Maria
Rosa Cutrufelli aveva già pubblicato nel 1974 un saggio, intitolato “l’unità d’italia, guerra contadina e
nascita del sottosviluppo del sud”, con il quale aveva trattato il
brigantaggio postunitario come una specie di lotta di classe. Con il romanzo “La briganta” del 1990 il brigantaggio
postunitario costituisce lo sfondo storico della storia che viene narrata, come
la stessa Cutrufelli scrive nella postfazione al romanzo, ricordando pure
alcuni dati per comprendere meglio i personaggi e le vicende del libro. La
repressione del “grande brigantaggio” costò più denaro e più morti di tutte
insieme le guerre del Risorgimento, per sconfiggere “i briganti” fu necessario
proclamare nel Sud lo stato d’assedio, furono istituite con la legge Pica
“leggi eccezionali”, furono introdotti il confino di polizia e la carcerazione
preventiva, furono istituiti i tribunali militari.
Molto di quello che viene narrato con la
fantasia nel romanzo lo troviamo realmente nella storia del brigantaggio
postunitario. L’espediente della ‘briganta’ di narrare la propria vita ad uno
studioso richiama alla mente Carmine Crocco che detta la sua ‘autobiografia’ al
capitano Eugenio Massa. Margherita, così si chiama la briganta del romanzo, la
quale uccide il marito conficcandogli un lungo spillo in gola richiama la
brigantessa Filomena Pennacchio. La trionfale accoglienza di Carmine Spaziante
richiama l’accoglienza del capobrigante Carmine Crocco in diversi paesi.
La ‘briganta’ del romanzo è una ragazza
agiata; la madre apparteneva a una famiglia aristocratica, il padre non era un
nobile ma un ricco proprietario di terre coltivate e di boschi, di masserie e
di casali. Aveva avuto una vera educazione, con conseguente buona istruzione.
In gioventù aveva tenuto un salotto frequentato da poeti e brillanti ufficiali,
da filosofi e avvocati, da uomini politici ed economisti.
Ma dopo l’uccisone del marito si era data
al brigantaggio, raggiungendo il fratello Cosimo che era entrato nella banda
del capobrigante Carmine Spaziante. E divenne una vera briganta, non donna di
brigante. «Scegliendo le montagne, scrive Margherita, avevo scelto la reazione,
che è il nome dato al legittimismo borbonico e, al tempo stesso, alle
sollevazioni contadine». Queste ultime erano una richiesta delle terre per chi
le lavorava e anche una risposta alla revoca da parte delle autorità piemontesi
del diritto di semina, pascolo, legnare, acquare, pernottare sui fondi comunali.
Partecipò alla guerra del brigantaggio,
vincendo e perdendo. «Sulle montagne io combattevo una guerra privata contro il
mio destino». Il fratello Cosimo le aveva detto che non doveva essere lei,
offesa, ad uccidere il marito.
Combatté fino a quando non venne catturata,
nell’agosto del 1861. Un soldato piemontese stava per ucciderla, ma lei con un
gesto sicuro aprì la casacca, mostrando in piena luce il seno; il soldato
abbassò il fucile.
I primi giorni dopo la cattura furono
orribili; fu frugata dappertutto, anche nelle parti intime. Al processo fu
condannata a morte; ma successivamente la pena fu commutata in ergastolo.
Venti anni dopo la cattura Margherita scrisse
la sua storia e «solo con la morte avrà fine questa eterna agonia».
Rocco Biondi
Rocco Biondi
Maria Rosa Cutrufelli, La briganta [romanzo], [La luna, Palermo
1990] Frassinelli, Milano 2015, pp. 158
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