Il
libro è una risposta pacata e puntigliosa alle tesi presenti in altri due libri
scritti da professori universitari, quello di Renata De Lorenzo sulla Borbonia felix e quello di Alessandro
Barbero sui prigionieri dei Savoia.
Essi, scrive Lorenzo Del Boca nella
prefazione, sono stati trattati da Gennaro De Crescenzo come i pifferi di
montagna che andarono per suonare e vennero suonati. Le loro tesi e
affermazioni sono state sminuzzate, dimostrandone l’infondatezza, la parzialità
e la partigianeria.
La visione manichea del Risorgimento
glorioso non regge più. La storia “vera”, e non una leggenda tramandata per
sentito dire, gli Alianello, i Pedìo, i Molfese, gli Zitara hanno cominciato a
raccontarla.
Né, scrive De Crescenzo, «si può accettare
che qualcuno crei ostacoli a questo inarrestabile processo di riappropriazione
di verità storica, memoria e radici necessario alle nostre future, fiere,
consapevoli e finalmente adeguate classi dirigenti».
Il movimento neoborbonico, del quale
Gennaro De Crescenzo è presidente, e tanti veri meridionalisti non vivono di
nostalgia e non sperano nel ritorno di un re, ma vogliono ricostruire la
memoria storica e preparare le future classi dirigenti, che facciano veramente
gli interessi del Sud.
Gli storici accademici, dei quali Barbero e
la De Lorenzo sono degni rappresentanti, ritenendo di essere loro i depositari
della verità, irridono gli storici irregolari e si sentono autorizzati a
ripetere le tradizionali falsità, senza portare una almeno sufficiente documentazione
(cosa peraltro impossibile).
Ma nel mondo accademico vi sono sempre più
studiosi che si avvicinano alle tesi degli storici irregolari. Il prof. Eugenio
Di Rienzo, per esempio, riconosce il grande supporto britannico
nell’abbattimento del Regno delle Due Sicilie. Solo ipotesi, dicono gli storici
accademici. Ma gli storici irregolari ritengono che quella di Di Rienzo sia
«una tesi dimostrata e documentata e per giunta contestualizzata
sincronicamente e diacronicamente ed è una tesi che smantella gran parte delle
storie e dei miti garibaldini, risorgimentali e antiborbonici».
Altro motivo di irrisione da parte degli
storici accademici è l’affermazione che gli storici irregolari fanno dei
primati esistenti nel Regno delle Due Sicilie, rispetto agli altri Stati
esistenti in Italia al momento dell’unificazione. Ma Vito Tanzi (del Fondo
Monetario Internazionale), in suoi documentatissimi studi, «denuncia con
chiarezza e dati la situazione preunitaria fallimentare piemontese
confrontandola con quella positiva delle Due Sicilie»; Stéphanie Collet
(dell’Università di Bruxelles) sostiene che, all’atto dell’unificazione e dal
punto di vista finanziario, le Due Sicilie erano come la Germania di oggi; i
prof. Fenoaltea e Ciccarelli (per la Banca d’Italia) sostengono che nel 1860
l’industrializzazione nelle Due Sicilie era pari e, in alcune aree, superiore a
molte aree del centro-nord; lo stesso De Crescenzo, presso il fondo Ministero
Agricoltura Industria e Commercio, ha verificato che nel Mezzogiorno
continentale esistevano oltre 5.000 fabbriche.
Due temi poi sono ricorrenti nella
storiografia ufficiale: quello della ferocia delle repressioni borboniche e
quello dell’analfabetismo delle popolazioni meridionali. Per confutare il primo
basta riferire che, dopo la rivoluzione del 1848, non furono eseguite condanne
a morte nel Regno delle Due Sicilie (eccetto quella di Agesilao Milano
attentatore di Ferdinando II), mentre nel “civilissimo” Piemonte, nel solo
periodo 1851-1855, vi furono 113 esecuzioni. Per quanto riguarda il tema del
Sud “analfabeta”, nessuno storico ufficiale mette in risalto la parzialità dei
dati (i documenti originali sono da anni spariti) e la scarsa attendibilità di
quel censimento realizzato in pieno caos amministrativo; un dato però è certo:
nelle università duosiciliane vi erano 10.528 iscritti, mentre nel resto d’Italia
gli iscritti erano complessivamente 5.203, «e questi dati non possono che
essere il frutto evidente di una scolarizzazione oggettiva e diffusa»; quando
poi le scuole del Sud verranno chiuse dai piemontesi per oltre un decennio, è
ovvio che le percentuali degli analfabeti qui aumenteranno.
Altro tema molto discusso dagli storici
accademici, sminuendolo, è quello del Brigantaggio; ma esso ebbe una grande
incidenza nella guerra contro il Regno delle Due Sicilie se furono necessari
oltre 200.000 soldati per sconfiggerlo. La rivolta dei briganti, secondo De
Crescenzo, assunse chiare connotazioni di carattere politico-legittimistico
prevalenti su tutte le altre connotazioni. Questa repressione violenta e feroce
contro i briganti e contro le popolazioni del Sud durò oltre dieci anni; non è
logica la censura operata da parte della storiografia ufficiale, che ammette
che queste rivolte furono “anche” politiche “ma solo fino al 1865”, divenendo
dopo questo anno delinquenza comune.
Non regge poi l’affermazione degli storici
ufficiali del grande contributo che i meridionali avrebbero dato al processo di
unificazione. Di quali consensi parliamo, si chiede tra l’altro De Crescenzo, se
la stessa De Lorenzo scrive che 71 su 81 sedi vescovili erano vacanti per le
persecuzioni garibaldino-sabaude?
Ed ancora prima del 1860 dal Regno delle
Due Sicilie non partiva nessuno, mentre altrove nel resto dell’Italia e dell’Europa
si emigrava; l’emigrazione dal Sud cominciò dopo quell’anno.
La seconda parte del libro di De Crescenzo
è dedicato al “genocidio” dei soldati e delle popolazioni meridionali all’indomani
del 1860. Vengono controbattute sia le affermazioni presenti nel libro di
Barbero che quelle fatte dallo stesso nel confronto di Bari con De Crescenzo il
5 dicembre 2012, in occasione della presentazione del libro I prigionieri dei Savoia. La vera storia
della congiura di Fenestrelle di Alessandro Barbero presso la libreria
Laterza (a quell’incontro io partecipai).
Vengono contestati i numeri bassissimi dei
soldati napoletani che secondo Barbero furono deportati e di quelli che morirono
nel carcere di Fenestrelle, vicino Torino. Mentre De Crescenzo ritiene,
documentandolo, che furono circa 60.000 i soldati meridionali deportati.
Barbero ha visto i documenti di pochissimi archivi e non ha visitato nessun
archivio meridionale e napoletano. Non è mai possibile non considerare il ruolo
e l’importanza delle fonti dell’opposizione se si vuole un quadro completo ed
esauriente di una situazione storica.
Mi piace chiudere questa recensione con
delle frasi del libro Terroni di Pino
Aprile, che De Crescenzo riporta nel suo libro: l’unificazione portò al Sud “fucilazioni
in massa, fosse comuni, paesi che bruciavano, profughi in marcia o campi di
concentramento e sterminio in Europa… Io non sapevo che i piemontesi fecero al
Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni”.
Rocco Biondi
Gennaro De Crescenzo, Il Sud dalla Borbonia felix al carcere di Fenestrelle, perché non sempre la storia è come ce la raccontano, prefazione di Lorenzo Del Boca, Magenes Editoriale, Milano 2014, pp. 150, € 12,00
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