«Certo
sarebbe bello se scappassimo tutti, col brigante Nino Martino!». «Non ci sono
più i briganti in montagna», replicò convinto Antonello. «E tu che ne sai?
Vivono nelle caverne, e se ci sono non vengono a dirlo a te».
Così si legge nel racconto lungo “Gente in
Aspromonte”, che dà il titolo alla raccolta di tredici racconti di Corrado
Alvaro; nato nel 1895 a San Luca, paese attualmente di circa quattromila
abitanti provincia di Reggio in Calabria e morto a Roma nel 1956.
Antonello è il protagonista del racconto
“Gente in Aspromonte”, insieme al padre l’Argirò. Antonello, che di carattere è
mite e buono, per la cattiveria e l’ingiustizia della società in cui vive
diviene brigante. E grida “dalla cima del colle soprastante il paese”: «O voi
tutti che siete poveri, che soffrite e che vi arrabbiate a vivere! È arrivato
il giorno in cui avrete qualche poco d’allegria». Finalmente arriverà una nuova
giustizia sociale.
Benedetto, l’ultimo figlio dell’Argirò,
divenuto prete, potrà gridare ai signori del paese: «Ladri e birbanti, il
vostro regno è finito».
I poveri, i pastori e i contadini,
personaggi di Alvaro, potranno modificare l’esistente per migliorarlo. Essi,
scrive Mario Pomilio in una presentazione del libro, acquistano a poco a poco
coscienza dell’ingiustizia cui sono soggetti, e oscuramente cercano una via
d’uscita.
Le storie narrate da Alvaro si rifanno agli
anni della sua fanciullezza in Calabria.
Antonello, il brigante di Alvaro, può
costituire il collegamento fra i briganti del primo periodo postunitario e i
briganti, nel senso positivo, di oggi.
La prima edizione del libro risale al 1930,
presso la casa editrice Le Monnier di Firenze.
Nino Martino, soprannominato Cacciadiavoli,
era un brigante calabrese del Cinquecento, che fu dal popolo nominato santo,
perché vendicava i torti della povera gente. La leggenda vuole che dalla botte,
sotto la quale era stato sepolto dalla madre, uscisse buon vino.
Rocco Biondi
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