Il
libro è la pubblicazione della tesi di laurea di Maria Pettinato, conseguita
presso l’università di Genova, con voti 110 e lode. Come in tutte le tesi si
sente la presenza dei professori che l’hanno seguita. Ma Maria Pettinato in
questo lavoro ha saputo dimostrare la sua autonomia, valutando il brigantaggio
secondo i più moderni criteri di studi.
Il libro è didascalico, molto utile per chi
comincia ad avvicinarsi al fenomeno del brigantaggio. Il lavoro è infatti
suddiviso in tre parti, che portano i seguenti titoli: “L’unificazione italiana”,
“Il brigantaggio meridionale” e “Il brigantaggio in Calabria dal 1861 al 1865”.
La prima parte ripercorre le tappe
principali che hanno dato vita al Regno d’Italia ad opera dei piemontesi.
La seconda parte descrive sia il
brigantaggio preunitario che quello postunitario, dando particolare rilevanza
al manutengolismo. In rilievo viene messo il tema della repressione piemontese.
La terza parte, in cui si parla del
brigantaggio postunitario calabrese, costituisce la parte più originale del
lavoro della Pettinato. Si affrontano infatti le caratteristiche principali del
brigantaggio calabrese. Si parla delle tre bande più importanti della Sila:
quelle di Pietro Bianco, di Pietro Monaco e Maria Oliverio, di Domenico Palma.
Qualche contraddizione vien fuori nel libro,
laddove o i briganti vengono chiamati “malfattori” o invece si dice che i
briganti “intendevano proteggere il proprio mondo con la sua religione, le sue
tradizioni, le sue cerimonie, i suoi costumi”. Per noi, i briganti postunitari
rappresentano il lato positivo degli uomini e delle donne di tutti i tempi
anche se inconsciamente.
Pietro Bianco, nato nel 1839, all’età di 23
anni decise di darsi alla macchia e mise su una banda armata di circa 24
uomini. Molte furono le estorsioni e i sequestri di persona cui diede vita.
Condannato dalla Corte di Cassazione venne decapitato il 19 settembre 1873 nel
Vallone di Rovito, vicino Cosenza.
Pietro Monaco nacque nel 1836 e a 22 anni
sposò Maria Oliverio. Lottò a fianco di Garibaldi. Poi quando l’esercito
meridionale garibaldino fu smobilitato, e sia non vedendo attuati i decreti
garibaldini sulla concessione ai contadini delle terre demaniali della Sila e
sia il dover rispondere alla chiamata alle armi non avendo completato il servizio
di leva, si rifugiò nei boschi. Entrò dapprima nella banda Palma, poi ne creò
una sua. Intanto Maria Oliverio, per gelosia, uccise a colpi di accetta sua
sorella Teresa, ed entrò a pieno titolo come brigantessa nella banda del
marito. Insieme a lui acquisì la fama di vendicatrice delle offese e di
benefattrice dei poveri. Il sequestro più famoso fu quello del vescovo Tropea.
Monaco fu ucciso a tradimento. Maria, dopo varie fughe, si arrese; condannata
in un primo momento alla pena di morte, poi si vide commutata questa pena in
quella dei lavori forzati a vita.
Domenico Palma nacque a Longobucco nel
1831. Frequentò le prime classi elementari e imparò a leggere e scrivere.
L’insofferenza verso i soprusi e privilegi dei nobili latifondisti lo convinsero
già nel 1859 a mettere su una banda di briganti. Non eccedette in fatti di
sangue, incarnando la figura dell’eroe romantico, generoso con i poveri e
crudele contro i prepotenti. Suoi nemici principali furono il generale Sacchi e
il maggiore Milon, dell’esercito piemontese; i quali ritennero che con
l’uccisione di questo brigante sarebbe cessato il brigantaggio in Calabria.
Venne ucciso vigliaccamente nel 1869 dal “compare” Librandi.
Per noi la parola “potere” del titolo si
riferisce ai piemontesi invasori del Sud e “libertà” a quello che i briganti
volevano.
Maria Pettinato, Potere e libertà. Briganti nella Calabria post-unitaria (1861-1865),
la rondine edizioni, Catanzaro 2013, pp. 178
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