Nei giorni scorsi all'età
di novantuno anni moriva l'avvocato Pasquale Calvario,
liberal-radicale, consigliere regionale in Puglia nelle prime tre
legislature. Meridionalista che auspicava la nascita di una sola e
grande Regione meridionale, che dovrebbe accorpare le attuali sei
Regioni del Mezzogiorno continentale: Abruzzo, Molise, Campania,
Puglia, Basilicata, Calabria.
Confesso che, pur dopo
un'attenta lettura, non ho capito il significato del titolo "Quel
che non dissi a Bocca" e chi sia l'intervistatore cui risponde
Calvario. Faccio anche notare che la scrittura di Calvario è
alquanto complessa con conseguente difficoltà nella lettura, cosa
questa che purtroppo rende poco appetibile il contenuto del libro.
Condivido la proposta per
la costituzione di una macroregione del Sud, cui aggiungerei anche la
Sicilia, gran parte dell'odierno Lazio meridionale e il Cicolano
(l'area orientale dell'attuale provincia di Rieti), per ricostituire
il territorio del vecchio Regno delle Due Sicilie.
Con la piemontesizzazione,
avvenuta nel 1860, si impiantò uno stato che il Sud non sentiva come
"suo"; la politica di potenza del vincitore, imposta
allora, protrae i suoi effetti negativi fino a noi; è stata sepolta
nell'oblio la storia di un'immensa e illustre realtà regionale,
corrispondente ad un grande regno.
La successiva Costituente
repubblicana calò dall'alto l'attuale frammentazione regionale, che
non aveva nessuna radice storica e sociale sul territorio. I politici
del Sud l'accettarono passivamente, nella solo speranza di
assicurarsi un potere più o meno grande. A questo fine le masse
popolari furono usate strumentalmente e senza scrupolo. La disinvolta
frammentazione operata nel territorio, scrive Calvario, ha avuto
un'incidenza solo punitiva sugli abitanti di esso. Alla segmentata
popolazione era preclusa ogni possibilità di impegno operativo a
favore dei nuovi enti.
Le risorse dello stato e
della comunità europea, vale a dire di tutti noi, vennero
automaticamente dissipate. Le popolazioni non si accorsero nemmeno
dell'esistenza delle regioni, non ne ebbero alcun utile, furono
costrette a fuggire dalla loro avara terra emigrando.
A risentirne primariamente
della conquista piemontese fu la scuola del Sud, che non si preoccupò
di far scoprire alle nuove generazioni le proprie radici per trarne
la linfa che avrebbe alimentato il loro porsi nella storia.
Nell'unica grande Regione meridionale, dice Calvario, la scuola
dell'obbligo dovrà impegnarsi a riproporre la storia, non già nella
falsificazione e nei silenzi che una agiografica versione unitaria ha
imposto, oscurando e seppellendo la storia di Napoli.
L'aver calato dall'alto
sul Mezzogiorno uno spropositato numero di Regioni fa sospettare che
si sia voluto applicare il precetto del «divide
et impera».
E' infatti tanto innaturale quello che allora si compì, afferma
Calvario, che non si può desistere dal domandarsi se, per caso, non
si temette di risuscitare la ricostituzione del Regno di Napoli.
Fatto sta che, conclude
Calvario, per riparare il mal fatto si pone come problema preliminare
ad ogni altro l'esigenza del riaccorpamento di tutte le Regioni del
Sud.
E tantissimi sarebbero i
vantaggi. Oggi nel Sud continentale si contano ben sei regioni, che
moltiplicano per sei volte i quadri e gli organici per competenze
uniformi e che generano quindi grande e improduttivo dispendio.
L'accorpamento eliminerebbe la megalomania che si esprime
nell'alimentare ben sei baronie con conseguenti sei burocrazie senza
reali ed indispensabili compiti operativi.
La grande e unica Regione
meridionale dal Calvario è disegnata nell'ambito dell'unità della
Repubblica italiana, non viene coltivato sinora il proposito di una
scissione. «Tuttavia
nessuno si inganni - scrive Calvario - nel tenere, per debolezza,
l'aspirazione del Sud ad una vera unità, cioè a rinfrancarsi delle
delusioni patite. Nessuno dimentichi che la storia ci mette di fronte
all'alternativa che si esprime nel provvedersi di "estremi
rimedi", a fronte di "mali estremi"».
Non si escludono quindi la scissione e l'indipendenza.
Il libro, scritto venti
anni fa, illustra anche le modalità operative attraverso le quali
giungere all'attuazione della macroregione. Principi basilari ne sono
la sovranità popolare e l'etica democratica.
Chiudo questa mia rapida
sintesi sottoscrivendo un'affermazione che Calvario pone nella prima
pagina del suo libro: «I
partiti storici, nessuno escluso, non meritano che si riconfermi loro
il voto».
Della necessità e
dell'urgenza di una macroregione meridionale siamo ormai in tanti a
parlarne. Forse sono maturi i tempi per passare all'azione. Le tante
associazioni e i movimenti che operano nei territori dell'ex Regno
delle Due Sicilie potrebbero impegnarsi in tal senso. Per tutte ne
cito una: la "Confederazione duosiciliana", della quale è
coordinatore Michele Ladisa, che mi ha procurato il libro qui
recensito.
Rocco Biondi
Pasquale
Calvario, Quello che non dissi a Bocca. Per una sola Regione
meridionale nella Repubblica Italiana, Ladisa Editore, Bari 1993,
pp. 132
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