24 agosto 2018

Vento del nord, vento del sud, di Pieroni e Gatteschi


Anche le edizioni scolastiche talvolta si interessano di brigantaggio. È il caso della Bompiani che pubblicò, nel lontano 1974, il romanzo del fiorentino Piero Pieroni e Riccardo Gatteschi intitolato “Vento del nord, vento del sud”, nella collana “Narratori moderni per la scuola”. È un libro sul brigantaggio meridionale postunitario.
     Alcuni personaggi sono inventati, altri sono reali anche se la loro storia nel romanzo non sempre segue la realtà. È inventato Agostino La Gala, «ma esprime bene nella sua scelta per le bande, contro il governo, tutta la speranza del popolo meridionale stanco di aspettare», scrive Gaetano Sansone nella sua introduzione. Sono reali i nomi di Crocco, Pasolini, Ninco Nanco, Borjes, Romano, anche se avremmo preferito che la storia personale fosse quella reale (non condivido la scelta degli autori di cambiarne di alcuni la modalità di morte).
     Il libro si apre con l’accoglienza trionfale fatta al capobrigante Crocco nella città di Melfi in Basilicata. In chiesa, per il canto del “Te Deum”, ai banchi di sinistra sedevano prima le donne (madri, mogli, sorelle) dei feudatari, poi le donne dei dipendenti dei feudatari (amministratori, camerieri, giardinieri, campieri, fattori, guardaboschi), poi ancora le donne dei cosiddetti “liberali” (bottegai, piccoli commercianti, usurai, scrivani, speziali, avvocaticchi), ed infine le donne dei contadini, dei piccoli affittuari, dei pastori, dei braccianti, dei cafoni insomma. Ai banchi di destra sedevano gli uomini, nello stesso rigido e immutabile ordine. Pochi amavano Crocco davvero, ed erano quelli che sedevano nelle ultime file o stavano in piedi attorno al fonte battesimale.
     Ma questa accoglienza trionfale sarebbe durata poco. Il giorno successivo o l’altro ancora, Crocco sarebbe dovuto andare via, prima che arrivassero i piemontesi. Era la legge della guerriglia, si passava rapidamente dalla vittoria alla sconfitta. E i piemontesi si sarebbero vendicati sulla povera gente: non torcevano un capello ai feudatari e all’arciprete o al parroco, si scatenavano solo su quelli che ritenevano i cafoni.
     Dopo varie azioni, molte di esse vittoriose, Crocco che aveva raccolto attorno a sé più di mille uomini viene rinchiuso nelle carceri italiane. Muore nel penitenziario di Portoferraio nel 1905; fu uno dei pochi che riuscì a sopravvivere nella lotta del brigantaggio.
     Il catalano generale Borges era stato mandato dal re borbone Francesco II a tentare di dare forma di esercito alle bande brigantesche. Si incontra e combatte, per un certo tempo, con Crocco. Ma la visione della lotta fra i due è diversa: Borges crede di far diventare i briganti dei soldati e come tali farli combattere, Crocco invece crede come sempre alla guerriglia e secondo essa fa combattere i suoi.
     La fine di Borges, come del resto tanti episodi della lotta brigantesca, vengono narrati con l’espediente delle lettere al padre dal tenente Andrea Pasolini, bresciano mandato nel Sud a combattere i briganti. I tristi metodi dell’esercito piemontese contro i poveri abitanti del Sud lo avrebbero convinto a dare le dimissioni dall’esercito e tornare a casa per sempre, cambiando mestiere, non credendo più in quello che faceva.
     Nel libro il sergente Romano è un luogotenente di Crocco, mentre nella realtà il Romano stette con Crocco per poco tempo; e poi non è vero che venne ucciso, nella battaglia del vallone di San Donato, dal tenente Pasolini, morì invece nelle campagne tra Gioia del Colle e Santeramo.
     Giuseppe Caruso tradì Crocco e passò dalla parte dei piemontesi; nel romanzo già da parecchio faceva il doppio gioco.

