È
un libro, pubblicato nel 1923 (e riprodotto nel 1974 dal comando generale
dell’arma dei Carabinieri), che si prefigge, come dice lo stesso autore, di
essere una rievocazione di glorie dell’Arma, «nella speranza che diventi come
un catechismo pel carabiniere dell’oggi e del domani. Ispirandosi all’esempio
dei loro predecessori, i carabinieri potranno foggiarsi l’anima ed il cuore a
somiglianza di quelli». Un libro quindi che non ha alcuna pretesa storica.
«Esso è sorto solo con la convinzione di fare opera doverosa verso i nostri
eroi». Un libro quindi sostanzialmente encomiastico. In esso i briganti sono
carne da macello.
È diviso in tre parti: la prima
introduttiva, dopo aver sintetizzato le origini, cause e storia del
brigantaggio, riporta alcuni dati statistici relativi all’Arma durante la
repressione; la seconda parla di sessanta episodi nei quali viene esaltato il
comportamento dei Carabinieri nella lotta al brigantaggio; la terza contiene
cenni biografici ed onorificenze ottenute in questa lotta dal capitano
Ghiaffredo Bergia.
Affermazioni presenti nella premessa facevano
ben sperare. Invece non hanno nessun seguito nel corpo del libro. È infatti
condivisibile che nel Sud si svolgesse una vera e propria guerra per la
repressione del brigantaggio. Scrive ancora il Miozzi che i libri di storia
fanno cenno molto fugacemente al fenomeno del brigantaggio, quasi si trattasse
di cosa del tutto trascurabile; il brigantaggio viene considerato come un
fenomeno criminale del tempo, mentre invece è un grande movimento
insurrezionale politico.
La prima parte è sostanzialmente una
sintesi del libro del colonnello Cesare Cesari sul brigantaggio e l’opera
dell’Esercito italiano. Si riportano tesi ivi presenti circa la parzialità,
presente nei molti libri che si pubblicano, in quanto si hanno a disposizione
soltanto documenti di parte italiana, non confrontandoli con altrettanti
elementi di parte borbonica e di parte pontificia.
Nel 1860 il governo piemontese apparve come
un usurpatore. E scoppia contro di esso la rivolta. Nel concetto popolare il
brigantaggio era una milizia proletaria, in difesa delle proprie istituzioni,
che con i suoi eroismi, le sue sofferenze, le sue glorie, era degna di essere
sorretta e coadiuvata moralmente e materialmente. I cittadini offesi si
vendicavano da sé. Giudici e poliziotti parvero sempre d’accordo per proteggere
i signori contro i proletari.
Una delle principali cause che determinò il
brigantaggio, scrive il Miozzi, fu lo scioglimento dell’esercito borbonico; gli
ex militari costituirono il nucleo fondamentale delle bande brigantesche. I
legittimisti, come si chiamavano i fautori fedeli allo spodestato re borbonico
Francesco II, tentavano di riportarlo sul trono delle Due Sicilie.
I briganti praticissimi delle fitte
boscaglie e delle montagne, dove l’inseguimento era difficile e pericoloso, le
sceglievano come campo di battaglia, per poter effettuare una sicura ritirata
in caso di insuccesso. Ed erano bene informati, dai manutengoli confidenti,
sugli spostamenti delle truppe militari. Contro i briganti combatterono nel Sud
per un decennio i Carabinieri Reali.
Nella seconda parte, nucleo centrale più
esteso del libro, vengono descritti sessanta episodi fra i «più fulgidi ed
interessanti verificatisi durante la campagna di repressione del brigantaggio».
Essi non seguono l’ordine cronologico ma l’interesse e la varietà del libro,
scrive l’autore. Fonte principale è «il vecchio, logoro e voluminoso carteggio
relativo al brigantaggio» dell’Arma dei Carabinieri. La scelta ricade
principalmente sugli avvenimenti che hanno ottenuto riconoscimenti ufficiali.
Riporto come esempio i titoli di alcuni
episodi: distruzione della banda Pizzichicchio, per opera della colonna mobile
comandata del Capitano F. Allisio; uccisione del feroce brigante Milanese;
assalto alla caserma dell’Arma di Monreale, eroica morte del Carabiniere
Bussacchelli; assalto ad una diligenza, conflitto fra briganti e carabinieri,
morte del Vicebrigadiere Torriani; uccisione del celebre capo-banda Ninco
Nanco; distruzione della banda Giardullo per opera del Capitano Frau, cattura
del capo-banda; una banda di cento briganti messa in fuga da tre carabinieri;
un brigadiere e quattro carabinieri ad Ogliastro, dopo aver gridato «Viva il Re!
Viva l’Italia» e sventolato il tricolore si danno la morte, anziché cader vivi
nelle mani dei rivoltosi.
Una curiosità. Non è riportato nessun
episodio contro la banda di Carmine Crocco.
Il libro si chiude con l’elogio del
capitano Ghiaffredo Bergia. «Forte come la morte, questo eroe dell’umile
schiera e della semplice vita, fu un carabiniere che ogni militare dell’Arma
deve proporsi d’imitare, benché pochi possano sperare di uguagliarlo. Fu il
terrore dei briganti e la sintesi di ogni umano valore».
Rocco Biondi
Giuseppe Miozzi, I Carabinieri nella repressione del
brigantaggio (1860-70), Aldo Funghi Editore, Firenze 1923, pp. 252
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