25 febbraio 2017

Briganti e galantuomini, soldati e contadini, di Valentino Romano



Le storie del volume, scrive Valentino Romano nell’introduzione, al pari di quelle contenute in “Nacquero contadini, morirono briganti” di cui queste sono la naturale prosecuzione, sono tutte estrapolate dalle carte d’archivio che narrano la tragica epopea del mondo contadino meridionale, travolto dallo tsunami politico e istituzionale che nel 1860 determinò la nascita della “Nuova Italia”. Sono storie di “ordinaria” violenza del potere e di “straordinaria” violenza contro il potere, storie di uomini e donne normali che vivono un periodo che normale non è, storie nelle quali pulsa il cuore antico del Sud che chiede di essere raccontato ma soprattutto di essere compreso e rispettato.
     Le microstorie, scrive Enzo Di Brango nella postfazione, anche se pervase da una vena scherzosa, travalicano i brevi cenni biografici dei protagonisti e permettono una ricostruzione dal basso della grande storia. Ma anche ci consentono di guardare, con occhio critico, a vicende e problemi dei giorni nostri.
     Qui sono raccolte principalmente le malefatte dei piemontesi invasori nel loro agire quotidiano contro la maggioranza degli abitanti del Sud. Ma sono anche raccolti brani di documenti che richiamano fatti più generali.
     Nell’isola di Malta per esempio, dove fino al 1859 hanno trovato rifugio numerosi fuorusciti antiborbonici, dal 1860 in poi si concentrano tanti protagonisti della reazione antiunitaria. Secondo Francesco Astengo, uomo di fiducia del presidente del consiglio Ricasoli, mandato nell’isola per controllare da vicino la situazione, gli abitanti si suddividono in autonomisti (il gruppo più numeroso che comprende commercianti e possidenti, nonché parte della nobiltà), borbonici (buona parte del clero e della nobiltà, oltre impiegati civili e militari, e gran numero di coloro cui la dinastia borbonica “aveva dato i mezzi di vivere grassamente, rubando ed angariando le popolazioni”), ed unionisti (comprendente tutte le gradazioni dei liberali, spesso in lotta tra di loro).
     Il beneventano è una delle zone del Sud nella quale maggiormente si manifestano la prepotenza e la violenza dei militari piemontesi. Interi paesi e villaggi vengono bruciati, dando vita a feroci rappresaglie; fra essi i più famosi sono quelli di Pontelandolfo e Casalduni. Prima di incendiarli furono eseguiti in essi stupri, massacri, saccheggi. L’autore Romano scrive, con sarcasmo, che l’esercito liberatore sabaudo liberò i meridionali perfino dei propri averi.
     Con il solito sarcasmo, partendo sempre da documenti, vengono anche descritti i “centri benessere” del nord dove venivano deportati e decimati i soldati del disciolto esercito borbonico: San Maurizio e Fenestrelle; parlando del vitto che lasciava a desiderare e delle scarpe troppo piccole per i piedi degli uomini del Sud.
     Si parla anche della guerra civile che l’esercito piemontese portò contro il Sud. L’onorevole Petruccelli in una seduta parlamentare di quegli anni di inizio unità d’Italia disse: “i briganti non sono forse italiani?”.
     Dalla pubblicazione del fitto epistolario tra il barone Bettino Ricasoli, che allora fu presidente del consiglio, ed il generale Alfonso La Marmora, comandante del corpo d’armata a Napoli e prefetto di quella provincia, vien fuori la storia del vino “Lacrima Christi”, contenuta in molte lettere. Le barbatelle delle piante che frutterà quel vino verranno spedite da La Marmora a Ricasoli.
     Non corre buon sangue fra il comandante della divisione dei Carabinieri di Cosenza ed il colonnello Pietro Fumel, mandato in Calabria alla fine del 1861 per stroncare il brigantaggio. Il colonnello non è ben visto dal comandante per i suoi metodi feroci ed inumani con i quali tratta gli abitanti del Sud. Se l’energico Fumel è rimpianto da qualcuno avviene perché pagava molto bene, particolarmente gli Ufficiali. “Pecunia non olet”, benché grondante di sangue spesso innocente, conclude Romano. I soldi non puzzano.
     Il brigante Giuseppe Nicola Summa, più conosciuto come Ninco Nanco, costretto ad arrendersi, esce con le mani in alto ma un caporale della Guardia Nazionale, Nicola Coviello, lo fredda a bruciapelo con un colpo di fucile. Il Coviello è un uomo di Benedetto Corbo, un possidente di Avigliano, non ingiustamente additato come uno dei principali manutengoli del brigante: il sospetto è che Coviello abbia pensato bene di tappargli definitivamente la bocca per evitare fastidi al suo padrone nell’ipotesi di possibili rivelazioni del luogotenente di Carmine Crocco.
     Per concludere mi piace trarre dal libro di Valentino Romano due considerazioni. La giustizia, da un lato, giudica e condanna i poveracci, dall’altra, giudica e assolve i potenti. Quella delle spie e dei delatori – spesso doppiogiochisti dei quali si è fatto largo uso per debellare il fenomeno del brigantaggio postunitario – è una storia tutta ancora da scrivere.
Rocco Biondi

Valentino Romano, Briganti e galantuomini, soldati e contadini. (Storie minime della Nuova Italia), Postfazione di Enzo Di Brango, Laruffa Editore, Reggio Calabria 2016, pp. 168, € 13,00

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