È
un piccolo libro scritto in difesa del Brigante, con un
linguaggio aulico. Vengono abbracciati due secoli (dal 1796 al 1996) durante i
quali nasce e si sviluppa l’epopea del brigantaggio. Il Brigante non è un
soldato di professione ma è la voce profonda di un popolo, che si fa presenza e
leggenda.
Ancora oggi, ascoltando nell’intimo noi
stessi, scopriamo l’ombra ingombrante di un brigante. Un brigante che può
essere severo e scarno, romantico e irruento, disperato ed amaro, ascetico e
taciturno. Un brigante che recita il rosario e legge o ascolta le vite dei
santi; un brigante capace di scorgere sulle sue montagne degli angeli. Un
brigante che nasce dal silenzio della memoria e che rifiuta caparbiamente di
estinguersi. E questo avviene sia nei ricchi, che nei poveri, che nei colti. Il
brigante che è in noi rifiuta le mezze misure, i compromessi, le moderazioni,
le vigliaccherie.
Il brigante ama il prete perché l’ha
sposato, gli battezza i figli, gli recita la messa per i morti, ma anche
perché, al bisogno, gli presta un po’ d’olio, di farina e di legna. Brigante
può diventare un soldato disperso, un seminarista scacciato, un popolano curvo
dal lavoro, o chiunque altro rispondendo al richiamo del cuore. Il brigante è
un contadino nello spirito, è comunque unito alla terra.
E questo vien fuori dai libri sul brigantaggio.
Ma se per errore apriamo un libro sbagliato, i professori ci spiegano che i
briganti erano ignoranti e poveracci, erano perfidi e reazionari, erano
fanatici religiosi, erano perfino contro l’unità d’Italia. Ma ancora una volta
questi professori hanno torto, perché un’altra idea d’Italia è sempre esistita.
È una unità profonda germogliata dai falcioni dei briganti e innaffiata dal
sangue di interi popoli. È l’Italia dei popoli e delle culture, del profumo
della terra e del mare, dei dialetti, di una civiltà dove “piccolo è il mio,
grande è il nostro”.
L’interesse di questo libro è dato dal
fatto che è considerato positivamente sia il brigante preunitario che quello
postunitario, spiegandone le ragioni e non legandolo a chi nelle varie epoche
rappresentava lo Stato.
Per il brigante la foresta è sorella ed
amica: esso lo nutre e ripara in tempo di pace; ed è complice ed alleata in
tempo di guerra.
La terra dei briganti è anche terra di
racconti delle sere d’inverno, fatti di fronte al fuoco del camino.
Il brigante combatte contro il borghese,
che una volta messe le mani sul Potere non le ha più tolte.
La donna è l’anima del brigante. C’è
bisogno di un volto di donna da ricordare per rinfocolare l’odio e l’amore: una
madre, un’amante, una sorella, una figlia, e al limite anche la Vergine Maria.
A Gaeta assediata, sotto i bombardamenti piemontesi, la regina diradava con il
suo sorriso le nubi di polvere. La donna ha saputo seguire il brigante fin
sulla montagna, impugnando anch’essa il fucile ed il pugnale: donne forti e
popolane.
La religione poi non è sentita dal brigante
come un affare di mente. Quando alza gli occhi verso il cielo e cerca Dio, non
vede il vuoto, ma santi, angeli, papi, sacerdoti, monaci, boschi, città,
signori, popolo, come nelle pale degli altari. Si spiega così perché un uomo di
chiesa, come il cardinale Fabrizio Ruffo, abbia potuto raccogliere attorno a se
tantissimi popolani che, contro gli invasori francesi ed i filosofi e i
borghesi di Napoli, hanno saputo riconquistare il Regno per Ferdinando IV di
Borbone.
I Briganti sono riusciti a formare, attorno
a sé, una specie di Internazionale di campanili e foreste, di radici e
falcioni.
I briganti, al grido di “Dio lo vuole!”,
seguono i loro capi con le braccia armate verso il cielo. Chi non ha armi, leva
gli attrezzi della fatica della terra. Chi non ha nemmeno quelli, leva le mani
e la propria rabbia.
Il libro si chiude con la frase: «Solo la
Speranza eleva l’uomo alla dignità di brigante».
Rocco Biondi
Rocco Biondi
Adolfo Morganti, Apologia del Brigante, Il Cerchio,
Rimini 1995, pp. 79
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