Cesare
Bertoletti, figlio di piemontesi di Fosseno, sul Lago Maggiore, fu mandato a
Napoli durante la prima guerra mondiale, ai primi del 1918; divenne capitano
pilota di arei di combattimento. Sposò la napoletana “Perzechella”.
Il libro non è antirisorgimentale, come
anche l’autore. Il Risorgimento però è visto dall’altra sponda, contrariamente
a quello che troviamo scritto nei libri di storia ufficiali; esso è visto dalla
parte dei perdenti, a vantaggio quindi dell’Italia meridionale. La ragione non
è del più forte, ma di chi sta dalla parte della ragione. L’esercito borbonico
era ben istruito; i generali borbonici erano più preparati di quelli
piemontesi.
Vengono narrati i fatti storici dalla
rivoluzione francese alla prima guerra mondiale, mettendo in risalto il
contributo dato dalla popolazione dell’Italia meridionale.
Bertoletti parla bene di Garibaldi e
Mazzini; meno bene di Cavour.
A noi piace evidenziare la parte del libro,
che parla del Regno delle Due Sicilie. In questo Regno furono costruiti il
palazzo di Capodimonte e la reggia di Caserta, dovuti al genio del Vanvitelli.
Napoli divenne il centro della cultura musicale, con la costruzione del teatro
San Carlo. Fu costruito anche l’imponente “Albergo dei poveri”. Il re Carlo III
curò, tra l’altro, il miglioramento dell’università, gli studi nautici; stipulò
trattati commerciali con numerose potenze europee. Ferdinando IV istituì,
presso la reggia di Caserta, in località San Leucio, una manifattura di seta,
dando ad essa una organizzazione originale per i suoi tempi.
Napoli nel 1860 in Europa, come grandezza,
veniva subito dopo Londra, Parigi e Pietroburgo; aveva veramente l’aspetto di
una Capitale, sia per la sua posizione naturale che per l’imponenza delle sue
costruzioni.
Il Regno delle Due Sicilie era lo Stato più
importante di tutta la penisola italiana; pur avendo nell’agricoltura la sua
principale risorsa era però all’avanguardia nei settori marittimo, commerciale
e industriale. L’unità per l’Italia meridionale non fu un “affare”, ma fu una
rovina economica e una diminuzione di prestigio.
Fiorente erano la marina da guerra e
mercantile; la circolazione monetaria in oro e argento era il doppio di quella
degli altri Stati della Penisola messi insieme; l’industria tessile, oltre a
fornire il mercato locale, esportava all’estero buona parte del prodotto, e
dava lavoro a molte migliaia di operai; sviluppata era l’industria siderurgica:
si fabbricavano armi da fuoco, macchine a vapore, locomotive, rotaie, gru,
fucine, tubi di ferro, macchine agrarie, telescopi, pianoforti, orologi ecc.;
si produceva anche ottima carta, guanti, vetri, porcellana, acidi ecc. In
agricoltura una notevole importanza economica aveva l’allevamento delle pecore
e delle capre; dall’Italia meridionale venivano esportati principalmente l’olio,
ma anche vini tipici, e legname dei monti calabresi.
I “briganti” e i “lazzaroni” erano
partigiani che difendevano le loro case, i loro averi, le loro donne, la loro
religione, la propria patria dallo straniero invasore.
Dopo il 1861, con l’annessione al Piemonte,
ebbe inizio l’immiserimento dell’Italia meridionale, la distruzione delle sue
industrie, il malessere del suo artigianato e della sua agricoltura, e quindi
la sua decadenza economica, le cui funeste conseguenze – scrive Bertoletti –
ancora sono presenti e dannosamente operanti. È una leggenda – scrive ancora il
Bertoletti – che il Mezzogiorno, al momento dell’unità, fosse torpido e languente.
Ad unità conseguita veniva caricato
sull’Italia meridionale metà del debito pubblico per sollevare il bilancio
dello Stato piemontese, il quale nel 1860 era sull’orlo del fallimento. Furono
messi in vendita i beni ecclesiastici; gli ordini religiosi concedevano in uso ai
contadini i latifondi per un modestissimo affitto; passati tali beni in
proprietà di privati danarosi, i contadini poveri si trovarono privi di ogni
risorsa e alla fame, e questo fu uno dei motivi per i quali le campagne
meridionali furono piene di briganti.
Altro motivo importante che fece aumentare
il brigantaggio fu il repentino scioglimento, da parte del governo
italiano-piemontese, dell’esercito borbonico subito dopo la caduta di Gaeta.
Finito a poco a poco il brigantaggio, anche
a causa delle fucilazioni sommarie ad opera dei piemontesi, si diede luogo
all’emigrazione di massa dei meridionali.
La maggior parte degli uomini politici
meridionali mai presero una decisa posizione di difesa della propria regione.
Bertoletti conclude il suo libro
riassumendo le più importanti “verità vere” sul Mezzogiorno. Il governo
borbonico non era affatto retrogrado, ma all’avanguardia in Europa; i monarchi
borbonici furono i meno feroci nelle repressioni politiche; l’industria era
protetta e dava lavoro a centinaia di migliaia di operai; il commercio, anche
per l’estero, era incoraggiato; non è vero che l’esercito borbonico non fosse
combattivo e fosse indisciplinato e mal organizzato; non è che lo stato delle
Due Sicilie fosse povero; è ingiusto l’appellativo di “re bomba” al borbonico
Ferdinando II, tale appellativo dovrebbe essere dato al piemontese Vittorio
Emanuele.
Cesare Bertoletti, Il Risorgimento visto dall’altra sponda.
Verità e giustizia per l’Italia meridionale, Introduzione di Giovanni
Artieri, con 42 tavole fuori testo, Arturo Berisio editore, Napoli 1967, pp. 333
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