«Raffaele Vescera si distingue per originalità e pregnanza di scrittura. Ho trovato in lui un vigoroso ingegno», così scriveva Gesualdo Bufalino, dopo che nel 1992 uscì “Inganni”, il primo romanzo di Vescera. Anche per questo altro romanzo su Nicola Morra si può esprimere lo stesso giudizio.
Nicola Morra nacque a Cerignola (Foggia in
Puglia) il 17 giugno 1827, morì in carcere a Firenze il 13 maggio 1904; aveva
77 anni. Secondo il mito fu un gentiluomo che rubò ai ricchi per dare ai
poveri. Fu prima contro i Borboni e poi contro i piemontesi, quando questi
ultimi invasero il Sud. Trascorse molti anni in carcere, dal quale evase o fu
rimesso in libertà. Fu, come si evince dal romanzo, un brigante solitario, al
contrario di Carmine Crocco che riuscì a formare una banda di oltre duemila
uomini.
Tra fughe ed evasioni, fece cinquanta e
passa anni di galera «perché non poté sottrarsi alla maledizione della sua
nascita e perché di poveri cristi messi in croce sono piene le terre che
guardano il Mediterraneo».
Pasquale Ardito pubblicò nel 1896 una
biografia del Morra, dopo averlo intervistato a lungo. Vescera, come scrive
nella premessa al romanzo, si è rifatto a quella biografia, però «con beneficio
d’inventario e licenza d’invenzione». Interessante sarebbe scoprire quali sono
i fatti realmente accaduti e quali sono inventati. Successivamente il libro
dell’Ardito è stato ristampato nel 1993 e nel 2011.
A diciotto anni – scrive Vescera – Morra
era diventato un incorreggibile scapato, baldanzoso e burlone, che giocava con
i fanti, senza risparmiare né vescovi né santi.
Nel romanzo sono anche utilizzati alcuni
brani dell’autobiografia del capobrigante Carmine Crocco e dell’arringa accusatoria
fatta dall’avvocato torinese Enrico Ferri nell’ultimo processo contro Morra a
Benevento.
Vescera scrive che la sua infanzia è stata
accompagnata dalla musica di una lunga canzone che raccontava le gesta eroiche
del bandito Morra cantate dai cantastorie. Naturalmente, la bontà dell’eroe si
dava per scontata, perché le sue azioni erano dettate da un codice dal quale
non si poteva prescindere. La canzone popolare ha supplito alla scarsa
produzione letteraria, dando luogo ad una cultura orale. E ne vien fuori «un
Sud fortemente contraddittorio, dolce e amaro, affettuoso e feroce, cheto e
sfuggevole, solare e misterioso, insieme».
Sul treno che lo portava al domicilio
coatto di Monopoli, ad un passeggero che, accortosi del suo pallore e del suo
nauseato imbarazzo, gli chiedeva se avesse bisogno di aiuto, Morra rispose: «No
grazie, paisà, non è niente, è soltanto che sta arrivando un secolo di merda».
Sua cugina Rosina fu l’unico amore, che
accompagnò Morra durante la sua lunga vita, e che comunque non fu coronato da
un figlio che Rosina desiderava tanto.
Gran parte del romanzo è dedicato al
tentativo di recuperare dal figlio di Giovanni De Nittis i dodicimila ducati
dati al padre. Il giovane De Nittis prima divenne sindaco e poi deputato. Vinse
infatti il ballottaggio per quest’ultima elezione proprio contro Nicola Morra,
per pochi voti. Non restituì mai i soldi al ‘bandito’, anzi lo fece arrestare e
condannare due volte per ricettazione.
L’etnomusicologo Rocco Forte,
nell’appendice al romanzo di Vescera, scrive che la storia raccontata è a noi
pervenuta per via orale, uno fra i più antichi ed affascinanti mezzi di
trasmissione. Un cantore autodidatta di Barletta fece registrare nel 1963 su
disco 45 giri la canzone di Nicola Morra, dalla casa discografica Combo Record
di Milano; la canzone è cantata da Bruno Dasi e accompagnata dal complesso
pugliese di Tony Di Palma. Il disco ebbe successo non solo a livello locale ma
anche a livello nazionale. Tant’è che si trova al primo posto dal gennaio all’aprile
del 1964. In seguito la storia di Nicola Morra fu continuata e vennero incisi
altri due 45 giri con la III e IV parte e la V e VI parte. Poi tutte le sei
parti vennero ristampate su di un unico disco formato 33 giri. E «ancora oggi
questa canzone – chiude la sua appendice Forte – continua a raccontare la
storia di Nicola Morra che grazie al ritorno dell’arte di questo nuovo romanzo
ci può ancora insegnare qualcosa».
Rocco Biondi
Raffaele Vescera, La mala vita di Nicola Morra, Asefi Editore, Milano 2003, pp. 190
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