Le due storie che vengono narrate sono inserite nel secolo XVII e nel secolo XIX. La prima, che abbraccia il capitolo diciassettesimo (da punto uno a undici), parte dall’anno 1647, e narra principalmente, con l’espediente della scoperta e lettura di un manoscritto, l’avventura del brigante (proditores) Abate Casare.
La seconda storia, che abbraccia la prima
parte del primo volume e tutto il secondo, racconta quello che avvenne nel
Regno di Napoli e principalmente nel foggiano (Capitanata) a cominciare dal
decennio francese (1806-1815) e finire nei primi anni della venuta nel Sud dei
piemontesi (1860-1861).
Le due epoche hanno in comune lo stesso
territorio e la stessa società. Nella prima v’era un viceré, che governava in
nome delle dinastia spagnola. Nella seconda il Sud era governato prima dai
Borbone e poi dai Savoia; «un cambio – scrive Lucera – di nome e di vessilli
che nulla porterà di nuovo alle condizioni sociali del popolo del nostro
Meridione».
Quasi tutti i personaggi della seconda
storia hanno gli stessi nomi di quelli della prima e sono loro discendenti.
Le categorie sociali delle storie narrate sono
sostanzialmente due: i ricchi da una parte ed i poveri dall’altra. Ma provengono
sia dall’una che dall’altra quelli di una terza categoria, i cosiddetti
briganti; questi ultimi però sono prevalentemente poveri. A Lucera non
interessano i delinquenti comuni, nel suo romanzo i briganti sono banditi
sociali, che si manifestano sia in società antiche che moderne quando vi è lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo o di una classe su di un’altra. «Non è quindi
– scrive Lucera – la democrazia o il totalitarismo, la monarchia o la
repubblica che producono i ribelli, ma è l’aspetto economico su cui poggia la
gerarchia sociale a produrli e nient’altro».
La delinquenza comune è sempre presente in
qualsiasi società. Il banditismo sociale – dice ancora Lucera – o il fenomeno
del brigantaggio, invece, nasce, si evolve, si irrobustisce e poi scompare,
apparentemente riassorbito dalla stessa società. Esso cova sotto la cenere ed è
pronto a riapparire quando le contraddizioni interne al sistema raggiungono la
fase estrema.
Dal mondo di sofferenze, di miserie,
atrocità e speranze di tempi migliori nascono gli eroi. Il brigante diventa l’eroe
che ha la forza di ribellarsi e di fronteggiare il potere costituito. Il
brigante di fronte alle ingiustizie riesce a portare una qualche giustizia laddove
era completamente assente.
Personaggi del secolo spagnolo sono: Antonio
Salustri, fattore del duca Matteo Princivalle; il cavaliere Ubaldo, nipote del
duca; Luigi Ferrigno, comandante delle Guardie Civiche; il brigante detto Abate
Cesare, che stette nascosto oltre otto mesi nel palazzo del duca in Capitanata;
la duchessa Flaminia Filangieri torturata dall’hidalgo spagnolo Pedro Alvarez
de la Sierra con conseguenze non definitive.
Personaggi del periodo dell’ottocento sono:
il padre Bonaventura d’Amalfi, che è priore del convento francescano di
Serracapriola, e che riuscirà a raccogliere i documenti che dimostravano come
il Borbone aveva tradito il famoso brigante Gaetano Vardarelli; Pietro
Salustri, fattore del duca Matteo Princivalle; Antonio Salustri, brigante
protagonista del romanzo; Francesco Princivalle, duca e fratellastro di Antonio;
Camillo Bourdignon, detto l’Ungherese, prototipo negativo dei piemontesi; Luigi
Fortebraccio, nato nel Sud ma zelante vice comandante delle Guardie Nazionale a
favore dei piemontesi.
Lucera nel suo romanzo riesce a far vivere
i suoi personaggi ben inseriti nel proprio ambiente, di tutti descrivendo sentimenti
e modi di pensare. E ciò vale anche per i briganti, che se abbandoneranno la
lotta (come farà Antonio nel racconto ottocentesco), rinviando la realizzazione
del proprio disegno politico a tempi migliori, non potranno essere annoverati
né tra i perdenti, né tra i vinti e né tanto meno tra i vigliacchi.
Giuseppe Osvaldo Lucera, I due manutengoli, Edizione Simple,
Macerata 2008; Vol. I, pp, 472; Vol. II, pp. 414
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