22 settembre 2019

Bandite!, di Pino Casamassima


“C’è un filo rosso che unisce le storie delle brigantesse e delle partigiane”, è scritto nella quarta di copertina del libro. Sono molte infatti le realtà che uniscono i due momenti della storia, a cominciare dalla trascuratezza che loro riservano gli storici. Sono pochissime le ricerche che finora sono state effettuate in questi campi. L’autore cita, nei ringraziamenti, per le brigantesse quelle di Valentino Romano, Pino Aprile e Giordano Bruno Guerri e per le partigiane le ricerche di Aldo Gamba, di Gianbattista Guerra, di Angio Zane, di Rolando Anni e di altri.
     L’autore lascia il compito di parlare delle brigantesse a Valentino Romano, che tratta dell’argomento, nella sua introduzione, con competenza. Romano distingue fra le donne del brigante e le brigantesse. La “donna del brigante” ha voluto seguire alla macchia il proprio uomo (spesso marito, talora amante, raramente figlio); è colei, che secondo le carte processuali, viene rapita e sedotta dal bandito; fra esse cita la non meglio identificata Margherita, Niccolina Licciardi, Maria Capitanio. Fra le “brigantesse” vere e proprie cita Filomena Pennacchio, Giuseppina Vitale, Maria Giovanna Tito, Maria Oliverio e Michelina Di Cesare.
     Nel suo libro Casamassima parla di diverse brigantesse. Michelina Di Cesare, nata a Caspoli, a vent’anni andò in sposa ad un contadino che morì l’anno dopo, poi divenne l’amante del capobrigante Francesco Guerra; partecipò attivamente a tutte le azioni della banda; fu col denaro che il generale piemontese Pallavicini sconfisse Michelina, fu infatti il fratello di quest’ultima che rivelò il nascondiglio della sorella e della banda Guerra; Michelina fu uccisa dai soldati piemontesi e denudata fu fotografata; è diventata l’emblema del brigantaggio meridionale.
     Filomena Pennacchio, nata a San Sossio Baronia, divenne prima l’amante di Giuseppe Caruso, poi di Carmine Crocco ed infine di Giuseppe Schiavone, diventato capo della banda dopo la cattura di Crocco; si meritò il rispetto di tutta la banda per il suo coraggio negli scontri coi piemontesi; fu catturata per la gelosia di Rosa Giuliani, ex amante di Schiavone; fu condannata prima a 20 anni di lavori forzati; poi la pena fu ridotta a sette anni; fu liberata nel 1872 e di lei non si seppe più nulla.
     Maria Oliverio, detta Ciccilla, nata a Casole, sposò Pietro Monaco. Uccise con colpi di accetta sua sorella, che se la intendeva con suo marito, il quale fu costretto a portarla con sé sui monti per evitare che finisse in galera. Partecipò successivamente alle imprese brigantesche del marito, divenendo parte attiva della banda. Tradita, insieme all’intera banda, bruciò personalmente il corpo del marito per evitare che finisse nelle mani dei soldati. Arrestata, fu condannata. Sulla sua morte vi sono varie versioni: alcuni dicono che fosse stata fucilata, altri sostengono che rinchiusa nella prigione di Fenestrelle morì una quindicina d’anni dopo, altri ancora che venisse liberata.
     Giuseppina Vitale, nata a Bisaccia in provincia di Avellino, amò Agostino Sacchitiello, caporale dell’esercito borbonico, che anziché rispondere alla leva piemontese decise di darsi alla macchia, formando una banda brigantesca di più di cento unità e stringendo rapporti con Carmine Crocco. La Vitale prese parte attiva a molte azioni brigantesche. Cadde, come Sacchitiello, nel doppio gioco della famiglia Rago. Arrestata fu condannata a venti anni di lavori forzati, poi ridotti a dieci.
     Maddalena de Lellis, detta Padovella, nacque a San Gregorio Matese, fu amante del capobrigante Andrea Santaniello. Tutti i parenti di Maddalena furono arrestati. Santaniello, in un primo momento, si allea col capobrigante Cosimo Giordano. Maddalena finisce la sua vita nel 1908 da capo di uno strano asilo infantile.
     Casamassima parla poi diffusamente delle partigiane, ma qui interessano le brigantesse.

Pino Casamassima, Bandite! Brigantesse e partigiane. Il ruolo delle donne col fucile in spalla, Stampa Alternativa, Viterbo 2012, € 15,00