Il mondo universitario sempre più si interessa del brigantaggio postunitario. Sono frequenti le tesi di laurea su questo tema. Per lo più si conserva una equidistanza tra la valutazione totalmente negativa che ritiene i briganti puri delinquenti e quella positiva che li considera insorgenti e partigiani. E’ il caso della tesi di Maria Landi, tenutasi nel febbraio 2014 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Salerno, dal titolo “Il Sergente di Francesco II. Mito e storia del brigantaggio meridionale attraverso la biografia di Pasquale Romano”.
La tesi, piuttosto snella, sintetizza in
una prima parte alcuni scritti sulle motivazioni generali che portarono al
brigantaggio e sulla figura certamente tra le più significative fra i briganti:
Pasquale Romano di Gioia del Colle in provincia di Bari; in una seconda parte
poi si rende conto delle tante iniziative che ai giorni nostri vengono tenute
sul Sergente Romano, a testimonianza della rivalutazione e dell’interesse che
tuttora suscita il fenomeno del brigantaggio postunitario; ed infine vengono
riprodotte molte immagini che documentano tali rivalutazioni ed interesse che
in modo sempre crescente provoca la figura del Romano.
Per spiegare la crisi del Regno delle Due
Sicilie si ripetono le valutazioni positive sul Risorgimento italiano in genere
e sul Risorgimento nel Mezzogiorno, per approdare infine alle motivazioni che
portarono al brigantaggio meridionale postunitario. Di quest’ultimo si afferma
che fu un fenomeno complesso, che mise a dura prova il neonato Stato Unitario,
costringendolo ad impiegare 120.000 uomini per la sua repressione. Una
differente politica del governo piemontese avrebbe potuto ridimensionare questo
fenomeno. Nella sua tesi Maria Landi sostiene che «la mancata conoscenza dei
reali problemi del Meridione, la scarsa importanza riservata dalla Destra
moderata alla risoluzione della “questione demaniale”, insieme ad una “politica
di conciliazione”, condotta nei confronti delle forze legittimiste e clericali,
portarono ad una vera guerra civile fra italiani».
Particolare rilievo vien dato al
brigantaggio in Terra di Bari ed ovviamente alla reazione di Gioia del Colle
dell’estate 1861, capeggiata dal sergente Pasquale Romano. La rivolta raggiunse
l’apice nel borgo San Vito, dove molti abitanti si unirono ai briganti al grido
di “Viva Francesco II” e marciarono verso Gioia. Ma la loro avanzata fu
bloccata dalla Guardia Nazionale che li costrinse a rifugiarsi nel borgo, dove
vennero effettuati saccheggi e violenze. La repressione dei piemontesi fu
feroce con esecuzioni sommarie.
Pasquale Romano riuscì a sfuggire e a
ricostruire la sua banda con la quale nel novembre del 1862 assaltò vittoriosamente
Carovigno, in provincia di Brindisi. Ma poi fu sconfitto dai piemontesi presso
la Masseria Monaci.
Il Romano, insieme ad altri briganti,
riuscì nuovamente a sfuggire e decise di preparare un nuovo attacco al suo paese
natio Gioia del Colle. Ma, tradito, i piemontesi lo attaccarono di sorpresa nel
bosco Vallata, dove la sua banda fu sterminata e lui stesso cadde in
combattimento. Era il 5 gennaio del 1863. Pasquale Romano, che era nato nel
settembre 1833, aveva solo 29 anni. «Ebbe termine, così, - scrive Maria Landi -
il sogno del sergente Romano di veder restaurato il regime borbonico».
Ma non muoiono il ricordo ed il mito del sergente Romano,
se nel 2006 è stata eretta una stele commemorativa nel luogo dove fu ucciso e
presso la quale ogni 5 gennaio si celebra una manifestazione in suo onore, se a
Villa Castelli (Brindisi) nel 2010 viene intitolata a lui una strada, se ancora
oggi, a distanza di 150 anni dalla sua morte, libri, siti e blog, parlano bene
di lui.Rocco Biondi