I
fiori di ginestra erano amati da Nicolina Iaconelli, una delle sette
brigantesse trattate da Maria Scerrato nel suo libro. In esso si parla delle
donne briganti vissute ed operanti alla frontiera tra lo Stato Pontificio ed il
Regno delle Due Sicilie, negli anni 1864-1868.
Le gesta di queste donne, realmente
esistite, sono narrate, scrive Fernando Riccardi nella introduzione, sotto
forma di romanzo per rendere più avvincente il racconto.
Si contribuisce con il libro della Scerrato
a dare un volto a quel “popolo senza nome”,
ma anche un corpo, un cuore e un’anima, alle sette “donne briganti”.
Storici che hanno preceduto nel trattare
delle brigantesse sono stati Francamaria Trapani, Maurizio Restivo, Valentino
Romano.
La brigantessa Maria Teresa Roselli era
nata nel 1838 nello Stato Pontificio. Il padre Domenico venne arrestato più
volte con l’accusa di manutengolismo. Lei sposò giovanissima il noto brigante
Giuseppe Molinari, dal quale ebbe numerosi figli. Giuseppe venne catturato e
chiuso a vita nelle carceri di Frosinone. Maria Teresa, divenuta l’amante del
brigante Giorgio il Calabrese, vestita da uomo partecipava abitualmente alle
azioni brigantesche, maneggiando con grande precisione le armi da fuoco.
Arrestata, venne condannata all’ergastolo da scontare nel carcere papalino
delle Terme di Diocleziano a Roma. Fin qui la storia. Il romanzo narra, tra l’altro,
di una precedente rocambolesca fuga della brigantessa, lanciandosi dal treno in
corsa. E raggiunge i suoi cinque figli: tre maschi e due femmine, che dovrà poi
lasciare per sempre prima di consegnarsi ai gendarmi pontifici.
Michelina Di Cesare nacque nel 1841 a
Caspoli in Terra di Lavoro, in una famiglia poverissima. Sposò ventenne un
bracciante, che si ammalò e morì l’anno dopo. Svolgendo l’attività di
manutengola incontrò il capobrigante Francesco Guerra e ne divenne la donna,
avendone anche un figlio. Combatterono insieme per sette anni e furono uccisi
insieme dai piemontesi sul Monte Morrone il 30 agosto 1868. Nel racconto si
dice del solenne battesimo celebrato per il figlio di Michelina e del brigante
Guerra. «Vennero accesi tutti i ceri davanti alle statue dei Santi, stesi i
paramenti più belli e il sacerdote cantò la messa, facendo risuonare la voce
stentorea nella chiesa gremita». Poi consegnò il bambino a un vecchio monaco,
affinché fosse allevato bene. E corse libera, a combattere per la libertà.
Elisa Garofoli era nata nel 1844 nello
Stato della Chiesa. Divenne l’amante del capobanda Luigi Cima e intorno a lei
nacque la leggenda de “La Regina delle Montagne”. Ebbe una figlia, che affidò
ad una balia. Venne tradita e finì i suoi giorni nel carcere delle Terme di Diocleziano.
Si narra della sua investitura come brigantessa. Di fronte alla banda,
Luigiotto Cima le porse le armi: una carabina a sei colpi, una pistola revolver
ed un pugnale; ed infine le venne inciso sul braccio con un coltello appuntito il
simbolo della banda. La bella brigantessa divenne ben presto una leggenda nella
piana di Fondi, al punto da oscurare la fama dello stesso capobrigante
Luigiotto. E famoso divenne anche il suo tesoro, che nella sua fantasia, quando
sarebbe uscita dalla galera e si sarebbe ricongiunta a sua figlia, si sarebbe
andato a riprendere.
Michelina Iaconelli fu una delle molte
donne del capobrigante Domenico Fuoco e si diede alla latitanza a soli 18 anni,
partecipando alle azioni brigantesche, armata e vestita da uomo. Era nata nel 1846.
Strinse un rapporto di amicizia con Michelina Di Cesare. Venne catturata a
Scifelli e tradotta in treno presso il carcere femminile alle Terme di
Diocleziano in Roma, scortata da 40 militi. Si ignora il suo destino
successivo. Temeva Domenico Fuoco ed allo stesso tempo sentiva di non essere in
grado di lasciarlo. Anzi gli salvò la vita, quando due briganti tramarono di
ucciderlo per intascare la taglia.
Rosa Antonucci, nata nel 1838 in Terra di
Lavoro, sposò avendo solo 16 anni Francesco Cedrone, che sarebbe diventato il
luogotenente di Chiavone. Rosa lo seguì nella latitanza. Fu uccisa in
combattimento dai piemontesi il 7 febbraio 1866. Rosa da viva era tenuta in
grande considerazione dalla banda e, perché onesta e fidata, si decise di
affidare a lei la cassa comune.
Cristina Cocozza è avvolta nel mistero; di
essa, come di tante altre brigantesse, si persero le tracce ancor prima di
subire il processo. Resta comunque il ritratto scritto da Jacopo Gelli, non
suffragato però da nessuna verità storica, che la dipinge come la più feroce
delle brigantesse. La Scerrato, nel suo racconto, ci dice che il buio della
cella la rese quasi cieca.
Maria Capitanio, la settima e ultima
brigantessa della quale parla il libro, era nata nel 1850 da piccoli
proprietari terrieri. Conobbe Antonio Agostino Longo, abbastanza più grande di
lei, e lo seguì nella banda del capobrigante Giacomo Ciccone. Fu arrestata dai
piemontesi nel 1868. Portata nel carcere di Isernia subì un processo, ma grazie
all’intervento del padre, che inventò un rapimento della ragazza da parte del
Longo e corruppe i giudici, venne prosciolta da ogni accusa e scarcerata. La
leggenda, ripresa nel libro, racconta che preferì suicidarsi ingerendo dei
pezzi di vetro, piuttosto che tornare al suo paese. Il libro si chiude con la
frase, riferita a Maria Capitanio, «ha continuato ad esistere quando già era
morta sul Monte Cavallo di Presenzano un giorno di marzo del 1868».
Chiudo, rispondendo alla domanda posta
nell’introduzione, dicendo che per me la Scerrato è parimenti romanziere e
brigantessa.
Rocco Biondi
Maria Scerrato, Fiori di ginestra. Donne briganti lungo la Frontiera 1864-1868, introduzione
di Fernando Riccardi, Arte Stampa Editore, Roccasecca (FR) 2016, pp. 168, €
15,00
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