9 marzo 2017

Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi



Eboli è un comune della Campania, in provincia di Salerno, considerato dai contadini di Carlo Levi, l'ultimo avamposto della cristianità. E cristiano vuol dire, nel loro linguaggio, uomo. Noi non siamo cristiani, - essi dicono, - non siamo uomini, non siamo considerati come uomini, ma bestie, bestie da soma, e ancora meno che le bestie, i fruschi, i frusculicchi, che vivono la loro vita diabolica o angelica, perché noi dobbiamo invece subire il mondo dei cristiani, che sono di là dall’orizzonte, e sopportarne il peso e il confronto. Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore. In questa terra oscura, - scrive Levi, - senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso.
     Sono passati diversi anni da quando Carlo Levi ha lasciato la Basilicata (che durante il fascismo veniva chiamata Lucania), dove ha trascorso un lungo periodo (1935/36), da confinato perché antifascista, prima a Grassano e poi ad Aliano (che nel libro prende il nome di Gagliano, così come lo chiamavano i contadini), a quando nel 1943/1944 scrive a Firenze, chiuso in una stanza, il suo romanzo.
     Noi lo abbiamo letto per sapere come considera i briganti, spesso citati. Verso la fine del suo romanzo, Levi scrive che la civiltà contadina sarà sempre vinta, ma non si lascerà mai schiacciare del tutto, si conserverà sotto i veli della pazienza per esplodere di tratto in tratto; e la crisi mortale si perpetuerà. Il brigantaggio, guerra contadina, ne è la prova: e quello del secolo scorso non sarà l’ultimo.
     Col brigantaggio, - scrive Levi, - la civiltà contadina difende la propria natura, contro quell’altra civiltà che le sta contro e che, senza comprenderla, eternamente la assoggetta: perciò, istintivamente, i contadini vedono nei briganti i loro eroi. I briganti sono contro lo Stato, contro tutti gli Stati. I contadini non hanno, né possono avere, quella che si usa chiamare coscienza politica, perché sono, in tutti i sensi del termine, pagani, non cittadini.
     Quando conversavo con i contadini, - scrive ancora Levi, - potevo esser certo che, qualunque fosse l’argomento del discorso, saremmo presto scivolati, in qualche modo, a parlare dei briganti. Tutto li ricorda: non c’è monte, burrone, bosco, pietra, fontana o grotta, che non sia legata a qualche loro impresa memorabile, o che non abbia servito di rifugio o di nascondiglio; non c’è luogo nascosto che non gli servisse di ritrovo; non c’è cappelletta in campagna dove non lasciassero le loro lettere minatorie e non aspettassero i riscatti.
     In tante parti del libro si parla di briganti, come per esempio dove si descrive il becchino e il banditore comunale di Gagliano. Aveva quasi novant’anni, e al tempo dei briganti postunitari era già un giovanotto. Parlava spesso con Levi e raccontava le sue molte avventure. Levi però non riuscì mai a sapere se anch’egli fosse stato uno di loro. Aveva certamente conosciuto il famoso Ninco Nanco e descriveva la compagna di quest’ultimo, la brigantessa Maria ‘a Pastora, come se l’avesse vista il giorno prima. Era una donna bellissima, una contadina, e viveva con il suo amante, in giro per i boschi e le montagne depredando e combattendo, vestita da uomo, sempre a cavallo. Quando Ninco Nanco fu ammazzato, il vecchio non mi sapeva dire come fosse finita Maria ‘a Pastora, questa dea della guerra contadina. Non era morta e non l’avevano presa, diceva; era stata vista a Pisticci, tutta vestita di nero: poi era scomparsa, col suo cavallo, nel bosco, e non s’era mai più saputo nulla di lei.
     Nel romanzo si parla anche dei tesori dei briganti, del monachicchio, degli angeli, dell’incantatore di lupi, e di altro appartenente al mondo contadino.
     Uno dei protagonisti importanti del libro è il cane Barone, che i contadini di Grassano regalarono a Levi il giorno prima della sua partenza per Gagliano. Era stato trovato in treno, sulla linea che da Napoli va a Taranto, con un cartello appeso al collare che diceva: «Il mio nome è Barone. Chi mi trova abbia cura di me». Non era visto come un cane normale, ma come un essere straordinario, degno di essere particolarmente onorato.
     Levi parla anche della sua attività di pittore. La Lucania influenzò molto la sua opera pittorica.
     A Gagliano si adattò anche a fare il medico, era infatti laureato in medicina.
     “Cristo si è fermato a Eboli” ebbe un grande successo internazionale, e fu tradotto in molte lingue.
     In Italia il libro fu pubblicato presso Einaudi. Noi abbiamo letto l’edizione Mondadori del 1966, pubblicata su licenza Einaudi.
     Quando nel 1975 Levi morì, ottemperando alle sue ultime volontà, la sua salma fu trasportata ad Aliano, dove è sepolto.
Rocco Biondi

Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Mondadori, Segrate (Milano) 1966 (X edizione), (su licenza Einaudi editore 1945), pp. 216 

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