Anche
le edizioni scolastiche talvolta si interessano di brigantaggio. È il caso
della Bompiani che pubblicò, nel lontano 1974, il romanzo del fiorentino Piero
Pieroni e Riccardo Gatteschi intitolato “Vento del nord, vento del sud”, nella
collana “Narratori moderni per la scuola”. È un libro sul brigantaggio
meridionale postunitario.
Alcuni personaggi sono inventati, altri
sono reali anche se la loro storia nel romanzo non sempre segue la realtà. È
inventato Agostino La Gala, «ma esprime bene nella sua scelta per le bande,
contro il governo, tutta la speranza del popolo meridionale stanco di
aspettare», scrive Gaetano Sansone nella sua introduzione. Sono reali i nomi di
Crocco, Pasolini, Ninco Nanco, Borjes, Romano, anche se avremmo preferito che
la storia personale fosse quella reale (non condivido la scelta degli autori di
cambiarne di alcuni la modalità di morte).
Il libro si apre con l’accoglienza
trionfale fatta al capobrigante Crocco nella città di Melfi in Basilicata. In
chiesa, per il canto del “Te Deum”, ai banchi di sinistra sedevano prima le
donne (madri, mogli, sorelle) dei feudatari, poi le donne dei dipendenti dei
feudatari (amministratori, camerieri, giardinieri, campieri, fattori,
guardaboschi), poi ancora le donne dei cosiddetti “liberali” (bottegai, piccoli
commercianti, usurai, scrivani, speziali, avvocaticchi), ed infine le donne dei
contadini, dei piccoli affittuari, dei pastori, dei braccianti, dei cafoni
insomma. Ai banchi di destra sedevano gli uomini, nello stesso rigido e
immutabile ordine. Pochi amavano Crocco davvero, ed erano quelli che sedevano
nelle ultime file o stavano in piedi attorno al fonte battesimale.
Ma questa accoglienza trionfale sarebbe
durata poco. Il giorno successivo o l’altro ancora, Crocco sarebbe dovuto
andare via, prima che arrivassero i piemontesi. Era la legge della guerriglia,
si passava rapidamente dalla vittoria alla sconfitta. E i piemontesi si
sarebbero vendicati sulla povera gente: non torcevano un capello ai feudatari e
all’arciprete o al parroco, si scatenavano solo su quelli che ritenevano i
cafoni.
Dopo varie azioni, molte di esse vittoriose,
Crocco che aveva raccolto attorno a sé più di mille uomini viene rinchiuso
nelle carceri italiane. Muore nel penitenziario di Portoferraio nel 1905; fu
uno dei pochi che riuscì a sopravvivere nella lotta del brigantaggio.
Il catalano generale Borges era stato
mandato dal re borbone Francesco II a tentare di dare forma di esercito alle
bande brigantesche. Si incontra e combatte, per un certo tempo, con Crocco. Ma
la visione della lotta fra i due è diversa: Borges crede di far diventare i
briganti dei soldati e come tali farli combattere, Crocco invece crede come
sempre alla guerriglia e secondo essa fa combattere i suoi.
La fine di Borges, come del resto tanti
episodi della lotta brigantesca, vengono narrati con l’espediente delle lettere
al padre dal tenente Andrea Pasolini, bresciano mandato nel Sud a combattere i
briganti. I tristi metodi dell’esercito piemontese contro i poveri abitanti del
Sud lo avrebbero convinto a dare le dimissioni dall’esercito e tornare a casa
per sempre, cambiando mestiere, non credendo più in quello che faceva.
Nel libro il sergente Romano è un
luogotenente di Crocco, mentre nella realtà il Romano stette con Crocco per
poco tempo; e poi non è vero che venne ucciso, nella battaglia del vallone di
San Donato, dal tenente Pasolini, morì invece nelle campagne tra Gioia del
Colle e Santeramo.
Giuseppe Caruso tradì Crocco e passò dalla
parte dei piemontesi; nel romanzo già da parecchio faceva il doppio gioco.
Piero Pieroni – Riccardo Gatteschi, Vento del nord, vento del sud, a cura di
Gaetano Sansone, Bompiani Editore, Milano 1974, pp. 194
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