È
il primo romanzo di Vincenzo Labanca della trilogia sul Brigantaggio. “Un
Brigante chiamato Libero” è Storia romanzata, che racconta alcuni fatti che
avvennero nel meridione d’Italia subito dopo l’annessione del Regno delle due
Sicilie e che sono stati coperti da un velo d’oblio per oltre centocinquanta
anni. Sui libri della Storia ufficiale, scrive Vincenzo Labanca nella
prefazione, si trovano poche righe per liquidare con un semplice termine
(Brigantaggio) tutta la tragedia del popolo meridionale senza interrogarsi
minimamente sui come e sui perché di quella tragedia.
“Spesso diventare briganti non fu una
scelta ma una necessità: l’unica possibilità che quegli uomini ebbero per
rinviare di qualche anno o di qualche giorno una condanna a morte già scritta
altrove”, scrive ancora Labanca.
Il romanzo narra le vicende di Pietro
Nicodemo, giovane studente in Medicina, che viene catturato nel 1861 dalla
banda di briganti capitanata da Antonio Franco, perché suo padre ‘U Salinaru’
aveva ucciso nella sua bottega un brigante della banda Franco. Durante la
prigionia incontra e conosce personalmente il Generale spagnolo legittimista José
Borges, il Generale dei Briganti Carmine Crocco, il braccio destro di Crocco:
Giuseppe Nicola Summa (detto Ninco-Nanco perché balbuziente), e tanti altri
Briganti.
Ogni capitolo del libro è intitolato ad un
brigante realmente esistito, anche se a volte le vicende personali sono state
adattate alla trama narrativa.
Si susseguono nel romanzo le biografie dei
briganti Percuoco, Culopizzuto, Scoppettiello, Lestopede, Cancaricchio,
Capillo, Capoluongo, Eggiddione, Mittica, tutte collegate queste biografie alle
vicende di Pietro Nicodemo, l’unico personaggio inventato.
Maggiore spazio hanno nel romanzo i
seguenti personaggi e briganti.
José Borges [Borjés scrive Labanca nel
romanzo] era nato in Catalogna nel 1803 e divenne un ufficiale spagnolo della
parte perdente carlista. Fu inviato nell’Italia del Sud da re
Francesco II di Borbone per riconquistare il perduto Regno delle Due Sicilie.
Si incontrò con Carmine Crocco, con il quale fece e vinse diverse battaglie.
Fra i due però sorsero diversi contrasti.
Carmine Crocco detto Donatelli [nel romanzo
si dice Carmine Donatelli detto Crocco] fu, scrive Labanca, il Ché Guevara, lo
Zapata, il Spartaco, il Sandokan della Basilicata. Prima soldato borbonico, poi
garibaldino, ed infine brigante. Raccolse attorno a sé migliaia di diseredati,
di sbandati, di nostalgici borbonici. Fu proclamato generale dei Briganti.
Lottò contro i piemontesi.
Augustin De Langlois non si è mai saputo
chi veramente fosse. Labanca parla dell’ipotesi a cui accennano alcuni storici,
che fosse stato inviato dal Re di Francia a fianco di Crocco, nella speranza di
poter pilotare la rivolta dei briganti, scacciare i piemontesi e restituire
alla Francia il Regno delle due Sicilie perduto quarantacinque anni prima con
la caduta di Napoleone. Altri invece ritengono che sia una spia dei piemontesi.
Giuseppe Nicola Summa, detto Ninco-Nanco,
era figlio di contadini di Avigliano. Con il fucile era di una precisione
unica. Non stava né con i piemontesi, né con i borboni, e neppure con i
francesi. Combatteva solamente per la libertà del popolo lucano.
Giuseppe Caruso nacque ad Atella nel 1816.
Avendo a quell’epoca oltre quarantacinque anni, godeva all’interno della banda
Crocco di molta considerazione. Si consegnò ai piemontesi e fece più danno lui
ai briganti, scrive Labanca, che tutti i piemontesi messi insieme. Finì la sua
carriera come brigadiere della Guardia forestale. Fu questo il compenso per
aver svenduto i suoi compagni al nemico.
Pietro Nicodemo divenne brigante della
banda Crocco e assunse il nome Libero.
Labanca chiude il suo romanzo con un
postscriptum nel quale dice: «Che fine fecero i briganti che abbiamo
conosciuto? Come finì l’avventura di libertà di Crocco e del suo popolo?
Ritornò Libero alla sua Lauria? Questo ve lo racconto la prossima volta».
Rocco Biondi
Vincenzo Labanca, Un Brigante chiamato Libero, SiriS
Editore, Rivello (PZ) 2003, pp. 332
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