15 gennaio 2016

I Carabinieri nella repressione del brigantaggio (1860-70), di Giuseppe Miozzi



È un libro, pubblicato nel 1923 (e riprodotto nel 1974 dal comando generale dell’arma dei Carabinieri), che si prefigge, come dice lo stesso autore, di essere una rievocazione di glorie dell’Arma, «nella speranza che diventi come un catechismo pel carabiniere dell’oggi e del domani. Ispirandosi all’esempio dei loro predecessori, i carabinieri potranno foggiarsi l’anima ed il cuore a somiglianza di quelli». Un libro quindi che non ha alcuna pretesa storica. «Esso è sorto solo con la convinzione di fare opera doverosa verso i nostri eroi». Un libro quindi sostanzialmente encomiastico. In esso i briganti sono carne da macello.
     È diviso in tre parti: la prima introduttiva, dopo aver sintetizzato le origini, cause e storia del brigantaggio, riporta alcuni dati statistici relativi all’Arma durante la repressione; la seconda parla di sessanta episodi nei quali viene esaltato il comportamento dei Carabinieri nella lotta al brigantaggio; la terza contiene cenni biografici ed onorificenze ottenute in questa lotta dal capitano Ghiaffredo Bergia.
     Affermazioni presenti nella premessa facevano ben sperare. Invece non hanno nessun seguito nel corpo del libro. È infatti condivisibile che nel Sud si svolgesse una vera e propria guerra per la repressione del brigantaggio. Scrive ancora il Miozzi che i libri di storia fanno cenno molto fugacemente al fenomeno del brigantaggio, quasi si trattasse di cosa del tutto trascurabile; il brigantaggio viene considerato come un fenomeno criminale del tempo, mentre invece è un grande movimento insurrezionale politico.
     La prima parte è sostanzialmente una sintesi del libro del colonnello Cesare Cesari sul brigantaggio e l’opera dell’Esercito italiano. Si riportano tesi ivi presenti circa la parzialità, presente nei molti libri che si pubblicano, in quanto si hanno a disposizione soltanto documenti di parte italiana, non confrontandoli con altrettanti elementi di parte borbonica e di parte pontificia.
     Nel 1860 il governo piemontese apparve come un usurpatore. E scoppia contro di esso la rivolta. Nel concetto popolare il brigantaggio era una milizia proletaria, in difesa delle proprie istituzioni, che con i suoi eroismi, le sue sofferenze, le sue glorie, era degna di essere sorretta e coadiuvata moralmente e materialmente. I cittadini offesi si vendicavano da sé. Giudici e poliziotti parvero sempre d’accordo per proteggere i signori contro i proletari.
     Una delle principali cause che determinò il brigantaggio, scrive il Miozzi, fu lo scioglimento dell’esercito borbonico; gli ex militari costituirono il nucleo fondamentale delle bande brigantesche. I legittimisti, come si chiamavano i fautori fedeli allo spodestato re borbonico Francesco II, tentavano di riportarlo sul trono delle Due Sicilie.
     I briganti praticissimi delle fitte boscaglie e delle montagne, dove l’inseguimento era difficile e pericoloso, le sceglievano come campo di battaglia, per poter effettuare una sicura ritirata in caso di insuccesso. Ed erano bene informati, dai manutengoli confidenti, sugli spostamenti delle truppe militari. Contro i briganti combatterono nel Sud per un decennio i Carabinieri Reali.
     Nella seconda parte, nucleo centrale più esteso del libro, vengono descritti sessanta episodi fra i «più fulgidi ed interessanti verificatisi durante la campagna di repressione del brigantaggio». Essi non seguono l’ordine cronologico ma l’interesse e la varietà del libro, scrive l’autore. Fonte principale è «il vecchio, logoro e voluminoso carteggio relativo al brigantaggio» dell’Arma dei Carabinieri. La scelta ricade principalmente sugli avvenimenti che hanno ottenuto riconoscimenti ufficiali.
     Riporto come esempio i titoli di alcuni episodi: distruzione della banda Pizzichicchio, per opera della colonna mobile comandata del Capitano F. Allisio; uccisione del feroce brigante Milanese; assalto alla caserma dell’Arma di Monreale, eroica morte del Carabiniere Bussacchelli; assalto ad una diligenza, conflitto fra briganti e carabinieri, morte del Vicebrigadiere Torriani; uccisione del celebre capo-banda Ninco Nanco; distruzione della banda Giardullo per opera del Capitano Frau, cattura del capo-banda; una banda di cento briganti messa in fuga da tre carabinieri; un brigadiere e quattro carabinieri ad Ogliastro, dopo aver gridato «Viva il Re! Viva l’Italia» e sventolato il tricolore si danno la morte, anziché cader vivi nelle mani dei rivoltosi.
     Una curiosità. Non è riportato nessun episodio contro la banda di Carmine Crocco.
     Il libro si chiude con l’elogio del capitano Ghiaffredo Bergia. «Forte come la morte, questo eroe dell’umile schiera e della semplice vita, fu un carabiniere che ogni militare dell’Arma deve proporsi d’imitare, benché pochi possano sperare di uguagliarlo. Fu il terrore dei briganti e la sintesi di ogni umano valore».
Rocco Biondi

Giuseppe Miozzi, I Carabinieri nella repressione del brigantaggio (1860-70), Aldo Funghi Editore, Firenze 1923, pp. 252

Nessun commento: