11 marzo 2017

Apologia del Brigante, di Adolfo Morganti



È un piccolo libro scritto in difesa del Brigante, con un linguaggio aulico. Vengono abbracciati due secoli (dal 1796 al 1996) durante i quali nasce e si sviluppa l’epopea del brigantaggio. Il Brigante non è un soldato di professione ma è la voce profonda di un popolo, che si fa presenza e leggenda.
     Ancora oggi, ascoltando nell’intimo noi stessi, scopriamo l’ombra ingombrante di un brigante. Un brigante che può essere severo e scarno, romantico e irruento, disperato ed amaro, ascetico e taciturno. Un brigante che recita il rosario e legge o ascolta le vite dei santi; un brigante capace di scorgere sulle sue montagne degli angeli. Un brigante che nasce dal silenzio della memoria e che rifiuta caparbiamente di estinguersi. E questo avviene sia nei ricchi, che nei poveri, che nei colti. Il brigante che è in noi rifiuta le mezze misure, i compromessi, le moderazioni, le vigliaccherie.
     Il brigante ama il prete perché l’ha sposato, gli battezza i figli, gli recita la messa per i morti, ma anche perché, al bisogno, gli presta un po’ d’olio, di farina e di legna. Brigante può diventare un soldato disperso, un seminarista scacciato, un popolano curvo dal lavoro, o chiunque altro rispondendo al richiamo del cuore. Il brigante è un contadino nello spirito, è comunque unito alla terra.
     E questo vien fuori dai libri sul brigantaggio. Ma se per errore apriamo un libro sbagliato, i professori ci spiegano che i briganti erano ignoranti e poveracci, erano perfidi e reazionari, erano fanatici religiosi, erano perfino contro l’unità d’Italia. Ma ancora una volta questi professori hanno torto, perché un’altra idea d’Italia è sempre esistita. È una unità profonda germogliata dai falcioni dei briganti e innaffiata dal sangue di interi popoli. È l’Italia dei popoli e delle culture, del profumo della terra e del mare, dei dialetti, di una civiltà dove “piccolo è il mio, grande è il nostro”.
     L’interesse di questo libro è dato dal fatto che è considerato positivamente sia il brigante preunitario che quello postunitario, spiegandone le ragioni e non legandolo a chi nelle varie epoche rappresentava lo Stato.
     Per il brigante la foresta è sorella ed amica: esso lo nutre e ripara in tempo di pace; ed è complice ed alleata in tempo di guerra.
     La terra dei briganti è anche terra di racconti delle sere d’inverno, fatti di fronte al fuoco del camino.
     Il brigante combatte contro il borghese, che una volta messe le mani sul Potere non le ha più tolte.
     La donna è l’anima del brigante. C’è bisogno di un volto di donna da ricordare per rinfocolare l’odio e l’amore: una madre, un’amante, una sorella, una figlia, e al limite anche la Vergine Maria. A Gaeta assediata, sotto i bombardamenti piemontesi, la regina diradava con il suo sorriso le nubi di polvere. La donna ha saputo seguire il brigante fin sulla montagna, impugnando anch’essa il fucile ed il pugnale: donne forti e popolane.
     La religione poi non è sentita dal brigante come un affare di mente. Quando alza gli occhi verso il cielo e cerca Dio, non vede il vuoto, ma santi, angeli, papi, sacerdoti, monaci, boschi, città, signori, popolo, come nelle pale degli altari. Si spiega così perché un uomo di chiesa, come il cardinale Fabrizio Ruffo, abbia potuto raccogliere attorno a se tantissimi popolani che, contro gli invasori francesi ed i filosofi e i borghesi di Napoli, hanno saputo riconquistare il Regno per Ferdinando IV di Borbone.
     I Briganti sono riusciti a formare, attorno a sé, una specie di Internazionale di campanili e foreste, di radici e falcioni.
     I briganti, al grido di “Dio lo vuole!”, seguono i loro capi con le braccia armate verso il cielo. Chi non ha armi, leva gli attrezzi della fatica della terra. Chi non ha nemmeno quelli, leva le mani e la propria rabbia.
     Il libro si chiude con la frase: «Solo la Speranza eleva l’uomo alla dignità di brigante». 
Rocco Biondi

Adolfo Morganti, Apologia del Brigante, Il Cerchio, Rimini 1995, pp. 79

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