale e amico dei Savoia.
Una serie di omicidi si susseguono fra
briganti e nobili.
Antonino, Palladino e Mirra erano a capo di
bande di briganti, che insieme sommavano un centinaio di uomini; ma non avevano
una strategia comune.
Anche se obiettivo comune era togliere la
terra ai galantuomini per darla a chi veramente la lavorava.
Le donne dei briganti trovavano divertente
ed efficace tagliare i genitali ai militari piemontesi che venivano presi
prigionieri, in risposta al loro uso di violentarle.
I piemontesi per combattere i briganti
inviarono al Sud centoventimila uomini,
oltre i bersaglieri e i militi della Guardia Nazionale. Massacravano amici e
parenti dei briganti e davano alle fiamme le loro abitazioni.
I briganti anche se riuscivano a crescere
in numero, erano sempre molto inferiori ai piemontesi. E se con il sistema
della guerriglia riuscivano a riportare delle vittorie, numericamente erano destinati
ad essere sconfitti.
I piemontesi poi facevano emettere decreti,
secondo i quali nessuno del Sud poteva girare nelle campagne senza una carta di
ricognizione rilasciata dai rispettivi sindaci. Non si potevano portare con sé
viveri, vino, liquori o tabacco. Nessuno poteva dimorare di notte nelle
masserie o nei pagliai, senza autorizzazione.
Intanto Crocco venne arrestato. Ma i cafoni
non mollarono e nuove bande sorsero in Basilicata, in Calabria, in Puglia.
E i cafoni pagarono da soli il prezzo dell’unità.
Era la fine di una speranza e la conferma di un sentimento di odio e di
rancore, che da allora venne trasmesso alle generazioni future. Quei morti del
Sud chiedono ancora giustizia.
Per conoscere la fine dei protagonisti consiglio
di leggere il romanzo.
Qui dico solamente che il romanzo di Onesti
si chiude con un gruppo di emigranti, che su di un bastimento sono diretti in
America.
Rocco Biondi
Pompeo Onesti, Il brigante, Controcorrente, Napoli 2001, pp. 195
Rocco Biondi
Pompeo Onesti, Il brigante, Controcorrente, Napoli 2001, pp. 195