23 gennaio 2016

Il brigantaggio politico nel brindisino dopo l’Unità, di Vincenzo Carella



Vincenzo Carella dedica il libro «a tutti i lavoratori di questa tribolata Terra del Sud, che recano nelle carni i segni delle sofferenze e delle lotte, lungamente sostenute, per la conquista di condizioni più umane di esistenza». E i briganti lottarono per ottenere queste condizioni.
     Il brigantaggio postunitario certamente rappresenta una delle pagine più dolorose della nostra storia. Un malinteso amor di patria ha fatto per lungo tempo tacere su di esso, ma ora si cerca di approfondirlo per ottenerne il significato e l’insegnamento più profondo.
     I briganti lottarono contro i piemontesi, che certamente non furono dei liberatori, per uscire dalle loro condizioni di miseria e di arretratezza. Francesco II di Borbone, sostiene il Carella, certamente esercitò nei confronti del brigantaggio una indiscussa azione favoreggiatrice e anche promotrice, ma quest’azione è stata solamente complementare e secondaria, non assolutamente determinante. La vera e profonda causa di questa esplosione rabbiosa e disperata va ricercata proprio nel tentativo di uscire dallo stato di miseria e di abbrutimento in cui viveva la classe più povera, vittima di secolari ingiustizie e sopraffazioni esercitate da feudatari, possidenti e galantuomini.
     Questa esplosione aveva avuto notevoli manifestazioni in precedenza, ma assume proporzioni di massa nel periodo immediatamente successivo all’Unità per una serie di circostanze e fatti nuovi. Gli auspici e le speranze, di un risanamento di tale stato di cose, su cui era sorto lo Stato sabaudo ben presto si trasformarono in delusioni e le condizioni generali risultarono addirittura aggravate dall’unificazione.
     Nelle pagine del libro, pubblicato nel 1974, viene trattato il brigantaggio politico postunitario relativamente alla zona di Brindisi e dintorni, che fino ad allora non era stata sufficientemente esplorata. Brindisi e dintorni in realtà costituiscono un focolaio fertile ed acceso di brigantaggio politico, e meritano quindi di essere fatti oggetto di indagine specifica e approfondita.
     Le fonti a cui il Carella attinge sono principalmente le risultanze dei processi penali e relative istruttorie, raccolte a carico di quanti furono implicati nel brigantaggio, nonché gli atti della “Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio nelle province meridionali del 1863”. Questi atti costituiscono soltanto la parte residuata delle carte segrete della Commissione, che giacevano ignorati in un sotterraneo della biblioteca del palazzo di Montecitorio, finché furono scoperti e tratti dall’oblio dal vice direttore di quella biblioteca, Franco Molfese, autore della preziosa Storia del brigantaggio dopo l’Unità.
     Vengono passate in rassegna alcune dichiarazioni presentate alla Commissione parlamentare d’inchiesta, che sostanzialmente provano che la cosiddetta unificazione fu micidiale per l’Italia meridionale.
     Il periodo che il Carella prende in esame abbraccia i fatti di brigantaggio avvenuti nel brindisino e dintorni nel trimestre settembre-novembre 1862.
     L’8 settembre 1862 la banda brigantesca capitanata da Giuseppe Nicola Laveneziana rapì il figlio sedicenne di Domenico Brandi, proprietario della masseria Masciarella. Venivano richiesti, con biglietto di ricatto, mille ducati, quattro camicie, un paio di stivali, il fucile buono e due pacchetti di sigari. Questo riscatto venne pagato molto parzialmente. Furono avvertite le forze di polizia, che si misero all’inseguimento. I cinque briganti riuscirono a fuggire, ma fu lasciato libero il sequestrato Vincenzo Brandi.
     Il giorno 10 successivo la banda del Laveneziana è alla masseria Cuoco, sita tra Brindisi e Mesagne, e viene lasciato un biglietto di ricatto per il padrone don Pasquale Perez, con la richiesta di 700 ducati. Il Perez ignorò questa richiesta e l’ira del Laveneziana si riversò inesorabile sulla sua masseria, procurando un danno ingente: furono uccisi dei buoi a fucilate; furono incendiate stanze interne dell’edificio, i carri, il fieno; furono presi un cavallo con tutta la bardatura e 10 forme di formaggio. Alcuni della comitiva non furono d’accordo sull’uccisione degli animali. Il Perez ancora non pagò e fittò la masseria. E tornarono i briganti, in circa ottanta, e bruciarono e distrussero ancora.
