La
Nazione napoletana scomparve definitivamente assorbita dalla Nazione italiana,
e i politici «terroni» entrarono in massa prima nella stanza dei bottoni della
burocrazia e poi progressivamente in quella della piccola e grande politica,
dove si sarebbero prese le decisioni fondamentali che condizionarono il futuro
del nostro Paese. Resta da domandarsi (scrive Eugenio Di Rienzo alla fine del
suo saggio, concordando con S. Cassese) perché arrivati ai posti di comando,
questi uomini del Meridione si siano generosamente «nazionalizzati», diventando
solleciti servitori dello Stato, rivelandosi incapaci di colmare il distacco
economico tra Nord e Sud la cui forbice cominciò a manifestarsi e poi ad
allargarsi solo dopo il 1861.
È questo un libro scritto da Eugenio Di
Rienzo in continuità con il suo “Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze
europee, 1830-1861” del 2012.
L’autore scrive, nella premessa, che
finalmente il sentimento nazionale napoletano è divenuto un «problema
storiografico», in tutta l’ampiezza e dignità del termine. Tale sentimento si è
diffuso, dopo il 1860, non solo tra le masse contadine e il «proletariato straccione»
delle città, ma anche tra il ceto «civile», la classe colta, l’esercito e la
burocrazia di quello che era stato il Regno delle Due Sicilie.
Di Rienzo, nato a Roma nel 1952, è
professore presso l’università “La Sapienza” di Roma e dirige la «Nuova Rivista
Storica». Rivista che ha ospitato molti studiosi, che sono citati nel libro.
Nel primo capitolo si parla della «nazione
napoletana» prima e dopo il 1860. Significativo fu il caso del nobile
napoletano Francesco Proto, duca di Maddaloni, che in un primo momento si era schierato
con i piemontesi venendo eletto deputato, ma successivamente, rifiutandosi gli
uffici di presidenza della Camera di pubblicare negli atti parlamentari il suo
atto di accusa contro i governi di Cavour e di Ricasoli, si dimise da
parlamentare e divenne uno dei più importanti elementi dei comitati borbonici
operanti in Italia e in Europa. La stessa analisi sulle storture del processo
unitario, fatta dal duca di Maddaloni, si ritrova in tanti scritti di autori
minori e in tanti libelli pubblicati anonimi, finalizzati a favorire le
simpatie verso la riconquista da parte dei Borbone del Regno delle Due Sicilie.
Il secondo capitolo affronta il tema degli
interventi a favore dei Borbone nel Parlamento inglese, e specialmente il
discorso tenuto da Lord Lennox l’8 maggio 1863 alla Camera dei Comuni; discorso
che, in appendice, viene pubblicato integralmente in italiano con l’intervento
anche di altri parlamentari inglesi. Si parla anche del fenomeno del
«brigantaggio», ponendo l’accento principalmente sul suo valore politico,
considerandolo una mobilitazione popolare e nazionale basata sul patriottismo
napoletano e sulla fedeltà alla dinastia borbonica; non solo quindi come
rivolta sociale. Viene affrontato anche il tema della camorra e della mafia.
Nel terzo capitolo si parla anche del
dibattito a favore dei Borbone, che avveniva in Francia. Viene riportato
estesamente il pensiero di Charles Garnier.
Nell’ultimo capitolo viene descritto il
passaggio dalla «questione napoletana» alla «questione meridionale». Il
sentimento nazionale napoletano, scrive Di Rienzo, fu la risposta del Sud al
pregiudizio antimeridionale.
Il libro di Di Rienzo, molto ricco di note
nelle quali viene riportato il pensiero di molti scrittori che hanno affrontata
la «questione napoletana», sembra scritto per chi già è addentro nella
questione; riesce un po’ difficile per i neofiti dell’argomento. Utile sarebbe
stata, per esempio, la traduzione in italiano dei diversi passi riportati nelle
lingue originali straniere.
Rocco Biondi
Eugenio Di Rienzo, L’Europa e la «Questione Napoletana»,
1861-1870, D’Amico Editore, Nocera Superiore 2016, pp. 160
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