Caiazza parlando dei monti
che circondano Acerno, in provincia di Salerno, scrive: «In
questi luoghi e in quelli circostanti riecheggiano ancora gli spari e
le voci dei briganti, ancora spuntano come ombre il mantello, il
cappello a cono e l'archibugio di Manzo, Tranchella, Giardullo; gli
alberi, le rocce e le acque parlano di antichi fatti, i quali o hanno
acquistato un alone di leggenda o hanno lasciato tracce
impercettibili, che ormai sfuggono e si dissolvono nel naufragio del
racconto e della memoria dei più vecchi».
Altro "naufragio"
è quello che è avvenuto per i documenti degli Archivi, non solo ad
opera dei topi e dell'umidità ma anche di chi ha voluto e vuole
tuttora nascondere la verità sul brigantaggio politico e sociale.
Il libro, pubblicato nel
1984, prende le mosse e si impernia sulla "memoria" scritta
di Isacco Friedli, uno svizzero che fu sequestrato, insieme a
Federico Wenner, Giovan Giacomo Lichtensteiger e Rodolfo Gubler,
dalla banda brigantesca di Gaetano Manzo il 13 ottobre 1865.
Obiettivo principale del sequestro era Federico Wenner, figlio di
Alberto Wenner titolare di un industria tessile, fra le più moderne
d'Europa, dislocata nel salernitano. Gli altri tre erano dipendenti
dei Wenner: Lichtensteiger un disegnatore, Gubler un commesso,
Friedli un istitutore.
La "memoria" di
Friedli ha destato in Caiazza una "curiosità" che lo ha
spinto a consultare gli Atti della Prefettura e del Tribunale
nell'Archivio di Stato di Salerno. Ne è venuto fuori un libro, che
contiene fatti e notizie inedite sul sequestro Wenner e sulla banda
Manzo, e che è stato pubblicato - dice Caiazza - "nella
speranza di una sua utilità", salvando così un piccolo relitto
del naufragio, dal quale risulta uno scorcio interessante e attuale
del brigantaggio "non politicizzato". Narrando di fatti
avvenuti nel 1865 l'aspetto riguardante la fedeltà al Papa e al Re
Borbone contro "l'invasore" straniero è quasi del tutto
inesistente. Il brigantaggio allora aveva invece molte implicazioni
sociali, economiche e umane.
Le masse del Sud non hanno
partecipato alla determinazione della cosiddetta unità d'Italia. Il
Potere le escludeva e le sfruttava senza dare niente in cambio. Il
Potere era il nemico che imponeva le tasse e il servizio di leva.
Quando non se ne poteva più, ci si ribellava; e il coraggioso che si
faceva brigante dandosi alla campagna era il simbolo del riscatto per
i deboli, il vendicatore dei torti subiti, e perciò veniva ammirato
e sostenuto. Ci si dava al brigantaggio o per sottrarsi all'obbligo
della leva o perché stanchi di far la fame pur lavorando o per
spirito di avventura attratti dalla vita libera dei boschi e dei
monti.
Il capobanda Gaetano Manzo
era nato in Acerno nel 1837. Divenne brigante perché perseguitato,
in quanto renitente alla leva imposta dai piemontesi. Operò dapprima
nella banda capitanata da Antonio Maratea detto Giardullo,
finché nell'aprile del 1865 non costituì una sua banda, composta da
una ventina di uomini.
Manzo
sembra identificarsi perfettamente con il modello antropologico del
"bandito gentiluomo", così come descritto da E.J.
Hobsbawn. Inizia infatti la sua carriera di fuorilegge come vittima
di un'ingiustizia per un'azione che l'Autorità e non la sua gente
giudica criminosa; prende al ricco (inglesi e svizzeri, ma anche
ricchi agrari e borghesi italiani) per dare al povero; si giustifica
del primo reato di ricatto ed estorsione e del sequestro Moens come
autodifesa o necessità; ritorna alla vita civile come un cittadino
onorato, si arrende e si sottopone al processo; è ammirato e
appoggiato dal popolo; muore a Flùmeri per un tradimento, perché
nessun membro che si rispetti della comunità sarebbe disposto a
collaborare contro di lui; è invisibile e invulnerabile; non è
nemico delle Istituzioni, a cui si rivolge spesso dal carcere per
ottenere comprensione e clemenza, ma soltanto dei signorotti locali.
La
parte centrale del libro, per 89 pagine, è occupata dalla
traduzione, fatta da Caiazza insieme a Ettore Locatelli, della
lettera del signor Friedli, istitutore nella famiglia del signor
Friedrich Albert Wenner, in Fratte di Salerno, al suo allievo
tredicenne Robert Wenner, datata 20 febbraio 1866. La liberazione e
la fine del sequestro erano avvenute il 10 febbraio 1866. Il titolo
che viene dato a questo documento è "Quattro mesi tra i
briganti (1865-1866)".
Prima
di questa "memoria" nel libro sono presenti alcuni capitoli
che narrano delle imprese di Manzo e degli altri componenti della sua
banda. Un primo capitolo è dedicato alle attività del capobrigante
Manzo prima del sequestro Wenner, dall'aprile 1863 all'ottobre 1865;
si narra di molti sequestri ai quali ha partecipato Manzo, nella
maggior parte dei casi componente della banda Giardullo, fino al
sequestro effettuato dalla sua banda degli inglesi William Moens,
agente di borsa, e Murray Aynsley, reverendo, il 15 maggio 1865.
Altro
capitolo parla della resa di molti briganti alle forze di polizia
piemontese. Lo stesso capobanda Gaetano Manzo si costituisce il 4
marzo 1866. Per l'occasione le cronache del tempo registrano un
pranzo in casa Manzo, la distribuzione di 6.200 e più ducati ai
poveri, lancio di carlini ai ragazzi per le strade e festeggiamenti
da parte del Comune con distribuzione di pane ai poveri. Alcuni
briganti però che avevano comunicato la decisione di volersi
consegnare furono uccisi dai loro stessi compagni.
Il
processo contro i componenti della banda Manzo, iniziato il 9 marzo
1866, si svolge prima presso il Tribunale di Salerno e si chiude
presso la Corte di Assise di Napoli, che il 29 maggio 1870 emette la
sentenza definitiva con tre condanne a morte, nove condanne ai lavori
forzati a vita, tre condanne a 21 anni, una a 20, una a 18 e tre a 3
anni. Gaetano Manzo, condannato ai lavori forzati a vita, fu
rinchiuso prima nelle carceri di Firenze, poi a Pescara ed infine a
Chieti, da dove riuscì ad evadere il 6 novembre 1871 per tornare
alla vita brigantesca. Fu ucciso a tradimento il 20 agosto 1873.
Seguono nel libro dettagliate biografie degli altri briganti e
manutengoli della banda Manzo.
Il
libro si chiude con una raccolta di importanti documenti sul
brigantaggio salernitano e con un appendice che elenca gli Atti
processuali dei reati di brigantaggio e gli Atti del Gabinetto del
Prefetto, entrambi presenti presso l'Archivio di Stato di Salerno.
Sul
sequestro Wenner ad opera della banda Manzo scrisse un diario anche
l'altro rapito Giovanni Lichtensteiger, ignorato da Caiazza forse
perché pubblicato in italiano lo stesso 1984 in cui usciva il suo
libro.
Rocco Biondi
Antonio
Caiazza, La banda
Manzo, tra i briganti campani e lucani nel periodo postunitario,
Tempi Moderni Edizioni, Napoli 1984, pp. 280