Questo romanzo storico, interpretato ricorrendo sempre alle fonti storiche, è la narrazione della vita di Pasquale Domenico Romano, uno dei più famosi protagonisti del brigantaggio meridionale postunitario. Il Romano ed il brigantaggio però sono visti dalla parte risorgimentale e dei piemontesi vincitori della guerra fratricida fra italiani del nord e quelli del sud.
Era nato a Gioia del Colle, grosso paese in
provincia di Bari, il 24 settembre 1833, in una umile famiglia; il padre
Giuseppe Romano faceva il pastore e la madre Anna Concetta Lorusso era una
contadina. All'età di sei anni il padre lo aveva portato con sé in mezzo ai
campi e ai boschi. A diciotto anni cercò di riscattarsi arruolandosi nell’esercito
borbonico. Imparò a leggere e scrivere ed ottenne il grado di sergente.
Ma il 1860, in seguito all’invasione
piemontese del Mezzogiorno e allo scioglimento dell’esercito borbonico, dovette
ritornare a Gioia e visse per un periodo da sbandato. Finché non si diede alla
macchia, organizzando la resistenza in nome del re Francesco II andato in
esilio a Roma.
Dai due autori viene affrontata da qui in
poi la problematica del brigantaggio. Viene riconosciuto al Romano un autentico
ideale e un legittimo interesse a far ritornare il re Francesco II, ma in
genere il brigantaggio viene considerato delinquenza comune.
Viene intanto costituito a Gioia un
Comitato borbonico e Pasquale Domenico Romano viene eletto Comandante Generale
dei partigiani borbonici. Questi vengono suddivisi in quattro Compagnie agli
ordini rispettivamente di Giuseppe Valente di Carovigno detto Nenna Nenna, di
Cosimo Mazzeo di S. Marzano detto Pizzichicchio, di Antonio Lo Caso di Ginosa
detto Capraro e di Rocco Chirichigno di Montescaglioso detto Coppolone.
Aiutante del Romano viene nominato Francesco Ferrante.
Il primo atto violento da parte di quattro
briganti è l’uccisione del sergente della Guardia Nazionale Teodorico
Prisciantelli. Il Romano non approva e teme che i suoi piani vengano sconvolti.
Si decide di assaltare, da parte dei
briganti, il Comune di Gioia e il 28 luglio 1861 viene conquistato il borgo San
Vito, con l’appoggio della popolazione. Stragi e saccheggi vengono compiuti sia
dagli assalitori che dai difensori. I due autori però mettono in risalto solo
quelli dei briganti e scrivono: «la folla inferocita si spostava da un punto
all’altro del borgo con urla selvagge, alla caccia di persone ree soltanto di
aver voluto l’Italia una e indipendente sotto la guida di Vittorio Emanuele
II». Ma noi sappiamo che questa descrizione è incompleta. Seguì una feroce
repressione.
Seguirono poi altre gesta del sergente
Romano che ebbero a teatri Martina Franca, Massafra, Santeramo, Acquaviva,
Fasano, Monopoli, Putignano, Noci.
Molta parte della finale del libro è
dedicata al gentiluomo Antonio Genoviva di Taranto, ucciso dai briganti in
seguito al sequestro di un suo massaro della fattoria Trigli, lo stesso giorno
in cui fu ucciso il sergente Romano: il 5 gennaio 1863.
Nel bosco di Vallata, vicino Gioia, il
Romano tradito da un delatore fu accerchiato dai piemontesi e ucciso con una
sciabolata alla testa.
Nel libro sono riportati vari documenti,
alcuni corretti, riportati poi in appendice nella versione originale.
La prima edizione del libro uscì nel 1976,
quando gli autori ora morti erano entrambi vivi. Pochi erano allora i libri che
parlavano del sergente Romano. Successivamente tali libri si sono moltiplicati.
Rocco Biondi
Nicola Bitetti – Francesco Genoviva, Il Sergente Romano brigante terribile,
Schena, Fasano (Brindisi) 1999 (prima edizione 1976), pp. 216
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