“C’è
un filo rosso che unisce le storie delle brigantesse e delle partigiane”, è
scritto nella quarta di copertina del libro. Sono molte infatti le realtà che
uniscono i due momenti della storia, a cominciare dalla trascuratezza che loro
riservano gli storici. Sono pochissime le ricerche che finora sono state
effettuate in questi campi. L’autore cita, nei ringraziamenti, per le
brigantesse quelle di Valentino Romano, Pino Aprile e Giordano Bruno Guerri e
per le partigiane le ricerche di Aldo Gamba, di Gianbattista Guerra, di Angio
Zane, di Rolando Anni e di altri.
L’autore lascia il compito di parlare delle
brigantesse a Valentino Romano, che tratta dell’argomento, nella sua
introduzione, con competenza. Romano distingue fra le donne del brigante e le
brigantesse. La “donna del brigante” ha voluto seguire alla macchia il proprio
uomo (spesso marito, talora amante, raramente figlio); è colei, che secondo le
carte processuali, viene rapita e sedotta dal bandito; fra esse cita la non
meglio identificata Margherita, Niccolina Licciardi, Maria Capitanio. Fra le
“brigantesse” vere e proprie cita Filomena Pennacchio, Giuseppina Vitale, Maria
Giovanna Tito, Maria Oliverio e Michelina Di Cesare.
Nel suo libro Casamassima parla di diverse
brigantesse. Michelina Di Cesare, nata a Caspoli, a vent’anni andò in sposa ad
un contadino che morì l’anno dopo, poi divenne l’amante del capobrigante
Francesco Guerra; partecipò attivamente a tutte le azioni della banda; fu col
denaro che il generale piemontese Pallavicini sconfisse Michelina, fu infatti
il fratello di quest’ultima che rivelò il nascondiglio della sorella e della
banda Guerra; Michelina fu uccisa dai soldati piemontesi e denudata fu
fotografata; è diventata l’emblema del brigantaggio meridionale.
Filomena Pennacchio, nata a San Sossio
Baronia, divenne prima l’amante di Giuseppe Caruso, poi di Carmine Crocco ed
infine di Giuseppe Schiavone, diventato capo della banda dopo la cattura di
Crocco; si meritò il rispetto di tutta la banda per il suo coraggio negli
scontri coi piemontesi; fu catturata per la gelosia di Rosa Giuliani, ex amante
di Schiavone; fu condannata prima a 20 anni di lavori forzati; poi la pena fu
ridotta a sette anni; fu liberata nel 1872 e di lei non si seppe più nulla.
Maria Oliverio, detta Ciccilla, nata a
Casole, sposò Pietro Monaco. Uccise con colpi di accetta sua sorella, che se la
intendeva con suo marito, il quale fu costretto a portarla con sé sui monti per
evitare che finisse in galera. Partecipò successivamente alle imprese
brigantesche del marito, divenendo parte attiva della banda. Tradita, insieme
all’intera banda, bruciò personalmente il corpo del marito per evitare che
finisse nelle mani dei soldati. Arrestata, fu condannata. Sulla sua morte vi
sono varie versioni: alcuni dicono che fosse stata fucilata, altri sostengono
che rinchiusa nella prigione di Fenestrelle morì una quindicina d’anni dopo,
altri ancora che venisse liberata.
Giuseppina Vitale, nata a Bisaccia in
provincia di Avellino, amò Agostino Sacchitiello, caporale dell’esercito
borbonico, che anziché rispondere alla leva piemontese decise di darsi alla
macchia, formando una banda brigantesca di più di cento unità e stringendo
rapporti con Carmine Crocco. La Vitale prese parte attiva a molte azioni
brigantesche. Cadde, come Sacchitiello, nel doppio gioco della famiglia Rago.
Arrestata fu condannata a venti anni di lavori forzati, poi ridotti a dieci.
Maddalena de Lellis, detta Padovella,
nacque a San Gregorio Matese, fu amante del capobrigante Andrea Santaniello.
Tutti i parenti di Maddalena furono arrestati. Santaniello, in un primo
momento, si allea col capobrigante Cosimo Giordano. Maddalena finisce la sua
vita nel 1908 da capo di uno strano asilo infantile.
Casamassima parla poi diffusamente delle
partigiane, ma qui interessano le brigantesse.
Pino Casamassima, Bandite! Brigantesse e partigiane. Il ruolo
delle donne col fucile in spalla, Stampa Alternativa, Viterbo 2012, € 15,00