Piero Pieroni – Riccardo Gatteschi, Vento del nord, vento del sud, a cura di Gaetano Sansone, Bompiani Editore, Milano 1974, pp. 194

17 agosto 2018

Potere e libertà, di Maria Pettinato


Il libro è la pubblicazione della tesi di laurea di Maria Pettinato, conseguita presso l’università di Genova, con voti 110 e lode. Come in tutte le tesi si sente la presenza dei professori che l’hanno seguita. Ma Maria Pettinato in questo lavoro ha saputo dimostrare la sua autonomia, valutando il brigantaggio secondo i più moderni criteri di studi.
     Il libro è didascalico, molto utile per chi comincia ad avvicinarsi al fenomeno del brigantaggio. Il lavoro è infatti suddiviso in tre parti, che portano i seguenti titoli: “L’unificazione italiana”, “Il brigantaggio meridionale” e “Il brigantaggio in Calabria dal 1861 al 1865”.
     La prima parte ripercorre le tappe principali che hanno dato vita al Regno d’Italia ad opera dei piemontesi.
     La seconda parte descrive sia il brigantaggio preunitario che quello postunitario, dando particolare rilevanza al manutengolismo. In rilievo viene messo il tema della repressione piemontese.
     La terza parte, in cui si parla del brigantaggio postunitario calabrese, costituisce la parte più originale del lavoro della Pettinato. Si affrontano infatti le caratteristiche principali del brigantaggio calabrese. Si parla delle tre bande più importanti della Sila: quelle di Pietro Bianco, di Pietro Monaco e Maria Oliverio, di Domenico Palma.
     Qualche contraddizione vien fuori nel libro, laddove o i briganti vengono chiamati “malfattori” o invece si dice che i briganti “intendevano proteggere il proprio mondo con la sua religione, le sue tradizioni, le sue cerimonie, i suoi costumi”. Per noi, i briganti postunitari rappresentano il lato positivo degli uomini e delle donne di tutti i tempi anche se inconsciamente.
     Pietro Bianco, nato nel 1839, all’età di 23 anni decise di darsi alla macchia e mise su una banda armata di circa 24 uomini. Molte furono le estorsioni e i sequestri di persona cui diede vita. Condannato dalla Corte di Cassazione venne decapitato il 19 settembre 1873 nel Vallone di Rovito, vicino Cosenza.
     Pietro Monaco nacque nel 1836 e a 22 anni sposò Maria Oliverio. Lottò a fianco di Garibaldi. Poi quando l’esercito meridionale garibaldino fu smobilitato, e sia non vedendo attuati i decreti garibaldini sulla concessione ai contadini delle terre demaniali della Sila e sia il dover rispondere alla chiamata alle armi non avendo completato il servizio di leva, si rifugiò nei boschi. Entrò dapprima nella banda Palma, poi ne creò una sua. Intanto Maria Oliverio, per gelosia, uccise a colpi di accetta sua sorella Teresa, ed entrò a pieno titolo come brigantessa nella banda del marito. Insieme a lui acquisì la fama di vendicatrice delle offese e di benefattrice dei poveri. Il sequestro più famoso fu quello del vescovo Tropea. Monaco fu ucciso a tradimento. Maria, dopo varie fughe, si arrese; condannata in un primo momento alla pena di morte, poi si vide commutata questa pena in quella dei lavori forzati a vita.
     Domenico Palma nacque a Longobucco nel 1831. Frequentò le prime classi elementari e imparò a leggere e scrivere. L’insofferenza verso i soprusi e privilegi dei nobili latifondisti lo convinsero già nel 1859 a mettere su una banda di briganti. Non eccedette in fatti di sangue, incarnando la figura dell’eroe romantico, generoso con i poveri e crudele contro i prepotenti. Suoi nemici principali furono il generale Sacchi e il maggiore Milon, dell’esercito piemontese; i quali ritennero che con l’uccisione di questo brigante sarebbe cessato il brigantaggio in Calabria. Venne ucciso vigliaccamente nel 1869 dal “compare” Librandi.
     Per noi la parola “potere” del titolo si riferisce ai piemontesi invasori del Sud e “libertà” a quello che i briganti volevano.

Maria Pettinato, Potere e libertà. Briganti nella Calabria post-unitaria (1861-1865), la rondine edizioni, Catanzaro 2013, pp. 178