     Nei giorni successivi furono assalite altre masserie e scritti biglietti di ricatto verso i proprietari. Le masserie assalite furono: Lucci appartenente a Innocenza e Chiara Perez, sorelle di don Pasquale; La Siribanda di Marcello Scazzeri di Mesagne; Cerrito, Chimienti, Angelini, Sardella, Casamassima, Spada, Restinco, Masciullo, Camardella, S. Nicola, Torricella, Baroni, Specchia, Castelluzzo, Sciotta, S. Giacomo e altre.
     Gli assalti a queste masserie possono apparire puri fatti di banditismo comune commessi a fin di rapina e di grassazione (tra l’altro riferiti in base alle dichiarazioni di parte padronale). Sono episodi invece, scrive il Carella, che fanno parte del generale disegno rivoluzionario, che aveva per scopo il sovvertimento di istituzioni gravose e indesiderate. «Del resto, - scrive ancora il Carella - quei manipoli di gente che vivevano alla macchia, aspettando e preparandosi all’insurrezione, dovevano pur mangiare e vestirsi e dormire!».
     Il libro poi si sofferma in modo particolare su alcuni episodi rimasti memorabili: la grazia di S. Teresa, la sollevazione di Carovigno, il conflitto della Badessa.
     Il 23 ottobre 1862 una cinquantina di briganti a cavallo assalirono nei pressi della masseria S. Teresa una ventina di componenti, fra Carabinieri e Guardie nazionali, delle forze dell’ordine. I briganti ebbero la meglio e catturarono tredici guardie nazionali; si decise la loro fucilazione. Ma dopo la fucilazione dei primi tre, il quarto gridò: «Madonna del Carmine aiutami», e il fucile del brigante si inceppò. E il sergente Romano disse: «Tu sei devoto della Madonna del Carmine come me, siete graziati, andate liberi». Ed ebbero salva la vita.
     All’alba del 21 novembre 1862 un centinaio di briganti a cavallo, capitanati dal Romano e dal Laveneziana, invasero Carovigno al grido: «Fuori i lumi!». Il paese fu subito illuminato a giorno. E si gridò: «Viva Francesco Secondo! Viva la Religione! Viva la Madonna! Abbasso l’assassino Vittorio Emanuele! All’impiedi il popolo basso!». Vi fu una vera sollevazione. Furono assalite le case dei liberali e di quanti non avevano esposto i lumi, arrecando gravi danni. L’invasione durò circa tre ore. Il tutto terminò con una processione al Santuario della Vergine di Belvedere e con la promessa che il popolo avrebbe avuto un sicuro trionfo finale.
     Lo stesso giorno 21 vi fu uno scontro fra i briganti e le forze dell’ordine presso la masseria Badessa, sita a circa 6 chilometri da S. Vito, durante il quale fu fatto prigioniero il militare Michele Catamerò, che venne poi ucciso.
     I fatti del 21 novembre 1862 costituiscono la fase principale del brigantaggio nel Brindisino. Alle bande del Romano e del Laveneziana si erano unite nel frattempo quelle del Pizzichicchio e del Capraro. Insieme decisero, seguendo un itinerario tortuoso e complicato, di raggiungere il bosco Pianella, presso Martina. Dopo la disfatta del 1 dicembre 1862 avvenuta presso la masseria Monaci, posta tra Noci, Alberobello e Mottola, i capi briganti, dopo reciproche accuse ed ingiurie, decisero di separarsi prendendo ognuno con la banda una propria strada.
     I principali briganti dei quali il Carella parla sono: Pasquale Domenico Romano, detto il sergente Romano, di Gioia del Colle; Giuseppe Nicola Laveneziana, detto Figlio del Re, di Carovigno; Giuseppe Valente, detto Nenna Nenna, di Carovigno; Giovanni De Biase, di Carovigno; Carmine e Vincenzo Patisso, detto il Capraro, di Carovigno; Francesco Monaco, di Ceglie; e tantissimi altri. Di ognuno vengono narrate le principali gesta e riferita la morte, quando conosciuta.
     A distanza di oltre un secolo, conclude il Carella, il brigantaggio lo si può ritenere una tappa fondamentale, forse obbligata, nel cammino delle conquiste sociali e della civiltà, percorso dalle genti del Sud.
Rocco Biondi

Vincenzo Carella, Il brigantaggio politico nel brindisino dopo l’Unità, Grafischena, Fasano 1974, pp. 206 (il libro è stato ristampato nel 2013 sempre da Schena € 15,30)

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